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Psicologia e metapsicologia
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E-book454 pagine6 ore

Psicologia e metapsicologia

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Saggi sulla metapsicologia, Introduzione al narcisismo, Al di là del principio del piacere, Progetto di una psicologia, Precisazioni sui due princìpi dell’accadere psichico

Edizioni integrali

Questo volume si apre con un breve ma significativo articolo scritto da Freud nel 1911, Precisazione sui due princìpi dell’accadere psichico, che affronta la dinamica del meccanismo con cui l’Io primordiale sostituisce all’originario principio del piacere, proprio con dei processi inconsci, il più maturo principio di realtà; seguono poi due opere del 1915, Introduzione al narcisismo, che sostiene l’esistenza di una libido riferibile a se stessi, e Metapsicologia, che contiene alcuni saggi con i quali Freud riteneva di avere raggiunto una formulazione teorica definitiva della sua psicologia. In Al di là del principio del piacere viene invece per la prima volta dimostrata l’esistenza del principio della coazione a ripetere che, nelle intenzioni di Freud, ambiva a qualificarsi come postulato di ordine cosmico.


Sigmund Freud

padre della psicoanalisi, nacque a Freiberg, in Moravia, nel 1856. Autore di opere di capitale importanza (tra le quali citeremo soltanto L’interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità, Totem e tabù, Psicopatologia della vita quotidiana, Al di là del principio del piacere), insegnò all’università di Vienna dal 1920 fino al 1938, quando fu costretto dai nazisti ad abbandonare l’Austria. Morì l’anno seguente a Londra, dove si era rifugiato insieme con la famiglia. Di Freud la Newton Compton ha pubblicato molti saggi in volumi singoli, la raccolta Opere 1886/1921 e L’interpretazione dei sogni - Tre saggi sulla sessualità - Introduzione alla psicoanalisi.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854138506
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    Anteprima del libro

    Psicologia e metapsicologia - Sigmund Freud

    Indice

    Nota biobibliografica

    Ordine dei saggi contenuti nel presente volume

    PRECISAZIONI SUI DUE PRINCIPI DELL’ACCADERE PSICHICO (1911)

    INTRODUZIONE AL NARCISISMO (1914)

    SAGGI SULLA METAPSICOLOGIA (1915/1917)

    Premessa

    Pulsioni e loro vicissitudini (1915)

    La rimozione (1915)

    L’inconscio (1915)

    Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno (1915)

    Lutto e melancolia (1917)

    AL DI LÀ DEL PRINCIPIO DEL PIACERE (1920)

    Premessa

    LA NEGAZIONE (1925)

    LA SCISSIONE DELL’IO NEL PROCESSO DI DIFESA (1941)

    RISULTATI, IDEE, PROBLEMI (1941)

    PROGETTO DI UNA PSICOLOGIA (1950)

    Elenco delle opere di Sigmund Freud

    304

    Prima edizione ebook: marzo 2012

    © 1970, 1974, 1992 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-3850-6

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Sigmund Freud

    Psicologia e metapsicologia

    Edizioni integrali

    Newton Compton editori

    Nota biobibliografica

    Sigmund Freud nasce il 6 maggio 1856 nella cittadina morava di Freiberg, allora territorio dell’Impero austro-ungarico, dal terzo matrimonio del padre, Jakob, un modesto commerciante di lane ebreo nella zona di confine tra la Galizia russa e l’Austria, con Amalia Nathanson. Quando il piccolo Sigmund (sulla Bibbia di famiglia il padre gli ha attribuito i nomi Sigismund Schlomo) ha quattro anni, la famiglia si trasferisce a Vienna, dove il fondatore della psicoanalisi vivrà fino al 1938 e che lascerà solo per trascorrere l’ultimo anno della sua vita, da esule, a Londra. Nel 1873 il giovane Freud, dopo essere stato per sette anni consecutivi il miglior studente del suo Ginnasio (lo Sperlgymnasium), si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Vienna e viene accolto, per le sue doti di intelligenza e perseveranza nella ricerca, prima nel laboratorio di zoologia di Carl Claus (recandosi per due periodi di studio nella stazione sperimentale di biologia marina a Trieste) e poi nel laboratorio di fisiologia di Ernst Brücke, dove comincia ad approfondire l’istologia e la fisiologia del sistema nervoso, animale ed umano.

    Si laurea nel 1881 e nella stessa Facoltà di Medicina, grazie alle sue ricerche e alle sue pubblicazioni in campo istologico e neuropatologico, diventa nel 1885 Privatdozent, libero docente, in clinica delle malattie nervose. Di particolare significato durante quegli anni, anche per la storia successiva della nascita e dello sviluppo della psicoanalisi, è un saggio d’impostazione ancora neurologica, L’interpretazione delle afasie, che Freud dedica alle patologie del linguaggio. Subito dopo la laurea usufruisce di una borsa di studio di quattro mesi da trascorrere a Parigi per un periodo di studio presso Jean M. Charcot, il celebre medico francese esperto in psicopatologia, che aveva dato dignità scientifica alle patologie isteriche, sottraendole all’ipotesi che fossero solo recite e simulazioni. Ma già a partire da alcuni anni Freud collabora con Joseph Breuer, un medico che si occupa di malattie nervose, anch’egli di origine ebraica e con una posizione di rilievo nella comunità medica viennese.

