Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Francamente il mondo
Francamente il mondo
Francamente il mondo
E-book708 pagine8 ore

Francamente il mondo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Si può far ridere un cannibale? Si può andare a caccia di una ruota? Si può fare l’interprete senza conoscere le lingue? Come imparare a suonare il pianoforte in tre mosse? Come capire la terra in poche righe e sapere la verità sulla questione del sottosviluppo nel Terzo Mondo? In questa intervista, Franco Maranzana, geologo “strambo” e giramondo, sarà “franco” e “francamente” vi parlerà del mondo.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ago 2016
ISBN9788892622111
Francamente il mondo

Correlato a Francamente il mondo

Ebook correlati

Biografie e memorie per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Francamente il mondo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Francamente il mondo - Franco Maranzana

    (Mastronigio)

    PREAMBOLO

    Perché strambo???

    È la sintesi di strano e di Rambo!!! … Con una prevalenza di stranezza ed un tocco speciale di ramberia

    Sì, ma come è nato questo libro di rambostranezze? Hai preso carta e penna e ti sei messo a scrivere come tutti i normali scrittori?

    Eh no! Perché se sono strambo come faccio ad essere normale? Però ho ricevuto varie spinte a scrivere da parte dei colleghi giovani e meno giovani delle attività che avevo iniziato a Gibuti come geologo.

    Ma cosa diavolo c’entra Gibuti?

    Avevo iniziato l’esplorazione mineraria nel 2010 e durante il mio lavoro, che non è dei più leggeri, in occasione di pause e di pasti raccontavo una serie di aneddoti riguardanti alcune vicende che mi erano successe in giro per il mondo.

    I miei colleghi erano tutti stranieri, in gran parte inglesi, irlandesi, francesi e di altre varie nazionalità. Ovviamente la lingua dominante di comunicazione era l’inglese e poi il francese.

    Ma queste storielle come sono state percepite?

    Non solo molto bene, ma dopo un anno e mezzo che ero lì, quando arrivava un ospite i miei colleghi, a turno, mi incoraggiavano a raccontare di nuovo qualcuna di quelle storielle per intrattenere i nuovi arrivati.

    In che senso parli di spinta a scrivere se ti limitavi a raccontare?

    Da parte dei miei colleghi avevo ricevuto un ordine, un comando quasi perentorio: Devi scrivere questa roba! Inoltre mi dicevano che non è facile trovare qualcuno che abbia tanto viaggiato da solo e anche con famiglia. Questo commento è tanto più pregnante in quanto espresso da persone originarie di paesi che sono stati i leaders dei viaggi mondiali.

    E poi?

    Saltano fuori altre opinioni di questi miei colleghi sul fatto che ho iniziato i miei viaggi in età molto giovane. Infatti ho visto per la prima volta l’Africa nel 1964, arrivando in Nigeria. Quindi ero sicuramente il più giovane fra gli altri esperti europei che oggi non fanno più parte di questo gioco mentre io sono ancora qui dopo cinquant’anni dalla mia prima visita africana.

    Questa è certamente una spinta molto forte… E le altre?

    Sono state il frutto di un intreccio di coincidenze incredibilmente fortuite che però tutte quante mi sospingevano a realizzare ‘sto c… di libro… Pardon, raccolta! Paradossalmente, alla fine dei conti, l’unico che non spingeva in quel senso ero io. Anzi, con imbarazzo, mi sentivo come strattonato da una parte e dall’altra.

    Ma di che cavolo di coincidenze stai parlando?

    Eccone alcune! Grosseto, tour del Movimento Cinque Stelle per le elezioni del 2013: incontro un personaggio che, tramite internet, mi mette in contatto con Michele Mazzavillani, poi detto Mike, il quale faceva parte dei Meet-up Cinque Stelle a Parigi. Tramite SKYPE e simili diavolerie tipiche del nostro Mike, abbiamo iniziato a creare delle connessioni, estese a chi entrava in questa rete, riguardanti problematiche geologiche, sismiche, territoriali e così via. Durante questi contatti sul web ho raccontato una serie di quelle storielle sopra citate e Mike, come tanti altri, mi sollecita a scriverle. Ma come? Ecco la semplice risposta di Mike: Ti faccio una serie di domande e tu mi rispondi dettando le vicende tramite un registratore digitale e io provvederò a trascrivere il tutto.

    E come è andata avanti la cosa?

    Ebbene, ho inviato circa una ventina di pezzi registrati che poi Mike archiviava in un suo sistema informatico affinché questa diavoleria assumesse la parvenza di un ordine finalizzato alla pubblicazione di un libro.

    E le altre coincidenze?

    Arriva alla ribalta nell’agosto del 2014 lo scrittore Alberto Nigi, poi da me ribattezzato Mastronigio, il quale, affascinato da quelle vicende e catturato dalla simpatia del protagonista, grazie alla sua esperienza nel campo delle pubblicazioni si è offerto di occuparsi dell’editing per dare una forma pubblicabile al testo… Il tutto sotto il tramite occulto di un grande personaggio che porta il nome di Beppe Grillo.

    Altre spinte?

    Sì: l’amico di sempre, Tullio Balzano, detto Omo (versione triestina dell’italiano uomo) il quale fatto strano, è a sua volta strambo come io sono balzano e quindi ha dato una spinta fondamentale alla realizzazione dell’opera. Inoltre dalla mia famiglia attuale e da quella di origine sono arrivare altre calorose spinte.

    Vogliamo chiedere all’Omo un suo parere su di te?

    Certamente!

    Omo: Eccomi! Sono Tullio Balzano, detto Omo, versione triestina della parola uomo". Poiché oggi va di moda l’Ariosto, senti che cosa ti dico!!!

