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Sedici porte - racconti
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E-book284 pagine3 ore

Sedici porte - racconti

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Info su questo ebook

Un racconto è una fotografia, e in questa ci dobbiamo ritrovare un linguaggio che ci faccia sentire che qualcuno sta parlando con noi.
Noi lettori abbiamo l’esigenza di metterci in comunicazione con altre coscienze, a volte sognando, altre volte ritrovando tratti delle nostre vite in quel che leggiamo.
Sedici autori, sedici “Cantieristi” che lavorano con passione per forgiare il loro talento. Perché ci vuole sempre un talento di base che è quasi sempre innato, poi questo, va ascoltato, allenato, in maniera tale da poter sbocciare e fiorire.
Un’antologia che raccoglie quindi passioni, speranze, immaginazione, in racconti che esprimono al meglio le caratteristiche di brevità, essenzialità e densità individuate da Poe e Maupassant, ma ereditate dai migliori scrittori da allora ai giorni nostri.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2016
ISBN9788899685225
Sedici porte - racconti

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    Anteprima del libro

    Sedici porte - racconti - AA.VV.

    AA.VV

    SEDICI PORTE: RACCONTI

    AmicoLibro

    AA.VV.

    Sedici porte: racconti

    Proprietà letteraria riservata

    l’opera è frutto dell’ingegno dell’autore

    © 2016 AmicoLibro

    Vico II S. Barbara, 4

    09012 Capoterra (CA)

    www.amicolibro.eu

    info@amicolibro.eu

    Prima Edizione

    settembre 2016

    Prefazione

    Un racconto è una fotografia, e in questa ci dobbiamo ritrovare un linguaggio che ci faccia sentire che qualcuno sta parlando con noi.

    Noi lettori abbiamo l’esigenza di metterci in comunicazione con altre coscienze, a volte sognando, altre volte ritrovando tratti delle nostre vite in quel che leggiamo.

    Sedici autori, sedici Cantieristi che lavorano con passione per forgiare il loro talento. Perché ci vuole sempre un talento di base che è quasi sempre innato, poi questo, va ascoltato, allenato, in maniera tale da poter sbocciare e fiorire.

    Un’antologia che raccoglie quindi passioni, speranze, immaginazione, in racconti che esprimono al meglio le caratteristiche di brevità, essenzialità e densità individuate da Poe e Maupassant, ma ereditate dai migliori scrittori da allora ai giorni nostri.

    Carmen Salis

    Introduzione

    Sedici porte: sedici autori.

    L’antologia annuale di racconti del Cantiere di scrittura creativa Fahrenheit 365 compie tre anni. Stavolta gli scrittori si sono cimentati con il genere fantastico. Trentotto racconti selezionati dalla Casa Editrice per mostrare le tante sfumature di un filone letterario particolare: il mondo evocato deve essere realistico, verosimile e probabile, lasciare il lettore nel dubbio che…

    Nelle storie c’è sempre un richiamo alla Sardegna e al suo splendido capoluogo, è un omaggio del Cantiere alla terra che lo ospita.

    Anche la copertina è un omaggio a Cagliari, un particolare, scovato fra le vie del quartiere di Castello dalla fotografa Debora Fanti, che si sposa bene con la filosofia dell’antologia: aprite la porta e varcate la soglia dell’ignoto.

    Buona lettura.

    Il Capocantiere

    Giorgio Binnella

    Gabriele Attene

    Le leggi dell’Arte

    Oggi il sole tramonta presto. È quasi inverno, le prime fresche brezze serali si insinuano sotto i vestiti leggeri di chi è abituato all’isola sempre calda e clemente. La luce morbida color mandarino investe il Bastione, ma lo studio in via Università di Salvatore è già all’ombra. Un fumo denso e aromatico sale dal sigaro sul posacenere. L’odore del legno scartavetrato aleggia nella stanza. Il signore col cappello a tuba, nel quadro accanto all’ingresso, osserva diligente il lavoro del corniciaio.

