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Nakahi
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E-book473 pagine5 ore

Nakahi

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Info su questo ebook

Patrick aveva trascorso tutta la sua vita in bilico fra la luce ed il buio profondo e solo una grande amicizia gli aveva evitato di precitare nel baratro.

La morte di sua madre lo sconvolse, ma mai quanto la scoperta che fece dopo.

L'oscurità, sopita da tempo, riemerse con tutta la sua forza e nulla, a quel punto, avrebbe potuto trattenerla.

La sua anima nera chiedeva un tributo di sangue e non si sarebbe placata sino a che non lo avesse avuto.
LinguaItaliano
Data di uscita15 dic 2016
ISBN9788822877390
Nakahi

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    Anteprima del libro

    Nakahi - Riccardo Berardelli

    Epilogo

    Citazioni

    Perché cerchi la vendetta, o uomo?

    Con quale scopo la insegui?

    Credi di procurare dolore al tuo avversario con essa?

    Sappi che tu stesso sentirai il più grande dei tormenti.

    Akhenaton

    .

    Le persone intelligenti non disprezzano nessuno,

    perché sanno che nessuno è tanto debole da non potersi vendicare,

    se subisce un'offesa.

    Esopo

    .

    L'odio è il piacere più duraturo,

    gli uomini amano in fretta, ma odiano con calma.

    George Byron

    .

    Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male.

    Friedrich Nietzsche

    Prologo

    Mi soffermai là, sotto quel cielo mite, guardai le falene svolazzare fra l’erica e le campanule, ascoltai il sospiro lieve del vento fra l’erba e mi chiesi come chiunque potesse mai immaginare sonni inquieti per chi riposava in quella terra quieta.

    Patrick chiuse il libro ed una microscopica lacrima colpì la copertina consunta, restando immobile al centro del rettangolo, come appesa allo stesso filo che, fino ad un attimo prima, aveva sorretto sua madre.

    Alzò lo sguardo.

    Lei era appoggiata sul cuscino e quasi non lo schiacciava, l’espressione rilassata, con un lieve sorriso che le illuminava il volto ormai spento.

    Dorme, pensò Patrick, almeno sembra, ma nemmeno lui credeva in quel pensiero.

    Le posò il libro in grembo e le congiunse le mani sull’immagine della ragazza in copertina.

    Rimase a contemplare il volto della donna, tenendo le mani sulle sue, come per impedire al calore d’andarsene troppo in fretta.

    Voltò la testa ed incrociò gli occhi dello zio.

    E’ morta? Chiese l’uomo, timidamente.

    Patrick annuì, lasciò la presa e lo raggiunse.

    L’uomo si alzò e si avvicinò al letto nella sua andatura incerta.

    Abbracciò Patrick, ma non disse nulla.

    Rimasero stretti per alcuni minuti, ma nessuno dei due pianse.

    Che cosa facciamo adesso? Chiese Daniel.

    Patrick osservò gli occhi dello zio, quel candore che non lo aveva mai abbandonato, quella bontà che li riempiva sempre e che, per molti, era solo una conseguenza del suo handicap ma, per quelli che lo conoscevano bene, era molto di più, era un dono di Dio.

    Gli prese la mano e lo condusse accanto al letto, su quella che era stata, fino a pochi istanti prima, la sua seggiola.

    Siediti disse, io arrivo subito.

    L’uomo obbedì, appoggiò le mani sul libro e lo sguardo fisso sul viso pallido della sorella.

    Patrick uscì dalla camera e raggiunse il salotto, se così lo si poteva definire.

    Al centro della stanza, seduto sulla vecchia sedia a dondolo, c’era il dottor Clarke, chiuso nel suo immancabile completo marrone e avvolto dall’altrettanto inesauribile fumo delle sue Winston.

    Lo sguardo di Patrick fu eloquente.

    Il dottore posò la sigaretta e si sollevò, non senza fatica, dalla sua postazione.

    Le mie condoglianze disse l’uomo, stringendo la mano a Patrick.

    Il ragazzo annuì, ricambiando la stretta.

    Clarke lo superò e si diresse verso la camera, la legge voleva la sua firma sul certificato e non era sua abitudine far tirare ad altri le conclusioni che spettavano a lui.

    Entrò e vide Daniel immobile accanto alla sorella.

    Si accostò dal lato opposto e controllò i segni vitali.

