La maledizione del Drago
Di Carlo Milani
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Info su questo ebook
Eileen, sacerdotessa in cerca di riscatto con se stessa e la divinità, è felice di ritrovare al proprio fianco Devon, lo spregiudicato mercenario al cui amore ha dovuto rinunciare per consacrarsi ad Aurora.
Ma proprio nel momento cruciale, a un passo dalla risoluzione del mistero, la maledizione sembra colpire anche Eileen: uno dopo l'altro i suoi poteri avvizziscono come foglie secche, mentre i suoi nemici si moltiplicano. E chi credeva venuto a proteggerla si rivela il suo avversario più letale.
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Anteprima del libro
La maledizione del Drago - Carlo Milani
Milani
A Uffern nascono strani bambini
Quando dodici anni prima era stata condannata all’Isola Sacra, con in tasca una ricca dote e le raccomandazioni del padre sul buon nome della famiglia, la prima cosa che le avevano insegnato era stata l’arte dei nodi. Eileen sapeva, o meglio a quel tempo poteva solo immaginare, che sarebbe stata adottata da muri di carta, piogge d’incenso e sonnacchiose preghiere. Il ricordo più piacevole dei primi anni, le mattine in cui i novizi si mettevano in fila come tanti gabbiani sul molo ad ascoltare i marinai: vecchie barbe bianche, impazienti con i rampolli di nobili badeliani che non avevano mai respirato l’odore di un’onda o trattenuto il respiro di una risacca.
Anni più tardi, quando moline e scorsoi erano ormai filastrocche per le dita, le erano stati rivelati i fili invisibili che intersecano il mondo degli uomini e degli Dei. Fili che si potevano tessere e disfare, con il canto e la musica, o il muto linguaggio dei boschi, delle pietre e delle acque cristalline.
Stringendo un nodo si lega il destino di qualcosa, scioglierlo significa libertà. Si viene al mondo con un nodo. Anche stanotte
rifletté prima di chiedere alla sua piccola guida di fermarsi e abbassare la torcia.
L’oscurità si era già mangiata tutto. Dai tetti delle case che non fumavano da un pezzo, alle cime degli alti fusti, che parevano braccia di giganti minacciosi quando gli scherzi del vento si rincorrono tra le fronde.
Con la punta del bastone tracciò davanti all’uscio un segno, né grande né piccolo, e lo racchiuse in un cerchio, il più perfetto possibile. Arò ancora due volte i solchi, da nord a sud, da sud a nord, e pronunciò il nome segreto della Dea.
Dalla casa giunse un grido atroce.
— Resta qui e fai entrare solo il padre — ammonì la bambina che, spaventata, si era ritratta.
Le si aprì un’ampia sala, riscaldata da un fuoco adulto che gettava le sue ombre su un arredamento semplice ma curato. Una vecchia era curva su un calderone, tra le mani un rametto di vischio. Un’altra donna, dai lunghi capelli sciolti sulle spalle, la salutò squadrandola da capo a piedi. Teneva per mano la ragazza, asciugandole con un panno la fronte imperlata di sudore. Avevano inclinato il letto sistemandoci sotto la testa una vecchia cassapanca annerita.
— Come ti chiami? — Eileen le accarezzò la guancia. I segni del dolore solcavano una bellezza ancora acerba: dimostrava non più di sedici primavere.
— Gwennifer — rivelò un sussurro appena distinguibile.
Eileen piegò l’angolo della bocca in una smorfia. — Datele subito della verbena, non ha le forze per reggere fino in fondo.
— Il vischio è quasi pronto. Altro non occorre, figliola — ribatté la vecchia, piegando l’ultima parola tutto meno che in segno di ossequio.
— Butta quella roba. Pesta insieme una misura di foglie di camomilla con tre di lampone. Aggiungici anche un po’ di miele all’infuso — rispose tastando il collo della giovane. Vedendo che l’altra non si muoveva, picchiò il bastone bianco sul pavimento. — In nome di Aurora, non avete fatto chiamare una levatrice?
La vecchia brontolò qualcosa nel suo dialetto ruvido e andò a rovistare nella dispensa. Solo allora Eileen si accorse che tutti i cassetti della casa erano aperti. Scuotendo il capo, prese dalla veste un fazzoletto e legò i capelli a Gwennifer, che aveva ripreso a gemere più forte.
— Quando sentirai il pianto del tuo bambino tutto questo strazio si muterà in gioia, e tu ti trasformerai in madre. Ogni bimbo nato è una nuova speranza per il mondo, e per molti il riscatto di un'esistenza — cominciò a dirle mentre le asciugava la fronte. In un angolo era pronta la culla, il fondo cosparso di petali di rosa e altri fiori.
— Come si chiama?
La giovane scosse la testa e rantolò. Eileen cercò invano gli occhi della donna che l’assisteva, la madre probabilmente. Il pallore del suo viso era mortale, non doveva riposare da giorni.
Il silenzio di quella notte più calda del solito era rotto ogni tanto dai versi di qualche rapace o dal latrare nervoso di un cane. Con il passare dei minuti, la ragazza era scossa da doglie sempre più frequenti finché prese a urlare.
— Ci siamo. Coraggio Gwen, tu sei più forte — cercò di farle coraggio, e si chiese se non lo stesse dicendo a se stessa. Non era la prima volta che assisteva a un parto, una figlia della Dea era iniziata a dovere all’arte ostetricia. Ma anche l’ultimo rematore ubriaco avrebbe capito che Kleros aveva messo il piede invisibile in quella casa, e puntava la nera falce sia alla madre che al nascituro.
Gwennifer prese a gorgogliare parole e frasi incomprensibili. In principio Eileen non ci fece troppo caso e le strinse ancora più forte la mano, mentre le altre donne la tenevano da dietro la testa del letto. Un gemito straziante e prolungato invase la stanza finché tutto tacque in un silenzio irreale. Eileen balzò all’indietro, urtando contro il bastone appoggiato alla parete. Si portò una mano alla bocca, inchiodata dal terrore. Le falconer erano scoppiate in un pianto a dirotto, sostenendosi l’una con l’altra. Gwennifer sembrava svenuta. Il petto si alzava appena, ma respirava.
Senza perdere d’occhio la creatura, Eileen s’inginocchiò e recuperò il bastone. Con un’estremità allontanò la bacinella facendo attenzione a non toccare il corpo. Si dimenava e si contorceva in quella culla di sangue e argilla appena sufficiente a trattenerla.
Era una cosa orribile. Eppure sacra, forse un presagio. Cercò l’aiuto delle altre ma la vecchia, gonfiando le guance, la investì con una serie di accuse e d’ingiurie.
— Tu! Sei stata tu a portare la sventura in questa casa, con le tue pozioni, i tuoi segni! Tu non sei figlia della Dea, sei una schiava dell’Ingannatore!
Istintivamente Eileen cercò la porta, la spalancò. Si ritrovò di fronte la bambina che l’aveva svegliata nel cuore della notte e condotta lì, a far nascere quella cosa. Tremava come un fuscello.
— Cos’hai fatto, sciagurata! — esclamò Eileen indicando la runa di Beithe scomposta sotto i suoi sandali.
La piccola corse via, urlando, verso