    Che ne pensi, Aldo? gli chiede Salvatore. Questa donzella sarà contenta del bel gioco di intagli che le sto riserbando come contorno?

    Lavora a un quadro ad olio. Una donna in abito ottocentesco con le mani in grembo e lo sguardo fisso sull’osservatore. Un regalo di un cliente. S’è messo subito all’opera per incorniciarla. Finalmente lavora per se stesso, pensa.

    Ne sarà deliziata, si risponde il vecchio per conto dell’uomo distinto. Si avvicina al grammofono in fondo alla stanza e mette su il vinile che sta sempre lì accanto. Salvatore respira le prime note dello swing di Django Reinhardt. Rimembra distanti i momenti trascorsi con lei al porto, il suo sguardo così dolce ma sicuro…

    La campanella accanto alla porta tintinna.

    Un signore con pomposi baffi bianchi, in abito nero elegante, sosta sulla soglia. Ha qualcosa sotto braccio. Il signor Salvatore Lai?

    L’unico! risponde gagliardo il corniciaio.

    L’uomo in abito muove qualche passo nello studio, si guarda attorno.

    Ferruccio Podda.

    Salvatore Lai si presenta.

    È sua la Seicento qua fuori? Funziona? Fantastico!

    Esuberante! pensa Salvatore.

    Avrei un lavoro per lei.

    L’uomo in abito tira fuori da sottobraccio la tela avvolta nella carta e la posa su un cavalletto che Salvatore si è affrettato a liberare. La scartano.

    Una casa in ladiri sullo sfondo, un arco di foglie di vite e grappoli d’uva bianca sormontano la figura di un vecchio seduto su un muretto a secco. Avvolto in abiti tradizionali, ha uno sguardo ferreo, attorniato da rughe e ombre. Salvatore lo fissa a lungo. Il silenzio è rotto solo dalle note gitane che arrivano dal grammofono.

    Una cornice, chiede. Totale libertà di scelta. Un solo dettaglio fondamentale. Intagli che richiamino i viticci su tutta la parte superiore.

    Parrà che la vite continui anche fuori dalla tela, osserva il corniciaio.

    Esattamente, esclama l’uomo con un sorriso sincero. Il vecchio nel quadro è il padre di Ferruccio.

    Mi ci dedicherò seduta stante, signor Podda. È in buone mani, la ringrazio per la fiducia. Questi sono temi delicati.

    Si scambiano i contatti e si stringono forte la mano. L’uomo sparisce nella discesa sulla destra appena fuori dallo studio rimirando la Seicento rossa fiammante parcheggiata lì di fronte.

    Salvatore resta qualche secondo a osservare gli occhi semichiusi ma svegli del vecchio nel quadro. Potrebbe avere la mia età, pensa. Riappende il quadro della donzella del passato sul muro dinanzi al cavalletto, proprio di fronte al nuovo arrivato. I due quadri sembrano osservarsi attraverso lo studio, mentre lui s’appresta a iniziare il lavoro.

    Il terzo giorno i viticci iniziano a prendere forma.

    Salvatore ripete come sempre il rito quotidiano d’apertura. Parcheggia, con la Seicento scoppiettante, entra, scampanella tre volte, si leva la berritta in saluto ad Aldo, fa un inchino alla donzella ottocentesca, s’accende un sigaro e si siede ad osservare l’operato del giorno precedente. Prende una boccata soddisfatta dal sigaro e inizia a preparare gli strumenti.

    Come i due giorni già trascorsi, rivolge la parola al vecchio, Non ho mai intagliato dell’uva, signor Podda. Eppure ritengo che verrà molto realistica! Armeggia con la piccola lama di precisione a ricomincia a lavorare sugli acini. Quando avrò finito potremo anche farci del vino, vedrà! esclama sorridendo.

    Ne dubito, vecchio. A meno che lei non voglia bere del fermentato di mogano.