    Era morta, non c’era ombra di dubbio.

    E’ morta? Chiese Daniel.

    Sì, purtroppo rispose il dottore.

    Lo sguardo di Daniel non mutò, la luce che lo illuminava risplendeva come sempre, come se nulla fosse accaduto o come se non se ne rendesse davvero conto.

    Adesso cosa facciamo? Chiese Daniel.

    Clarke lo fissò a lungo, cercando di scegliere le parole migliori, ma incapace di decidersi.

    Tu rimani con lei, io torno subito disse, infine.

    Tornò da Patrick e lo trovò immobile davanti alla credenza che conteneva i piatti della domenica.

    In mano stringeva la fotografia della sua famiglia, c’erano tutti, il nonno, la nonna, sua madre, Daniel e lui, c’erano proprio tutti, almeno nella fotografia.

    Ora, però, avevano infranto il muro della maggioranza, tre su cinque erano morti e, anche se la soglia era solo un concetto astratto, la cosa gli era piombata addosso come un macigno.

    Posò la fotografia, si voltò e guardò il dottore.

    L’uomo non parlò, raggiunse il piccolo tavolo di legno accanto alla finestra, si sedette dal lato posto a favore della luce, prese la sua borsa di pelle di un marrone ormai sbiadito, la posò sul tavolo ed estrasse un plico di documenti.

    Iniziò a compilare il modulo che certificava il decesso, le informazioni le aveva tutte, conosceva Kyla dal giorno della sua nascita, e non era un modo di dire.

    Riempì lentamente tutti gli spazi con la solita calligrafia, semplice e chiara, lontana dallo stereotipo legato ai medici, ma non riuscì a impedire che il tremolio della mano lasciasse piccole vibrazioni sulle lettere, come un gesso spezzato sulla lavagna.

    Patrick si avvicinò lentamente e notò come gli occhi del dottore fossero umidi, più dei suoi.

    Non disse nulla, si sentiva a disagio per quell’impossibilità di piangere che lo aveva accompagnato sin dall’adolescenza, ma non riusciva a fare diversamente. Molte volte, negli anni, aveva cercato di capirne il motivo, si era sforzato sino allo stremo, ottenendo solo delle intense emicranie, ma niente di più, nemmeno una goccia era scesa dai suoi occhi.

    Vedere quell’uomo piangere per sua madre aumentava in modo devastante il suo dolore, ma neppure quello serviva.

    Sapeva che non erano le lacrime, le uniche testimoni dell’affetto nei confronti di una persona scomparsa, ma aveva comunque quella sensazione di vuoto, d’incompiuto, che gli graffiava l’anima.

    Il dottore alzò lo sguardo verso Patrick, tolse gli occhiali e si asciugò gli occhi con un fazzoletto.

    Scusa disse, imbarazzato.

    Non si deve scusare, dottore, non è colpa sua. Se c’è qualcuno che dovrebbe scusarsi, quello dovrei essere io, ma, sinceramente, non ne ho voglia.

    Un lieve sorriso, amaro e malinconico, comparve per un istante sul viso del ragazzo, dissolvendosi rapidamente.

    Il dottore rimise gli occhiali e controllò il modulo che aveva davanti, lo spostò leggermente e firmò sul fondo della pagina, poi prese dalla borsa un piccolo timbro, tolse la protezione e lo premette poco sotto il nome appena scritto.

    Questo è per te disse, porgendo una copia del documento a Patrick, tienilo da parte, al resto penso io.

    Patrick prese il foglio, lo ripiegò senza leggerlo e lo infilò nel taschino della camicia.

    Clarke rimise tutto nella vecchia borsa e la posò a terra, si appoggiò al tavolo e si sollevò a fatica.

    Stai vicino a Daniel, sembra tranquillo, ma potrebbe realizzare all’improvviso quello che è successo e non possiamo sapere come reagirà disse il dottore, io mi occupo della parte burocratica e del servizio funebre.

    Grazie, dottore rispose Patrick, come diceva mia madre, lei è sempre stato il nostro angelo custode.

    Clarke sorrise, tese la mano ancora tremante e salutò, si mise il cappello ed uscì.

    Patrick lo seguì con lo sguardo sino all’auto e rimase immobile per qualche minuto, sino a quando la vecchia Ford non uscì dal suo campo visivo, poi si voltò verso la camera.