    Attraverso Breuer Freud entra in contatto con il caso di Anna O., la giovane donna i cui gravissimi sintomi isterici vengono curati, per la prima volta, attraverso il recupero alla memoria di eventi psichici traumatici che sono stati rimossi dalla coscienza. La pratica della cura e della remissione dei sintomi non è affidata a somministrazione di farmaci o a interventi di elettroterapia sul corpo ma alla parola, alla possibilità cioè di recuperare, sotto ipnosi, alla narrazione del paziente quanto ha dovuto rimuovere e dimenticare. Si comincia così a prefigurare la specificità e l’originalità, rispetto alle terapie chimico-farmacologiche della medicina ufficiale e tradizionale, della terapia psicoanalitica quale talking cure: ossia quale terapia che si basa, appunto, solo sulla parola.

    Così è dalla consapevolezza che il malato isterico soffre, non per lesioni o patologie organiche, bensì di «reminescenze», di ricordi non elaborati, che muove l’avventura della psicoanalisi e di quella scoperta dell’«inconscio», che Freud comincia ad approfondire in termini di teoria e di pratica clinica durante gli ultimi anni dell’800, fino a giungere al libro che lo consacra come autore pienamente maturo nell’ambito di questo nuovo campo dell’esperienza umana e che è la Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni) del 1900.

    Intanto Freud durante gli anni che vanno dal 1895 al 1900 ha abbandonato definitivamente per motivi economici la difficile strada della ricerca e dei laboratori universitari, pur mantenendo la libera docenza (che corrisponde alla possibilità di tenere corsi senza stipendio), ha accettato quindi un posto con un ruolo secondario nell’Ospedale generale di Vienna, ed infine si è risolto per la professione privata come medico di malattie nervose. Ha così potuto sposare nel 1896 Martha Bernays, una giovane di famiglia ebraica amburghese, con cui è fidanzato dal 1892 e dal matrimonio con la quale nascono nel giro di dieci anni ben sei figli.

    La strada verso l’inconscio è anche la strada della scoperta della sessualità infantile. L’Interpretazione dei sogni è infatti il libro che, attraverso l’analisi dell’esperienza onirica, pone in luce l’esistenza nella mente umana di una logica del pensare diversa da quella della coscienza vigile e normale e che si presenta come una logica del pensiero concreto e figurale. Ma nello stesso tempo è il libro che evidenzia quanto il darsi di un pensiero inconscio sia legato ad eventi e pulsioni di un mondo infantile, fin dall’inizio della vita animato e attraversato da tensioni sessuali. Del resto proprio per tale apertura sul mondo della sessualità, per il non aver trovato consenso da parte di Breuer su questa causa originariamente sessuale delle malattie nervose, Freud ha lasciato la collaborazione con il collega più anziano e ha stretto una intensa simbiosi intellettuale con Wilhelm Fliess, un medico otorinolaringoiatra di Berlino con il quale Freud avrà un intenso scambio epistolare che dura ininterrottamente dal 1887 al 1904.

    Fliess, con il quale alla fine Freud romperà irriducibilmente, è un uomo la cui cultura attraversa vari campi. È un erudito, con la passione eccentrica per la numerologia: crede infatti a dei cicli bioritmici di 23 e 28 giorni che dovrebbero regolare la vita, rispettivamente, di donne e uomini. Ritiene che il naso sia l’organo fondamentale da cui dipenda la condizione di salute e malattia. Ma soprattutto è l’amico, per non dire la figura paterna, che discute e dà credito alle idee di Sigmund, impegnato in solitaria nei nuovi percorsi delle ipotesi psicoanalitiche. Per altro lo stesso Fliess nei suoi scritti a metà degli anni Novanta tratta della sessualità infantile e introduce, ben prima di quanto farà Freud, il tema della bisessualità umana.

    Nel primo decennio del Novecento Freud approfondisce e consolida i risultati conseguiti con L’interpretazione dei sogni: l’esistenza della costellazione edipica, quale triangolo che ogni essere umano deve attraversare e superare per raggiungere la sua maturità, la natura energetico-pulsionale del corpo umano che vive del contrasto tra pulsioni libidiche e pulsioni di autoconservazione dell’Io, la teoria dei tre stadi della sessualità, i meccanismi patogeni di difesa a muovere dalla rimozione, la scissione della personalità. Pubblica così, tra molti altri scritti, la Psicopatologia della vita quotidiana (1901), i Tre saggi sulla sessualità (1905), Comportamenti ossessivi e pratiche religiose (1907), in cui riduce la fede religiosa a mera nevrosi, e alcune descrizioni di patologie particolari che diverranno i famosi «casi clinici» del piccolo Hans (1909) e dell’uomo dei topi (1909).

