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I killer di massa
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E-book806 pagine8 ore

I killer di massa

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Info su questo ebook

Dalle stragi di Charles Manson al massacro di Columbine. Dagli omicidi in famiglia di Erika e Omar a Pietro Maso.

Gli assassini sono tutti uguali? Ai nostri occhi, forse. Ma la criminologia moderna li suddivide in categorie molto precise, tenendo in considerazione le motivazioni, le modalità di azione e lo scopo del delitto. Questo libro, frutto di anni di studi e ricerche, affronta un tema tristemente diffuso nei notiziari: gli omicidi di massa. Sparatorie nelle scuole, omicidi-suicidi in famiglia e massacri nei centri commerciali sono infatti episodi che ricorrono, purtroppo, nella nostra quotidianità, ma non sono nuovi nella storia: il primo caso di sparatoria di massa classificato risale addirittura al 1853, nello Stato del Kentucky. Si tratta di un fenomeno che non conosce neppure limitazioni geografiche, perché si registrano casi in tutto il mondo. Chi sono dunque i killer di massa? Cosa hanno in comune? E in cosa si differenziano dai terroristi o dagli assassini seriali? Dal massacro della Columbine High School a quello di Uvalde, passando per le stragi che hanno segnato la cronaca di casa nostra (Erika e Omar, Pietro Maso, Mario Calderone, solo per citarne alcuni): un saggio completo sulle stragi di massa, che studia alcune delle pagine più nere della storia criminale.

Sparatorie nelle scuole, massacri nei centri commerciali o stragi in famiglia: chi sono i killer di massa?

Tra i casi citati:

• Pietro Maso: l’omicidio di entrambi i genitori
• Erika e Omar: il massacro di Novi Ligure
• Charles Manson e le bestie di Satana
• La sparatoria alla prima di Batman in un cinema di Aurora
• La strage nella scuola elementare di Uvalde
• L’eccidio di massa alla Columbine High School
Vincenzo Maria Mastronardi
è psichiatra, psicoterapeuta e criminologo clinico, già direttore della cattedra di Psicopatologia forense presso La Sapienza Università di Roma. È direttore dell’Istituto Internazionale di Scienze Criminologiche e Psicopatologico-forensi. Docente di Psicologia del Crimine (Università degli Studi internazionali di Roma - UNINT), dirige due master di Criminalistica e di Criminologia, il primo alla UNINT e l’altro alla Università Humanitas - San Raffaele. Ha fondato altri quattro master di Criminologia sia in Italia che in Sud America. Tra le sue 270 pubblicazioni e 33 libri ricordiamo Le strategie della comunicazione umana, Filmtherapy, Dizionario Italiano del crimine e, per la Newton Compton, Madri che uccidono (con Matteo Villanova), Sette Sataniche, I serial killer (con Ruben De Luca) e I killer di massa (con Monica Calderaro).
Monica Calderaro
è criminologa e grafologa e insegna presso l’università La Sapienza di Roma. Ha pubblicato vari articoli su riviste specializzate di criminologia e psicopatologia forense e ha collaborato a diversi libri sugli stessi argomenti. Con la Newton Compton ha pubblicato, con Vincenzo Maria Mastronardi, I killer di massa.
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2022
ISBN9788822771643
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    Anteprima del libro

    I killer di massa - Monica Calderaro

    Introduzione

    La presente monografia è unica nel suo genere: mai era stata fatta una panoramica enciclopedica mondiale sugli assassini di massa classici e familiari. Quest’opera è sorta grazie agli stimoli nati dalle diverse collaborazioni internazionali che ho potuto avviare nel corso degli anni: tra le altre, quella con lo psichiatra George B. Palermo, docente di Psichiatria presso il dipartimento di Psichiatria e medicina comportamentale della facoltà di Medicina del Wisconsin, e quella con il professor Gregory Vecchi dell’Università di Las Vegas, profiler e già supervisor e docente degli agenti speciali dell’

    FBI

    , esperto in tecniche di negoziazione e profiling. E ancora, gli incontri con Robert Roy Hazelwood, profiler membro della facoltà dell’Accademia dell’

    FBI

    e della Scuola

    CID

    della polizia militare dell’esercito americano; con Richard N. Kocsis, psicologo forense; e con Charles Napier, già agente speciale e docente dell’Accademia dell’

    FBI

    di Quantico. Tra gli altri docenti con cui l’interazione non si è mai interrotta, vi sono poi alcuni autori sudamericani, tra i quali Luis Maria De Simoni, già rettore della Policía Federal Argentina.

    La confusione sempre esistita tra i termini serial killer, classic mass murderer, family mass murderer, spree killer e mass-spree killer ha reso difficoltosa la comprensione delle succitate e più giuste classificazioni. Le distorte interpretazioni delle singole fenomenologie omicidiarie hanno peraltro condizionato finanche la distinzione tra mass murderer e terroristi. Il volume, pertanto, si prefigge lo scopo di finalmente delineare ogni singola categoria, e mi preme comunicare al lettore che nel momento stesso in cui il libro va in stampa, il fenomeno dei mass murderer, che, ribadiamo, nulla ha a che fare con quello dei terroristi – in quanto in questi ultimi prevale una ferma reazione politica, ideologica e/o religiosa – è ancora purtroppo in piena evoluzione. È quindi mia ferma speranza che questo libro finalmente colmi la lacuna da noi molto spesso registrata tra i nostri allievi sulle differenze tra serial killer, mass murderer, spree killer e terroristi.

    Tra le centinaia di casi esaminati, abbiamo riportato in questo libro soltanto quelli che si sono rivelati di particolare significato e degni di rilievo, sia dal punto di vista psicodinamico sia criminodinamico. Un plauso va poi ai nostri allievi tirocinanti, che con la loro tenacia sono riusciti a individuare le singole storie e i relativi riferimenti bibliografici e sitografici e di emeroteca, verificati con controlli incrociati tra più fonti bibliografiche internazionali, molto spesso difficilissime da rintracciare; pertanto, ringraziamo per la pazienza e per la pregevole collaborazione in ordine di capitoli:

    - Monica De Vincentis per il contributo relativo alla etologia e alla mitologia;

    - Chiara Del Medico per il contributo relativo al territorio italiano e le statistiche italiane sugli omicidi in famiglia;

    - Danna Natalia Hernandez Hurtadoper il contributo relativo al Centro e Sud America;

    - Chiara Falconi e Francesca Pattaro per il contributo relativo a Nord America, Canada e resto del mondo.