    Dalla sua posizione poteva vedere solo una parte del letto, la testa di sua madre, voltata in direzione della finestra, e le braccia incrociate in grembo, ma non vedeva Daniel.

    Avanzò un paio di passi e la sagoma dell’uomo, ancora chino sul letto, apparve lentamente, come in una ripresa panoramica.

    Patrick entrò lentamente nella stanza e Daniel alzò lo sguardo verso di lui.

    E’ morta? Chiese nuovamente.

    Patrick prese una seggiola e la posò accanto allo zio, si mise a sedere e gli appoggiò una mano sulla spalla.

    L’uomo si sollevò e si voltò verso di lui e, nuovamente, il suo sguardo riempì di pace l’intera stanza.

    Daniel disse Patrick, cercando di costruire un discorso semplice ma efficace, hai capito cos’è successo?

    Kyla è morta rispose l’uomo con estrema calma.

    Sai cosa significa?

    Significa che non la vedremo più. Padre O’Brian dice che le persone che muoiono vanno in un posto bellissimo, ma che noi non possiamo vedere.

    Padre O’Brian ha ragione confermò Patrick, sorpreso da tanta semplicità.

    Padre O’Brian ha sempre ragione precisò Daniel, perciò mi chiedo, perché continuo a vederla?

    L’obiezione dell’uomo era, dal suo punto di vista, ineccepibile.

    Sia lui che il dottore avevano confermato a Daniel che la sorella era morta, non c’erano dubbi e, secondo padre O’Brian, avrebbe dovuto scomparire, trasferirsi nel luogo migliore descritto nella bibbia, eppure le cose non erano andate così e non ne capiva il motivo.

    Daniel disse Patrick, ascoltami bene. E’ tutto come dovrebbe essere, l’unica cosa che non ti aveva spiegato padre O’Brian è legata al tempo, le persone non raggiungono immediatamente la loro nuova casa, devono essere preparate per il viaggio, dobbiamo lavarle, profumarle e vestirle a puntino, poi le mettiamo in una capsula e le portiamo sul luogo del passaggio, una specie di stazione ferroviaria, ma molto più moderna e tecnologica, è da qui che partono ed è solo da quel momento che non potremo più rivederle.

    Gli occhi dell’uomo mostrarono il lavoro alle loro spalle, un lavoro di precisione, dove ogni parola veniva analizzata dettagliatamente e posizionata nella sua giusta casella, un lavoro che, per Daniel, significava la perfetta sinergia di ogni parte del suo corpo e che lo esulava dal mondo reale sino al suo completamento.

    Noi cosa facciamo? Chiese alcuni istanti dopo.

    Possiamo fare compagnia alla mamma mentre aspettiamo le persone che si occuperanno di lei, che ne dici?

    Mi sembra una buona idea rispose Daniel.

    Patrick sorrise, tese un braccio e cinse le spalle dello zio che ricambiò.

    Rimasero accanto al letto, in silenzio, sospesi in un limbo astratto per un tempo interminabile, sino a quando il suono del campanello non li riportò alla realtà.

    Patrick si alzò e raggiunse la porta.

    Dottore disse, ha fatto presto.

    Sono i vantaggi dell’anzianità rispose Clarke, accennando un sorriso poi, voltandosi verso il vialetto, continuò, questi sono miei amici, si occuperanno loro di tutto, nel massimo rispetto.

    Patrick buttò lo sguardo oltre la porta e vide il furgone nero delle onoranze funebri parcheggiato davanti al cancello e tre uomini in divisa armeggiare sul retro.

    Vai da Daniel disse Clarke, devi portarlo in salotto per un po’.

    Patrick annuì e si diresse in camera.

    Daniel era ancora chino sulla sorella, nella medesima posizione in cui era stato nell’ultima ora.

    Lo sentì entrare e si sollevò.

    Patrick si avvicinò al vecchio letto di legno e guardò lo zio, cercando l’approccio migliore.

    Daniel disse, dopo alcuni istanti, sono arrivate le persone che aiuteranno mamma nel suo viaggio, dobbiamo lasciare libera la stanza in modo che possano fare il loro lavoro.

    L’uomo meditò sulle parole appena sentite, poi rispose.

    Devono lavarla, profumarla e vestirla a puntino? Chiese nel suo solito tono infantile.

    Esatto rispose Patrick.

    Poi la metteranno nella capsula?

    Certo, ma rimarrà con noi ancora due giorni, il tempo di preparare il necessario per il viaggio.