    Ormai Freud sta acquisendo sempre più sicurezza nell’addentrarsi nella scoperta del nuovo continente dell’esistenza umana, costituito dall’inconscio e dagli effetti della vita fantasmatica sulle pratiche, i comportamenti, gli affetti degli esseri umani. Rivendica che la psicoanalisi non sia solo indagine e terapia delle patologie della mente: per esser tale è anche – deve essere – una teoria del funzionamento normale e fisiologico della vita della psiche nella sua compresenza al corpo pulsionale e desiderante. Deve essere cioè una filosofia antropologica generale dell’essere umano ed infatti l’opera freudiana sfocia tra il 1915 e il 1917 nella stesura di una Metapsicologia, ossia di un insieme di saggi di definizione complessiva della psiche umana, al di là (come indica il prefisso meta) di riflessioni psicologiche circostanziate e legate a una finalità solo terapeutica e clinica. Ne uscirà il quadro concettuale più rigoroso e completo della cosiddetta «prima topica», cioè il quadro del rapporto mente-corpo a partire dal dualismo tra pulsioni libidiche e pulsioni di autoconservazione dell’Io.

    Per altro Freud non si limita a ciò, perché il suo progetto è quello di estendere la funzione critica della psicoanalisi dall’ambito della mente individuale a quella storica e collettiva. L’antropologia psicoanalitica è ormai in grado d’interpretare, a suo avviso, anche eventi e passaggi fondamentali della storia dell’umanità, fenomeni culturali come l’arte e la religione, movimenti sociali e politici. Di questa espansione culturale della psicoanalisi sono testimonianza testi come Totem e tabú (1912-13), Il Mosè di Michelangelo (1914), Psicologia collettiva e analisi dell’Io (1921).

    Frattanto Freud consolida «il movimento psicoanalitico» – l’insieme dei collaboratori, soprattutto medici, e dei discepoli che hanno progressivamente aderito alla rivoluzione dell’inconscio – da un punto di vista organizzativo e istituzionale.Tra i suoi allevi più fedeli basti ricordare Karl Abraham, Max Eitigon, Sandor Ferenczi, Paul Federn, Ernst Jones, Otto Rank e fino a un certo momento Alfred Adler e Wilhelm Stekel. Nel 1902 è nata, all’inizio in modo informale, la cosidetta Società del mercoledì, formata da un gruppo di giovani medici che si stringono attorno a Freud, il mercoledi sera a Vienna, per apprendere, discutere ed imparare ad esercitare la psicoanalisi. Da questo nucleo iniziale nasce nel 1908 la Società psicoanalitica viennese. Nel 1910 viene fondata l’Associazione psicoanalitica internazionale organizzata secondo sezioni nazionali, che nel giro di pochi anni comprende gruppi aventi sede in Austria, Germania, Ungheria, Svizzera, Gran Bretagna, Olanda, Russia, India e negli Stati Uniti. Dal 1908 viene pubblicata una rivista dedicata ai contributi teorici e clinici di argomento psicoanalitico, lo «Jahrbuch für psychoanalitische und psichopathologische Forschungen», cui si accompagna successivamente la pubblicazione di «Imago», un periodico che si occupa delle applicazioni della psicoanalisi nel campo più vasto delle scienze dello spirito.

    Ma col consolidamento della dottrina freudiana e con il suo prendere corpo in una scuola di adepti e di studiosi non possono mancare di sorgere ben presto divisioni e scissioni, rispetto agli orientamenti teorici di fondo che Freud è venuto assegnando alla scienza della psiche. La più significativa delle separazioni è quella che si consuma tra Freud e Jung, il giovane psichiatra svizzero, non ebreo a differenza di quasi tutti gli altri suoi discepoli, cui Freud pensa a un certo punto come al suo più promettente erede spirituale e che invece si allontana dal maestro, proponendo una concezione dell’energia psichica non limitata alla sessualità e dando luogo a una scuola psicoanalitica di diverso indirizzo e ispirazione.

    Inoltre a segnare profondamente la vita e la riflessione di Freud giunge l’esperienza della prima guerra mondiale con i suoi sterminati massacri e con i gradi più alti raggiunti dalla crudeltà e dell’aggressività umana. Sul piano privato, Freud assiste, tra gli orrori della guerra, alla caduta in prigionia di uno dei due figli sul fronte italiano. Subisce egli stesso, in prima persona, per quanto privilegiato dalla professione e dalla fama raggiunta, le restrizioni nei consumi e il peggioramento nelle condizioni materiali di vita, cui l’Austria, e in particolare la città di Vienna, vanno necessariamente incontro dopo la sconfitta e la caduta dell’Impero austro-ungarico. Nel 1920 muore per un’influenza complicata da una polmonite l’amatissima figlia Sophie, ancora in attesa del terzo figlio. Ma come se non bastasse, nel giugno del 1923 muore per una tubercolosi miliare anche il figlio minore di Sophie, Heinele di quattro anni, adorato dall’intera famiglia dei Freud, e di cui il nonno Sigmund scrive: «Era un bambino incantevole, e per quanto mi riguarda, so di non avere mai amato un essere umano, e sicuramente mai un bambino quanto lui». Infine nel 1923 gli viene diagnosticato un cancro alla mascella e al palato e già in quello stesso anno subisce due interventi operatori.