    Augurandovi buona lettura,

    Vincenzo Mastronardi

    Chi sono i mass murderer? Differenze con i serial killer, gli spree killer e gli spree-mass killer: tipologie, classificazioni e analisi comportamentale

    Come affermato in altri miei lavori, per esempio nel Profilo criminologico scritto con George Palermo e nel mio Dizionario italiano del crimine, l’omicida di massa (mass murderer), o l’omicida di massa suicida (mass murderer suicide), ci ricordano i kamikaze e gli assassini della setta degli Hashashin. I gesti criminosi compiuti da questi soggetti sono espressione di una manifestazione improvvisa, subitanea e impulsiva di furia distruttiva, che si presenta di quando in quando nella nostra società e che di certo porta a disastrose e ineluttabili conseguenze. Gli omicidi di massa sono caratterizzati da rabbia, ostilità e frustrazione a volte incontenibili. (Anticipiamo subito che, secondo tutti gli autori che se ne sono occupati, questi assassini nulla hanno a che fare con i terroristi, come si dirà più avanti).

    Riscontrando simili avvenimenti, ci viene da pensare che probabilmente c’è una relazione tra lo stato della nostra società e alcune di queste stragi.

    La società appare insoddisfatta del proprio modo di vivere, e i rapporti interpersonali che la compongono spesso sono superficiali, in un clima di cultura relativistica in cui l’individualismo estremo vive gomito a gomito con situazioni di dipendenza sociale. La tecnologia ha inondato il nostro vivere quotidiano, e ha espulso dal canale lavorativo un grande numero di persone, che sono divenute più insicure e deluse del modo in cui la società si proietta verso il futuro (Palermo, 1994).

    In una società come quella americana, i diritti garantiti dalla Costituzione a ogni individuo spesso permettono delle libertà eccessive come, per esempio, il facile acquisto di armi da fuoco.

    L’omicidio di massa può anche essere indicato come strage del furioso, nome che si rifà al cosiddetto berserk (870-1030 d.C.), un guerriero nordico di inaudita ferocia, che occasionalmente si infuriava e che, insensibile al dolore e dimostrando una forza quasi soprannaturale, completamente fuori di sé, distruggeva la pace della comunità vichinga (Macdonald, 1961). Alcuni hanno pensato che il berserk fosse sotto l’effetto dell’amanita muscaria, un fungo che può indurre un comportamento aggressivo e/o distruttivo. In ogni caso, il comportamento del berserk ha una certa somiglianza con quello dei membri della setta degli Hashashin, assassini dell’antico Egitto che usavano hashish (Malizia, 1981; Grinspoon, 1994). Nella nostra cultura, troviamo un esempio di questo tipo di guerriero in Sansone e nella famosa frase «Cada Sansone con tutti i Filistei».

    Assassini multipli

    Gli assassini multipli (multiple killer) sono coloro che commettono o cercano di commettere almeno due omicidi. Fino al 1979 erano definiti in questa maniera tutti gli assassini che commettevano diversi delitti, indistintamente dalla tipologia vittimologica ed esecutiva del crimine. L’

    FBI

    (Federal Bureau of Investigation) nel 1979, appunto, classificò i soggetti responsabili di omicidio multiplo in base alle circostanze vittimologiche e alle modalità esecutive in tre gruppi: serial killer, spree killer e mass murderer.

    Il serial killer (o assassino seriale) per l’

    FBI

    era caratterizzato fino a qualche anno fa dall’esecuzione di delitti plurimi (tre o più vittime) con caratteristiche di mostruosità, intervallati da segmenti temporali più o meno lunghi; questo intervallo viene indicato e suddiviso da Norris (1988) in sette fasi (vedi oltre). Oggi tutti gli studiosi,

    FBI

    compresa, sostengono che nel caso il killer venga arrestato prima del terzo delitto, o se altre eventualità imponderabili gli impediscono di compierlo, siano sufficienti due omicidi, in luoghi differenti e con un intervallo emotivo a separarli, per giustificare l’appellativo di serial killer. Necessariamente, il soggetto deve entrare nell’ambito di una ciclica coazione a ripetere dell’atto omicidiario, senza riuscire più a smettere fino a che non venga fermato o lo stesso cessi di vivere, per un incidente o, spesso, suicida in seguito alla frammentazione del proprio Io.

    Lo spree killer (o assassino compulsivo) è l’autore di due o più delitti in tempi e luoghi diversi, ma consecutivi, come se obbedisse a un solo progetto logico. Questi crimini hanno un’unica causa concatenante. Di solito lo spree killer non conosce le sue vittime e, dato che non nasconde le sue tracce, spesso lascia dietro di sé una lunga scia di sangue, perciò viene catturato facilmente. Gli spree killer uccidono a caso e non si preoccupano di essere scoperti, poiché non hanno visione del proprio futuro. Un buon esempio è mostrato nel film Un giorno di ordinaria follia, interpretato da Michael Douglas, dove il protagonista, un uomo con dei problemi psicologici, cerca di tornare a casa in tempo per la festa di compleanno della figlia: dopo un diverbio con un automobilista, inizia a compiere delitti lungo tutto il suo percorso, fino a trovare la morte per mano di un poliziotto.

    Si tratta di una categoria controversa, difatti da alcuni studiosi, come Newton, non sono classificati come tipologia a sé stante, ma come un sottogruppo, un particolare caso di serial killer. Effettivamente potrebbero essere presi in considerazione come dei serial killer senza, o con un minimo, intervallo emotivo tra un delitto e il seguente. Ciononostante, la differenza sostanziale tra il serial e lo spree è che il primo vuole perpetrare i suoi gesti nel tempo, all’infinito, facendo attenzione a non lasciare tracce o comunque a non essere catturato. Ha una visione del futuro, e vuole ripetere ciò che lo ha gratificato in una sorta di orgasmo omicidiario, godendoselo al meglio. Questo avviene nella fase detta totemica, in cui, come nel caso di Jeffrey Dahmer, conservano parti del corpo della loro vittima come se fossero cimeli. Lo spree killer non ha queste intenzioni, egli ammazza senza prospettiva alcuna per il suo futuro, come se il mondo o il suo tempo finissero in quel giorno. Egli non avverte l’esigenza di fuggire, di nascondere ciò che ha fatto o di non farsi catturare.