    Quindi potremo starle vicino ancora due giorni? Chiese, speranzoso, Daniel.

    Certo, per due giorni staremo sempre accanto a lei, ma ora dobbiamo andare in salotto per un po’.

    Daniel fece mente locale, accarezzò le mani della sorella e si alzò, raggiungendo il nipote.

    Patrick gli cinse le spalle ed uscirono, andando ad accomodarsi sul piccolo divano accanto alla finestra.

    I tre uomini in divisa entrarono ed attesero l’autorizzazione del dottore.

    Clarke valutò le condizioni e, con un gesto del capo, acconsentì all’inizio delle operazioni.

    Gli uomini entrarono in camera e chiusero la porta alle loro spalle, destando una certa apprensione in Daniel.

    Va tutto bene si affrettò a dire Patrick, devono essere tranquilli per poter fare il loro lavoro al meglio.

    Daniel lo fissò senza parlare, poi annuì e si appoggiò allo schienale del vecchio divano.

    Rimasero in silenzio per una decina di minuti e Patrick si accorse di come la tensione ed il nervosismo aumentassero nello zio. Le gambe, prima immobili, avevano iniziato un leggero tremolio che, da qualche minuto, si era trasformato in una vibrazione continua.

    Daniel disse Patrick improvvisamente, facendo sobbalzare lo zio, ti va di vedere alcune fotografie?

    L’uomo non rispose subito, la sorpresa lo aveva spaventato e ci mise alcuni istanti prima di riprendere la calma, pensò alla domanda e rispose:

    Di Kyla? Chiese.

    Certo, e di tutti noi.

    Daniel annuì, così Patrick si alzò e raggiunse la credenza, sopra la quale era stata sistemata una piccola mensola. Prese un album rilegato in finta pelle, soffiò via la polvere accumulata in quelle ultime settimane e tornò a sedersi accanto allo zio.

    Aprì il volume e, nella prima pagina, c’era la Loro fotografia, non una fotografia qualunque, ma quella che rappresentava al meglio la famiglia, l’immagine della loro discendenza.

    In verità erano poche persone, cinque per l’esattezza, le stesse della fotografia che stava guardando poco prima, ma quella era un’occasione speciale. Era stata scattata il giorno della sua laurea e la felicità che trasmetteva era impareggiabile.

    Lui era al centro, con la sua divisa della Melbourne University luccicante come un’armatura, alla sua destra i due uomini, suo nonno e Daniel e, dal lato opposto, la nonna e sua madre.

    Era l’apice della loro felicità, il loro massimo orgoglio, il primo membro della famiglia laureato ed un futuro che, per una volta, si presentava roseo per tutti.

    Daniel guardò la fotografia e, istintivamente, tese la mano per accarezzarla.

    Papa, mamma sospirò, con un filo di voce.

    Patrick unì la mano alla sua, Daniel si voltò e sorrise.

    Anche loro sono nel posto bellissimo? Chiese.

    Certo, e stanno preparando la casa per accogliere Kyla, faranno una grande festa tutti insieme, e la mamma potrà finalmente riabbracciare Jack.

    Jack non lo ricordo disse, pensieroso, Daniel, nemmeno il suo viso.

    Già commentò Patrick, nemmeno io e, purtroppo, non abbiamo nemmeno una fotografia, l’unica cosa che mi ricordo è che ha conosciuto mamma ad una festa al Sunrise ed è stato un colpo di fulmine, così…

    NO ammonì, quasi urlando, Daniel.

    Patrick rimase basito dalla foga dello zio.

    Cos’è successo? Chiese, curioso.

    No, non si può dire ripeté lo zio.

    Cosa non si può dire?

    No, non si può ribadì Daniel.

    Conoscendolo bene, Patrick non insistette oltre, visto il nervosismo che aveva accompagnato le sue risposte, rischiava solo di fare danni, così provò ad aggirare l’ostacolo.

    Ti va una bibita? Chiese, colpendo il punto debole dello zio.

    Daniel rimase sulla difensiva per alcuni istanti così, non ricevendo risposta, Patrick finse di non preoccuparsene e si alzò.

    Io mi bevo una soda bella fresca disse, avviandosi al frigorifero.

    Anch’io disse Daniel, prima che lo raggiungesse.

