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L'interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità e Introduzione alla psicoanalisi
L'interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità e Introduzione alla psicoanalisi
L'interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità e Introduzione alla psicoanalisi
E-book1.750 pagine31 ore

L'interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità e Introduzione alla psicoanalisi

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Edizioni integrali

Sono qui raccolti tre saggi fondamentali di quella vera e propria rivoluzione del pensiero che fu la psicoanalisi. Grazie a L’interpretazione dei sogni (pubblicata nel 1900) il misterioso territorio dell’inconscio cessava di essere un regno fumoso e indefinito da indagare senza bussola, per acquistare una geografia e una toponomastica ben precisi; il sogno diventava un labirinto di simboli da esplorare per illuminare gli angoli bui della coscienza. Nascevano i concetti di Super-io ed Es, insieme alle definizioni di rimosso, di nevrosi e psicosi, che oggi sono di pubblico dominio e sono usati e abusati quotidianamente. I Tre saggi sulla sessualità (1905) raggruppano un primo importante nucleo di ragionamenti sulle pulsioni sessuali, gli istinti, le trasformazioni della libido in infanzia e in adolescenza, le devianze, che tanta importanza hanno nell’articolata teoria psicoanalitica. Nell’Introduzione alla psicoanalisi, infine, è la viva voce di Freud stesso, in un ciclo di lezioni tenute a Vienna dal 1915 al 1917 (poi ampliato nel 1932), a offrire la più ampia e completa presentazione della psicoanalisi.


Sigmund Freud

padre della psicoanalisi, nacque a Freiberg, in Moravia, nel 1856. Autore di opere di capitale importanza (tra le quali citeremo soltanto L’interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità, Totem e tabù, Psicopatologia della vita quotidiana, Al di là del principio del piacere), insegnò all’università di Vienna dal 1920 fino al 1938, quando fu costretto dai nazisti ad abbandonare l’Austria. Morì l’anno seguente a Londra, dove si era rifugiato insieme con la famiglia. Di Freud la Newton Compton ha pubblicato molti saggi in volumi singoli, la raccolta Opere 1886/1921 e L’interpretazione dei sogni - Tre saggi sulla sessualità - Introduzione alla psicoanalisi.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854140332
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    Anteprima del libro

    L'interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità e Introduzione alla psicoanalisi - Sigmund Freud

    366

    Traduzioni di Delia Agozzino, Leonardo Breccia, Irene Castiglia,

    Antonella Ravazzolo e Jean Sanders

    Prima edizione ebook: maggio 2012

    © 2011 Newton Compton Editori

    ISBN 978-88-541-4033-2

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Sigmund Freud

    L’interpretazione dei sogni

    Tre saggi sulla sessualità

    Introduzione alla psicoanalisi

    Edizioni integrali

    Newton Compton editori

    Indice

    Nota biobibliografica

    L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI

    Premessa

    TRE SAGGI SULLA SESSUALITÀ

    Premessa

    INTRODUZIONE ALLA PSICOANALISI. TUTTE LE LEZIONI

    Quale Freud? Premessa di Paolo Vinci

    Elenco delle opere di Sigmund Freud

    Nota biobibliografica

    Sigmund Freud nasce il 6 maggio 1856 nella cittadina morava di Freiberg, allora territorio dell’Impero austro-ungarico, dal terzo matrimonio del padre, Jakob, un modesto commerciante di lane ebreo nella zona di confine tra la Galizia russa e l’Austria, con Amalia Nathanson. Quando il piccolo Sigmund (sulla Bibbia di famiglia il padre gli ha attribuito i nomi Sigismund Schlomo) ha quattro anni, la famiglia si trasferisce a Vienna, dove il fondatore della psicoanalisi vivrà fino al 1938 e che lascerà solo per trascorrere l’ultimo anno della sua vita, da esule, a Londra. Nel 1873 il giovane Freud, dopo essere stato per sette anni consecutivi il miglior studente del suo Ginnasio (lo Sperlgymnasium), si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Vienna e viene accolto, per le sue doti di intelligenza e perseveranza nella ricerca, prima nel laboratorio di zoologia di Carl Claus (recandosi per due periodi di studio nella stazione sperimentale di biologia marina a Trieste) e poi nel laboratorio di fisiologia di Ernst Brücke, dove comincia ad approfondire l’istologia e la fisiologia del sistema nervoso, animale ed umano.

    Si laurea nel 1881 e nella stessa Facoltà di Medicina, grazie alle sue ricerche e alle sue pubblicazioni in campo istologico e neuropatologico, diventa nel 1885 Privatdozent, libero docente, in clinica delle malattie nervose. Di particolare significato durante quegli anni, anche per la storia successiva della nascita e dello sviluppo della psicoanalisi, è un saggio d’impostazione ancora neurologica, L’interpretazione delle afasie, che Freud dedica alle patologie del linguaggio. Subito dopo la laurea usufruisce di una borsa di studio di quattro mesi da trascorrere a Parigi per un periodo di studio presso Jean M. Charcot, il celebre medico francese esperto in psicopatologia, che aveva dato dignità scientifica alle patologie isteriche, sottraendole all’ipotesi che fossero solo recite e simulazioni. Ma già a partire da alcuni anni Freud collabora con Joseph Breuer, un medico che si occupa di malattie nervose, anch’egli di origine ebraica e con una posizione di rilievo nella comunità medica viennese.

    Attraverso Breuer Freud entra in contatto con il caso di Anna O., la giovane donna i cui gravissimi sintomi isterici vengono curati, per la prima volta, attraverso il recupero alla memoria di eventi psichici traumatici che sono stati rimossi dalla coscienza. La pratica della cura e della remissione dei sintomi non è affidata a somministrazione di farmaci o a interventi di elettroterapia sul corpo ma alla parola, alla possibilità cioè di recuperare, sotto ipnosi, alla narrazione del paziente quanto ha dovuto rimuovere e dimenticare. Si comincia così a prefigurare la specificità e l’originalità, rispetto alle terapie chimico-farmacologiche della medicina ufficiale e tradizionale, della terapia psicoanalitica quale talking cure: ossia quale terapia che si basa, appunto, solo sulla parola.

    Così è dalla consapevolezza che il malato isterico soffre, non per lesioni o patologie organiche, bensì di «reminescenze», di ricordi non elaborati, che muove l’avventura della psicoanalisi e di quella scoperta dell’«inconscio», che Freud comincia ad approfondire in termini di teoria e di pratica clinica durante gli ultimi anni dell’800, fino a giungere al libro che lo consacra come autore pienamente maturo nell’ambito di questo nuovo campo dell’esperienza umana e che è la Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni) del 1900.

    Intanto Freud durante gli anni che vanno dal 1895 al 1900 ha abbandonato definitivamente per motivi economici la difficile strada della ricerca e dei laboratori universitari, pur mantenendo la libera docenza (che corrisponde alla possibilità di tenere corsi senza stipendio), ha accettato quindi un posto con un ruolo secondario nell’Ospedale generale di Vienna, ed infine si è risolto per la professione privata come medico di malattie nervose. Ha così potuto sposare nel 1896 Martha Bernays, una giovane di famiglia ebraica amburghese, con cui è fidanzato dal 1892 e dal matrimonio con la quale nascono nel giro di dieci anni ben sei figli.

    La strada verso l’inconscio è anche la strada della scoperta della sessualità infantile. L’Interpretazione dei sogni è infatti il libro che, attraverso l’analisi dell’esperienza onirica, pone in luce l’esistenza nella mente umana di una logica del pensare diversa da quella della coscienza vigile e normale e che si presenta come una logica del pensiero concreto e figurale. Ma nello stesso tempo è il libro che evidenzia quanto il darsi di un pensiero inconscio sia legato ad eventi e pulsioni di un mondo infantile, fin dall’inizio della vita animato e attraversato da tensioni sessuali. Del resto proprio per tale apertura sul mondo della sessualità, per il non aver trovato consenso da parte di Breuer su questa causa originariamente sessuale delle malattie nervose, Freud ha lasciato la collaborazione con il collega più anziano e ha stretto una intensa simbiosi intellettuale con Wilhelm Fliess, un medico otorinolaringoiatra di Berlino con il quale Freud avrà un intenso scambio epistolare che dura ininterrottamente dal 1887 al 1904.