    Ma questi eventi drammatici della biografia di Freud non bastano a spiegare la profonda rielaborazione della sua teoria, attraverso la quale, con due scritti fondamentali degli anni ’20, Al di là del principio del piacere (1920) e L’Io e l’Es (1923), egli giunge a mettere a tema come fortemente operosa nella vita di ciascun esser umano la presenza di una tendenza originaria all’aggressività e alla distruzione, che Freud chiama pulsione di morte (Todestrieb). Accanto alla potenza pulsionale dell’Eros e della libido sessuale la psiche, ora afferma Freud, è mossa da una forza originaria che spinge, non a creare unioni e legami, bensì a rifiutarli e a distruggerli. E appunto dalla teorizzazione della pulsione di morte prende avvio il passaggio del pensiero di Freud dalla prima alla seconda topica, con una conseguente rielaborazione dell’intera configurazione dell’apparato psichico.

    Ma tale passaggio non si spiega, come si è detto, con le sole vicende personali dell’uomo Freud, come pretenderebbero troppe semplicistiche interpretazioni, pronte a risolvere e a ridurre la complessità della teoria nella biografia e nella psicologia personale. Si spiegano con motivazioni più profonde che risalgono alle componenti di aggressività e di distruttività, la cui presenza già il primo Freud aveva rilevato nell’operare della sessualità e della libido.

    Infine, durante l’ultimo quindicennio della sua vita Freud continua a lavorare su più fronti. I congressi internazionali dell’Associazione psicoanalitica si susseguono regolarmente ogni due anni. Le sue opere vengono tradotte in più lingue. In particolare tra il 1924 e il 1925 esce in lingua inglese una raccolta delle sue opere, in quattro volumi, i Collected Papers. Nell’estate del 1918 è nata una casa editrice viennese, il «Verlag», che si occupa delle pubblicazioni di argomento psicoanalitico la cui supervisione è nelle mani di Freud. Così come s’intensifica la pubblicazione delle riviste psicoanalitiche. Dopo l’esperienza dello «Jahrbuch», sono iniziate le pubblicazioni della rivista in lingua tedesca, la «Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse», nel 1926 esce in Francia la «Revue Française de Psychanalyse», nel 1932 in Italia la «Rivista di Psicoanalisi». Uno dei più fidati discepoli di Freud, Ernest Jones, dà vita in Inghilterra all’«International Journal of Psycho-Analysis». Come ininterrotta è la cura da parte di Freud della propagazione della cultura analitica all’estero: tanto che i suoi settant’anni, nel 1926, vengono ricordati e celebrati, con una citazione sufficientemente esatta della sua attività, su un gran numero di giornali esteri.

    Ma anche per quanto concerne l’attività propriamente teorica Freud continua ad essere impegnato sia nell’ambito della problematica più tipicamente psicoanalitica, qual è quella dell’indagine sui processi e le funzioni intrapsichiche, sia nell’ambito dell’applicazione della psicoanalisi alla scienze dello spirito e della cultura. Pubblica così da un lato Inibizione, sintomo e angoscia (1926), mentre sul fronte della critica del fenomeno religioso e dell’essenza della civilizzazione umana pubblica rispettivamente L’avvenire di un’illusione (1927) e Il disagio della civiltà (1930).

    Così come ancora da un duplice campo d’interesse – uno più volto verso il consolidamento dell’identità concettuale e interiore della disciplina psicoanalitica e l’altro più verso l’esposizione della psicoanalisi riguardo alla storia e agli eventi collettivi – sono le sue due ultime opere: rispettivamente il Compendio di psicoanalisi e il romanzo storico su Mosè e il monoteismo.

    Ma questi due ultimi scritti sono composti nel precipitare, di nuovo tormentato e drammatico, della vita di Freud. Negli ultimi anni ha assistito sgomento alla nascita e allo sviluppo del nazismo hitleriano in Germania, al dilagare dell’antisemitismo e alla successiva nazistificazione dell’Austria. Frattanto il cancro alla mascella si è sempre più aggravato, malgrado le reiterate operazioni e le protesi che ormai invalidano la sua vita. Sollecitato dagli amici e soccorso dall’aiuto internazionale, per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche, va in esilio, più che ottantenne, in Inghilterra, dove trascorre l’ultimo anno della sua vita e muore il 23 settembre 1939.