    Patrick tornò con le due bottiglie in una mano ed un tovagliolo di carta nell’altra, a Daniel davano fastidio le goccioline che cadevano dalle bottiglie fredde, appoggiò la sua bottiglia sul tavolo e impacchettò l’altra nel tovagliolo, porgendola allo zio.

    Rimasero a godersi la dolce frescura di quel liquido trasparente e lasciarono calmare le acque per un po’.

    Daniel disse ad un certo punto Patrick, posso farti una domanda?

    Si rispose, timidamente, lo zio.

    Mi prometti di non arrabbiarti e di stare calmo?

    L’uomo finse di bere per guadagnare tempo, la promessa era una cosa seria e non si poteva trattare alla leggera. Se promettevi dovevi mantenere la parola e questo anche Patrick lo sapeva. Guardò il nipote con aria indagatrice, poi, non del tutto convinto, annuì.

    Prometto acconsentì, quasi sottovoce.

    Perché ti sei arrabbiato, prima? Chiese Patrick, cercando di avvicinarsi al problema con calma.

    Perché ho promesso ed io le promesse le mantengo sempre.

    Giusto, è così che si deve fare, ma non capisco in cosa consisteva la promessa.

    Ho premesso di non parlarne mai a nessuno.

    Hai promesso di non parlare di quello che hai promesso? Chiese Patrick, puntando sul caos che avrebbe potuto generare.

    No rispose Daniel, confuso.

    E cosa hai promesso, allora?

    Di non parlare con nessuno di quello che è successo.

    Cos’è successo? Insistette Patrick.

    Non posso dirlo, ho promesso.

    Si erano infilati in un vicolo cieco ed ora era quasi più confuso lui dello zio, così, visto che il muro non lo avrebbe mai abbattuto, provò a passare dalla porta.

    Posso chiederti a chi hai fatto la tua promessa? Questo me lo puoi dire.

    Daniel ci pensò un attimo, poi rispose.

    Sì, penso di sì.

    Patrick attese ma, non ricevendo risposta, riprovò.

    A chi hai fatto la tua promessa?

    A Kyla rispose Daniel, fissando il pavimento.

    Era facile saperlo, quasi banale, ma Patrick ne voleva la certezza ed ora poteva provare a mettere in pratica la seconda parte del suo piano.

    Pensò se davvero ne valesse la pena, se tutto quello sforzo, alla fine, non avesse portato ad altro che ad una confessione di un evento banale, avrebbe causato solo un inutile dolore, ma ripensò agli occhi dello zio mentre reagiva, occhi pieni di paura, terrore sarebbe più corretto, ma, soprattutto, occhi che, per la prima volta, avevano perso la loro luce.

    Nessun evento che si ricordasse aveva mai prodotto quel buio negli occhi dello zio, non poteva lasciar correre, era un rischio, ma non poteva fingere che non fosse importante.

    Si accomodò sul divano e si voltò verso lo zio.

    Daniel disse con estrema calma, ti ricordi poco fa quando non ti spiegavi come mai la mamma fosse ancora qui?

    Certo rispose l’uomo, quasi offeso.

    Quello che ti aveva detto padre O’Brian era corretto, ma non aveva specificato una piccola parte e questo t’impediva di capire tutta la storia, mi segui?

    Daniel annuì.

    In questo caso è la stessa cosa. Tutto quello che ti è sempre stato detto sulle promesse è vero e sacrosanto, ma manca una piccola parte che nessuno ha mai pensato di dirti. Le promesse valgono sino a che le persone sono vive, una volta morte, muoiono con loro e chi le ha fatte è libero dalla promessa.

    Daniel ascoltava attento, ma non sembrava molto convinto della cosa, d’altra parte, anche Patrick era consapevole che quello era un gioco scorretto, soprattutto ai danni di suo zio, ma non poteva permettersi di fare diversamente.

    Nei sei sicuro? Chiese Daniel.

    Sicurissimo rispose il ragazzo, insultandosi per la maschera che riusciva a mostrare alla persona più cara che gli era rimasta.

    Daniel annuì, non poteva non fidarsi di Patrick.

    Era dicembre, eravamo andati ad una festa, al Sunrise. Kyla doveva lavorare, io l’avrei accompagnata. Andava tutto bene, poi sono arrivati quei tali e tutto è cambiato.

    Daniel si fermò e fisso il pavimento, le gambe iniziarono il loro tremolio, preludio dell’esplosione.