    Definizione di mass murderer e differenziazione tra family e classic mass murderer

    Il mass murderer (assassino di massa) uccide o tenta di uccidere diverse persone, contestualmente e nello stesso luogo. Il soggetto non conosce le sue vittime, che per lo più sono scelte casualmente. Le ultime ricerche e studi svolti in tale ambito sostengono che l’uccisione contestuale di tre soggetti comporti già di per sé la classificazione di mass murderer (Mastronardi e Palermo, 1998-2000-2021), mentre per il Federal Bureau ne sono necessari almeno quattro, difatti coloro che uccidono fino a due vittime sono chiamati double killer, mentre in presenza di tre vittime sono definiti triple killer (Crime Classification Manual, 1992). Le esperienze delle centinaia di casi da noi studiati ci fanno propendere per il seguente assunto: «È capitato che in quella stanza e in quel momento ci fossero solo due persone, se ce ne fossero state tre o quattro più il cane, avrebbe ammazzato tutti, incluso il cane», come nel caso di Doretta Graneris negli anni Settanta.

    La miscela esplosiva è in definitiva composta da bassa soglia di tolleranza agli stress, depressione e un narcisismo particolarmente accentuato. Possiamo ben comprendere che se non ci fosse il narcisismo ma solo la depressione con la bassa soglia di tolleranza allo stress, tutto ciò non si realizzerebbe; è l’interazione delle tre componenti che deve allarmarci, così come, provvidenzialmente, succede nell’attività di prevenzione secondaria e terziaria con l’ormai noto codice rosso, specie nei casi di allarme crescente in tema di processi di affidamento dei minori, in cui si assiste a cicli di violenza con enorme aggressività fisica e/o sessuale e/o emozionale e/o economica, a cui segue in modo ciclico il pentimento, con la fase della luna di miele, finché poi non si ripresenta la spirale di violenza.

    Bisogna tener presente che i mass murderer, per essere considerati tali, non devono necessariamente riuscire a uccidere, è sufficiente la volontarietà del gesto, quindi si prendono in considerazione anche i tentati omicidi che presentino il trittico esplosivo di cui sopra.

    In concreto, questo criminale compie una strage, o almeno la tenta. In questo massacro dovrebbero essere coinvolte almeno quattro persone (ma secondo le moderne teorie ne basterebbero appunto meno di quattro). Per convenzione, sono escluse le stragi di tipo terroristico, mafioso o di guerra, poiché determinate azioni sono dettate da motivi estrinseci e non da motivazioni intrinseche dello stragista, tipicamente non razionali. Quindi, ogni qual volta questi eccidi hanno una motivazione riscontrabile nel reale – il che non li rende certo giustificabili – e non solo nella psiche del soggetto, non sono riconosciuti come stragi effettuate da mass murderer. Paradossalmente, una strage in guerra compiuta per fini personali, cioè con motivazioni insite nell’esecutore e non per scopi bellici, comporterebbe la classificazione come azione di un mass killer. Spiegandoci meglio: la strage sul lungomare di Nizza, compiuta con un pullman da un uomo apparentemente mosso da motivi religiosi, potrebbe a pieno titolo rientrare nella definizione di mass murder, in quanto il criminale era rimasto senza lavoro ed era stato lasciato dalla moglie. Praticamente, un terrorista fai da te, una persona che scimmiotta il terrorismo. Il ragionamento alla base del gesto è: Perché mai dovrei compiere una strage, come quella che sento di dover fare, a causa delle mie esperienze di vita che mi hanno profondamente deluso e distrutto? E perché poi dovrei uccidermi, per fare un gesto eclatante attraverso il quale far capire al mondo ciò che ho subito? Se invece mi immolo ad Allah, potrò avere le settantadue vergini che mi aspettano nell’aldilà, nonché enormi vantaggi per i miei familiari che sopravviveranno.

    Questi sono i casi di terrorismo fai da te che furono particolarmente studiati nel progetto

    MATES

    ¹ del 2015-2016, di cui sono stato project coordinator. Lo studio, che ha interessato la

    CEPOL

    (European Union Agency for Law Enforcement Training, o Accademia europea di polizia), fu dedicato all’analisi dei giovani terroristi arrestati, i quali in certi casi erano solo pseudoterroristi, mass murderer che si convincevano di essere terroristi, molto più sensibili alla razionalizzazione e alla comprensione reale del proprio gesto, ben diversamente dai terroristi ideologicamente votati al convinto fanatismo religioso combattivo.

    Le distinzioni principali dei mass murderer sono due:

    1. classic mass murderer o omicida di massa classico: è colui dirige la propria aggressività omicidiaria all’esterno, verso persone a lui sconosciute ma individuate in quel momento come soggetti facenti parte di un’istituzione da colpire: la società. Di solito è colui il quale, entrando in un locale affollato o in un ufficio pubblico, improvvisamente inizia a uccidere, senza un motivo apparente, in genere sparando all’impazzata a un gran numero di persone ritenute nemiche, convinto di aver subìto torti da parte della società. Egli sceglie le vittime identificandole come simboli della collettività da punire, e questi sono estranei alle problematiche personali del soggetto. Al momento di sferrare l’attacco, si equipaggia con il maggior numero di mezzi letali possibili e va avanti nell’opera di distruzione senza fermarsi, a viso scoperto. Non è assolutamente interessato al contatto fisico come lo è invece il classico serial killer, difatti usa preferibilmente armi da fuoco (per lo più grossi fucili, fucili mitragliatori o fucili d’assalto, pratici, maneggevoli, potenti e precisi) e pensa solamente a mietere più vittime possibili. Alla fine della strage, spesso si toglie la vita o è ucciso dalle forze dell’ordine. Degno di particolare attenzione, dalla visione di alcuni filmati girati dagli stessi mass murderer in nostro possesso e dalle ultime dichiarazioni degli stessi, è che molto spesso questi assassini non sanno se ammazzeranno solo sé stessi oppure solo gli altri, oppure ancora prima gli altri e poi sé stessi (vedi per esempio la trascrizione del caso Dion Terres di Kenosha, Wisconsin,

    USA

    ).