    Suvvia, si fa per dire!

    Io dico che se lo fa la riempio di bastonate. Ho già il mio buon vino bianco.

    Non volevo paragonarlo al suo, certamente non…

    Salvatore si interrompe un attimo, con lo sguardo perso sul punto di lavoro. Sposta l’attenzione sul vecchio, seduto.

    Immobile.

    Riprende il lavoro. Scalfisce per errore un acino che veniva così bene e fa una smorfia di fastidio.

    "Ecco qua, bi sese resissidu a imbagliare!"

    Stavolta Salvatore balza indietro, il sigaro cade fumante sul pavimento.

    Signor Podda? domanda ad occhi spalancati.

    "Itt’este?" gracchia quello.

    Salvatore si porta una mano alla bocca e dopo qualche secondo di silenzio prolungato si rivolge al vecchio. Lei… parla?

    Lei passa le sue giornate a parlare con questi quadri e ora si stupisce se uno risponde?

    Lui si limita a restare paralizzato di fronte all’immagine parlante.

    Sono giorni che mi narra dei fatti suoi, m’asa segadu su culu. Risponde quello, poi allunga la mano dietro il muretto e tira fuori bottiglia e bicchiere. Un flusso di tempera color paglia scorre fra i due contenitori. Dopo un lungo sorso punta di nuovo i piccoli occhi svegli sul corniciaio. Questo è vino. La voglio vedere a vendemmiare degli acini di legno.

    Non mi prenda in giro! Trascorro giornate intere a parlare con Aldo ma mai una volta m’ha risposto! E sta qui da mesi! Lei è giunto appena tre giorni fa, cosa…

    Signor Cancedda, controbatte quello.

    Come, prego?

    Non mi chiamo Aldo, maledizione! sbotta l’uomo con la tuba accanto all’ingresso.

    Salvatore fa guizzare lo sguardo sul quadro dell’uomo distinto.

    Ho sempre mantenuto un certo contegno, riprende quello, ma ora ha veramente oltrepassato il limite.

    Il signor Podda batte le mani e ride grassamente. "Fid’ora!"

    L’applauso si espande. Salvatore sente lo scrosciare provenire da tutte le tele nella stanza, soldati, angeli, bambini, animali, palme e armadi.

    Il mio nome è Riccardo Cancedda, per Dio! Aldo era il nome del cane del mio pittore!

    La donzella appesa al muro a quel punto prende parola. Non è necessario bestemmiare, signor Cancedda! La ritenevo un uomo di classe. Non può prendersela così col dolce e premuroso signor Lai!

    Salvatore non sa più dove posare lo sguardo, si lascia andare pesantemente su una sedia e si porta una mano al capo. Non riesce a capacitarsi che le mille parole che rimbalzano fra le mura dello studio non provengano dalla sua stessa bocca. Si china a raccogliere il sigaro e lo avvicina tremante alle labbra.

    E basta con quel dannato sigaro! esclama il signor Cancedda dall’ingresso. Ingiallisce le tele e ci tortura con la puzza che…

    Finitela! grida il vecchio corniciaio. Il silenzio cade come un masso pesante. Tutti hanno lo sguardo posato su di lui.

    Qualunque stramaledetta follia mi stia pigliando, ora prenderò le mie cose, spegnerò la luce, chiuderò lo studio e tornerò a casa a riposarmi.

    Gli sguardi si prolungano, silenti.

    Ci vediamo domani.

    La donzella scuote la testa, ha un sorriso di compassione sulle labbra. Osserva il suo adorato corniciaio raccattare in fretta e furia giacca e berritta e chiudere lo studio. Intanto, il vecchio nel quadro di fronte, con le guance rosse e la bottiglia vuota accanto ai piedi, la guarda e sorride apertamente. Il rombo sincopato della Seicento fa vibrare la porta a vetri dietro la griglia di sicurezza.