    Patrick gli prese una mano e Daniel la strinse con forza.

    Tranquillo disse, va tutto bene.

    Daniel si voltò e lo fissò e, di nuovo, il vuoto dei suoi occhi ghiacciò il sangue al nipote.

    Le gambe rallentarono il loro ritmo e la stretta si ammorbidì, lasciando fluire il sangue nelle dita bianche di Patrick.

    "Cosa intendi esattamente con tutto è cambiato?" Chiese il nipote.

    Uno degli uomini si è avvicinato a Kyla, aveva una birra in mano e continuava a parlare e ad avvicinarsi. Kyla si spostava, ma lui la seguiva sempre più vicino. Poi sono arrivati anche gli altri e si sono messi attorno. Kyla è caduta e loro si sono seduti sopra.

    L’immagine, confusa agli occhi di Daniel, era più che chiara a quelli di Patrick ed era la sua mano, adesso, quella che si stringeva come una morsa.

    Patrick cercò di frenare la furia che gli montava dentro, prese un sospiro e, con calma, cercò di proseguire.

    Cos’è successo dopo? Chiese.

    Kyla è venuta da me. Aveva il vestito stropicciato e piangeva. Io non sapevo cosa fare e l’ho abbracciata. Lei ha detto che saremmo dovuti andare subito alla polizia e che avrei dovuto raccontare tutto quello che avevo visto, tutto, così abbiamo preso l’autobus e siamo andati all’ufficio dello sceriffo e ho detto tutto quello che avevo visto, tutto, poi mi hanno fatto firmare un foglio e siamo tornati a casa.

    Patrick aveva ben chiara la situazione, ma non si spiegava tutta quella segretezza.

    Hai detto che Kyla ti ha chiesto di raccontare tutto, ma poi ti ha fatto promettere che non avresti detto niente a nessuno, è corretto?

    Sì, è corretto.

    E quando hai fatto questa promessa?

    Daniel prese tempo per riorganizzare la sua memoria. Non dimenticava mai niente, ma, a volte, gli risultava difficile inquadrare correttamente il momento in cui si erano verificati gli eventi.

    Guardò il pavimento in cerca di concentrazione e riprese a muovere le gambe.

    Patrick notò i segnali e cercò di tranquillizzarlo.

    Non c’è fretta disse, fai con calma.

    Daniel si rilassò lentamente, sino a fermare il suo tremolio, guardò Patrick e, con un sorriso amaro, gli comunicò il risultato dei suoi pensieri.

    Era giovedì 26 gennaio 1989.

    Nei sei sicuro?

    Lo sguardo di Daniel tradì un certo disappunto, ma non protestò, limitandosi ad una conferma.

    Sicurissimo.

    Un brivido ghiacciato percorse la schiena di Patrick, dal coccige sino alla nuca.

    Un pensiero terribile si era affacciato alla porta della sua coscienza e chiuderla ora non avrebbe avuto senso.

    Non serviva un medico per fare due semplici calcoli, l’aggressione, per il momento preferiva limitarsi a questa dicitura, era avvenuta a dicembre, lui era nato a settembre dell’anno successivo, le possibilità che le due cose non fossero correlate erano veramente minime e non ci contava troppo.

    Le immagini nella sua mente lo avvolsero come le onde dell’oceano, si sentì come se fosse caduto dal surf durante un tentativo di tube riding mal riuscito.

    Era in un vortice di emozioni confuse, la rabbia per quello che aveva scoperto era enorme ma, ancor più grande, era il disappunto di scoprire di essere stato tenuto all’oscuro di un evento di tale portata per tutti quegli anni.

    Cercò di gestire la cosa con calma, non tutto quello che aveva sentito era necessariamente vero, e trarre conclusioni affrettate poteva essere devastante.

    Respirò profondamente, lasciando defluire l’adrenalina in eccesso, poi guardò Daniel e si accorse che il suo sguardo non aveva ancora recuperato la luminosità abituale e la cosa lo turbò parecchio.

    Conosceva suo zio meglio di chiunque altro, a parte sua madre, e sapeva quanto attenta e precisa fosse la sua memoria e quanto meticolosa fosse la sua attenzione per le cose e per le parole. Non poteva essersi sbagliato né sugli eventi né, tantomeno, sulle date e la persistenza di quell’espressione era la prova dell’enorme impatto emotivo che l’evento gli aveva causato.

