Chiamami! Prevenire la depressione e il suicidio con l’help line telefonica
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Si tratta di un fenomeno che può coinvolgere persone di tutte le età ma è la seconda causa di morte tra i giovani di età compresa tra i 15-19 anni a livello globale.
È presente in tutte le nazioni del mondo ed è la 15a causa di morte nel mondo (rappresenta l’1,4% di tutti i decessi mondiali).
Secondo il WHO interventi efficaci possono essere realizzati su tutta la popolazione, a tutti i livelli per prevenire i tentativi di suicidio e il suicidio stesso.
La prevalenza di caratteristiche e metodi di comportamento suicidario variano notevolmente tra le diverse comunità, in diversi gruppi demografici e nel tempo. Di conseguenza la sorveglianza aggiornata di suicidi e tentativi di suicidio è un elemento essenziale per la prevenzione al suicidio a livello sia nazionale che locale.
Fra i Paesi OCSE, l’Italia registra uno dei più bassi livelli di mortalità per suicidio.
Ma cos’è effettivamente il fenomeno del suicidio e perché deve avere una sua prevenzione specifica?
Questo testo affronta la questione e in particolare la modalità più efficace per gestire meglio i numerosi serivizi di prevenzione telefonici in Italia: le help-line.
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Anteprima del libro
Chiamami! Prevenire la depressione e il suicidio con l’help line telefonica - Chiara Madeddu
Chiara Madeddu
Chiamami!
Prevenire la depressione e il suicidio con l’helpline telefonica
DIGITAL INDEX
A me e alla mia famiglia
Ogni persona che incontri sta lottando con i propri problemi. Non potrai risolverli al suo posto ma la tua gentilezza forse lo incoraggerà a non rinunciare. La tua gentilezza può essere il miracolo che stava aspettando. Spesso, senza saperlo facciamo veri miracoli
.
Gustav Birth
INTRODUZIONE
Stando all’ultimo resoconto del World Health Organization (WHO), oltre 800.000 persone muoiono ogni anno a causa di un suicidio e a questi si aggiungono quanti hanno tentato di realizzarlo. Considerando familiari, parenti e amici osserviamo come l’esperienza del suicidio e del lutto coinvolga di fatto moltissime persone.
Si tratta di un fenomeno che può coinvolgere persone di tutte le età ma è la seconda causa di morte tra i giovani di età compresa tra i 15-19 anni a livello globale¹.
È presente in tutte le nazioni del mondo ed è la 15a causa di morte nel mondo (rappresenta l’1,4% di tutti i decessi mondiali).
Secondo il WHO interventi efficaci possono essere realizzati su tutta la popolazione, a tutti i livelli per prevenire i tentativi di suicidio e il suicidio stesso.
La prevalenza di caratteristiche e metodi di comportamento suicidario variano notevolmente tra le diverse comunità, in diversi gruppi demografici e nel tempo. Di conseguenza la sorveglianza aggiornata di suicidi e tentativi di suicidio è un elemento essenziale per la prevenzione al suicidio a livello sia nazionale che locale.
Fra i Paesi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), l’Italia registra uno dei più bassi livelli di mortalità per suicidio: la nostra analisi si basa sui dati che vanno dal 1993 al 2009 (ultimo anno al momento disponibile) dai quali emerge come la mortalità sia diminuita significativamente da 8,3 a 6,7 suicidi ogni centomila abitanti, con piccole variazioni su livelli storicamente bassi negli ultimi anni.
Ma cos’è effettivamente il fenomeno del suicidio e perché deve avere una sua prevenzione specifica?
Poeldinger², evidenzia un’evoluzione della dinamica suicidaria su tre livelli:
In un primo stadio il suicidio è preso in considerazione come possibile modo di soluzione dei problemi.
In un secondo stadio si ha il conflitto tra la tendenza all’autoconservazione e quella all’autodistruzione: sarebbe in questa fase che il soggetto comunica in vario modo all’ambiente esterno i suoi pensieri.