    Il classic mass murderer è di solito un paranoico o uno schizofrenico paranoide. All’interno del Crime Classification Manual (1992) gli assassini di massa sono inclusi nella categoria degli Authority killing, categoria 124, che indica chi esegue un omicidio a scopo di rivendicazione verso le autorità. Frequentemente, infatti, il mass murderer sceglie, come vittime sacrificali per la sua vendetta, persone in qualche modo legate all’autorità quale che sia, simbolica o reale (anche se in realtà questo vale per il classic mass murderer ma non per il family mass murderer, il quale non desidera compiere una strage di persone a lui sconosciute a mo’ di capri espiatori oggetti di una propria rivendicazione sociale come invece nel caso del classic mass murder).

    2. Family mass murderer o omicida di massa familiare: si tratta di assassini di massa che rivolgono la loro furia verso la propria famiglia, di solito sterminandola. Molte volte l’omicidio di massa familiare si allarga, coinvolgendo nel ruolo di vittime anche altri parenti, semplici conoscenti, vicini di casa o anche altri sconosciuti che in quel momento si trovano sul luogo della strage (per esempio passanti ignari). In genere l’autore dell’eccidio si toglie la vita, ed è per questo che tale tipologia omicidiaria può assumere il nome di suicidio di massa/familiare o suicidio allargato alla famiglia o mass murder/suicide. In questi casi, la persona in questione ha premeditatamente deciso di togliersi la vita, ma sceglie di farlo in modo clamoroso, coinvolgendo altre persone a lui care che non può abbandonare in questo mondo crudele, in questa valle di lacrime. I family mass murderer nel Crime Classification Manual sono inseriti nell’ambito dei Domestic homicide, categoria 122, ossia omicidi domestici, suddivisi in Spontaneus domestic homicide (122.01) – quando l’omicidio non è programmato e si sviluppa spontaneamente all’interno di eventi familiari – e in Staged domestic homicide (122.02) quando l’omicidio è premeditato e prevede una lucida pianificazione.

    Tra le cause principali di tali eventi sono da annoverare innanzitutto determinate malattie mentali, soprattutto la depressione maggiore, e comportamenti paranoici (sindromi persecutorie). Non di rado, però, le stragi familiari sono reati passionali o impulsivi, per lo più occasionali, maturati nell’ambito di difficoltà relazionali all’interno della famiglia. Ribadiamo, in questa sede, l’importanza del codice rosso in Italia.

    In base alle modalità con cui viene compiuto il gesto, un’ulteriore distinzione viene effettuata per indicare i tipi (Mastronardi-Palermo, 2021):

    mass murderer familiare, spesso è anche suicida;

    mass murderer kamikaze, che si suicida contestualmente alla strage, utilizzando sé stesso come arma per compierla;

    mass murderer pseudo-kamikaze, il quale colpisce senza coinvolgere sé stesso, per esempio fuggendo dopo aver lanciato una bomba. A titolo esemplificativo, citiamo l’episodio avvenuto in Arabia Saudita, quando 200 marine americani sono stati uccisi da un’autovettura imbottita di esplosivi; o la carica esplosiva che, nel 1993, distrusse parte del World Trade Center di New York, con 6 morti e 1000 feriti; o ancora, nel 1995, la bomba che distrusse completamente il Federal Building in Oklahoma City, causando 78 morti e 400 feriti. Si escluse trattarsi di atto terroristico in tutti e tre i casi.

    Nel profilo di Lane e Gregg, successivamente ampliato da Mastronardi e Palermo (2021), risulta il seguente identikit del mass murderer:

    • quasi sempre è di razza bianca;

    • età media superiore ai venticinque anni;

    • conduce una vita solitaria;

    • ha avuto un’infanzia infelice;

    • dimostra diffidenza e incapacità relazionale;

    • necessita di apparire macho;

    • ha una passione per le arti marziali, il body building, le attività paramilitari e le armi da fuoco;

    • crea un personale capro espiatorio a livello fantastico;

    • spesso è affetto da una vera e propria malattia mentale (schizofrenia paranoide, oppure psicosi allucinatoria di tipo uditivo con deliri di grandezza o di persecuzione, distorte idee religiose, o semplice comportamento sospettoso, ostile e aggressivo);

    • se non è affetto da malattia mentale, spesso compaiono palesi disturbi di personalità di tipo paranoicale, in cui si alternano euforia e fasi di depressione. Quest’ultima, peraltro, rappresenta la zona a rischio di ruminazione mentale del crimine, in occasione di eventi stressanti quali per esempio disastri finanziari, lutti penalizzanti, litigi familiari, provvedimenti disciplinari, licenziamenti, ma anche festività come il Natale o la Pasqua.

    Pur avendo delle caratteristiche socio-anagrafiche in comune con i serial killer, come la razza (generalmente bianca) e l’età (di solito si tratta di soggetti dai diciannove ai quarantacinque anni), i mass murderer, dalle ricerche statunitensi, nelle due categorie di classic e family, presentano delle differenze con le altre categorie di aggressori per quanto riguarda le modalità, i tempi di azione e la tipologia delle vittime scelte.

    Innanzitutto, in linea di massima, i mass murderer si differenziano dagli assassini seriali per il fatto di essere dei criminali impulsivi, che non si preoccupano di non lasciare tracce che possano permettere di individuarli; peraltro alcuni, come già detto, non temono di poter essere catturati o uccisi (addirittura si suicidano nello stesso luogo in cui hanno commesso la strage), e generalmente commettono le stragi in luoghi pubblici (tranne nel caso dei family mass murderer, le cui vittime sono membri della propria famiglia), a evidenziare la forte connotazione di rivendicazione sociale e politica del loro gesto. Inoltre, per quanto riguarda il numero di azioni omicidiarie e l’intervallo tra l’una e l’altra, una differenza sostanziale risiede nel fatto che, ovviamente, l’atto aggressivo dei mass murderer è un’offesa criminale non ripetibile e limitata a una specifica località (anche se i mass murderer pseudo-kamikaze possono colpire più volte, ripetutamente e in luoghi differenti). Spesso la loro azione, se pianificata in precedenza, non prevede un piano di fuga, poiché contempla il proprio suicidio o il cosiddetto suicidio per procura, cioè il favorire, con un atteggiamento particolare, la propria uccisione da parte degli agenti di polizia. Ancora, i serial killer tendono generalmente ad avere un contatto fisico con la propria vittima e a ricercarne la vicinanza, e per tali motivi l’uso di armi da fuoco per l’esecuzione dei loro delitti è poco frequente; al contrario, i mass murderer non necessitano di nessun tipo di contatto con le loro vittime, che sono solo bersagli (capri espiatori) da colpire, e il loro interesse è quello di mieterne il più possibile. Ciò chiaramente non riguarda i family mass murderer, nel caso dei quali la scelta dell’arma da utilizzare per la strage può essere, con uguale probabilità, un’arma da fuoco o altri mezzi (arma bianca, strangolamento, annegamento…), che in questo ultimo caso sottendono un contatto fisico con la vittima, a testimonianza della forte rabbia e passionalità dell’aggressore nel commettere il gesto.