    Fliess, con il quale alla fine Freud romperà irriducibilmente, è un uomo la cui cultura attraversa vari campi. È un erudito, con la passione eccentrica per la numerologia: crede infatti a dei cicli bioritmici di 23 e 28 giorni che dovrebbero regolare la vita, rispettivamente, di donne e uomini. Ritiene che il naso sia l’organo fondamentale da cui dipenda la condizione di salute e malattia. Ma soprattutto è l’amico, per non dire la figura paterna, che discute e dà credito alle idee di Sigmund, impegnato in solitaria nei nuovi percorsi delle ipotesi psicoanalitiche. Per altro lo stesso Fliess nei suoi scritti a metà degli anni Novanta tratta della sessualità infantile e introduce, ben prima di quanto farà Freud, il tema della bisessualità umana.

    Nel primo decennio del Novecento Freud approfondisce e consolida i risultati conseguiti con L’interpretazione dei sogni: l’esistenza della costellazione edipica, quale triangolo che ogni essere umano deve attraversare e superare per raggiungere la sua maturità, la natura energetico-pulsionale del corpo umano che vive del contrasto tra pulsioni libidiche e pulsioni di autoconservazione dell’Io, la teoria dei tre stadi della sessualità, i meccanismi patogeni di difesa a muovere dalla rimozione, la scissione della personalità. Pubblica così, tra molti altri scritti, la Psicopatologia della vita quotidiana (1901), i Tre saggi sulla sessualità (1905), Comportamenti ossessivi e pratiche religiose (1907), in cui riduce la fede religiosa a mera nevrosi, e alcune descrizioni di patologie particolari che diverranno i famosi «casi clinici» del piccolo Hans (1909) e dell’uomo dei topi (1909).

    Ormai Freud sta acquisendo sempre più sicurezza nell’addentrarsi nella scoperta del nuovo continente dell’esistenza umana, costituito dall’inconscio e dagli effetti della vita fantasmatica sulle pratiche, i comportamenti, gli affetti degli esseri umani. Rivendica che la psicoanalisi non sia solo indagine e terapia delle patologie della mente: per esser tale è anche – deve essere – una teoria del funzionamento normale e fisiologico della vita della psiche nella sua compresenza al corpo pulsionale e desiderante. Deve essere cioè una filosofia antropologica generale dell’essere umano ed infatti l’opera freudiana sfocia tra il 1915 e il 1917 nella stesura di una Metapsicologia, ossia di un insieme di saggi di definizione complessiva della psiche umana, al di là (come indica il prefisso meta) di riflessioni psicologiche circostanziate e legate a una finalità solo terapeutica e clinica. Ne uscirà il quadro concettuale più rigoroso e completo della cosiddetta «prima topica», cioè il quadro del rapporto mente-corpo a partire dal dualismo tra pulsioni libidiche e pulsioni di autoconservazione dell’Io.

    Per altro Freud non si limita a ciò, perché il suo progetto è quello di estendere la funzione critica della psicoanalisi dall’ambito della mente individuale a quella storica e collettiva. L’antropologia psicoanalitica è ormai in grado d’interpretare, a suo avviso, anche eventi e passaggi fondamentali della storia dell’umanità, fenomeni culturali come l’arte e la religione, movimenti sociali e politici. Di questa espansione culturale della psicoanalisi sono testimonianza testi come Totem e tabú (1912-13), Il Mosè di Michelangelo (1914), Psicologia collettiva e analisi dell’Io (1921).

    Frattanto Freud consolida «il movimento psicoanalitico» – l’insieme dei collaboratori, soprattutto medici, e dei discepoli che hanno progressivamente aderito alla rivoluzione dell’inconscio – da un punto di vista organizzativo e istituzionale.Tra i suoi allevi più fedeli basti ricordare Karl Abraham, Max Eitigon, Sandor Ferenczi, Paul Federn, Ernst Jones, Otto Rank e fino a un certo momento Alfred Adler e Wilhelm Stekel. Nel 1902 è nata, all’inizio in modo informale, la cosidetta Società del mercoledì, formata da un gruppo di giovani medici che si stringono attorno a Freud, il mercoledi sera a Vienna, per apprendere, discutere ed imparare ad esercitare la psicoanalisi. Da questo nucleo iniziale nasce nel 1908 la Società psicoanalitica viennese. Nel 1910 viene fondata l’Associazione psicoanalitica internazionale organizzata secondo sezioni nazionali, che nel giro di pochi anni comprende gruppi aventi sede in Austria, Germania, Ungheria, Svizzera, Gran Bretagna, Olanda, Russia, India e negli Stati Uniti. Dal 1908 viene pubblicata una rivista dedicata ai contributi teorici e clinici di argomento psicoanalitico, lo «Jahrbuch für psychoanalitische und psichopathologische Forschungen», cui si accompagna successivamente la pubblicazione di «Imago», un periodico che si occupa delle applicazioni della psicoanalisi nel campo più vasto delle scienze dello spirito.

    Ma col consolidamento della dottrina freudiana e con il suo prendere corpo in una scuola di adepti e di studiosi non possono mancare di sorgere ben presto divisioni e scissioni, rispetto agli orientamenti teorici di fondo che Freud è venuto assegnando alla scienza della psiche. La più significativa delle separazioni è quella che si consuma tra Freud e Jung, il giovane psichiatra svizzero, non ebreo a differenza di quasi tutti gli altri suoi discepoli, cui Freud pensa a un certo punto come al suo più promettente erede spirituale e che invece si allontana dal maestro, proponendo una concezione dell’energia psichica non limitata alla sessualità e dando luogo a una scuola psicoanalitica di diverso indirizzo e ispirazione.

    Inoltre a segnare profondamente la vita e la riflessione di Freud giunge l’esperienza della prima guerra mondiale con i suoi sterminati massacri e con i gradi più alti raggiunti dalla crudeltà e dell’aggressività umana. Sul piano privato, Freud assiste, tra gli orrori della guerra, alla caduta in prigionia di uno dei due figli sul fronte italiano. Subisce egli stesso, in prima persona, per quanto privilegiato dalla professione e dalla fama raggiunta, le restrizioni nei consumi e il peggioramento nelle condizioni materiali di vita, cui l’Austria, e in particolare la città di Vienna, vanno necessariamente incontro dopo la sconfitta e la caduta dell’Impero austro-ungarico. Nel 1920 muore per un’influenza complicata da una polmonite l’amatissima figlia Sophie, ancora in attesa del terzo figlio. Ma come se non bastasse, nel giugno del 1923 muore per una tubercolosi miliare anche il figlio minore di Sophie, Heinele di quattro anni, adorato dall’intera famiglia dei Freud, e di cui il nonno Sigmund scrive: «Era un bambino incantevole, e per quanto mi riguarda, so di non avere mai amato un essere umano, e sicuramente mai un bambino quanto lui». Infine nel 1923 gli viene diagnosticato un cancro alla mascella e al palato e già in quello stesso anno subisce due interventi operatori.

    Ma questi eventi drammatici della biografia di Freud non bastano a spiegare la profonda rielaborazione della sua teoria, attraverso la quale, con due scritti fondamentali degli anni ’20, Al di là del principio del piacere (1920) e L’Io e l’Es (1923), egli giunge a mettere a tema come fortemente operosa nella vita di ciascun esser umano la presenza di una tendenza originaria all’aggressività e alla distruzione, che Freud chiama pulsione di morte (Todestrieb). Accanto alla potenza pulsionale dell’Eros e della libido sessuale la psiche, ora afferma Freud, è mossa da una forza originaria che spinge, non a creare unioni e legami, bensì a rifiutarli e a distruggerli. E appunto dalla teorizzazione della pulsione di morte prende avvio il passaggio del pensiero di Freud dalla prima alla seconda topica, con una conseguente rielaborazione dell’intera configurazione dell’apparato psichico.