    Bibliografia consigliata

    D. ANZIEU, L’autoanalisi di Freud e la scoperta della psicoanalisi, 2 voll., Astrolabio, Roma 1976.

    R. BODEI, Le logiche del delirio. Ragione, affetti, follia, Laterza, Roma-Bari 2000.

    V. CAPPELLETTI, Introduzione a Freud, Laterza, Roma-Bari 2000.

    A. CAROTENUTO, Diario di una segreta simmetria. Sabina Spielrein tra Jung e Freud, Astrolabio, Roma 1980.

    M. DE LILLO, Freud e il linguaggio. Dalla neurologia alla psicoanalisi, Pensa Multimedia, Lecce 2005.

    H. F. ELLENBERGER, La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica, 2 voll., Boringhieri, Torino 1996.

    A. B. FERRARI, L’eclissi del corpo. Una ipotesi psicoanalitica, Borla, Roma 1992.

    P. GAY, Freud, Una vita per i nostri tempi, Bompiani, Milano 1988.

    E. JONES, Vita e opere di Freud, 3 voll., Il Saggiatore, Milano 1962.

    W. MCGUIRE (a cura di), Lettere tra Freud e Jung (1906-1913), Boringhieri, Torino 1980.

    P. PETRELLA, Il modello freudiano, in A.A. Semi (a cura di), Trattato di psiconalisi, vol. 1, Raffaello Cortina, Milano 1988-89, pp. 41-146.

    P. RICOEUR, Della interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano 1966.

    F. J. SULLOWAY, Freud, biologo della psiche. Al di là della leggenda psicoanalitica, Feltrinelli, Milano 1982.

    S. VEGETTI FINZI, Storia della psicoanalisi. Autori, opere, teorie 1895-1990, Oscar Mondadori, Milano 1990.

    (A cura di Roberto Finelli)

    Ordine dei saggi contenuti nel presente volume

    Precisazioni sui due princìpi dell’accadere psichico

    Titolo originale: «Formulierungen uber die zwei Prinzipien des psychischen Geschehens». Pubblicato la prima volta in «Jahrbuch fur psychoanalytische und psychopathologische Forschungen», 3, 1911.

    Traduzione di Celso Balducci.

    Introduzione al narcisismo

    Titolo originale: «Zur Einfuhrung des Narzissmus». Pubblicato la prima volta in «Jahrbuch der Psychoanalyse», 6, 1914.

    Traduzione di Aldo Durante.

    Pulsioni e loro vicissitudini

    Titolo originale: «Triebe und Triebschicksale». Pubblicato la prima volta in «Internationale Zeitschrift fur arztliche Psychoanalyse», 3, 1915.

    La rimozione

    Titolo originale: «Die Verdrangung». Pubblicato la prima volta in «Internationale Zeitschrift fur arztliche Psychoanalyse», 3, 1915.

    L’inconscio

    Titolo originale: «Das Unbewusste». Pubblicato la prima volta in «Internationale Zeitschrift fur arztliche Psychoanalyse», 3, 1915.

    Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno

    Titolo originale: «Metapsychologische Erganzung zur Traumlehre». Pubblicato la prima volta in «Internationale Zeitschrift fur arztliche Psychoanalyse», 4, 1917.

    Lutto e melancolia

    Titolo originale: «Trauer Melancholie». Pubblicato la prima volta in «Internationale Zeitschrift fur arztliche Psychoanalyse», 4, 1917.

    Traduzioni di Jean Sanders e Leonardo Breccia.

    Al di là del principio del piacere

    Titolo originale: «Jenseits des Lustprinzips». Pubblicato la prima volta in «Internationaler Psychoanalytischer Verlag», Leipzig, Wien und Zurich, 1920. Traduzione di Aldo Durante.

    La negazione

    Titolo originale: «Die Verneigung». Pubblicato la prima volta in «Irmago», 11, 3, 1925.

    La scissione dell’Io nel processo di difesa

    Titolo originale: «Die Ichspaltung im Abwehrvorgang». Pubblicato la prima volta in «Internationale Zeitschrift fur arztliche Psychoanalyse», 10, 1926.

    Risultati, idee, problemi

    Titolo originale: «Ergebnisse, Ideen, Probleme». Pubblicato la prima volta in «Gesammelte Werke», 1941.

    Progetto di una psicologia

    Titolo originale: «Entwurf einer Psychologie». Pubblicato la prima volta nel volume Aus den Anfangen der Psychoanalise, 1950.

    Traduzioni di Irene Castiglia.