    "Le donne , i cavalier, l’arme, gli amori,

    le cortesie, l’audaci imprese…"

    (Ariosto, Orlando Furioso, Canto Primo, I)

    La giriamo?

    Le terre, i continenti, i gran lavori,

    le stramberie, le audaci imprese io canto,

    che furo al tempo che con grandi onori

    d’Australia i lidi calpestò con vanto

    e d’Africa e Oceania e in mezzo ai Mori

    e agli Indi ed alle genti di ogni canto.

    Per rimembrarne e per narrarne, strana

    la vita udiam di Franco Maranzana

    (Omo, opere inedite)

    Conosco Franco da una vita. In prima media siamo finiti sullo stesso banco e di lì non ci siamo più mossi. Potrei ricostruire un Amarcord infinito di episodi con professori di ogni genere, compagni di classe, battute e altro, ma questo può essere comune a molti. Vale la pena però citare almeno due aneddoti da Amici miei che caratterizzano questa sintonia.

    Ai grandi magazzini UPIM lui si metteva qualcosa sotto la giacca per fingere di essere gobbo ed io lo inseguivo con un finto bastone gridando maledetto gobbo tra le urla scandalizzate di tutte le clienti e le commesse.

    Al teatro Verdi, tempio della cultura cittadina di Trieste, dopo la rappresentazione, uscendo nel foyer, facevamo ad alta voce il verso ai critici intellettualoidi con le voci in falsetto e con la erre moscia. Questo per dire che il legame più tenace che ci unisce è il senso dell’ironia, spesso anche dell’autoironia, che non scade mai nel sarcasmo, ma si alimenta di battute, giochi di parole, sottintesi.

    Abbiamo condiviso e ci siamo raccontati tutto delle nostre vite… Io gli ho persino presentato la ragazza che sarebbe diventata sua moglie e poi ho dato il nome di lei alla mia primogenita.

    Per il resto siamo diversi. Lui si è laureato in geologia, ma preferisce gli uomini alle pietre, io mi sono laureato in lettere, ma amo più di ogni cosa la natura. Lui preferisce i luoghi caldi e le belle città, io prediligo i paesaggi nordici e i grandi silenzi dei monti.

    Io sono rimasto attaccato come un’ostrica alla stessa città e alla stessa casa. Lui ha vissuto senza fissa dimora, in giro per il mondo.

    Cosicché, quando ci vedevamo durante i suoi brevi ritorni a Trieste, passavamo delle ore, lui a parlare ed io ad ascoltare e commentare le sue infinite vicende ed avventure.

    Ad un certo punto ci siamo chiesti: non varrebbe forse la pena mettere a parte anche qualcun altro di queste straordinarie esperienze? Già esiste un precedente, chiamato Maranzana Story, una presentazione con filmati, foto e musiche, che gli ho preparato qualche anno fa e che si può trovare anche in YouTube. Mancava però la vita vissuta, mancavano le idee, gli aneddoti, le infinite avventure.

    Allora, Franco, il libro finisce così?

    A dire la verità, no! Fanno parte integrante del libro tre appendici. La prima riguarda la geologia che è la mia professione e la terza riguarda argomenti musicali dal momento che io sono stato immerso nella musica da quando sono nato fino ad ora. Si tratta di uno scritto destinato non ai professionisti, ma a tutti coloro che nutrano il desiderio di saperne un po’ di più su questo affascinante argomento...

    E la seconda?

    Guarda un po’, si tratta di un libretto che avevo scritto nel 1994 in seguito ad una conferenza di cui ero relatore alla Sorbona di Parigi nel mese di maggio del 1993. Questa conferenza era stata organizzata da un ex-studente che era rimasto affascinato dai miei racconti ed era riuscito a convincere il Rettore dell’Università ad ospitarmi. La conferenza aveva una durata di due ore con un intervallo di pausa caffè dopo la prima ora. Era una bella giornata di maggio, in prossimità di un parco, e quindi ho vissuto un momento di panico nell’idea che i partecipanti potessero disperdersi nel verde. Invece, con mia sorpresa li ho visti ritornare ancor più numerosi, con gente che ascoltava in piedi, perché si era sparsa la voce che c’era un italiano che raccontava delle storie inenarrabili. Ritornato a casa, a Genova, dove in quel periodo abitavo, mi sono ricostruito tutta la conferenza in lingua francese registrandola su nastro. Successivamente ho sbobinato il testo ed ho scritto la prima versione del libretto ancora in lingua francese. Dopo di che ho tradotto il testo in italiano e ne ho pubblicato un centinaio di copie a mie spese. Verso il 1995, tre copie di questo libretto, intitolato Il sotto sviluppo: una malattia? - Saggio semiserio su alcuni mali del mondo furono inviate a tre famose case editrici italiane con una lettera di accompagnamento di Beppe Grillo… Nessuna risposta! Nonostante ciò, ho raccolto una lunga serie di commenti molto favorevoli da parte di varie persone che si sono congratulate vivamente per il mio lavoro, divertendosi e riflettendo profondamente su temi scottanti. Da questo piccolo saggio ho ricavato l’aneddoto della ruota perduta come si nota nell’immagine tratta dal libretto stesso.

    Disegno di Franco Valussi

    In questo libretto compare un grafico sul contatto fisico che alcuni miei amici medici hanno citato per descrivere alcuni comportamenti etico-religiosi del nostro universo umano.

    Il contatto fisico un parametro estremamente ricercato dal bambino. Non ho mai visto un bambino africano piangere perché è sempre incollato alle spalle della madre o del padre. Questo, ovviamente non in condizioni di guerre o carestie. Si tratta di una differenza incredibile rispetto ai nostri bambini che piangono in continuazione perché probabilmente manca loro il contatto fisico che, alla fine dei conti, potrebbe essere anche un sinonimo legato al concetto di felicità. Senza sapere nulla di tutto questo, io credo di aver concesso il mio corpo come rifugio e giocattolo ai miei bambini.