    Ma tale passaggio non si spiega, come si è detto, con le sole vicende personali dell’uomo Freud, come pretenderebbero troppe semplicistiche interpretazioni, pronte a risolvere e a ridurre la complessità della teoria nella biografia e nella psicologia personale. Si spiegano con motivazioni più profonde che risalgono alle componenti di aggressività e di distruttività, la cui presenza già il primo Freud aveva rilevato nell’operare della sessualità e della libido.

    Infine, durante l’ultimo quindicennio della sua vita Freud continua a lavorare su più fronti. I congressi internazionali dell’Associazione psicoanalitica si susseguono regolarmente ogni due anni. Le sue opere vengono tradotte in più lingue. In particolare tra il 1924 e il 1925 esce in lingua inglese una raccolta delle sue opere, in quattro volumi, i Collected Papers. Nell’estate del 1918 è nata una casa editrice viennese, il «Verlag», che si occupa delle pubblicazioni di argomento psicoanalitico la cui supervisione è nelle mani di Freud. Così come s’intensifica la pubblicazione delle riviste psicoanalitiche. Dopo l’esperienza dello «Jahrbuch», sono iniziate le pubblicazioni della rivista in lingua tedesca, la «Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse», nel 1926 esce in Francia la «Revue Française de Psychanalyse», nel 1932 in Italia la «Rivista di Psicoanalisi». Uno dei più fidati discepoli di Freud, Ernest Jones, dà vita in Inghilterra all’«International Journal of Psycho-Analysis». Come ininterrotta è la cura da parte di Freud della propagazione della cultura analitica all’estero: tanto che i suoi settant’anni, nel 1926, vengono ricordati e celebrati, con una citazione sufficientemente esatta della sua attività, su un gran numero di giornali esteri.

    Ma anche per quanto concerne l’attività propriamente teorica Freud continua ad essere impegnato sia nell’ambito della problematica più tipicamente psicoanalitica, qual è quella dell’indagine sui processi e le funzioni intrapsichiche, sia nell’ambito dell’applicazione della psicoanalisi alla scienze dello spirito e della cultura. Pubblica così da un lato Inibizione, sintomo e angoscia (1926), mentre sul fronte della critica del fenomeno religioso e dell’essenza della civilizzazione umana pubblica rispettivamente L’avvenire di un’illusione (1927) e Il disagio della civiltà (1930).

    Così come ancora da un duplice campo d’interesse – uno più volto verso il consolidamento dell’identità concettuale e interiore della disciplina psicoanalitica e l’altro più verso l’esposizione della psicoanalisi riguardo alla storia e agli eventi collettivi – sono le sue due ultime opere: rispettivamente il Compendio di psicoanalisi e il romanzo storico su Mosè e il monoteismo.

    Ma questi due ultimi scritti sono composti nel precipitare, di nuovo tormentato e drammatico, della vita di Freud. Negli ultimi anni ha assistito sgomento alla nascita e allo sviluppo del nazismo hitleriano in Germania, al dilagare dell’antisemitismo e alla successiva nazistificazione dell’Austria. Frattanto il cancro alla mascella si è sempre più aggravato, malgrado le reiterate operazioni e le protesi che ormai invalidano la sua vita. Sollecitato dagli amici e soccorso dall’aiuto internazionale, per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche, va in esilio, più che ottantenne, in Inghilterra, dove trascorre l’ultimo anno della sua vita e muore il 23 settembre 1939.

    Bibliografia consigliata

    D. ANZIEU, L’autoanalisi di Freud e la scoperta della psicoanalisi, 2 voll., Astrolabio, Roma 1976.

    R. BODEI, Le logiche del delirio. Ragione, affetti, follia, Laterza, Roma-Bari 2000.

    V. CAPPELLETTI, Introduzione a Freud, Laterza, Roma-Bari 2000.

    A. CAROTENUTO, Diario di una segreta simmetria. Sabina Spielrein tra Jung e Freud, Astrolabio, Roma 1980.

    M. DE LILLO, Freud e il linguaggio. Dalla neurologia alla psicoanalisi, Pensa Multimedia, Lecce 2005.

    H. F. ELLENBERGER, La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica, 2 voll., Boringhieri, Torino 1996.

    A. B. FERRARI, L’eclissi del corpo. Una ipotesi psicoanalitica, Borla, Roma 1992.

    P. GAY, Freud, Una vita per i nostri tempi, Bompiani, Milano 1988.

    E. JONES, Vita e opere di Freud, 3 voll., Il Saggiatore, Milano 1962.

    W. MCGUIRE (a cura di), Lettere tra Freud e Jung (1906-1913), Boringhieri, Torino 1980.

    P. PETRELLA, Il modello freudiano, in A.A. Semi (a cura di), Trattato di psiconalisi, vol. 1, Raffaello Cortina, Milano 1988-89, pp. 41-146.

    P. RICOEUR, Della interpretazione. Saggio su Freud, Il Saggiatore, Milano 1966.

    F. J. SULLOWAY, Freud, biologo della psiche. Al di là della leggenda psicoanalitica, Feltrinelli, Milano 1982.

    S. VEGETTI FINZI, Storia della psicoanalisi. Autori, opere, teorie 1895-1990, Oscar Mondadori, Milano 1990.

    (A cura di Roberto Finelli)

    L’interpretazione dei sogni

    (1900)

    Premessa

    L’autoanalisi, che dal 1897 aveva impegnato S. Freud in un’impresa coraggiosa e senz’altro unica, di tagliente, profonda introspezione, aveva contribuito in modo determinante a maturare, insieme alla sua personalità, la sua concezione generale dell’apparato psichico. Nel luglio 1899, egli era già in grado di inserire L’interpretazione dei sogni in una prospettiva generale della propria attività. Egli la definisce: «una parte del primo terzo del grande compito, dare un posto alle nevrosi ed alle psicosi tra le scienze, per mezzo della teoria della rimozione e dell’appagamento dei desideri: 1. l’aspetto organico-sessuale; 2. l’aspetto clinico-fenomenologico; 3. l’aspetto metapsicologico».

    Le altre due opere, che nel 1896 aveva programmato con i titoli di Lezioni sulle nevrosi maggiori e Psicologia e psicoterapia delle nevrosi di difesa, si erano trasformate nel 1899 in Psicopatologia della vita quotidiana ed in Rimozione ed appagamento dei desideri. Teoria psicologica delle neuropsicosi.

    Le idee freudiane intorno ai problemi onirici si erano andate maturando lentamente, a partire forse da un suo antico uso di annotare minuziosamente i sogni su quaderni, che sono andati perduti, o di darne più tardi notizia dettagliata alla fidanzata.

    Unico osservatore esterno di questo complesso e sofferto processo di pensieri era stato Wilhelm Fliess, il quale, tuttavia, per la stessa natura delle sue motivazioni, non fu e non poteva essere disponibile fino in fondo al complesso ruolo di «testimone» che Freud gli assegnava. Fliess reagì affettivamente in senso negativo alle ambivalenze che Freud scopriva nella propria esperienza di rapporto, e, sotto il profilo teorico, non accettò mai la sostanza delle conclusioni cui era infine pervenuto l’amico. Egli giunse ad accusarlo, a quanto sembra, di essere un «lettore del pensiero», cioè di attribuire le proprie «idee» ai pazienti, ricavandone deduzioni arbitrarie.

    A partire dal 1900 Freud e Fliess non s’incontrarono più; presto smisero di scriversi. Fliess, per parte sua, veniva elaborando una sua teoria sulla periodicità degli stati psichici; certamente incompatibile con i princìpi della nascente psicoanalisi.