    Per quanto riguarda la vittimologia, gli omicidi in famiglia si possono distinguere in:

    matricidio: l’uccisione della propria madre;

    patricidio: uccisione del proprio padre. De Leo e Bollea (1987) menzionando a loro volta Cicerone (De Domo 26), distinguono «il parricidio ossia l’uccisione del padre e della madre e/o ascendenti in genere, dal patricidio che è specificamente l’uccisione del padre o degli ascendenti paterni»;

    uxoricidio: l’uccisione di un coniuge/convivente o di un ex coniuge/ex convivente da parte del/della partner;

    infanticidio (il termine è utilizzato da molti autori di lingua inglese): l’uccisione di un figlio in tenera età (infante) da parte di uno o di entrambi i genitori. Secondo più autori invece sarebbe opportuno distinguere:

    ◦ il neonaticidio, se il delitto è commesso in prossimità della nascita;

    ◦ il lattanticidio, se l’uccisione avviene nel momento in cui già il piccolo inizia ad essere allattato. La differenza, come sostenuto da Ponti e Gallina Fiorentini (1988 ²) è fondamentale, poiché «le situazioni psicologiche, psicopatologiche e socio-ambientali relative all’autore o alle circostanze del fatto delittuoso si configurano in genere molto differenti se si tratta dell’uccisione di un figlio appena nato, rispetto a quando invece il delitto è commesso nei confronti di un figlio piccolo ma che ha vissuto più a lungo» ³;

    figlicidio: l’uccisione di un figlio (non neonato, non lattante, quindi non infante) da parte di uno o di entrambi i genitori;

    fratricidio: l’uccisione di un fratello o di una sorella, sia di primo grado sia acquisiti con secondo matrimonio di uno o entrambi i genitori;

    genitoricidio: l’uccisione di entrambi i genitori;

    parenticidio o famiglicidio: l’uccisione di più di un soggetto al quale si è uniti da un vincolo di parentela.

    Per alcuni autori, il family mass murderer si definisce tale nel momento in cui le vittime coinvolte sono almeno tre membri della sua famiglia.

    Altri autori invece, tra i quali Mastronardi e Palermo, sostengono che per essere considerato tale ai fini investigativi sia sufficiente che il soggetto si accanisca verso almeno due membri della propria famiglia o affini a essa, in quanto, come già precedentemente accennato, non è il numero di persone occasionalmente presenti nell’atto della strage, bensì le peculiari modalità psicodinamiche, a sottendere l’atto. In realtà, un soggetto che fa scempio del proprio gruppo familiare di tre persone, avrebbe fatto altrettanto se il gruppo fosse stato di quattro o cinque membri, e pertanto può essere a tutti gli effetti definito family mass murderer. Infatti, non è il numero delle vittime ma l’intento del killer di voler fare una strage, e quindi le sue motivazioni più profonde, che dovrebbero essere prese in considerazione nel definire il killer come un mass murderer (Palermo, 2004). A scanso di equivoci, Mastronardi specifica che, nei casi in cui invece l’atto coinvolge le due sole persone di vittima e aggressore, le cause non si riconducono a quelle del classic o del family mass murderer, ma si tratta bensì di un esempio di omicidio classico, ormai già ben codificato.

    La motivazione più comune che sta alla base degli omicidi di massa sembra essere un senso di rabbia e vendetta, sociale o politica (in realtà spesso pseudopolitica), a esclusione degli atti agiti dai family mass murderer, il cui comportamento può essere mosso da motivazioni altruistiche (un esempio è il padre che uccide l’intera famiglia allo scopo di evitare loro future sofferenze). Il comportamento dei mass murderer è motivato da svariati fattori di natura psicologica, economica, sociale e politica, che spesso si intrecciano tra loro, creando nel soggetto la sensazione di essere sandwicizzato (termine tradotto dall’inglese sandwiched) tra il Super-io sociale e il proprio Io, e la loro violenza potrebbe quindi essere l’espressione di una ribellione esplosiva conseguente all’avvertita oppressione della propria individualità. Il comportamento aggressivo sarebbe manifestazione quindi di quegli «impulsi umani [che] si esprimono nonostante i comandamenti della propria coscienza e i dettami ideali della cultura» (Freud, 1961, p. 68), a testimonianza di quella che Freud ha definito «aggressività istintuale» (1961, p. 68).

    A volte, l’individuo che commette questi atti delittuosi attraversa periodi di ruminazione ossessiva prima di compierli; questo potrebbe far pensare che le loro azioni siano premeditate e non impulsive. Sembra comunque che il luogo del delitto non sia né premeditato né prestabilito. Questo tipo di killer è generalmente un esperto di armi da fuoco, pistole, fucili e mitragliette semiautomatiche, e spesso ne possiede un gran numero.

    Il mass murderer a volte appare agli altri triste, antagonista, un ribelle frustrato e violento nel suo comportamento; a volte è già stato in cura psichiatrica o psicoterapeutica. Altre volte invece viene descritto come una persona del tutto normale. Questi killer possono aver fatto uso di alcol o droghe durante la loro vita e anche, a volte, poco prima del fatto delittuoso.

    Spesso queste persone si suicidano sul luogo della strage pochi minuti dopo, o altre volte qualche ora più tardi, ma altrove. Nelle loro note di addio, se ne lasciano, esprimono la loro profonda frustrazione esistenziale, i maltrattamenti veri o immaginari ricevuti sul posto di lavoro o a casa, il loro sentirsi discriminati oppure il risentimento verso l’autorità, parte di un sistema sociale che aspramente contestano.

    In aggiunta ai singolari casi di cui sopra, vanno menzionati i tristi casi di omicidi-suicidi altruistici di persone anziane e i casi di omicidi-suicidi da gelosia paranoide.

    I primi rispecchiano soprattutto l’incapacità di un individuo di sopportare la sofferenza fisica o emotiva di una persona cara, e quindi la calma determinazione con cui meditano di porvi fine.