    In realtà, dopo lo shock iniziale, bastano due giorni perché Salvatore si abitui alla situazione. Un altro perché la cosa inizi a piacergli davvero.

    È a buon punto con la cornice, ma la consegna del lavoro è per il giorno seguente ed è consapevole che non finirà in tempo. Ora che ogni personaggio si rivolge a lui con mille domande, impiega più tempo a intagliare. Decide infine di chiamare il figlio del signor Podda, per rinviare la data di consegna di qualche giorno. A malapena riesce a convincerlo a lasciargliene un altro. Ferruccio si mostra alquanto stizzito. Salvatore chiude la chiamata, si stringe l’attaccatura del naso e va a sedersi fuori dallo studio. Da quando Riccardo gli ha fatto notare il suo fastidio per il fumo, ha iniziato a trascorrere quei momenti di riposo fuori dal locale.

    Salvatore è preoccupato. Gli ultimi giorni sono stati forse i più belli degli ultimi anni della sua vita. Era da tanto che non poteva chiacchierare così amabilmente, o in modo così acceso, con qualcuno. Sua moglie è sparita circa sei anni prima. Non ha mai avuto altri rapporti stretti.

    Fernanda amava i dipinti. Amava anche Django Reinhardt.

    Ma Salvatore ha paura che se il quadro torna in mano a Ferruccio la magia svanisca. Da sei anni egli lavora coi dipinti e da sei anni ci parla per sopperire alla sua solitudine, ma mai nessuno aveva risposto. Sei anni.

    Soprattutto è preoccupato per il signor Podda. La dolce donzella ottocentesca si è scoperto chiamarsi Clarisse Geneviève, rinomata contessa di una contrada di Francia intorno al 1824. Nonostante le prime divergenze temporali col signor Podda nei giorni precedenti, i due ora si trovano a loro agio. Lui decanta la bellezza della francese con versi in dialetto logudorese, famoso per la sua morbidezza. Lei si fa rapire dal fascino senile del signor Podda, rude come la terra ma dolce come gli acini d’uva che coglie per lei. Paiono innamorati. E alla fine il signor Podda chiede la mano di madame Geneviève.

    Si sono sbronzati, la sera della dichiarazione. Salvatore sulla sedia con del Nepente di un suo cugino di Oliena, gli altri nei quadri col vino che il vecchio tirava fuori dalla cantina della casa in ladiri dietro di lui.

    Salvatore ha capito qualcosa del mondo a cui fa da spettatore da oltre una settimana.

    Le così chiamate Leggi dell’Arte mantengono l’ordine. Potere di creazione infinito in qualunque luogo non visibile nel quadro, ma dannazione eterna per coloro che lo lasciano incustodito. Un soggetto fuggito da una tela vagherà per sempre in un ambiente di mille colori, aveva detto Clarisse, ma talmente privo di forme da portarlo alla follia.

    Le ore d’aria di un soggetto di un dipinto, aveva capito Salvatore, sono limitate.

    Il tempo in un quadro, gli aveva detto una sera, è diverso da quello che intendete voi della realtà. Esso scorre, ma noi non invecchiamo mai. Salvatore non comprendeva un’acca di quest’altra questione.

    La sera precedente la consegna, decide di portarselo a casa. Sono soli nel salottino ricco di ricordi.

    Cosa accadrà se lascerai il quadro? Salvatore sorseggia del vino e fuma il sigaro serale.

    Te l’ha già spiegato madame Geneviève, se non mi sbaglio. È estremamente felice, il signor Podda, ma le rughe sul suo volto trasmettono una preoccupazione repressa. Si tormenta le mani. Devo chiederti un favore, Salvo.

    Il corniciaio aggrotta le sopracciglia. Cosa potrei mai fare per te?

    Tu, Salvo, assomigli molto a me.

    Il corniciaio lo fissa senza capire.

    "Le Leggi dell’Arte mi impediscono di lasciare un quadro vuoto, pena i Mille Colori Eterni e la Follia Bianca, ma… se qualcuno mi sostituisse, questo non accadrebbe."