    Dalle lettere a Fliess sappiamo molto sui pensieri e sugli stati d’animo di Freud in quel periodo di tormentata ricerca. E la sua curiosa inibizione a raggiungere Roma, vera meta dei suoi ripetuti viaggi in Italia, sembra acquisire in quella corrispondenza un pregnante valore simbolico. Freud era stato a Venezia nel ’95, a Firenze nel ’96, e ancora si era spinto fino al Trasimeno nel settembre del ’97. Scriveva allora, di ritorno dalla mancata visita alla capitale: «Il mio desiderio di Roma ha un carattere profondamente nevrotico. È connesso con la venerazione che avevo da scolaro per l’eroe semitico Annibale, e in realtà anche quest’anno, come accadde a lui, non ho potuto, avvicinandomi a Roma, andare oltre il lago Trasimeno»¹ .

    Nel 1898 si concesse un viaggio in Dalmazia e in Lombardia; nel ’99 era troppo preso dalla stesura dell’Interpretazione dei sogni per allontanarsi da Vienna; nel ’900, dopo l’ultimo incontro con Fliess ed Abraham, tornò ancora nell’Italia settentrionale. Solo l’anno successivo sarebbe riuscito a vedere Roma, in compagnia del fratello Alexander, e ne avrebbe provato un’emozione incancellabile, se pure smussata dalle successive razionalizzazioni elaborate in quegli anni. In molti sogni, egli ammette, si era in effetti già visto a Roma – e lo constata nell’Interpretazione dei sogni – come intento «a contemplare la terra promessa». Nel 1902 scrive in una delle ultime lettere a Fliess che solo di ritorno dal viaggio a Roma «la voglia di vivere e di costruire gli era aumentata, e scemata quella di essere martire».

    Al ritorno da Roma Freud si permise, finalmente, gli opportuni passi verso quelle autorità ecclesiastiche che – in ragione d’un forte e non dissimulato antisemitismo – al 1897 gli avevano impedito fino la nomina a professore straordinario all’Università. Ammise poi che era stato deplorevole da parte sua non essersi comportato più realisticamente a suo tempo. Il 1901 è, ancora, l’anno in cui uno dei primi seguaci, Wilhelm Stekel, entra in contatto con Freud, per farsi curare un disturbo scomparso, a suo dire, nel giro di otto sedute. Presto altri l’avrebbero seguito.

    «L’interpretazione dei sogni». Fasi di elaborazione

    ¹ Cfr. E. Jones, Vita e opere di Freud, I, Il Saggiatore, Milano 1962, p. 378.

    ² Ivi, I, pp. 432-224.

    ³ Ivi, p. 427. Anche le altre citazioni provengono dalla stessa fonte.

    Prefazioni di Sigmund Freud

    Prefazione alla prima edizione (1899)

    Credo che con questo mio tentativo di esporre l’interpretazione dei sogni i confini di interessi della neuropatologia non vengano superati. Il sogno infatti si manifesta, attraverso l’osservazione psicologica, come la prima formazione psichica abnorme anche se, per ragioni pratiche, sono le altre – fobia isterica, ossessione, delirio – ad interessare necessariamente il medico. Il sogno, come si vedrà nell’esposizione, non può pretendere altrettanta importanza pratica; nondimeno il suo valore paradigmatico teorico è tanto grande che chi non riesce a spiegare la formazione delle immagini oniriche non può riuscire a comprendere le fobie, le idee ossessive e deliranti e non può perciò intervenire terapeuticamente su di esse.

    Le manchevolezze di questo mio lavoro nascono proprio da questa correlazione – in cui risiede peraltro l’importanza del mio tema e le numerose zone di frattura corrispondono proprio ai molti punti di contatto tra il problema della formazione onirica e quelli più vasti della psicopatologia che in questa sede non ho potuto trattare e che, se non mi mancheranno tempo, forza e ausilio di altro materiale disponibile, conto successivamente di elaborare.

    Un’altra difficoltà è data dal particolare tipo di materiale di cui mi servo per l’interpretazione dei sogni. Non ho potuto utilizzare nessuno dei sogni esposti nella letteratura o eventualmente presi da sconosciuti ed il motivo di ciò risulterà chiaro dal corso del lavoro. Potevo perciò scegliere solo tra i miei sogni e quelli dei miei pazienti sotto trattamento psicoanalitico. Non potevo impiegare questo secondo materiale in quanto vi intervenivano caratteristiche nevrotiche che complicavano i processi onirici in modo indesiderato e non potevo impiegare il primo, quello dei miei sogni, giacché così facendo avrei dovuto rivelare ad estranei fatti intimi della mia vita psichica più di quanto io stesso gradissi e di quanto sia lecito chiedere ad un autore che sia uno scienziato e non un poeta.

    Situazione penosa ma senza alternative che ho dovuto accettare per non rinunciare a qualsiasi dimostrazione dei risultati psicologici conseguiti. Ho ceduto, naturalmente, alla tentazione di attenuare alcune indiscrezioni omettendo e sostituendo, pregiudicando però il valore degli esempi addotti. Spero tuttavia che i lettori vorranno immedesimarsi nella mia difficile situazione e conseguentemente essere indulgenti con me, e spero inoltre che tutti coloro i quali si sentiranno in qualche modo colpiti dai sogni comunicati vorranno riconoscere almeno alla vita dei sogni libertà di pensiero.

    Prefazione alla seconda edizione (estate 1908)

    Non è certo merito dell’interesse di quei settori di competenti cui mi rivolgo nella prefazione alla prima edizione il fatto che di questo libro di difficile lettura si sia resa necessaria una seconda edizione prima che siano trascorsi dieci anni. I miei colleghi psichiatri si sono fermati alla iniziale sorpresa che poteva derivare dalla mia nuova concezione del sogno mentre i filosofi di professione, adusi a sbrigare in poche frasi – peraltro sempre uguali – i problemi della vita onirica, che essi intendono semplicemente come un’appendice degli stati di coscienza, non hanno afferrato che questo nuovo punto di vista poteva dar luogo a considerazioni tali da ingenerare una radicale trasformazione delle nostre teorie psicologiche. L’atteggiamento della critica scientifica non consentiva dubbi: un silenzio totale attendeva la mia opera e lo sparuto numero dei miei valorosi sostenitori, di quelli che seguono la mia guida nella pratica psicoanalitica ed il mio esempio nell’interpretazione dei sogni servendosene nel trattamento delle nevrosi, non sarebbe stato in grado di esaurire la prima edizione. Ecco perché sono grato a quella ben più ampia cerchia di persone colte e curiose di sapere il cui interesse mi ha indotto, dopo nove anni, ad affrontare nuovamente questo lavoro difficile e per tanti aspetti fondamentale.

    Sono lieto di affermare che ho trovato ben poco da cambiare. Ho inserito qua e là del materiale nuovo, ho aggiunto alcuni giudizi tratti dalla mia accresciuta esperienza ed in alcuni punti ho tentato dei rifacimenti, ma tutto l’essenziale sui sogni e sulla loro interpretazione come sui teoremi psicologici che se ne possono dedurre è rimasto invariato; esso, almeno soggettivamente, ha superato la prova del tempo. Chi conosce gli altri miei lavori (sull’etiologia e sul meccanismo delle psiconevrosi) sa bene che io non ho mai spacciato l’incompiuto per compiuto e che non ho mai rifiutato, con l’evolversi delle conoscenze, di modificare le mie asserzioni; ma nel campo della vita onirica son potuto restare fermo alle mie osservazioni. Durante i lunghi anni del mio lavoro sui problemi delle nevrosi mi sono dibattuto continuamente tra differenti opinioni e qualche volta sono caduto in errore; ma ne L’interpretazione dei sogni ho ritrovato sempre la mia sicurezza. Agiscono perciò d’istinto tutti i miei oppositori scientifici che proprio nelle ricerche sui sogni si rifiutano di seguirmi.