    I secondi sono invece il risultato delle passioni intensamente coinvolgenti di chi si sente respinto, frustrato e disperato nei suoi rapporti più significativi. Questi omicidi possono essere il risultato sia di un atto impulsivo sia di un ponderato programma di azione.

    Nelle teorizzazioni di Klein (1935), Mahler (1972) e Bowlby (1988) la violenza da gelosia paranoide viene spiegata come l’espressione di inconsci sentimenti di ambivalenza simbiotica irrisolta verso la madre da parte del killer, e di ambivalenza rimossa verso il partner, considerato un’estensione del Sé.

    Tali manifestazioni di violenza interpersonale gettano luce sulla complessità dei rapporti umani, spesso una miscela di odio e amore a livello inconscio e di reazioni disperate in situazioni emotive insostenibili. Questa violenza, in ultima analisi, può essere sia l’espressione di una reazione personale a sensazioni di rifiuto intensamente sofferti, sia l’espressione di un inconscio rifiuto della vita stessa e l’aspirazione alla libertà e all’onnipotenza.

    Mentre vi è un generale accordo sul fatto che alla base della violenza che caratterizza le stragi vi sia un’ostilità distruttiva, nella circostanza di omicidio altruistico e/o di omicidio-suicidio tale ostilità manca, dal momento che l’azione è percepita dall’autore come benefica e compassionevole.

    Psicodinamica e classificazioni

    La psicodinamica dei casi considerati dimostra quindi che la maggior parte degli aggressori è caratterizzata da un soggetto narcisista con desideri di affermazione, spesso con la presenza del complesso del Superuomo già descritto da Nietzsche. Secondo Dietz (1986), l’assassino di massa è alla ricerca di affermazione, quantunque questa sia tipica anche del killer seriale; difatti, gli omicidi di massa fanno notizia.

    In realtà, si tratta di una ricerca di affermazione del proprio narcisismo, indipendentemente dal successivo suo stesso decesso.

    Stati depressivi manifesti o mascherati con spunti paranoicali sono frequentemente presenti. A volte gli omicidi rappresentano lo spostamento della propria ostilità dai genitori alla società. Questi killer, uccidendosi subito dopo il gesto sconsiderato, dimostrano un rifiuto verso il mondo intero, e contemporaneamente ammettono la propria colpevolezza: giudice di sé stesso, il soggetto si punisce togliendosi la vita.

    Non è da trascurare la sindrome dell’uomo infuriato, o sindrome del berserk, già descritta in precedenza, che, nella nostra società, appare sempre più frequente. È stato teorizzato che il mass murderer, oltre a essere vittima dei propri conflitti interiori, può anche essere influenzato dalla violenza dei mass media e da quella presente nel convulso vivere quotidiano. Lo stress di vita, la disoccupazione, i travagli familiari e a volte i risentimenti profondi, non solo adolescenziali ma anche dell’età adulta, contribuiscono a far emergere questi improvvisi comportamenti distruttivi diretti contro il sistema sociale. Il soggetto, spesso in preda a sentimenti paranoicali, si sente rifiutato dalla società, incapace di reagire in modo autonomo, oppresso da una situazione emotiva e sociale ritenuta fallimentare, e tutto ciò costituisce una vera e propria spinta verso una irrefrenabile vendetta (Hickey, 1991). Ma per l’uomo comune e la società egli è un folle, e non già un individuo che reagisce a ingiustizie sociali.

    Questo tipo di azione criminale rispecchia le concezioni della natura umana proposte da Freud, ovvero una natura caratterizzata da una profonda ostilità, di cui il soggetto cerca di liberarsi uccidendo i suoi stessi simili, specialmente se crede che gli altri lo umilino o siano causa della sua sofferenza.

    L’omicidio di massa si può manifestare in modo imprevedibile e spesso inconcepibile secondo il buon senso comune, come quando ha come obiettivo bambini inermi che giocano nel cortile di una scuola. Analizzando tale caratteristica, Girard (1979) sostiene che un individuo violento, incapace di canalizzare la propria «furia aggressiva» soltanto verso ciò che ne è causa diretta, cerca di trovare una vittima vicaria su cui scaricare la propria ostilità, scegliendo chi è più vulnerabile oppure a lui vicino. Inoltre, allo stesso tempo, il distruggere gli altri e sé stesso rappresenta un irragionevole modo di affermare, seppure per pochi attimi, la propria autonomia decisionale.

    I gesti di questi criminali sono espressione della loro psicopatologia e dell’incapacità di trovare un adeguato inserimento nella società in cui vivono. Spesso la loro storia personale è infatti connotata da frustrazioni o inadeguatezze profonde in ambito affettivo, scolastico e/o lavorativo. Nelle relative notizie di cronaca che li riguardano, si legge frequentemente che si sentivano rifiutati in famiglia o nella società, in preda a irritabilità, depressione e comportamenti violenti. Ci si può quindi ragionevolmente chiedere, nell’ottica di una interpretazione psicoanalitica, se questo loro sentirsi socialmente inadeguati e insignificanti, che conduce alla reazione aggressiva e distruttiva, è ciò che in definitiva sta alla base di un atto sacrificale compiuto nella ricerca di una propria identità, nel tentativo di affermare la propria autonomia.

    Per quanto riguarda i family mass murderer, una proposta di classificazione psicodinamica, che tiene conto del movente, può essere la seguente: patologici propriamente detti, strumentali ed ereditari.

    Tra i patologici propriamente detti troviamo:

    depressi, che soffrono di disturbi depressivi, di solito di depressione maggiore dell’Asse

    I

    ; uccidono quando la loro depressione raggiunge livelli esasperati, in cui vedono tutto grigio, e decidono di portare con sé i propri familiari, per non abbandonarli nel mondo che percepiscono come crudele.