Il terzo stadio è quello in cui è presa la decisione e si passa all’atto concreto.³
Poeldinger afferma che la prevedibilità è legata all’espressione di avvertimenti da parte del potenziale suicida, mentre il senso del suicidio può essere rintracciato se il suicida lascia un messaggio.⁴
Nel corso dei secoli molti sono stati gli studi effettuati sul fenomeno del suicidio.
Si potrebbe vedere il fenomeno del suicidio attraverso tre prospettive principali.
La prima prospettiva da considerare è quella prettamente sociologica.
Nel corso dei secoli diversi sociologi si sono soffermati ad analizzare e studiare il fenomeno del suicidio. Il primo studioso ad aver analizzato il fenomeno è il sociologo italiano Enrico Morselli, il quale ha applicato un metodo numerico-statistico ai fenomeni psicologici. Egli apre la strada a una nuova visione del fenomeno suicidario estendendo il metodo numerico alle discipline morali e sociologiche, e ponendo l’attenzione sull’ambiente sociale e alle dinamiche che si vengono a creare al suo interno. Attraverso il suo libro, Il suicidio. Saggio di statistica morale comparata (1879), l’autore parte dal concetto che ogni fenomeno è la conseguenza di mutazioni anteriori e afferma che bisogna analizzare severamente i risultati ottenuti, i quali basteranno a persuadere gli scettici della possibilità di una statistica morale. Enrico Morselli definisce il suicidio come un atto volontario (non libero) che muove da un processo logico, di cui certamente in molti casi restano ignote le premesse; esso è la manifestazione estrinseca di un fenomeno di coscienza che ci sfugge, perché la statistica non si estende al di là dei caratteri esterni dell’avvenimento, però consente la possibilità di risalire dalle note obiettive alla subbiettività psichica di lui.⁵
Un altro importante sociologo, che tutt’ora viene sempre nominato quando si parla del suicidio, è Émile Durkheim. Egli rappresenta il precursore della tradizione sociologica sul suicidio. Infatti, è sua la tesi classica che collega il fenomeno con la coesione sociale, dove il suicidio varia allo stesso modo rispetto al grado d’integrazione dell’individuo nel gruppo sociale di appartenenza. È nel suo libro, Il suicidio. Studio di sociologia (1897), che Durkheim analizza il fenomeno nel suo complesso. Quest’opera si apre con la definizione del fenomeno: Si chiama suicidio ogni caso di morte che risulti direttamente o indirettamente da un atto positivo o negativo, compiuto dalla vittima stessa consapevole di produrre questo risultato
. ⁶
Durkheim analizza il fenomeno suicidario in tre forme fondamentali: il suicidio egoistico compiuto da tutti quegli individui così fortemente individualisti da non avvertire le esigenze del vivere sociale e delle sue leggi; in particolare, il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione della società religiosa, di quella domestica e di quella politica. Il suicidio altruistico non avviene perché l’individuo si arroga il diritto di disporre della propria vita ma perché il contesto sociale glielo impone. Nelle realtà primitive, la società esercita una pressione psicologica sul singolo per indurlo all’autodistruzione: si tratta di strutture sociali in cui la personalità individuale è tenuta in poco o nessun conto. E infine il suicidio anomico: quando la società è turbata da una crisi economica l’individuo, ritrovandosi in una condizione inferiore, ne soffrirà, essendo costretto ad adattarsi a un nuovo tenore di vita. Similmente, un brusco aumento delle ricchezze sconvolge la precedente regolamentazione e l’individuo, non sapendo più ciò a cui può aspirare e i limiti entro cui deve restare, entra in una profonda crisi di sregolatezza ed insaziabilità.
Le tre tipologie di suicidio analizzate sono accomunate dal fatto che in tutte l’individuo è minacciato dalla realtà sociale; quindi l’individuo che si toglie la vita è come se fosse una vittima impotente della società in cui vive.
La seconda prospettiva da considerare è quella psicologica.