    Anche il materiale del libro, cioè i sogni personali in base ai quali ho spiegato le regole dell’interpretazione dei sogni, ha rivelato una sua forza d’inerzia e tale da non consentire, in sede di revisione, sostanziali mutamenti. Il fatto è che dopo averlo portato a termine mi sono reso chiaramente conto che il libro aveva per me un altro significato soggettivo: esso mi è apparso come un brano della mia autobiografia, come la reazione alla morte di mio padre, all’avvenimento cioè più importante, alla perdita più dolorosa nella vita di un uomo, e dopo essermi reso conto di questo fatto non sono stato più capace di cancellare le tracce, anche se non avrà eccessiva importanza per il lettore su quale tipo di materiale egli imparerà a valutare ed interpretare i sogni.

    Prefazione alla terza edizione (primavera 1911)

    Mentre fra la prima e la seconda edizione di questo libro sono passati ben nove anni, la necessità di una terza edizione si è presentata dopo poco più di un anno. Non posso che rallegrarmi di tale evento, ma se prima non ho voluto accettare la noncuranza dei lettori come dimostrazione degli scarsi pregi della mia opera, non posso ora considerare l’attuale manifestazione d’interesse come una riprova della sua validità.

    L’ampliarsi delle cognizioni scientifiche ha interferito anche ne L’interpretazione dei sogni. Nel 1899, quando la scrissi, non avevo ancora formulato la mia «teoria sessuale» e avevamo appena dato inizio all’analisi dei casi più complessi di psiconevrosi. Si pensava di usare l’interpretazione dei sogni quale mezzo atto all’analisi psicologica delle nevrosi, ma la susseguente maggior comprensione di queste ci ha portato ad una diversa concezione del sogno. La stessa teoria dell’interpretazione del sogno si è sviluppata in una direzione che, nella prima edizione di questo libro, era stata pressoché trascurata. Sia attraverso la mia diretta esperienza sia per l’apporto dei lavori di Wilhelm Stekel e di altri, ho imparato da allora a stimare la rilevante presenza e l’importanza del simbolismo nei sogni (o meglio nel pensiero inconscio), così che nel corso di questi anni ho raccolto una mole di materiale che richiede un’attenta considerazione. Spero che il mio tentativo di render note le tante innovazioni mediante interpolazioni nel testo e note aggiunte a piè di pagina sia risultato valido. Se queste a volte non giovano all’equilibrio dell’esposizione o se non sempre sono riuscito a portare al livello delle attuali conoscenze il testo precedente, chiedo indulgenza al lettore per tali manchevolezze in quanto conseguenze e manifestazioni del rapido progredire del nostro sapere. Mi prendo anzi la libertà di predire verso quale indirizzo volgeranno le modifiche che si apporteranno alle successive ristampe, se di queste sorgerà necessità. Esse dovrebbero mirare a creare un più stretto rapporto con l’abbondante materiale offerto dalla poesia, dal mito, dalle usanze linguistiche e dal folklore, nonché a trattare più di quanto sia possibile attualmente dei rapporti del sogno con le nevrosi e le malattie mentali.

    Il signor Otto Rank mi è stato di valido aiuto nella scelta delle aggiunte e ha curato la revisione delle bozze di stampa. Lui e altri che mi hanno offerto contributi e rettifiche hanno tutta la mia gratitudine.

    Prefazione alla quarta edizione (giugno 1914)

    L’anno scorso, 1913, il dott. A.A. Brill di New York ha pubblicato una traduzione in lingua inglese di questo libro (The Interpretation of Dreams, G. Allen & Co., Londra).

    Il dott. Otto Rank, in questa occasione, non si è solo occupato della correzione delle bozze ma ha anche arricchito il testo di due contributi personali (appendice al cap. 6).

    Prefazione alla quinta edizione (luglio 1918)

    Neppure la guerra mondiale ha spento l’interesse per L’interpretazione dei sogn, tanto che si è palesata la necessità di una nuova ristampa prima della sua fine. Non è stato possibile tener conto delle pubblicazioni comparse dopo il 1914; notizie di edizioni in lingua straniera dopo quella data mancano sia a me che al dott. Rank.

    È prossima alla pubblicazione una traduzione ungherese, a cura del dott. Hollós e del dott. Ferenczi. Nella mia Introduzione alla psicoanalisi, pubblicata nel 1916-17 presso Hugo Heller a Vienna, la parte centrale, di undici lezioni, mira a trattare il sogno con argomentazioni più elementari e a stabilire una maggior connessione con la teoria delle nevrosi. Nell’insieme detta parte ha il carattere di un estratto de L’interpretazione dei sogni anche se in qualche tratto si arricchisce di maggiori particolari. Non sono riuscito a decidermi ad una completa rielaborazione del libro che, pur completandolo con l’esposizione delle attuali cognizioni psicoanalitiche, avrebbe senz’altro interferito col suo carattere. Ritengo comunque che dopo quasi vent’anni di vita esso abbia assolto il suo compito.

    Prefazione alla sesta edizione (aprile 1921)

    Che questa edizione compaia più tardi del necessario e che per la prima volta essa si presenti come una immutata ristampa della precedente è dovuto alle difficoltà in cui versa oggi l’industria libraria. Solo l’indice bibliografico – alla fine del volume – è stato completato ed aggiornato dal dott. Otto Rank.

    Mi sbagliavo dunque quando pensavo che dopo quasi vent’anni di vita questo libro avesse esaurito il suo compito e potrei anzi dire che esso deve ora assolverne uno nuovo. Mentre prima si trattava solo di fornire alcuni chiarimenti sulla natura dei sogni, ora esso ha il compito non meno importante di combattere l’ostinazione e l’ambiguità di taluni, ai quali quei chiarimenti erano rivolti.

    1. La letteratura scientifica concernente i problemi dei sogni

    Nelle pagine che seguono proverò che esiste una tecnica psicologica la quale rende possibile l’interpretazione dei sogni e che, se tale metodo viene seguito, ogni sogno appare come una struttura psichica con un preciso significato, inseribile in un punto da individuarsi nell’attività mentale della vita da svegli. Cercherò poi di chiarire i processi da cui derivano la stranezza e l’incomprensibilità dei sogni, e di dedurne la natura delle forze psichiche che con la loro azione concorrente o reciprocamente opposta danno origine ai sogni. A questo punto la mia trattazione si interromperà, perché sarà giunta a quello stadio in cui il problema dei sogni si perde in problemi più ampi, la cui soluzione deve essere affrontata sulla base di materiale diverso.

    Come introduzione darò uno sguardo retrospettivo all’opera precedentemente svolta da altri autori sull’argomento ed alla situazione attuale dei problemi onirici nel mondo scientifico, dal momento che nel corso della mia esposizione non avrò spesso occasione di farvi riferimento. Infatti, nonostante millenni di ricerche, l’interpretazione scientifica dei sogni è avanzata molto poco – fatto questo così largamente accettato che mi sembra inutile suffragarlo con esempi. In questi scritti, che ho riunito in un elenco alla fine del mio trattato, si possono trovare molte osservazioni acute e parecchio materiale interessante riguardo al nostro tema, ma nulla o quasi che tocchi l’essenza dei sogni o che suggerisca una soluzione finale ad alcuno dei loro enigmi. E ancor meno, naturalmente, che sia venuto a conoscenza delle persone colte.

    Ci si può chiedere quale concezione avessero dei sogni le razze primitive della preistoria e quale effetto i sogni possano avere avuto sulla formazione dei loro concetti di mondo e di anima; ed in realtà questo è un argomento di tale interesse che a malincuore devo rinunciare a trattarlo in questo volume. Posso solo rimandare i lettori alle note opere di Sir John Lubbock, Herbert Spencer, E. B. Tylor e altri, aggiungendo però che non saremo in grado di valutare l’ampia portata di questi problemi e argomentazioni prima di aver affrontato l’obbiettivo che ci siamo posti: l’interpretazione dei sogni.