    PRECISAZIONI SUI DUE PRINCIPI

    DELL’ACCADERE PSICHICO

    (1911)

    Abbiamo osservato da molto tempo che il risultato di tutte le nevrosi, e forse quindi il loro scopo, è quello di allontanare forzatamente il malato dalla realtà della vita, di alienarlo da questa realtà. Un fatto del genere non poteva sfuggire all’osservazione di Pierre Janet, il quale accennò a una perdita della «fonction du réel», come ad una caratteristica peculiare dei nevrotici, senza però individuare il rapporto tra questa perturbazione e i determinanti fondamentali della nevrosi¹. Grazie all’introduzione del processo della rimozione nella genesi della nevrosi, noi siamo riusciti a farci una certa idea di questo rapporto. I nevrotici si distaccano dalla realtà perché la trovano insopportabile, nella sua totalità o in parte. Il caso limite di questo allontanamento dalla realtà ci è dato da taluni casi di psicosi allucinatoria che tentano di negare quel particolare avvenimento che ha determinato l’insorgenza della loro follia (Griesinger). In effetti, però, tutti i nevrotici fanno lo stesso con taluni frammenti della realtà². Adesso, dunque, dobbiamo affrontare il problema dello studio dello sviluppo del rapporto dei nevrotici, e dell’umanità in generale, con la realtà, immettendo, in tal modo, il significato psicologico del mondo reale esterno nella struttura delle nostre teorie.

    Nella psicologia fondata sulla psicoanalisi noi abbiamo preso l’abitudine di servirci, come di un punto di partenza, dei processi mentali inconsci, le cui caratteristiche ci sono divenute note attraverso l’analisi. Noi consideriamo tali processi come i più antichi e primari, residui di una fase dell’evoluzione in cui erano l’unico tipo di processo psichico. È facilmente riconoscibile la finalità fondamentale da cui sono governati questi processi primari; essa viene definita principio del piacere-dispiacere o, più brevemente, principio del piacere. Questi processi lottano per il raggiungimento del piacere; l’attività psichica si ritrae da ogni evento che possa provocare dispiacere. (In questo caso abbiamo la rimozione.) I nostri sogni notturni e la nostra tendenza nella veglia a sottrarci alle impressioni angosciose sono i residui del predominio di questo principio e la prova della sua forza.

    Allorché io suggerisco che lo stato di quiete psichica fu perturbato originariamente dalle perentorie richieste di esigenze interiori, non faccio che ritornare su sviluppi del mio pensiero da me già trattati altrove³. Quando ciò avveniva, tutto quello che era pensato — o desiderato — era semplicemente presentato in forma allucinatoria, proprio come accade tuttora nei pensieri dei nostri sogni di ogni notte⁴. Fu soltanto il fatto che l’attesa soddisfazione non si realizzava, e che quindi veniva provata una delusione, a portare all’abbandono di questo tentativo di soddisfazione attraverso l’allucinazione. In luogo di essa, l’apparato psichico dovette risolversi a formarsi un concetto della situazione reale del mondo circostante e a sforzarsi di provocare un’effettiva modificazione di questa. In tal modo nell’attività psichica venne a formarsi un nuovo principio: alla mente non si presentava più ciò che era piacevole bensì ciò che era reale, anche nel caso che fosse spiacevole⁵. L’instaurarsi di questo principio della realtà risultò essere un progresso di grande importanza.

    1. Innanzi tutto, le nuove esigenze resero necessaria una serie di adattamenti dell’apparato psichico, che poi potremo trattare solo molto superficialmente, a causa dell’incertezza e incompletezza delle nostre conoscenze.

    L’accresciuta significatività della realtà esterna aumentò anche l’importanza degli organi di senso rivolti verso il mondo esterno e della coscienza ad essi collegata. La coscienza adesso imparò a comprendere le qualità sensoriali oltre alle qualità del piacere e del dispiacere, che sole avevano finora avuto interesse per essa. Si istituì in tal modo una funzione specifica, che aveva il compito di esplorare periodicamente il mondo esterno affinché i dati provenienti da esso fossero già ben conosciuti nel caso che insorgesse una necessità interiore urgente — la funzione dell'attenzione, la cui attività sta nell’andare incontro alle impressioni sensoriali sul loro percorso in luogo di attenderne la comparsa spontanea. Nello stesso tempo si sviluppò probabilmente un sistema di notazioni, il cui scopo era quello di registrare i risultati di questa attività periodica della coscienza; è una parte di ciò che chiamiamo memoria.

    Il posto della rimozione, che sottraeva la carica psichica a talune idee che emergevano, in quanto produttrici di dispiacere, fu preso da una capacità di giudicare imparzialmente, che doveva decidere se una data idea fosse vera o falsa — cioè se concordasse o meno con la realtà — essendo tale decisione presa in seguito a un confronto con le tracce mnemoniche lasciate dalla realtà.

    Allora alla scarica motoria fu affidata una nuova funzione. La scarica motoria, sotto il predominio del principio del piacere, rappresentava un mezzo per sgravare l’apparato psichico dall’accumulo di stimoli, ciò che veniva ottenuto inviando efferenze nervose all’interno dell’organismo — le quali determinavano movimenti espressivi e il vario gioco della mimica oltre alla manifestazione delle emozioni. Adesso invece la scarica motoria era impiegata per provocare un’adeguata modificazione della realtà; si era convertita in azione.