    E dopo il preambolo?

    Veniamo al sodo e lasciamo che sia l’Omo a terminare il preambolo.

    Omo: Questa è un’intervista sui generis, a più voci, che intende raccogliere in una originale summa , la testimonianza di una vita da geologo vissuta all’insegna di una lucida follia.

    Noi intervistatori intendiamo porgli domande talvolta serie e talvolta impertinenti, riflettendo con ciò la personalità stessa dell’intervistato. Non a caso il mio caro amico si chiama Franco, e dunque certamente sarà franco e francamente vi parlerà del mondo.

    Chiunque conosce Franco, lo riconoscerà. Chiunque lo incontri per la prima volta, forse si scandalizzerà, forse si arrabbierà, forse si incuriosirà, certamente non si annoierà.

    Chi ami infine anche un po’ il sapere, troverà argomenti frutto di esperienze e riflessioni, ed anche qualche salutare frustata all’ovvio ed al politicamente corretto.

    ***

    Hanno collaborato alla realizzazione di questo testo ed intervistato l’autore:

    Michele Mazzavillani (Mike), curatore dell’informatizzazione

    Alberto Nigi (Mastronigio), editing e impaginazione

    Tullio Balzano (Omo), revisione

    COMINCIAMO A CAPIRE CHI SEI

    Franco, chi sei?

    Sono nato a Trieste nel dicembre del 1934, quinto e ultimo figlio di una famiglia di piccola-media borghesia. Mio padre gestiva una piccola fabbrica di mobili, mentre mia madre, come si usava all’epoca, faceva la casalinga. Tuttavia non siamo originari di Trieste, perché i nonni paterni provenivano da Venezia e quelli materni dalla Sardegna. Essi si erano conosciuti nel primo Novecento, appunto a Trieste, dove si erano trasferiti per le opportunità di lavoro che la città offriva. In effetti Trieste, all’epoca, era il porto dell’Impero austro-ungarico che, paragonato ad oggi, sarebbe, per importanza, l’equivalente di quello di Amburgo e forse anche di più.

    Come sei arrivato alla geologia?

    Quando sono uscito diplomato dal liceo non avevo passioni e neppure qualche zio che mi abbia portato in giro per le montagne alla ricerca di minerali fossili o cose del genere. Il motivo è un altro: semplice opportunismo. Siamo agli inizi del 1955. Avevo saputo che l’Agip si impegnava ad assumere geologi, una volta ottenuta la laurea, già a partire dal terzo anno di frequenza. Poiché cercavo l’indipendenza finanziaria, mi iscrissi immediatamente a quella facoltà universitaria, anche se l’unica cosa che sapevo era che la geologia trattava dello studio della terra.

    E dopo?

    Il fatto, poi, che quella facoltà non esistesse a Trieste, ma bisognasse trasferirsi a Roma, coincideva con il mio bisogno di avventura che mal si adattava alla quotidianità triestina. In più, viveva a Roma mio fratello che aveva cominciato a lavorare come attore di teatro, a quel tempo con Vittorio Gassman, quindi vitto e alloggio erano garantiti: la quadratura del cerchio! Mi gettai negli studi con impegno e con discreti risultati, arrivando al terzo anno per scoprire che l’Agip aveva fatto il pieno e non si impegnava ad assumere più nessuno.

    Quindi?

    Poiché fondamentalmente sono una persona onesta, ho continuato a studiare. Ho conseguito la laurea e, grazie ad una borsa di studio, sono andato a Trieste all’Osservatorio Geofisico, guidato da un bravissimo professore che si chiamava Carlo Morelli. Tuttavia, dal punto di vista personale, era assolutamente insopportabile, per il fatto che… Ma questo lo dirò con dovizia di particolari in seguito. Voglio soltanto anticipare che fu decisamente strumentale alla mia idea di scappar via dall’Italia e infatti nel 1961 ero già in Australia. E qui iniziano di fatto le avventure che di seguito racconterò.

    Allora, prima di andare a scoprirle, puoi dirci perché ci tieni a raccontarle?

    In effetti sono cose che capitano nella vita a tante persone, tuttavia il fatto che tutte siano capitate alla stessa, e cioè a me, mi fa pensare che qualche cosa vorrà pur dire.

    Cominciamo con l’Australia?

    Arrivato in Australia mi trovo a fare l’interprete italiano-inglese per italiani che parlavano solo il loro dialetto di origine, per cui dovevo tradurre ciò che non capivo in una lingua che non sapevo pronunciare. Faccio presente che l’inglese l’ho, per così dire, imparato solo in forma scritta sulla nave diretta in Australia e a tempo perso.

    Ma di questo continente vorrei parlarne più tardi con tutti i più interessanti particolari.

    E il periodo di Londra?

    Mi trovo a Londra con due bimbi piccoli che vengono amorevolmente naturalizzati scozzesi da uno scozzese, appunto, che ha lasciato in me un segno indelebile per tutta la vita. Ma anche di questo periodo potremmo parlarne diffusamente più tardi.

    Allora, in sintesi, quali altri luoghi?

    Eccomi tra i cannibali delle Isole Salomone, poi in Sudamerica ed infine le frequenti permanenze negli USA.

    A proposito di USA, ci puoi raccontare la storia dello… strangolamento?

    Si tratta di una cosa che secondo me, in breve, rende bene l’idea di quello che è lo spirito degli Statunitensi. Arrivo a New York da Roma. Giunto in hotel alle otto di sera, decido di andare a fare un giretto, prima di ritirarmi a dormire. Lascio tutto in camera e mi porto con me una quarantina di dollari.