    Esiste certamente una connessione tra la visione preistorica dei sogni e l’atteggiamento assunto dai popoli dell’antichità classica al riguardo. Era assiomatico per essi che i sogni fossero connessi con il mondo di quegli esseri sovrumani nei quali credevano e che fosserorivelazioni da parte degli Dei e dei Demoni. E non ci poteva essere dubbio, inoltre, che i sogni avessero uno scopo specifico per il sognatore, generalmente quello di predire il futuro. Tuttavia la straordinaria varietà di contenuti e di impressioni che il sogno produceva rendeva difficile la formazione di una valutazione unitaria, mentre causava la classificazione dei sogni in numerosi gruppi e suddivisioni a seconda della loro importanza e verosimiglianza. Naturalmente la posizione assunta dai singoli filosofi antichi nei riguardi dei sogni era connessa entro certi limiti al loro atteggiamento verso la divinazione in generale.

    Nelle due opere di Aristotele che riguardano i sogni, essi ci vengono già presentati come oggetto di studio psicologico. Egli afferma che i sogni non sono mandati dagli Dei e non sono di carattere divino, ma sono «demoniaci», poiché la natura è «demoniaca» e non divina. I sogni, cioè, non derivano da manifestazioni sovrannaturali, ma seguono le leggi dello spirito umano sebbene questo sia in realtà affine al divino. I sogni vengono dunque definiti come l’attività mentale del dormiente, proprio in quanto è addormentato.

    Aristotele conosceva alcune delle caratteristiche della vita onirica. Sapeva, ad esempio, che i sogni danno un’immagine ingrandita delle piccole sensazioni che si manifestano durante il sonno. «Gli uomini credono di stare camminando attraverso il fuoco e sentono un terribile caldo, quando sono appena accalorati in qualche parte del corpo». E da questo esempio egli ha tratto la conclusione che i sogni possono rivelare al medico i primi sintomi di qualche alterazione fisica non avvertita durante il giorno. Prima di Aristotele, come sappiamo, gli antichi consideravano i sogni non come un prodotto della mente che sogna, ma come qualcosa suggerita da un agente divino; e già si facevano sentire le due opposte correnti che avrebbero influenzato le opinioni sulla vita onirica in ogni periodo storico. La distinzione si delineava tra sogni veritieri e preziosi, inviati al dormiente per ammonirlo o predirgli il futuro, e sogni vani, ingannevoli ed insignificanti, che dovevano sviarlo o rovinarlo.

    Gruppe cita una classificazione dei sogni su questa base fatta da Macrobio e Artemidoro di Daldi. «Si dividevano i sogni in due classi; l’una si credeva influenzata dal presente o dal passato, ma non aveva importanza per il futuro. Essa includeva l’insonnia, che dà la diretta rappresentazione di un’idea data o del suo opposto – ad esempio di fame o di soddisfazione della fame –, e le rappresentazioni, che ingrandiscono in maniera fantastica l’idea data, come un incubo. Si credeva che l’altra classe, al contrario, fosse decisiva per l’avvenire; essa includeva le profezie dirette ricevute in un sogno, le previsioni di qualche evento futuro ed i sogni simbolici, che richiedevano interpretazione. Questa teoria ha resistito per molti secoli».

    Queste discordanze nel valore da assegnare ai sogni erano strettamente connesse al problema della loro interpretazione. Infatti, ci si aspettavano in genere conseguenze importanti dai sogni, ma non tutti i sogni si potevano comprendere con immediatezza, ed era impossibile stabilire se un particolare sogno incomprensibile contenesse o meno delle rivelazioni di rilievo. Questo costituì un incentivo per l’elaborazione di un metodo attraverso il quale fosse possibile sostituire al contenuto incomprensibile di un sogno un altro intellegibile e significativo. Nell’ultimo periodo dell’antichità, Artemidoro di Daldi era considerato la più grande autorità per quanto riguarda l’interpretazione dei sogni e la conoscenza della sua esauriente opera (Oneirocritica) ci deve compensare della perdita di altri scritti sullo stesso argomento.

    La concezione prescientifica dei sogni adottata dagli antichi era in piena armonia con la loro visione del mondo in generale; visione che li portava a proiettare nel mondo esterno, come realtà, delle cose che invece erano realtà solo nella loro mente. Inoltre tale concezione prendeva in considerazione l’impressione principale prodotta sulla mente che si sveglia al mattino da quanto rimane del sogno nella memoria: impressione di qualcosa di estraneo, di proveniente da un altro mondo ed in contrasto con gli altri contenuti psichici. Del resto sarebbe erroneo credere che la teoria dell’origine soprannaturale dei sogni non abbia dei seguaci anche ai nostri giorni. Possiamo anche lasciare da parte gli scrittori pietistici e mistici, che sono davvero perfettamente giustificati nel continuare ad occupare i resti dell’impero del soprannaturale, un tempo così vasto, finché anche quel campo non sarà conquistato dalla spiegazione scientifica. Ma si incontrano ancora persone di mente acuta, prive di idee stravaganti, che intendono puntellare la loro fede religiosa nell’esistenza ed attività di forze spirituali sovrumane proprio attraverso l’inspiegabile natura del fenomeno onirico (Cfr. Haffner, 1887). L’alta valutazione che danno della vita onirica alcune scuole filosofiche (i seguaci di Schelling, per esempio) è chiaramente una risonanza della natura divina dei sogni, che era indiscussa nell’antichità. Né sono chiuse le discussioni sul carattere premonitorio dei sogni e sul loro potere di predire il futuro, poiché i tentativi di spiegazione psicologica non sono stati sufficienti a coprire il materiale raccolto e tuttavia le persone di mentalità scientifica tendono decisamente a contrastare l’accettazione di tali credenze.

    È difficile scrivere una storia degli studi scientifici condotti sui problemi onirici, poiché, per quanto preziosi questi studi possano essere stati riguardo ad aspetti particolari, non si può tracciare una linea di avanzamento in alcuna direzione definita. Non è stato elaborato un fondamento di risultati sicuri sul quale un successivo ricercatore possa continuare a costruire; invece ogni nuovo autore esamina gli stessi problemi e ricomincia di nuovo, come se si fosse al principio. Se io volessi prendere in considerazione quelli che hanno scritto sull’argomento in ordine cronologico ed esporre in sintesi le loro idee sui problemi onirici, dovrei rinunciare a dare una visione d’insieme dell’attuale grado di conoscenza dell’argomento. Ho quindi preferito inquadrare la mia esposizione secondo i temi piuttosto che gli autori, riservandomi, per ogni problema onirico, di fare presente tutto il materiale che la letteratura offre per la sua soluzione.

    Poiché, comunque, mi è stato impossibile considerare tutta la letteratura legata all’argomento, sparsa qua e là ed intrecciata ad altri temi, devo pregare il lettore di accontentarsi, nella misura in cui nessun fatto fondamentale o importante opinione sono stati trascurati nella mia esposizione.

    Fino ai tempi più recenti la maggior parte degli autori si sono sentiti obbligati a trattare unitamente il sonno ed i sogni, e ad aggiungervi come per regola la trattazione di stati analoghi al limite della patologia, e di stati simili al sogno, come allucinazioni, visioni e così via. I lavori più recenti, al contrario, mostrano la preferenza per una problematica limitata e si rivolgono, per esempio, a qualche problema isolato nel campo della vita onirica. Sarei lieto di vedere in questo mutato atteggiamento l’espressione della convinzione che, in argomenti così oscuri, sia possibile arrivare a spiegazioni e a risultati concordi solo attraverso una serie di indagini particolareggiate. E tutto quello che posso offrire in queste pagine è proprio un’indagine dettagliata, di carattere precipuamente psicologico. Ho avuto poche occasioni di occuparmi del problema del sonno, poiché è essenzialmente un problema fisiologico, sebbene una delle caratteristiche dello stato di sonno sia la modificazione delle condizioni di funzionamento dell’apparato psichico. Quindi non verrà presa in considerazione la letteratura riguardante il sonno.

    I problemi sollevati dall’inchiesta scientifica sui fenomeni onirici in quanto tali possono essere raggruppati nei capitoli che seguono, anche se sarà inevitabile un certo numero di omissioni.