    Salvatore resta col sigaro sospeso a qualche centimetro dalla bocca aperta.

    Conosco qualcuno che l’ha fatto, afferma il vecchio. Funziona.

    Mi stai chiedendo di entrare nel quadro al posto tuo?

    , passano alcuni secondi di silenzio. I due si fissano attraverso le due realtà differenti. Lo faresti per me? E per madame Geneviève?

    Il corniciaio si muove a passi lenti nella stanza, fra i mobili antichi e le poltrone. Come diavolo dovrei entrarci?

    Il signor Podda fa dondolare la gamba nervosamente mentre lo osserva camminare in tondo. Non è importante! Il metodo non è pericoloso ma ho bisogno di sapere se lo faresti.

    Salvatore pensa a fondo, grattandosi il mento.

    Hai un quadro di tua moglie?

    Salvatore si immobilizza. Non aveva mai riflettuto su quel dettaglio. Se i quadri attorno a lui ora parlano allora forse anche quello di Fernanda…

    Lo hai?

    Salvatore annuisce mesto. In un cassetto. Non sopportavo di guardarla. Fa una pausa guardando lontano nei suoi ricordi. Mi basta ascoltare la nostra musica per onorare la sua memoria. Mille pensieri iniziano a frullargli in testa. Vorrebbe vederla ancora? Parlarle? Farle domande? Accarezzarla? Sentire di nuovo la sua voce?

    Se mi sostituirai nel quadro, potrai rivederla, Salvo. Coi miei vestiti indosso, mio figlio non noterà la differenza, abbiamo un viso molto simile io e te. Lui non ha mai fatto granché caso al mio aspetto. È legato a un’idea che si è creato di me dopo la mia morte. E prima ha sempre cercato di starmi lontano. Non se ne accorgerà.

    Salvatore fissa fuori dalla finestra. Sente gli occhi caldi e lucidi, il sapore del sale sulle labbra.

    "Questo non va contro le Leggi dell’Arte. E tu avrai le stesse capacità che posseggo io! Potrai muoverti nei quadri e potrai comunicare anche con gli esseri della realtà vera, come me e te ora! Dovrai sempre rispettare con perizia le Leggi, certo, per non rischiare l’eterna Follia Bianca ma…"

    Basta così. Taglia corto Salvatore.

    Il signor Podda sente le sue speranze scivolare via alle sue spalle. Pensa a Clarisse e all’amore distante quasi duecento anni che finirà presto. Può notare le lacrime sulle guance rugose del corniciaio. Capisco, Salvo. Non preoccuparti.

    Egli non risponde.

    Però, ti prego, riportami in studio per questa notte. Voglio passare un po’ di tempo con lei, prima di tornare da mio figlio.

    In silenzio Salvatore si asciuga le gote, posa il vino e il sigaro ormai spento. Prende la giacca, il quadro sotto braccio ed esce di casa per tornare allo studio.

    Il signor Ferruccio Podda arriva a passo svelto su per la salita che dal Bastione porta a via Università. S’è svegliato presto e non vede l’ora di ritirare il quadro.

    La porta dello studio è aperta. Non c’è nessuno dentro.

    Ferruccio muove passi incerti nella stanza. Nota meglio la quantità di quadri appesi in ogni singolo centimetro quadro delle pareti. Sul cavalletto sta il quadro di suo padre. Il lavoro è strabiliante.

    Con un perfetto gioco di prospettiva, l’uva del quadro pare continuare sulla cornice, le foglie donano un primo piano differente rispetto all’immagine. Il risultato è una profondità quasi surreale. Ferruccio guarda in lungo e in largo l’intaglio. Incredibile.

    Posa lo sguardo sul tavolo da lavoro. C’è un foglio di carta.