    A pochi isolati dall’hotel mi fermo davanti ad una vetrina a guardare delle calcolatrici esposte e senza far troppo caso a chi me lo chiedeva, guardo l’orologio per dirgli l’ora. In quel momento un braccio mi afferra da dietro e stringendomi forte il collo per quanto mi ribellassi, mi fa svenire.

    Se avessi avuto al posto del membro un fucile e nel posteriore un mortaio, avrei ucciso entrambi con buona pace di diecimila anni di civiltà. Risvegliandomi qualche minuto dopo, terrorizzato dal sospetto di aver qualcosa infilato in qualche parte del mio corpo, mi rassereno consolandomi di avere solo un fortissimo male al collo.

    Nessuno si era avvicinato a me nel timore a sua volta di essere vittima di un’altra aggressione tipica della zona, quella del finto bisognoso con il coltello. Fermo un taxi, racconto l’accaduto, e l’autista mi chiede, sorridendo, se mi era stata chiesta l’ora. Gli rispondo di sì e lui mi accompagna in albergo anche se non avevo con me più niente per poterlo pagare. Entrato in albergo, chiedo in prestito due dollari alla reception, pago il tassista e, invitato a farlo, mi dirigo al bar a prendere un rinforzino.

    Trangugiate due dita di whisky, tutto mi girava intorno e mentre stavo raccontando la storia al barista ecco che un tizio, in fondo al bancone, esattamente uguale a quelli che si vedono nei film che sembrano parte integrante del bancone stesso, visto il tempo che ci passano sopra, mi si rivolge con una strana domanda: Quanto ha speso?.

    Lì per lì non capisco bene e gli rispondo che mi hanno rubato quarantadue dollari.

    Allora lui alza la voce e replica: Non le ho chiesto quanto le hanno rubato, ma quanto ha speso.

    Vista l’espressione interdetta della mia faccia, continua dicendo: Se avesse speso quarantadue dollari per mangiare in un buon ristorante avrebbe avuto poco da raccontare, mentre ora per tutta la vita questi quarantadue dollari le permetteranno di raccontare una storia veramente interessante.

    Questo tipo di morale la si può trovare solo negli Stati Uniti.

    Non lo crediamo...

    Perché?

    Secondo noi la trovi anche in Italia e più precisamente a Napoli. Torniamo al tuo curriculum.

    Ecco i vari percorsi professionali che ho seguito: fino al 1987 ho lavorato come geologo dedicato all’esplorazione mineraria per tanti paesi ed altrettante istituzioni e governi, poi è arrivata una lunga parentesi in cui mi sono occupato di disastri naturali, che dura ancora, e poi ecco un’altra attività più recente, relativa alla gestione di un progetto di cooperazione, nella Slavonia, nella Croazia occidentale.

    Qui, la mia passione per le lingue mi ha fatto scoprire una curiosa assonanza tra il croato parlato al contrario e l’ungherese.

    In effetti se la frase: Kako ste, Miroslav? che significa Come va, Miroslav viene pronunciata alla rovescia: Okak ets, Valsorim? che suona, per chi lo conosce, come una frase in ungherese.

    Un giorno, chiamai al telefono proprio Miroslav per delle questioni di lavoro e alla sua domanda Hallo? gli risposi: Okak ets, Valsorim?. Seguì un silenzio che durò circa sei secondi, interrotto soltanto da un rumore di sottofondo prodotto da scrittura su carta. Dopo di che Miroslav se ne uscì con un Orbod, orbod, il rovescio del croato Dobro, dobro, che significa Bene, bene.

    Proviamo a farlo in italiano: Come stai, Mike? diventa Emoc iats, Ekim? che sembra pure ungherese.

    Eneb, eneb! Quindi se capiamo bene, se si vuole fare credere di conoscer l’ungherese, qualunque lingua si parli, basta farlo al contrario?

    Certamente, e a proposito di lettura al contrario, la parola Aznalubma che potrebbe essere una città della provincia di Ulanbator capitale della Mongolia, avrebbe un senso se fosse scritta sul cofano di una macchina qualsiasi, che, dallo specchietto mi permettesse di riconoscere la particolarità del mezzo. Ma se sta scritta su un furgone colorato, che lampeggia peggio di un albero di Natale, accompagnato dall’assordante rumore di una sirena, mi chiedo quale senso abbia. Non riesco ad immaginare quale deficiente possa aver partorito un idea così geniale. Deve essere lo stesso individuo che ha pensato di scrivere a caratteri cubitali sulla carreggiata delle autostrade l’indicazione area di servizio invertendo l’ordine delle parole, senza pensare che, anche a bordo del veicolo in movimento, la lettura avviene comunque dall’alto verso il basso, producendo pertanto nel lettore il seguente effetto: SERVIZIO DI AREA, illudendo magari qualche malcapitato automobilista su prestazioni particolari. Ho il forte sospetto che ad inventare certe corbellerie sia una grande famiglia di geni che in qualche modo sono riusciti a popolare gli uffici strategici dell’Europa con i risultati che tutti vediamo.

    Perché sei così attento all’uso delle parole?

    Io mi ritengo una persona briosa a cui i giochi di parole hanno riempito la vita. Infatti, ad esempio, la parola pediatra, indica il medico del bambino. Il prefisso ped- deriva dal greco pais da cui il genitivo paidos. Nel greco moderno il dittongo alfa-yota si pronuncia e, da cui il prefisso ped-. Ci sono altre due parole che utilizzano lo stesso prefisso: pedofilo che letteralmente significa amico del bambino, e pederasta, che ancora letteralmente, significa amante del bambino, in entrambi i casi con significato letterale totalmente stravolto rispetto al senso reale del termine.