    L’unica sua speranza, alla quale, però, dava pochissime chances, restava il vero esito dell’aggressione.

    Kyla è caduta e loro si sono seduti sopra, aveva detto Daniel e, nella sua mente, tutto si era limitato a quello, ma Patrick dubitava fortemente che la cosa si fosse conclusa così e, anche se l’idea della probabile realtà dei fatti era terribile, non poteva certo ignorarla.

    Cercò di recuperare un po’ della sua leggendaria freddezza, ripercorse tutti i passaggi di quella nuova scoperta e cercò di organizzare al meglio le idee.

    Stava ancora metabolizzando la cosa quando la porta della camera si aprì.

    Clarke uscì e richiuse immediatamente la porta alle sue spalle, avvicinandosi al divano.

    Non gli servì molto per capire che qualche cosa era cambiato, l’atmosfera era diversa e vedere Daniel con lo sguardo fisso al pavimento non prometteva niente di buono.

    Patrick si alzò e gli si fece incontro.

    Ci servirebbe un abito lo informò il dottore.

    Patrick non rispose, si diresse in camera ed aprì l’armadio.

    Prese il vestito nero, quello che sua madre indossava nella fotografia, l’unico degno di un evento, e lo porse al dottore.

    Clarke annuì, prese il vestito, ma Patrick non lo lasciò andare.

    Lo sguardo del dottore mostrò tutto il suo stupore, non disse nulla, ma i suoi gli occhi chiesero ragguagli.

    Devo parlarle precisò Patrick con tono asciutto.

    Il dottore abbassò lo sguardo ed attese che il ragazzo lasciasse la presa, si voltò e consegnò il vestito ai suoi colleghi poi, tornando a guardare Patrick.

    Non qui.

    Patrick fece strada e raggiunse il vialetto, seguito a breve distanza dal dottore.

    Si fermò prima del piccolo cancello in legno e si voltò di scatto.

    Lei cosa sa del Sunrise? Chiese, senza giri di parole.

    Non capisco cosa intendi rispose, senza guardarlo, il dottore.

    Jim riprovò, in tono più tranquillo, Patrick, come le ho detto prima, lei è sempre stato il nostro angelo custode e non è una frase di circostanza. Mi fido di lei quanto mi fidavo di mio nonno, dopo di lui è stata la figura maschile a cui mi sono ispirato da quando ero piccolo. Non sono arrabbiato con lei, ma ho bisogno di sapere cos’è successo veramente quella sera.

    Clarke guardò Patrick negli occhi.

    L’affetto dimostrato dal ragazzo era ricambiato completamente, era il nipote che non aveva mai avuto, il giovane che avrebbe portato il nome della famiglia per gli anni a venire, non poteva tirarsi indietro.

    Gli aveva nascosto la verità per anni, cercando di proteggerlo, nella speranza che non scoprisse mai nulla, credendo che quel giorno non sarebbe mai arrivato, ma il giorno era arrivato, non era ancora chiaro cosa fosse successo, ma Daniel aveva parlato ed il loro castello di carte era crollato miseramente.

    Si sedette sul piccolo muretto che costeggiava il viale d’accesso e si tolse il cappello.

    Patrick si accomodò accanto a lui ed attese.

    Kyla aveva trovato un lavoro estivo che gli permetteva di continuare gli studi senza gravare sulla famiglia. Sembrava una cosa tranquilla e sufficientemente redditizia. Quella sera, al Sunrise, si sono presentati cinque giovani di Melbourne in vacanza post laurea, tipi alla moda, facoltosi. Tua madre ha fatto il suo lavoro, senza dare peso alle loro battute, senza dare spazio ad equivoci, ma loro hanno pensato bene di prendersi delle libertà. Dopo alcuni apprezzamenti eccessivi, Kyla si è trasferita in giardino, sperando di liberarsene, ma loro l’hanno seguita ed hanno continuato il loro gioco. Gli hanno impedito di rientrare e, una volta spostatisi in un lato poco frequentato, l’hanno aggredita.

    Il dottore si prese una pausa, la voce era crollata sulle ultime parole, chiarendo in maniera inequivocabile l’esito finale del racconto.

    Patrick chiuse i pugni tentando di rimanere freddo, ma faticando sempre di più a mantenere il suo impegno.

    Cos’è successo dopo? Chiese il ragazzo.