    (A) LA RELAZIONE TRA I SOGNI E LA VITA DA SVEGLI

    La convinzione spontanea della persona che si è appena svegliata è che i suoi sogni, anche se non sono venuti essi stessi da un altro mondo, lo hanno comunque trasportato in un altro mondo. Il vecchio fisiologo Burdach, al quale dobbiamo un’accurata ed acuta esposizione dei fenomeni onirici, ha trovato modo di esprimere questa convinzione nella frase spesso citata: «Nei sogni la vita di tutti i giorni, con le sue fatiche ed i suoi piaceri, con le sue gioie ed i suoi dolori, non si ripete mai; al contrario, i sogni hanno lo scopo di liberarcene. Anche quando tutta la nostra mente è presa da qualcosa, quando siamo abbattuti da qualche profondo dispiacere, o quando tutto il nostro potenziale intellettivo è assorbito da qualche problema, il sogno non farà altro che entrare nella tonalità del nostro umore e rappresentare la realtà in simboli». I. H. Fichte, nello stesso senso, parla effettivamente di «sogni d’integrazione» e li descrive come uno dei segreti benefici della natura dello spirito che si guarisce da sé. Nel suo studio sulla natura ed origine dei sogni, ampiamente e meritatamente quotato, Strümpell scrive analogamente: «Un uomo che sogna viene rimosso dal mondo della coscienza sveglia». Ed ancora scrive che: «Nei sogni va quasi completamente perduto il nostro ricordo dei contenuti ordinati della coscienza sveglia e del suo normale comportamento». E così pure: «Durante i sogni la mente viene isolata, quasi senza memoria, dal contenuto ordinario e dagli eventi della vita da svegli».

    La stragrande maggioranza degli autori, tuttavia, è di opinione contraria rispetto alla relazione dei sogni con la vita da svegli. Così Haffner: «In primo luogo i sogni sono la prosecuzione della vita da svegli. I nostri sogni regolarmente si riattaccano alle idee che poco prima sono state coscienti in noi. Un’attenta riflessione troverà quasi sempre un filo che colleghi il sogno con l’esperienza del giorno precedente». Weygandt contraddice specificamente l’affermazione di Burdach che ho appena citato: «Infatti si può osservare spesso, e apparentemente nella maggioranza dei sogni, che in realtà essi ci riconducono alla vita di tutti i giorni, anziché liberarcene». Maury presenta una formula concisa: «Sogniamo ciò che abbiamo visto, detto, desiderato o fatto»; mentre Jessen, nel suo libro sulla psicologia, afferma più estesamente: «Il contenuto del sogno è invariabilmente più o meno determinato dalla personalità particolare del sognatore, dalla sua età, dal sesso, dal ceto sociale, dal livello culturale, dall’abituale sistema di vita e dagli eventi ed esperienze di tutta la sua vita passata». J. G. E. Maass, il filosofo citato da Winterstein, assume l’atteggiamento meno compromettente a riguardo: «L’esperienza conferma la nostra opinione che sogniamo più frequentemente quelle cose sulle quali sono centrate le nostre passioni più ardenti. E ciò dimostra che le nostre passioni devono avere un’influenza sulla produzione dei nostri sogni. L’uomo ambizioso sogna gli allori che ha raccolto (o che immagina di aver raccolto), o quelli che deve ancora conquistare; mentre l’innamorato è occupato nei suoi sogni con l’oggetto delle sue dolci speranze... Tutti i desideri sessuali e le repulsioni che sonnecchiano nel cuore possono, se qualcosa li eccita, far sorgere un sogno dalle rappresentazioni che sono loro associate, o fare intervenire quelle rappresentazioni in un sogno già in atto».

    Nell’antichità si aveva la stessa opinione sulla dipendenza del contenuto dei sogni dalla vita cosciente.

    Radestock racconta che Serse, prima di cominciare la sua spedizione contro la Grecia, veniva insistentemente sconsigliato, ma i suoi sogni lo incitavano ad andare avanti; intanto Artabano, il saggio antico persiano interprete di sogni, gli fece osservare opportunamente che in genere le immagini dei sogni contengono ciò che l’uomo da sveglio già pensa.

    Il poema didascalico di Lucrezio, De rerum natura, contiene il seguente brano:

    E qualunque sia lo scopo al quale ci si dedichi con passione,

    quali che siano le cose delle quali ci siamo molto

    [occupati in passato,

    essendo quindi la mente più concentrata su quello scopo,

    sono generalmente le stesse cose che ci sembra di

    [incontrare nei sogni;

    avvocati per difendere le cause e comporre le leggi,

    generali per combattere e affrontare battaglie.

    Cicerone (De divinatione, 2.67) dichiara in modo del tutto analogo a quanto dirà Maury tanti anni dopo: «Allora maggiormente si muovevano e si agitano nell’anima i fantasmi dei pensieri e delle azioni della veglia».

    La contraddizione tra queste due concezioni sulla relazione tra vita onirica e vita da svegli sembra in realtà insolubile. È importante a questo punto rammentare la trattazione di Hildebrandt sull’argomento: egli ritiene del tutto impossibile descrivere le caratteristiche dei sogni, se non attraverso «una serie di (tre) contrasti che sembrano acutizzarsi in contraddizioni». «Il primo di questi contrasti» egli scrive, «è costituito da una parte dall’assolutezza con la quale i sogni sono esclusi e separati dalla vita reale ed effettiva e, dall’altra, dal loro costante intreccio reciproco e dalla loro costante dipendenza reciproca. Un sogno è qualcosa di completamente scisso dalla realtà di cui si fa esperienza nella vita da svegli, qualcosa, si potrebbe dire, con una sua propria esistenza sigillata ermeticamente e separata dalla vita reale a causa di un invalicabile abisso; esso ci libera dalla realtà, ne estingue la nostra abituale memoria e ci colloca in un altro mondo ed in un’altra storia di vita che essenzialmente non ha niente a che fare con la nostra vita reale...». Hildebrandt va avanti a dimostrare che quando ci addormentiamo tutto il nostro essere con le sue forme di esistenza «scompare attraverso un invisibile trabocchetto». Allora probabilmente il sognatore può fare una traversata fino a Sant’Elena per proporre a Napoleone, lì prigioniero, un ottimo affare di vini della Mosella. Egli viene ricevuto assai affabilmente dall’ex imperatore ed è quasi dispiaciuto quando si sveglia e l’interessante illusione viene distrutta. Ma confrontiamo, prosegue Hildebrandt, la situazione del sogno con la realtà. Il sognatore non è mai stato mercante di vini, né ha mai desiderato esserlo. Non ha mai fatto un viaggio per mare e Sant’Elena sarebbe stato l’ultimo posto che avrebbe scelto; non nutre alcun sentimento compassionevole per Napoleone, ma, al contrario, un fiero odio patriottico. E, oltre tutto, il sognatore non era neppure nato quando Napoleone morì sull’isola; cosicché avere delle relazioni personali con lui era al di là delle possibilità umane. In tal modo l’esperienza onirica appare come qualcosa di estraneo, inserita tra due sezioni di vita perfettamente continue e conformi l’una all’altra.

    «Eppure» prosegue Hildebrandt, «ciò che sembra essere il contrario di questo è egualmente vero ed esatto. Nonostante tutto, la più intima correlazione va di pari passo, secondo me, con il distacco e la separazione. Possiamo anche osare tanto da dire che qualunque cosa i sogni possano offrire, essi traggono il loro materiale dalla realtà e dalla vita intellettuale che ruota intorno a quella realtà... Per quanto astrusi possano essere gli effetti che ottengono, essi non possono in realtà staccarsi dal mondo reale; e le loro creazioni, le più sublimi come le più ridicole, devono sempre prendere in prestito il loro materiale fondamentale da quanto è passato davanti ai nostri occhi nel mondo sensorio o da quanto ha già trovato un qualunque posto nel corso dei nostri pensieri; in altre parole, da quanto noi abbiamo già sperimentato esteriormente o interiormente».