    Certo con questo prefisso se ne fanno di parole con significato ambiguo!

    Altroché! Se vogliamo fare dello spirito con altre parole che cominciano con ped, potremmo avere il pedemontano, colui che porta il bambino in montagna, il pedissequo ovvero colui che segue il bambino, ed il pedestre colui che ha l’estro del bambino… Ah, ah, ah! Ma vai a vedere sul dizionario che cosa significano realmente quelle parole!

    Davvero spassoso! Ma che ne dici se anticipassimo qualche altro tema dell’intervista?

    Ci saranno altri momenti contenenti riflessioni sull’amicizia, sulla famiglia, svariati progetti, idee, opinioni…

    A proposito di progetti! Alcuni di cui ci hai parlato sono delle vere e proprie utopie, non trovi?

    Sì, appunto come vedremo! E dato che abbiamo parlato di utopie lasciami introdurre la parola ucronia, che non è ‘u cronia nel senso di una cronia in napoletano, ma nel senso di u-cronia dove u sta per fuori e cronia per tempo.

    Non ti seguiamo… Ci hai mai parlato di Ucronie?

    Lo capirete meglio quando parlerò di come, secondo me, sarebbe oggi il mondo se gli austriaci, invece di dichiarare guerra alla Serbia a causa dell’attentato all’arciduca Ferdinando, si fossero limitati a fare per la vittima un migliaio di statue commemorative, senza perder mai l’occasione di fanculizzare i serbi.

    A proposito di guerra, tu te la ricordi?

    Altroché! Avevo una paura forsennata di tutti gli aerei e non mi piaceva per niente rifugiarmi nei tunnel, la notte, a causa dei bombardamenti.

    Se qualcuno mi avesse mostrato, all’inizio del 1945, un bombardiere inglese all’interno del quale viaggiava un tizio che fotografava il territorio prima e dopo la cura e mi avesse detto che dopo ventidue anni avrei giocato a tennis proprio con quel fotografo a Honiara, capitale delle isole Salomone, avrei mandato a remengo tale profeta… Ed invece è successo proprio così ed è assolutamente vero che a volte la realtà è più fantastica della fantasia.

    Sei sposato?

    Da più di cinquanta anni con una bella giovane cittadina triestina che ha avuto la forza di affrontare le più rare vite primitive che suo marito, non certo monotono, le ha offerto. E sono sicuro che tutto ciò non sarebbe mai stato possibile se non ci fossero stati l’amore e l’amicizia che durano tutt’ora.

    Quindi, se possiamo sintetizzare, si tratta della vita di un uomo curioso che ha sempre saputo coglierne il lato più ironico…

    Esatto!

    LA FORMAZIONE

    Cominciamo dalla tua infanzia?

    Questo argomento, che riguarda il tempo dalla mia nascita fino a quando sono andato in Australia, è autobiografico nel vero senso della parola.

    Nella mia famiglia d’origine, dopo tre sorelle e un fratello, arrivai io.

    Quando avevo quattro o cinque anni, mio padre decise che voleva fare altri due figli con una donna… più giovane, naturalmente!

    Tra mia sorella primogenita e me corrono quasi dieci anni di differenza. Aveva studiato pianoforte e quando io iniziai a suonare all’età di circa sei anni, lei era quasi una concertista di talento.

    La sentivo suonare fino da quando ero piccolissimo. Mi raccontano, però, che già da allora ero predisposto per la musica perché per addormentarmi avevo bisogno di ascoltare un disco argentino con due lati: uno AMARANTINA e l’altro A MEDIA LUZ. Mio padre aveva comperato questo disco durante un breve periodo argentino in cerca di fortuna non trovata. Il disco era talmente consumato che si erano formati dei solchi. Questi interrompevano il fluire della musica con un gracidio che mi faceva urlare per richiamare l’attenzione degli altri, specialmente le mie sorelle, così la musica veniva riavviata solertemente saltando il solco e allora mi riaddormentavo. Sempre dai racconti familiari si tramanda che quando mi infilavano il pigiama appena stirato, volevo che mi portassero a letto perfettamente orizzontale e le coperte dovevano essere dolcemente poste sopra di me in maniera da non rovinare la piega. Si trattava evidentemente di un bambino viziato, ma non nel senso tradizionale, perché venivano soddisfatti dei capricci decisamente particolari.

    Pure io avevo molto talento, orecchio formidabile e tocco sulla tastiera di notevole livello, abilità che conservo e di cui vado fiero tuttora.

    Quando mia sorella suonava, spesso chiedeva a me non una semplice opinione sull’esecuzione, ma un elenco di dettagli sui punti in cui aveva suonato bene e gli altri in cui non le sembrava così. Tutti mi consideravano una futura promessa, ma, poveracci, non sapevano che malgrado tutti i possibili talenti di cui potevo essere dotato, a me mancava la disciplina, la perseveranza e la pazienza. Nonostante il talento, in pochi anni non potevo sicuramente riuscire a fare quello che mia sorella aveva avuto bisogno di fare in dieci anni.

    Così ho mollato tutto, ma dopo circa trent’anni m’è tornata la voglia di riprendere a suonare il pianoforte. Non ricordavo assolutamente nulla di quanto avevo studiato da piccolo. Allora ho disegnato un pentagramma molto grande per la chiave di violino e per la chiave di basso in modo da vedere le note chiaramente.