    In conseguenza dell’azione si rese allora necessario un imbrigliamento della scarica motoria, realizzato attraverso il processo del pensiero sviluppatosi in seguito alla presentazione delle idee. Il pensiero fu dotato di caratteristiche tali per cui, grazie ad esso, l’apparato psichico era in grado di sopportare un accrescimento della tensione dello stimolo mentre il processo di scarica veniva dilazionato. Essenzialmente si trattava di un genere di azione a carattere sperimentale, comportante lo spostamento di una quantità di carica psichica relativamente modesta, quindi con un dispendio (scarica) ridotto. A tal fine si rese necessaria la conversione di cariche psichiche liberamente spostabili in cariche psichiche «legate», il che fu realizzato mediante l’innalzamento di livello dell’intero processo legato alla carica psichica. Probabilmente l’atto del pensare originariamente era inconscio, in quanto travalicava le semplici presentazioni di idee ed era diretto verso i rapporti tra le impressioni degli oggetti, e probabilmente non si arricchì di ulteriori qualità, percepibili dalla coscienza, se non quando entrò in collegamento con i residui verbali.

    2. Una tendenza generale del nostro apparato psichico, che può essere ricondotta al principio economico di risparmiare il dispendio energetico, sembra trovare espressione nella tenacia con la quale ci attacchiamo alle sorgenti di piacere a nostra disposizione e nella difficoltà con cui rinunciamo ad esse. Dopo l’introduzione del principio della realtà, l’attività del pensare venne scissa e una parte di questa fu esonerata dalla funzione di controllare la realtà, rimanendo subordinata soltanto al principio del piacere⁶. Tale attività è rappresentata dalla fantasticherìa, già presente nei giochi infantili, la quale, più tardi, continuando nel sogno a occhi aperti, si svincola dalla dipendenza dagli oggetti reali.

    3. La sostituzione del principio del piacere da parte del principio della realtà, con tutte le conseguenze di ordine fisico che comporta e che qui è stata sintetizzata schematicamente in una sola frase, non avviene affatto improvvisamente e nemmeno si svolge simultaneamente su tutta la linea. Infatti, mentre questa evoluzione sta interessando gli istinti dell’io, gli istinti sessuali vengono a separarsi da questi in modo molto significativo. Dapprima gli istinti sessuali si comportano autoeroticamente: essi trovano il proprio appagamento nel corpo stesso del soggetto e quindi non vengono a trovarsi in quello stato di frustrazione che ha reso necessario l’instaurarsi del principio della realtà; e quando, più tardi, si inizia il processo della ricerca dell’oggetto, questo viene ben presto interrotto da un lungo periodo di latenza che rimanda fino alla pubertà lo sviluppo sessuale. Il risultato di questi due fattori — autoerotismo e periodo di latenza — è che l’istinto sessuale viene ostacolato nella sua evoluzione psichica e rimane ben più a lungo sotto il dominio del principio del piacere, dal quale, in molti individui, non è mai capace di svincolarsi.

    Come conseguenza di tali condizioni, viene a stabilirsi, da un lato, un più stretto legame tra istinto sessuale e fantasia, e, dall’altro, tra istinti dell’io e attività della coscienza. Tale rapporto, nei soggetti normali così come in quelli nevrotici, ci colpisce per la sua notevole strettezza, ancorché le considerazioni di psicologia genetica, testé esposte, ci inducano a considerarlo come secondario. Il preesistere dell’autoerotismo è ciò che rende possibile il mantenimento per un periodo tanto lungo della soddisfazione più facile, transitoria ed immaginaria, in rapporto all’oggetto sessuale, al posto della soddisfazione reale, che impone sforzi e dilazioni. Nel regno della fantasia la rimozione rimane onnipotente; provoca l’inibizione delle idee in statu nascendi, prima che siano riconosciute dalla coscienza, nel caso che la loro carica psichica abbia la possibilità di scatenare uno stato di dispiacere. Questo è il punto debole della nostra organizzazione psichica e può essere impiegato per riportare i processi di pensiero che erano già divenuti razionali. Dunque una parte essenziale della disposizione psichica alla nevrosi risiede in un ritardo nell’educazione dell’istinto sessuale a tenere la realtà nel debito conto e, quale corollario, nelle condizioni che rendono possibile tale ritardo.

    4. Come l’io del piacere altro non può se non desiderare, lavorare alla produzione di piacere ed evitare il dispiacere, così l’io della realtà non può far altro che sforzarsi verso ciò che è utile e difendersi dal danno⁷. Effettivamente la sostituzione del principio della realtà al principio del piacere non comporta la destituzione del principio del piacere ma solo la sua difesa. Si rinuncia a un piacere momentaneo, dal risultato incerto, soltanto per assicurarsi, secondo una nuova via, un piacere certo in un tempo successivo. Però l’impressione endopsichica provocata da questa sostituzione è stata talmente potente da essere riflessa in un particolare mito religioso. La dottrina della ricompensa, nella vita futura, per la rinuncia, volontaria o forzata, ai piaceri mondani, altro non è che la proiezione mitica di questa rivoluzione della mente. Seguendo con congruenza questa linea di pensiero, le religioni sono riuscite a ottenere la rinuncia totale ai piaceri di questa vita mediante la promessa di un compenso in un’esistenza futura, ma, con questo, non sono riuscite a conseguire il superamento del principio del piacere. È la scienza che si avvicina maggiormente a questo superamento. Ma anche la scienza offre un piacere intellettuale durante il lavoro e promette un vantaggio pratico alla fine.