La psicoanalisi comincia ad interessarsi del fenomeno del suicidio e ad analizzarlo, studiando soprattutto il mondo interno della persona invece che la realtà sociale, attività principale dei sociologi.
Tra i primi studiosi a occuparsi del fenomeno, è lo psichiatra francese Jean-Etienne Dominique Esquirol, che nella sua opera del 1938, Des maladie mentales considérées sous les rapports médicaux, hygienique et medico-légal, afferma che i suicidi altro non sono che degli alienati mentali.⁷
In seguito, nel 1910 a Vienna fu tenuto un convegno sul fenomeno del suicidio, dove Sigmund Freud da quel momento in poi iniziò a occuparsi della tematica. Egli, infatti, nel 1917 pubblicò un libro dal titolo Lutto e Malinconia. Secondo lo psicanalista per eccellenza il suicidio si verifica quando si viene a perdere la persona amata, con la quale si era creato un rapporto ambivalente ed egocentrico. Una volta persa si tende a rivolgere questi sentimenti verso il proprio Io, dove si assiste ad una confusione di sentimenti che riguardano l’odio e l’amore. Questa confusione porta all’autopunizione e all’autodistruzione.
Il successivo studioso che si occupa del suicidio, dopo Freud, è Karl Menninger⁸ il quale afferma che secondo lui esistono tre componenti psichiche che agiscono al fine di compiere l’atto suicidario:
Il desiderio di uccidere, che corrisponde all’istinto di morte.
Il desiderio di essere uccisi come impulso di espiazione, che trae origine dal Super-Io, nei confronti delle pulsioni istintuali.
Il desiderio di morire, che corrisponde al desiderio di tornare a uno stato di non coscienza. ⁹
Secondo lo studioso chi si suicida lo fa perché ha una visione alterata della realtà, che lo porta a pensare che dopo che morirà ritornerà a vivere.
Un altro elemento da considerare nella visione psicologica è l’autopsia psicologica: mosse i suoi primi passi negli Stati Uniti quando Eli Robins e i suoi colleghi della Washington University di Sant Louis, negli anni 1956 e 1957, condussero delle ricerche su 134 casi di suicidi consecutivi avvenuti nel corso di un anno¹⁰. Tali studi furono replicati pochi anni dopo da Dorpat e Ripley in merito a numerosi suicidi avvenuti nell’area di Seattle¹¹.
Nel 1958, Theodore Curphy, direttore dell’Istituto di Medicina Legale della Contea di Los Angeles, formulò la richiesta di collaborazione al locale Centro Prevenzione Suicidi,
co-diretto dagli psicologi Edwin S. Shneidman e Norman Farberow, al fine di analizzare il notevole incremento del numero di morti per droga che si stava verificando in quegli anni, dando così luogo a uno dei primi approcci multidisciplinari al problema.
Così, in un articolo del 1961, Shneidman¹² coniò il termine di autopsia psicologica definendola: la ricostruzione retrospettiva della vita di una persona scomparsa, al fine di individuare aspetti che ne rivelino le intenzioni rispetto alla propria morte, indizi sulla tipologia del decesso e sull’eventuale grado di partecipazione alle dinamiche dello stesso e di fornire ipotesi circa i motivi per i quali la morte è avvenuta in quel dato momento
. L’autopsia psicologica tende a stabilire, retrospettivamente, lo stato mentale di una persona scomparsa al fine di chiarire la sequenza e le modalità dei fatti, e non solo di formulare una spiegazione sostenibile, concreta e conseguente agli stessi. Questa si realizza sia in ambito investigativo sia forense ed è il risultato di un lavoro di esplorazione e analisi interdisciplinare in cui sono coinvolti diversi professionisti quali criminologi, psichiatri, psicologi, medici, grafologi ed investigatori di polizia.
La terza prospettiva da considerare è quella epidemiologica.
L’approccio epidemiologico adotta una metodologia scientifica rigorosa, in quanto studia i rapporti che si vengono a creare tra gli eventi e le popolazioni che sono esposte ai diversi casi