    Applicando

    questo pentagramma alle note di un valzer di Chopin e con una pia nola elettrica munita di cuffia, ho iniziato ad esercitarmi nota per nota, dito per dito, mano per mano, con una media di una battuta, forse anche meno, al giorno. Tutto ciò senza infliggere a nessuno i suoni orrendi da me prodotti, perché tutto avveniva in silenzio, e solamente io ero l’ascoltatore di me stesso… Generalmente i rumori, i suoni, gli odori corporali sono molto più tollerati da parte di chi li produce ed anzi, talvolta anche simpaticamente subiti. Ad ogni modo questo paziente lavoro mi ha portato a poter leggere e suonare un certo numero di pezzi non certo molto difficili. Forse li suonavo male, tuttavia sembra che il tocco sia sempre rimasto di buona qualità! Suono di preferenza Gershwin e Chopin perché vedo una certa piccola somiglianza fra i due. Forse la mia sarà una considerazione semplicistica, ma direi che entrambi hanno tradotto in un linguaggio musicale culturale le musiche popolari polacche e quelle americane di quell’epoca straordinaria tra gli anni ‘20 e gli anni ‘40.

    Vuoi suggerire qualcosa sulla musica ai lettori?

    Ecco il mio augurio per chi vuole imparare a suonare il piano a qualsiasi età. Ho scritto un testo appositamente per chi ama la musica e non ha modo di impegnarvisi a fondo. Chi volesse leggerlo lo trova in appendice al libro di questa intervista. Non si può da adulti studiare le scale e fare gli esercizi che si fanno da giovani, ma bisogna scegliere un pezzo facile e conosciuto, prepararsi i pentagrammi ed accingersi a suonare qualcosa. Suonare è come sentirsi in compagnia dei compositori e quindi si tratta di una via da seguire per non sentirsi soli. Infatti, non credo esista un linguaggio più formidabile di quello della musica… Lo considero un linguaggio universale.

    Siamo in Prima Classe Elementare…

    Nella mia classe, guardando la cattedra, sulla parete di destra v’erano appese delle lettere intagliate in quello che veniva chiamato cartoncino Bristol di color celeste. Vi si leggeva un elenco di scritte che cominciava così: Viva il Duce, Viva il Fascismo ed infine Dio stramaledica gli inglesi.

    Sembra incredibile che la prima cosa che io abbia imparato a leggere fosse proprio Dio stramaledica gli inglesi.

    Chi avrebbe potuto scommettere che circa vent’anni dopo sarei stato paracadutato nel mondo anglofono?

    Ma ecco altre famose frasi che nei mesi di aprile e maggio 1945 comparivano sui muri di Trieste durante la occupazione jugoslava: SMRT FAŠIZMU che significava Morte al fascismo e poi TRST JE NAŠ, ovvero Trieste è nostra e finalmente, SLOBODA NARODU che significa Libertà ai popoli.

    Mi è sembrato molto chiaro che gli adulti mi prendessero in giro. Ricordo ancora che, tornato a Trieste da una villeggiatura in campagna nel Trentino, trovai la città già occupata dai tedeschi.

    Infatti, il nostro governo Badoglio aveva assicurato fedeltà ai tedeschi, ma poi, improvvisamente, l’8 settembre del 1943 aveva firmato l’Armistizio con gli Alleati, che erano stati i nemici fino a poco tempo prima.

    Tra l’altro, il 13 ottobre successivo l’Italia ha pure dichiarato guerra alla Germania, quindi i tedeschi hanno occupato l’Italia che per loro non era solamente un paese nemico, bensì un vero e proprio paese traditore.

    C’è un episodio di quel periodo che per te è rimasto come ricordo indelebile?

    Sì, ecco: cercavo di bere da una fontanella pubblica il cui zampillo era molto alto e non ci arrivavo…

    Mi sento prendere dal basso da un soldato tedesco che aveva fermato la moto vedendomi in difficoltà.

    Mi alza, mi fa bere, mi rimette di nuovo giù, mi accarezza i capelli, mi guarda e se ne va.

    Probabilmente costui aveva un figlio come me, o un nipote, e probabilmente era un brav’uomo che doveva obbedire ai suoi superiori, anzi, doveva aver più paura dei superiori che dei nemici!

    I bombardamenti che sono arrivati da parte degli alleati circa un anno dopo l’armistizio decisamente non mi piacevano: case distrutte, fumo, morti.

    Ho avuto il terrore del rumore degli aerei per anni anche dopo la fine della guerra.

    Passiamo alla Scuola Media?

    Ho frequentato tutte le classi elementari assieme all’amico Roberto Pagan, soprannominato VECIO e poi, in classe Prima Media, se n’è aggiunto un secondo che aveva la faccia molto grande rispetto al corpo e, visto che le cose materiali di quei tempi di magra non abbondavano e aveva perso la casa nel bombardamento del 10 giugno del ’44, veniva a scuola con le scarpe di suo padre.

    Così lo battezzammo OMO.

    L’amico delle elementari faceva i compiti in ordine e quando giocava con noi nel gruppo in cui io venivo chiamato FRANZ, non si sporcava mai e per questo lo chiamavamo VECIO. Io e l’OMO abbiamo sempre cercato di ridere per qualsiasi cosa, ma in prima liceo, forse per la scoperta dell’esistenza di un altro pianeta abitato dalle femmine, noi due siamo stati fragorosamente bocciati. Lui è migrato in un’altra scuola, mentre io sono rimasto al liceo Petrarca, abbastanza famoso a Trieste, simpatizzando con un nuovo gruppo di amici. Le cose sono andate avanti così fino al momento dell’Università.