    Comunemente, il soggetto depresso tendente al suicidio si fa forza perché sente di avere delle responsabilità verso i propri familiari; può talora capitare che arrivi a un punto in cui sente che non c’è più nulla da fare, che non c’è alcuna via di scampo, vedendo tutto attraverso una patina grigia che ottenebra la sua mente. Naturalmente c’è un evento scatenante, la classica goccia che fa traboccare il vaso, che può essere una separazione o anche un accenno a essa, la scoperta di una malattia più o meno grave, l’ennesimo richiamo sul posto di lavoro eccetera; allora, la molla scatta e permette al soggetto l’acting out etero e autolesivo. Il depresso decide di portare con sé i familiari poiché pensa che non sarebbe giusto abbandonarli in quella valle di lacrime, di non volerli lasciare soli, che essi senza la persona che sceglie la via del suicidio non potrebbero vivere, non vuole condannarli a una vita grama, difficile e crudele. A volte i figli vengono uccisi perché sono sentiti come una parte di sé stessi. All’interno di malattie depressive sono comunemente presenti deliri di colpa e indegnità. Una madre depressa nel corso del disturbo affettivo può uccidere i bambini, oppure il marito può uccidere moglie e figli, e il suicidio può seguire immediatamente dopo o successivamente (Higgins, 1990).

    «Va detto che il sacrificio di sé appare assai spesso la soluzione migliore per individui che, mossi dall’ardente desiderio di amare, hanno però perduto la capacità di farlo e, nel sacrificio della propria esistenza», e di coloro che gli sono vicino, «vedono un’esperienza d’amore portato al grado estremo» (Fromm, 1976) una salvezza;

    bugiardi patologici, con palesi disturbi di personalità e talvolta con la comparsa di nuclei psicotici; uccidono per coprire le proprie bugie, perché gli altri (le loro vittime) possono far crollare quel mondo immaginario, sia pur infantileggiante, che loro stessi hanno creato a propria protezione (esempio: Sono già al quinto anno di università e sto per laurearmi); uccidono per impedire che gli altri, molto spesso i genitori, vengano a conoscenza della verità di fatti che essi giudicano fortemente deludenti per i parenti. L’evento scatenante spesso è l’imminente dimostrazione che devono dare sulle loro dichiarazioni, per esempio l’essere in procinto di discutere la tesi di laurea quando invece devono ancora dare moltissimi esami. Ai loro occhi tutto ciò appare insuperabile, temono di dar loro un enorme dispiacere, di deluderli immensamente, così decidono che l’unica via da seguire è quella dell’omicidio, e che tale via sia la meno dolorosa (vedi Aral Gabriele);

    affetti da disturbi mentali ben specifici, di cui parleremo oltre ma spesso caratterizzati soltanto da un disturbo paranoide di personalità, oppure schizofrenia; uccidono per bisogno fantasmatico, perché la ritengono l’unica soluzione al male avvertito come eterno.

    Negli strumentali rientrano:

    libertari, che ricercano la libertà dall’oppressione genitoriale;

    tossicomani, che uccidono generalmente in crisi di astinenza se si vedono negati i soldi necessari per la dose quotidiana (Crisi di appetizione drogastica);

    ereditieri, che uccidono per ottenere un guadagno economico, anche se spesso trattasi di una somma non eccessiva o di un qualche bene di comodità (una macchina, una casa…).

    Nei passionali rientrano:

    gelosi, che uccidono per gelosia, relativamente a un fatto realmente accaduto o soltanto immaginato (paranoicismo, o paranoici), poiché vivono la famiglia come una res propria, un proprio oggetto, di loro possesso e di cui possono disporre vita e morte;

    vendicativi/persecutori, che uccidono per vendicarsi di un affronto realmente subìto o soltanto immaginato.

    Quest’ultima tipologia di soggetti non accetta la fine del rapporto, l’abbandono da parte del partner (di solito sono uomini che vengono abbandonai dalle loro compagne). Si trasformano in persecutori, con una definizione più accurata in stalker. Come dice Robert I. Simon (1996) costoro appartengono alla categoria del «persecutore dipendente, sensibile al rifiuto». In genere il persecutore dipendente sensibile al rifiuto è una persona estremamente vulnerabile di fronte a un rifiuto, e nello stesso tempo estremamente dipendente dall’uomo o dalla donna con cui ha un rapporto d’amore. Questo innamorato respinto spia la persona che l’ha rifiutato/lasciato, e cerca di entrare in contatto con lei bombardandola di telefonate, lettere, doni, visite. Si arriva fino a un vero e proprio terrorismo psicologico, con la preda che ha il terrore di uscire di casa o trema al solo squillo del telefono. Vengono attuate anche tattiche più pesanti, come le minacce esplicite, la distruzione di oggetti di proprietà della vittima, l’abbandono di cartucce d’arma da fuoco sul finestrino dell’auto e l’uccisione dei suoi animali domestici, fino ad arrivare alle percosse e, purtroppo, all’evento stragista.

    Molti uomini che appartengono a questa categoria nascondono il proprio senso di dipendenza dietro un’immagine ultramaschile, da macho, e sono cronicamente aggressivi nei confronti delle donne. Cercano di coprire la loro paura più profonda, quella che la donna li lasci per un altro, dicendo: Se non posso averla io, non l’avrà nessun altro. In questa categoria sono presenti soprattutto uomini abbandonati dalle mogli, stanche del loro comportamento esagerato e allo stesso tempo inconcludente. Il soggetto attua una pianificazione ben accurata, difatti spesso è un cultore di armi, e uccide non solo l’oggetto del proprio amore, ma anche tutti coloro che gli sono intorno. Così si è comportato fino all’ultimo atto A.M., un quarantenne di Chieri, in provincia di Torino, ex guardia giurata e patito di armi, quando una mattina di ottobre del 2002 si è appostato, armato fino ai denti, davanti all’abitazione della sua ex moglie. Ha atteso che la figlia salisse sullo scuolabus prima di aprire il fuoco e uccidere l’ex moglie che lo rifiutava, la madre e il fratello di lei, nonché la di lui moglie, due vicini di casa che hanno assistito all’evento e un’impiegata del cognato. Poi, alla fine di tutto, si è tolto la vita. La pianificazione era stata meticolosa: si era appostato per giorni nei pressi dell’abitazione dell’ex moglie all’interno di un camper noleggiato, si era ripreso in video durante la preparazione, aveva scritto una lettera di addio alla figlia dove le chiedeva scusa e allo stesso tempo le diceva che in futuro avrebbe capito, aveva scritto persino un memorandum sui comportamenti che avrebbe dovuto tenere durante la strage.

    Gli appunti sono divisi in sei passaggi: il primo è di quattro righe:

    Camper vicino a pino. Prima su obiettivo con camminata decisa, ma calma. Camper attesa su sgabello.

    Bere poco antivomito. Pastiglia per antipanico. Piumino abbottonato senza zip. Mettere

    T

    -shirt sotto piumino.