    5. L'educazione può essere considerata più propriamente come un incitamento al superamento del principio del piacere sostituendolo col principio della realtà; infatti essa cerca di aiutare i processi evolutivi che favoriscono l’io. A tal fine essa si avvale di una offerta di amore quale ricompensa da parte degli educatori e quindi fallisce se un bambino viziato crede di possedere questo amore in ogni caso e di non poterlo perdere qualunque cosa accada.

    6. L’arte porta a una riconciliazione tra i due principi in modo particolare. L’artista originariamente è un uomo che si stacca dalla realtà perché non può adattarsi a rinunciare alla soddisfazione dell’istinto, come la realtà esige, e che consente piena libertà di azione ai suoi desideri erotici e ambiziosi nel mondo della fantasia. Egli, però, ritrova la via del ritorno da questo mondo di fantasia alla realtà avvalendosi del particolare dono di plasmare le sue fantasie in verità di una specie nuova, apprezzate dagli uomini quali preziosi riflessi della realtà. Pertanto egli, in certo qual modo, diventa l’eroe, il re, il creatore o il favorito che desiderava essere, senza dover seguire la lunga e tortuosa via consistente nel produrre modificazioni reali del mondo esterno. Ma egli può arrivare a tanto solo perché altri uomini provano la stessa insoddisfazione che egli prova di fronte alla rinuncia voluta dalla realtà, e perché tale insoddisfazione, che scaturisce dalla sostituzione del principio del piacere col principio della realtà, è essa stessa parte della realtà⁸.

    7. Mentre l’io va incontro alla trasformazione da Io di piacere a Io della realtà, gli istinti sessuali subiscono quei mutamenti che li portano dall’autoerotismo originario, attraverso varie fasi intermedie, fino all’amore per un oggetto secondo il fine della procreazione. Se siamo nel giusto ritenendo che ciascuna fase di queste due linee evolutive può diventare sede di una disposizione a una successiva affezione nevrotica, è ammissibile presumere che la forma presa dalla successiva malattia (la scelta della nevrosi) dipenderà dalla particolare fase di sviluppo dell’ego e della libido in cui si è manifestata l’inibizione di sviluppo che porta alla disposizione. Quindi alle caratteristiche cronologiche dei due sviluppi — che non sono state ancora studiate — e alle possibili variazioni della loro sincronizzazione, si ricollega un significato del tutto inatteso.

    8. La più strana caratteristica dei processi inconsci (rimossi), alla quale nessun ricercatore può abituarsi senza l’esercizio di una grande autodisciplina, è dovuta al loro totale disinteresse per la prova della realtà; essi identificano la realtà del pensiero con la prova della realtà; essi identificano la realtà del pensiero con la realtà esterna e identificano i desideri con la loro soddisfazione, conseguente all’evento, così come accade automaticamente sotto il dominio dell’antico principio del piacere. Da qui la difficoltà di distinguere le fantasie inconsce da memorie diventate inconsce. Non bisogna però lasciarsi mai trarre in inganno e applicare i principi della realtà alle strutture psichiche rimosse e, partendo da questo principio, sottovalutare l’importanza delle fantasie nella formazione dei sintomi basandosi sul fatto che non si tratta di elementi della realtà, o riportare un senso nevrotico di colpa a qualche causa diversa perché non vi sono prove che sia stato commesso alcun delitto reale. Siamo tenuti a valerci della moneta corrente nel paese che si esplora, nel nostro caso una moneta nevrotica. Supponiamo, per esempio, di cercare di risolvere un sogno come questo. Un uomo, che un tempo aveva assistito il padre durante una lunga, dolorosa malattia mortale, mi disse che nei mesi successivi alla morte del padre aveva sognato più volte che suo padre era di nuovo in vita e conversava con lui al solito modo. Però si sentiva immensamente addolorato che il padre fosse in realtà morto, soltanto senza saperlo. Il solo modo per comprendere questo sogno, apparentemente privo di senso, sta nell’aggiungere «come il sognatore desiderava» o «secondo il suo desiderio» dopo le parole «che il padre fosse in realtà morto», e, aggiungendo, inoltre, alle ultime parole «che lo desiderava». Allora il senso del sogno diventa il seguente: per lui era un doloroso ricordo l’essere stato costretto a desiderare la morte del padre (come un sollievo) mentre questi era ancora in vita, e come sarebbe stato tremendo se suo padre ne avesse avuto il sospetto! Ci troviamo dunque di fronte al caso,

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