    Bene, ora passiamo all’Università…

    Come ho accennato prima, scelsi di studiare geologia che, a quanto si sapeva, mi avrebbe permesso di raggiungere una certa indipendenza economica, cosa che invece si rivelò vana. Ricordo solo un paio di aneddoti dell’epoca universitaria. Sono riuscito a completare tutti gli anni dell’Università senza mai comprare un libro perché studiavo con qualcuno alla mattina presto e con qualcun altro alla sera, per cui dormivo pochissimo e studiavo sempre con i libri degli altri. A me piaceva molto la mineralogia che mi aveva entusiasmato per la sua logica. Avevo degli appunti che erano diventati famosi, per cui un giorno mi telefonò una ragazza della facoltà di scienze naturali che aveva sentito parlare di questo mio quaderno di appunti e me lo chiese in prestito per qualche giorno. Accettai di prestarglielo a patto che lo conservasse con scrupolo e quindi fissammo un appuntamento presso la fontana di fronte alla facoltà di legge.

    Chissà per quale ragione, forse perché ero di Trieste, in modo che potesse riconoscermi all’appuntamento, mi buttai a dire che ero alto, biondo con occhi celesti e sentivo che questa qua già si stava innamorando per telefono! Lei invece disse sinceramente: Io sono piccoletta, indosserò un golfino rosa.

    Giunto alla fontana girai intorno a questa ragazzina seduta lì accanto senza sapere come giustificare quella mia burla.

    Alla fine, mi rivolsi a lei dicendo: Senti cosa mi è successo! Stamattina, mi si è rotto lo specchio e guarda come sono divenuto piccoletto!.

    Questa mia buffa improvvisata ha segnato l’avvio di un piccolo flirt!

    Ci raccontavi di un mitico viaggio notturno in tandem!

    Un compagno di Università, triestino pure lui, aveva comprato un tandem dell’epoca della guerra che pesava una follia, forse sessanta o settanta chili.

    Anno 1957 o 1958… Un giorno mi chiese di andare con lui da Roma a Follonica per regalare il tandem alla zia che abitava in quella città. Abbiamo fatto questo viaggio con il tandem che si rompeva continuamente in varie parti, pedalando tutta la notte fino destinazione. Ricordo molto bene che avevamo una fame da lupi avendo mangiato, durante la notte, soltanto dei pezzi di pane lungo le campagne, forse lasciati lì per il cane. In qualche fattoria avevamo trovato della frutta, ma ancora acerba!

    Viaggiammo tutta la notte con i camion che guardavano sbalorditi questi due pazzi che andavano in tandem alle tre di notte… Però siamo arrivati a Follonica e abbiamo finalmente mangiato a crepapelle.

    Quando arriva il grande amore?

    M’innamorai perdutamente di una ragazza triestina, quella presentatami dall’Omo, che poi è divenuta mia moglie.

    ARRIVA IL LAVORO

    Dove trovasti la prima occupazione?

    Dopo aver conseguito la laurea presso l’Università di Roma, ottenni una borsa di studio per lavorare nel complesso dell’Osservatorio Geofisico Sperimentale di Trieste. Non mi aspettavo certo di essere accolto con un tappeto rosso, ma neppure potevo immaginare una situazione come quella in cui mi venni a trovare.

    La figura dominante dell’Osservatorio era il professor Carlo Morelli, il quale come insegnante e scienziato era certamente uomo di gran valore, ma come gerente si comportava da tiranno spaventoso.

    Ecco alcuni esempi: aveva piazzato nel suo ufficio uno specchio, tipo quelli da camion, per controllare il piano terra e vedere chi usciva. Così annotava scrupolosamente gli orari di uscita e di rientro di chi si azzardava a varcare quella porta.

    Per dominare, adottava il sistema più classico: divide et impera.

    Per esempio chiamava un mio collega di lavoro e gli diceva: Lei sta lavorando con Maranzana… Guardi che non c’è fidarsi di costui.

    Benissimo! Dopodiché lo congedava, chiamava me e diceva: Lei lavora con quel collega?. Sì!, rispondevo, Ci stiamo occupando di una ricerca…. Allora, lui: Guardi che non c’è da fidarsi di quel collega!.

    Quindi tutti noi diffidavamo l’uno dell’altro.

    Lui sapeva tutto su quello che bisognava fare, ma non diceva nulla. Era lui che distribuiva le matite per le correzioni sulle carte geografiche e, se per caso qualcuno andava a chiederne un’altra, allora voleva sapere come mai quella data in precedenza fosse già tutta consumata.

    Un’altra chicca era la luce del gabinetto. La lampada, invece di essere collocata in un punto normale era bassissima in prossimità del pavimento, affinché nessuno potesse leggere in gabinetto.

    Il direttore Ferruccio Mosetti, invece, era un fisico matematico in gamba, ma forse anche lui vittima dello stesso tiranno. Avevo intessuto delle buone relazioni con lui, tuttavia, ad un certo punto, io cominciai a scalpitare e volevo andarmene da Trieste, ed anzi, dall’Italia.

    Prima ci racconti l’aneddoto siciliano?

    Ci trovavamo in Sicilia a seguito di un lavoro da sbrigare per conto dell’Osservatorio Geofisico di Trieste.

    Camminavo assieme ad un gruppo di colleghi, quando, ad un certo punto dovetti proseguire da solo, perché agli altri, che proseguirono in auto, servivano le carte topografiche e non avevamo un doppione.

    Io dovevo muovermi, più o meno a vista, lungo un determinato tragitto, arrivare in cima ad una collina, scendere, fare altri percorsi ed infine raggiungere i colleghi lungo la strada.

    Ci si mise d’accordo e calcolammo che la traversata sarebbe durata circa tre o quattro ore e quindi l’appuntamento fu programmato di conseguenza. Privato delle mappe, dovetti approntare uno schizzetto su un pezzo di carta e così loro si incamminarono da una parte e io dall’altra.

    A dire la verità, non è che ciò mi incutesse timore, però, insomma, solo, senza nessuno con me, sapendo a malapena che strada dovevo fare provavo una certa inquietudine…

    Comunque, armato di rinnovato coraggio e buona fede, mi avviai su per quella collina.