    Il secondo è di tre righe:

    Mettere cappello… (e parola incomprensibile).

    Appena obiettivo ti guarda spara. Importante.

    Appena esce dalle scale scendi dal camper e aspetta dietro cinta Maurizio.

    Il terzo, di sei righe:

    Quando lei gira angolo affrettati senza correre.

    Passata soglia cancello carrabile chiuderne un’altra.

    Sparare a tutto nel raggio di 25 metri.

    Se osserva, creargli panico, ma non più di due doppiette.

    Primaria importanza scovare obiettivi.

    Fermo sulle gambe quando spari.

    Il quarto è di tre righe:

    Se è vicino gettare a terra per colpire meglio.

    Quando riordini idee o arrivo sirena non fuga all’esterno,

    ma penetrare da finestra in casa.

    Il quinto è di quattro righe:

    Tecnica tiro:

    GP

    21 la più veloce per esterni,

    GT

    21

    S

    buona a lunga distanza, laser tarato a 25 metri per esterni.

    Falcon in posizione, colpo in canna in via. Falcon buono col laser accanto tiro celere più stabile Falcon tarato a 15 metri laser. Falcon a breve distanza.

    Il sesto di una sola riga:

    P

    21 in posizione colpo in canna con cane armato. Fondina chiusa.

    Il passaggio intitolato Munizioni per festa contiene solo le sigle delle pistole e il tipo di caricatori da usare, tutto contrassegnato con una serie di numeri forse riferibili al tipo di proiettili che lui stesso si costruiva:

    GT

    21

    S

    caricatore rosso, nero. Falcon corto raggio: 3 mix caricatore. II

    P

    21 di riserva: caricatore giallo

    II

    ; caricatore giallo

    IV

    ; caricatore nero

    IV

    ; caricatore nero

    V

    .

    («la Repubblica», 16 ottobre 2002)

    litigiosi, che uccidono in preda a un raptus in un’ennesima lite familiare, esplosa per i più svariati motivi.

    Non essendo questa una categoria pura, a seconda della ragione per cui la lite sfocia in strage le si possono sovrapporre altre categorie. Per esempio, nel caso in cui la richiesta di denaro per l’acquisto di droga sfoci nella strage, ci si trova di fronte alla doppia terminologia di tossicodipendenti/litigiosi, e lo stesso vale se la discussione è partita dal movente di gelosia o altri. Si possono includere in questa classe di delitti anche quelle stragi avvenute sotto l’effetto di alcol, ma si escludono, come nella categoria dei tossicodipendenti, coloro che hanno assunto l’alcol di proposito per commettere la strage. Emblematico il caso di Pietro Volontè, l’uomo accusato di aver ucciso a coltellate in un litigio la moglie Patrizia Duregon e la figlia Giulia di nove anni la sera del 24 novembre 2001 ad Abbiate Guazzane, una frazione di Tradate, in provincia di Varese. Il 20 gennaio 2004, in rito abbreviato, è stato condannato in primo grado a sei anni e due mesi di reclusione per l’omicidio volontario della consorte. Volontè è stato assolto per non aver commesso il fatto rispetto all’accusa nei riguardi della bimba e gli sono state riconosciute le attenuanti generiche.

    Tra le attenuanti c’è quella della provocazione da parte della moglie, che avrebbe dato il via al litigio fatale, mentre per la morte della figlia, accoltellata dopo essersi intromessa nello scontro in un secondo momento per dividere i genitori (entrambi armati di coltello), non ci sarebbero prove di colpevolezza. La pena inflitta in primo grado risulta dunque inferiore ai nove anni e mezzo richiesti dal

    PM

    Francesco Paganini, che aveva chiesto la condanna di Volontè per l’omicidio della moglie e l’assoluzione per l’omicidio della bimba «per totale infermità di mente» (articolo tratto da www.tgcom.it del 21 gennaio 2004).

    I patologici propriamente detti sono quindi coloro che, affetti da disturbi di personalità (per esempio, disturbo paranoide di personalità) o da patologie psichiatriche gravi quali la depressione maggiore, la schizofrenia, stati paranoici e turbe varie, commettono la strage e la intendono come unica soluzione ai loro mali, allo stato di continuo malessere e alle loro problematiche. Tuttavia, possono essere presenti anche patologie organiche quali tumori frontali, patologie demielinizzanti (per esempio, sclerosi a placche) o epilessia. L’azione ha una certa premeditazione, anche se non è pianificata al dettaglio, e al termine di tutto generalmente i soggetti si tolgono la vita, o comunque si lasciano docilmente arrestare. A volte, negano l’eccidio anche di fronte all’evidenza dei fatti. Rimandiamo tale argomento per una visione onnicomprensiva al termine di questo stesso capitolo, lì dove affrontiamo il vizio totale o parziale di mente.

    Gli strumentali commettono invece la strage al fine di ricavarne vantaggi concreti. Essi necessitano di una realizzazione di bisogni materiali, quali appropriarsi anzitempo dell’eredità, usufruire di beni (per esempio, anche la semplice autovettura) che al momento gli sono proibiti, o liberarsi dal controllo asfissiante dei genitori. Questi family mass murderer di solito premeditano la strage e tentano di depistare le indagini, al fine di poter sfruttare il più a lungo possibile il bene strumentale per il quale hanno ucciso. Per lo stesso motivo, non si costituiscono e quasi mai si suicidano, soprattutto se sono adolescenti. Quando vengono catturati tendono a dichiararsi innocenti, almeno nei primi momenti, per poi crollare e raccontare lucidamente l’accaduto senza far trasparire la benché minima emozione. In questa categoria l’età media è molto bassa, ed è possibile dire che solitamente si tratta di family mass murderer adolescenti o tardoadolescenti, ma che comunque vivono ancora all’interno della famiglia di origine e che sono dalla stessa ancora controllati.

    Nella terza categoria, quella dei passionali, sono presenti tutti i soggetti che di solito commettono la strage in cause circostanziali. Essi si muovono in preda a raptus passionale, con notevole trasporto emotivo nella commissione dell’atto. Di solito non premeditano la strage, e se non rivolgono successivamente la propria furia verso sé stessi si costituiscono, o comunque si lasciano catturare senza opporre resistenza. Ciononostante, può accadere che, in circostanze altamente emotive, possano opporre una seria resistenza all’arresto, e allora per essere fermati devono essere uccisi. In

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