    Kyla è andata alla polizia ed ha sporto denuncia, il medico ha prelevato dei campioni e la pratica è passata in tribunale. Ho seguito personalmente tutta la vicenda e non è stato bello. I primi due avvocati scelti per rappresentare tua madre erano sicuri di vincere ma poi, improvvisamente, hanno rinunciato al caso senza dare spiegazioni, così ho chiesto ad un amico se poteva occuparsene lui. Non potevamo pagarlo, ma accettò comunque. Era un giovane avvocato con la voglia di emergere, ma con una passione per la verità e la giustizia al di sopra di ogni altro valore. Anche lui ha subito il medesimo trattamento degli altri, lo hanno minacciato, gli hanno persino ucciso il cane ed avrebbero fatto di peggio, se ne fossero stati costretti, ma non lo furono. Decisero di prendere una via diversa e vinsero la causa, dimostrando che il Dna dell’aggressore non era compatibile con nessuno dei cinque ragazzi.

    Nuovamente il dottore si fermò, iniziando a giocherellare col cappello.

    Patrick rimase in silenzio ad immaginarsi la scena, ma non reagì in alcun modo.

    Pensa che abbiano contraffatto il test?

    Ne sono sicuro, ma non potevo provarlo allora e non posso provarlo adesso, hanno vinto loro.

    Di chi è stata l’idea di nascondere tutta la faccenda?

    Tua madre voleva proteggerti, raccontarti tutto poteva scatenare in te sentimenti incontrollabili, dalla depressione alla rabbia, così mi ha chiesto di far sparire le prove, mi ha dato i fascicoli con la denuncia in modo che tu non potessi mai trovarli ed ha inventato la storia di tuo padre, militare morto per la pace, pregando solo di dimenticare.

    Questo spiega la mancanza di fotografie e la strana amnesia di Daniel nei confronti di Jack.

    Clarke appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo.

    E’ passato tanto tempo, non possiamo più fare nulla disse in tono paterno.

    Vedremo commentò Patrick, il nome dell’avvocato?

    Il dottore lo fissò con lo sguardo angosciato.

    Cosa vuoi fare? Chiese.

    Voglio solo parlargli, nulla di più.

    Mi perdonerai se non ti credo rispose Clarke, capisco il tuo stato d’animo, ma non è vendicandoti che risolverai il problema, anzi, ammesso che non ti uccidano prima loro, rischi di passare il resto della vita in carcere e lasciare solo Daniel, non puoi farlo.

    Cosa le fa credere che voglia vendicarmi uccidendo qualcuno?

    Io, al tuo posto, lo farei, ma non ho il coraggio, non l’ho mai avuto. Avrei potuto fermarli prima, avrei dovuto intervenire, ma ho avuto paura. Ho lasciato che vincessero con l’inganno e la violenza per non dover subire i loro attacchi, ma tu sei diverso, tu non hai paura di niente, tu hai i mezzi e la forza per farlo, ed è per questo che ti chiedo di rinunciare.

    Mi dia il nome, dottore, ha la mia parola che non inizierò una guerra privata o, almeno, l’avviserò prima di farlo.

    Clarke strizzò il cappello come uno strofinaccio da pavimento, conscio del fatto che nulla di quello che avrebbe potuto dire o fare avrebbe indotto Patrick a cambiare idea.

    Albert Nguyen, ha uno studio sulla William, al 233 disse sottovoce.

    Patrick gli posò una mano sulla spalla, cercando, a modo suo, d’esprime un gesto d’affetto.

    Quello che è successo non è colpa sua, chiunque, al suo posto, avrebbe fatto lo stesso. Poteva agire solo per vie legali e lo ha fatto, qualsiasi altra cosa sarebbe stata scorretta, sarebbe sceso al loro livello.

    Clarke attenuò la presa sul cappello e guardò Patrick.

    Tu, però, sei pronto a farlo.

    Io non ho niente da perdere, ho già superato il punto di non ritorno in Afghanistan, non mi spaventa scendere oltre. Ho fatto cose orribili per difendere gente che nemmeno conoscevo, posso farlo anche per mia madre.

    Clarke annuì, cercò di sistemare il povero cappello e se lo posò sul capo, rimanendo in posa per alcuni istanti, come se si aspettasse una fotografia.

    Si voltò verso Patrick ed un lieve sorriso comparve sul suo viso.

    "Ti prendo un appuntamento con Albert, così gli spiego la situazione,

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