    Dopo una lunga salita, vidi finalmente un segno di umanità proprio sulla cima: c’era una persona che stava zappando.

    Allora, tutto contento, mi dissi: Perbacco, così perlomeno posso chiedere qualche informazione.

    Ero ansioso di scoprire se dopo un’ora di cammino o più avevo sbagliato qualcosa.

    Mi inerpicai per l’ultimo tratto, arrivai vicino a questo signore, mi riposai dall’affanno, lo salutai con la mano e costui, a sua volta, fece altrettanto.

    Allora gli chiesi: Senta, per favore, io dovrei andare giù, prendere questa strada verso questo paese, incontrare delle persone

    Allora lui con le dita mi mostrò le orecchie, mentre faceva cenno negativo con il capo.

    Quindi dedussi che costui fosse sordo. Allora continuai a parlare a voce più alta e quello mi fece segno con la mano posandosi un dito sulla sua bocca, per cui conclusi che doveva essere pure muto.

    Insomma!, pensai, Ma guarda te che scalogna! Il primo essere umano che incontro deve essere un sordomuto! E ora che faccio?.

    A questo punto tirai fuori un pezzo di carta e una matita, scrissi dove dovevo andare, mi avvicinai di più mostrandogli il disegno…

    A questo ulteriore tentativo lui scosse di nuovo il capo in senso negativo e quindi arguii che non sapesse né leggere né scrivere.

    La cosa mi stupì... Una ben strana coincidenza! A quel punto provai un senso di totale sconfitta. La prima persona che avevo incontrato era sorda, muta ed anche analfabeta!

    Comunque, questo episodio curioso ebbe su di me un effetto positivo, perché mi fece ridere durante tutto il rimanente percorso, dandomi così la forza di proseguire serenamente dalla cima della collina fin dove incontrai i colleghi di lavoro, ai quali raccontai, con grandi risate, ciò che era appena accaduto.

    Davvero esilarante! Ma ora veniamo all’Australia…

    Avevo uno zio paterno a Caracas, in Venezuela, però non poteva richiamarmi… Insomma, non sapevo cosa fare per andarmene, visto che anche i soldi a disposizione non erano poi così tanti.

    Ero già sposato e padre di una bambina, quindi non c’era mica tanto da scherzare!

    Un certo giorno un amico mi informò che esisteva un’organizzazione che si chiamava CIME, ovvero Comitato Internazionale per le Migrazioni Europee.

    Mi informai e chiesi se ci fosse la possibilità di andare come emigrante da qualche parte. Poiché c’erano dei posti liberi per l’Australia, io mi iscrissi con moglie e bambina di pochi mesi, pronto a partire nel dicembre del 1960.

    Questo vuol dire che ero pronto persino ad andare in Australia di cui conoscevo solamente l’esistenza.

    È vero che incontrasti più tardi il prof Morelli?

    Durante una conferenza a Barcellona nel 1990 sul rischio sismico, incontrai, insieme a mia moglie, il professor Carlo Morelli accompagnato dalla nuova moglie… Credo che fosse la terza. Ci riconoscemmo e ci scambiammo vari convenevoli.

    Ad un certo punto, stabilitasi un’atmosfera quasi amichevole, lo ringraziai per essere stato così impossibile e insopportabile, perché, così facendo mi aveva spinto ad emigrare e ad intraprendere una carriera decisamente internazionale, che altrimenti non avrei mai iniziato restando prigioniero dell’Osservatorio Geofisico di Trieste.

    E con Mosetti, avesti più contatti?

    Lasciatemi ora per un momento andare al 1964, quando già ero a Londra. Il Ministero degli Affari Esteri stava organizzando una missione di assistenza tecnica geologica al servizio geologico della Nigeria e cercavano un esperto in geofisica. Per questo progetto chiesero l’opinione del professor Antonio Marussi, geodeta triestino di fama mondiale.

    Costui contattò il professor Mosetti il quale suggerì immediatamente che la soluzione ottimale sarebbe stata di assumere quel giovane borsista, poi emigrato in Australia ed ora all’Imperial College di Londra.

    Fu in quella occasione che hai conosciuto Ardito Desio?

    Ricevetti una lettera dal Ministero nella quale mi si chiedeva di incontrare a Milano il professor Ardito Desio che, in quel momento, era il più famoso geologo italiano.

    Trattandosi di un friulano, alpinista ed esploratore con il nome di Ardito, mi ero creato l’immagine di un omone grande e possente. Mentre all’università aspettavo di incontrarlo, vidi un ometto che gironzolava nei paraggi, il quale, ad un certo punto mi chiese che cosa stessi facendo lì. Io, con un tono quasi scostante, risposi che stavo aspettando il professor Ardito Desio. Allora, con mio grande stupore, costui mi rivelò che il professor Ardito Desio era proprio lui.

    Per fortuna riuscii a non bruciarmi, perché dentro di me avrei voluto ripetere la famosa frase tipica di Totò: Ma mi faccia il piacere!!!.

    Malgrado questo inizio stentato, il colloquio andò benissimo ed in seguito ho mantenuto delle relazioni saltuarie con il professor Ardito Desio che, tra l’altro, aveva una moglie triestina e dunque gli piaceva parlare il triestino.

    Un altro salto in avanti nel tempo… Nel 1992 andai a casa sua a Milano per consegnare i rapporti che avevamo redatto sul progetto dell’ONU e del Ministero degli Affari Esteri riguardante il Mediterraneo, chiamato SEISMED.

    Lui aveva circa novant’anni. Mi disse che tutto andava bene, che mi ringraziava, basta che non gli chiedessi di fare qualcosa perché era talmente pieno

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1