    Caro Signor Podda. Ecco a lei la cornice completata. Ci ho messo tutto me stesso, spero che sia di suo gradimento. Mi perdoni per il tempo di attesa, e ancora di più per non essere presente alla consegna. Sono dovuto andare a comprare dei legni per un lavoro commissionatomi stamane. Può lasciare l’offerta che ritiene più opportuna nel cassetto del tavolo. Grazie per la commissione, si goda il suo quadro! Salvatore Lai. P.S. chiuda la porta e la griglia dall’esterno quando esce.

    L’uomo dai baffoni bianchi dà un’ultima occhiata al quadro. A suo padre. Tale e quale a come lo ricorda l’ultima volta che l’ha visto a dodici anni.

    Avvolge la tela col cartone raccolto in giro per la stanza e lascia un’ingente somma di denaro nel cassetto. Si guarda ancora una volta intorno e si sofferma sul quadro al quale il corniciaio lavorava la prima volta che lo vide. Fattura magnifica ma cornice incompleta. Sembra che la donna gli sorrida dal lontano milleottocento. S’avvia fuori e chiude bene tutto. Il blocco è automatico, non serve chiave per sigillarlo.

    Prodotto sottobraccio, Ferruccio aspira forte l’aria fresca della mattina invernale. La macchina del signor Lai è parcheggiata lì fuori. Che tipo strano, mormora iniziando a ridiscendere verso piazza Costituzione. Il sole inizia a sovrastare i palazzi, investendo lo studio del vecchio corniciaio.

    Ordine in via Lamarmora

    Ordine in via Lamarmora novantasei! Marti, vai tu? Martina guarda fisso l’iPhone.

    Marti? insiste Giulia, la cassiera.

    Martina solleva lo sguardo di scatto. Oh sì, scusami. Si avvicina al bancone, prende le due pizze, il foglio dell’ordinazione e si avvia alla macchina. Fa un freddo boia.

    Percorre le vie di Cagliari illuminate a sprazzi dal giallognolo dei lampioni. Inizia le vie strette di Castello e imbocca via Lamarmora. Supera il novantasei e si ferma in piazza Carlo Alberto. Sono le ventidue, a quest’ora non romperà le palle nessuno per una sosta di due minuti, pensa.

    Lascia andare la nuca sul poggiatesta. È stanca. Si avvolge nella sciarpa di lana, prende la borsa - non si fida mai a lasciarla in macchina - e scende dal veicolo, pizze in mano, risalendo la via. Guarda alla sua sinistra. Il novantasei la accoglie col suo gigantesco portone in legno scuro borchiato.

    C’è un solo campanello accanto all’ingresso, Associazione… il resto è illeggibile. Prova a suonare ma non sente nessun suono venire da dentro né dal citofono. Guarda in alto, ci sono vari balconi, due o tre piani. La luna fa capolino appena oltre il tetto.

    Afferra uno dei grossi anelli di metallo sul portone e lo sbatte con vigore. Passa quasi un minuto. Fa per bussare di nuovo quando una delle ante si apre lenta, con uno scricchiolio sinistro. Martina fa un passo nella hall.

    Nessuno la riceve, ma lei non ha nemmeno voglia di mettersi paura. Vuole solo consegnare e andare via. Finire questa serata del cazzo e andarsene a dormire.

    L’enorme androne manda echi vuoti. Le mattonelle, a scacchiera, alternano lindo bianco al nero striato di verde malachite. Un’imponente scalinata di marmo candido si separa davanti a lei in due trombe di scale. Nessun’altra porta o riferimento. Solo il rimbombo, le scale e un tavolo sulla destra, spoglio.

    Arriva alla base dei gradini e lancia un’occhiata verso l’alto. Le scale continuano in un gioco a spirale doppia che dà quasi fastidio agli occhi.

    Pizze! L’eco sbatte e controbatte fino a spegnersi molti metri più in alto.

    Che palle, sussurra. Mette il piede sul primo gradino, quando una vocina stridula la inchioda sul

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