    (B) IL MATERIALE ONIRICO, LA MEMORIA NEI SOGNI

    Tutto il materiale che costituisce il contenuto di un sogno è in qualche modo derivato dall’esperienza, cioè è stato riprodotto o ricordato nel sogno: questo almeno può essere considerato un fatto indiscusso. Ma sarebbe erroneo supporre che un nesso di questo genere tra il contenuto di un sogno e la realtà debba facilmente venire alla luce come un’immediata conseguenza del loro confronto. Il nesso, al contrario, richiede una diligente ricerca ed in una gran quantità di casi può rimanere a lungo nascosto. Il motivo di ciò si ritrova in un certo numero di peculiarità mostrate dalla facoltà della memoria nei sogni e che, sebbene generalmente rilevate, hanno comunque resistito ad ogni spiegazione. Varrà la pena di esaminare queste caratteristiche più da vicino.

    Può accadere che da svegli non riconosciamo come appartenente alla nostra conoscenza o esperienza parte del materiale che forma il contenuto di un sogno. Noi ricordiamo naturalmente di aver sognato la cosa in questione, ma non possiamo ricordare se o quando l’abbiamo sperimentata nella vita reale. Restiamo così in dubbio circa la fonte cui il sogno abbia attinto e siamo tentati di credere che i sogni abbiano un potere di creazione indipendente; poi, finalmente, spesso dopo un lungo intervallo, qualche nuova esperienza richiama il ricordo, che si credeva perduto, di un avvenimento lontano, rivelandoci, al tempo stesso, la fonte del sogno. Siamo così portati ad ammettere che nel sogno noi conoscevamo e ricordavamo qualcosa che era al di fuori della portata della nostra memoria della veglia¹ .

    Delboeuf ci dà un esempio particolarmente suggestivo di questo, tratto dalla sua esperienza. Egli vide in un sogno il cortile della sua casa coperto di neve e trovò due piccole lucertole semicongelate e sepolte lì sotto. Dato il suo amore per gli animali, le raccolse, le riscaldò e le riportò alla piccola cavità nel muro da dove venivano. Inoltre diede loro poche foglie di una piccola felce che cresceva sul muro, della quale sapeva che erano molto ghiotte. Nel sogno egli conosceva il nome della pianta: Asplenium ruta muralis. Il sogno procedeva e, dopo una digressione, ritornava alle lucertole. Delboeuf vide con grande meraviglia altre due lucertole affaccendate sui resti della felce. Poi si guardò intorno e ne vide una quinta e poi una sesta che si facevano strada verso il foro del muro, finché l’intera via era riempita da una processione di lucertole che si muovevano tutte verso la stessa direzione... e così via. Nello stato vigile, Delboeuf conosceva i nomi latini di pochissime piante e Asplenium non era tra quelli. Con sua grande sorpresa, poté avere conferma del fatto che una felce di questo nome esiste veramente. Il suo nome esatto era Asplenium ruta muraria e nel sogno era stato leggermente distorto. Era poco probabile che si trattasse di una coincidenza; e restava un mistero per Delboeuf come egli avesse acquistato conoscenza del nome «Asplenium» del suo sogno.

    Questo sogno fu fatto nel 1862; sedici anni dopo, mentre il filosofo era in visita presso un amico, vide un piccolo album di fiori secchi, di quelli che si vendono ai turisti come ricordo in qualche regione della Svizzera. Un ricordo cominciò a delinearsi in lui; egli aprì l’erbario, trovò l’Asplenium del suo sogno e vide il suo nome latino scritto sotto con la sua grafia. Ora poteva chiarire i precedenti. Nel 1860 (due anni prima del sogno delle lucertole) una sorella di questo stesso amico era andata a trovare Delboeuf durante la sua luna di miele. Aveva con sé l’album, che doveva essere un regalo per il fratello, e Delboeuf si prese la pena di scrivere il nome latino vicino ad ogni pianta essiccata sotto dettatura di un botanico.

    La buona fortuna, che rese preziosa la registrazione di questo esempio, permise a Delboeuf di riportare un’altra parte del contenuto del sogno alla sua fonte dimenticata. Un giorno, nel 1877, gli capitò per caso di prendere un vecchio volume di un periodico illustrato e vi trovò una fotografia di tutta la processione di lucertole che aveva sognato nel 1862. La data sul volume era del 1861 e Delboeuf ricordava di essere stato un abbonato del giornale dal suo primo numero.

    Il fatto che i sogni abbiano a disposizione certi ricordi che sono inaccessibili nella vita da svegli è così notevole e di tale importanza teorica che vorrei attirare ancora di più l’attenzione a riguardo riferendo qualche altro sogno «ipermnestico». Maury racconta che per qualche tempo la parola «Mussidan» continuava a venirgli in mente durante il giorno. Non ne sapeva niente, tranne che era il nome di una città francese. Una notte sognò che stava parlando con una persona che gli diceva di essere di Mussidan e che, quando gli chiese dove si trovasse, rispose che era una piccola città nel Dipartimento della Dordogna. Quando si svegliò, Maury non credeva all’informazione ricevuta nel sogno; tuttavia apprese da un dizionario geografico che era assolutamente esatta. In questo caso il fatto della superiore conoscenza in sogno veniva confermato, ma restava sconosciuta la fonte di quella conoscenza.

    Jessen riferisce un fatto molto simile verificatosi in un sogno di tempi molto lontani: «A questa categoria appartiene fra gli altri un sogno di Scaligero il vecchio (citato da Hennings) che scrisse un poema in lode degli uomini famosi di Verona. Gli apparve in sogno un uomo che disse di chiamarsi Brugnolus e si lamentò di essere stato trascurato. Sebbene Scaligero non potesse ricordarsi di averne mai sentito parlare, scrisse dei versi su di lui. Tempo dopo a Verona suo figlio apprese che un tale di nome Brugnolus era stato lì effettivamente celebre come critico».

    Il marchese d’Hervey de St. Denys, citato da Vaschide, descrive un sogno ipermnestico che presenta una particolare caratteristica: infatti fu seguito da un altro sogno che permise di riconoscere ciò che era stato un ricordo non identificato: «Una volta sognai una giovane donna bionda che parlava con mia sorella, mostrandole dei ricami. Mi sembrava molto familiare nel sogno e pensai di averla già vista spesso prima. Quando mi svegliai, ricordavo ancora chiaramente il suo viso, ma ero completamente incapace di riconoscerlo. Allora mi addormentai di nuovo e l’immagine del sogno si ripeté... Ma in questo secondo sogno io parlai alla bionda signora e le chiesi se non avevo già avuto il piacere di conoscerla da qualche parte. Naturalmente mi rispose, non vi ricordate la spiaggia a Pornic?. Mi svegliai di nuovo immediatamente e fui in grado allora di ricordare con precisione tutti i dettagli associati con l’attraente visione del sogno».

    Lo stesso autore (ancora citato da Vaschide) racconta che un musicista di sua conoscenza una volta udì in sogno un motivo che gli sembrava completamente sconosciuto. Solo parecchi anni dopo trovò lo stesso motivo in un vecchio album di brani musicali, sebbene non potesse ancora ricordare di averlo mai sfogliato prima.

    Ho sentito dire che Myers ha pubblicato un’intera raccolta di sogni ipermnestici di questo tipo nei Procedimenti della Società delle Ricerche Psichiche; ma sfortunatamente sono per me inaccessibili.

    Credo che chiunque si interessi ai sogni non possa fare a meno di scoprire che molto frequentemente essi esprimono ricordi e conoscenze che il soggetto da sveglio è ignaro di possedere. Nel mio lavoro psicoanalitico con pazienti nevrotici, di cui parlerò in seguito, io sono in grado molte volte durante la settimana di provare ai pazienti, sulla base dei loro sogni, che conoscono veramente bene citazioni, parole oscene, ecc., e che le usano nei loro sogni, anche se le hanno dimenticate nella vita da svegli. Aggiungerò solo un altro semplice caso di ipermnesia in un sogno, a causa della grande facilità con la quale è stato possibile risalire alla fonte di quella conoscenza che era accessibile solo in sogno.

    Uno dei miei pazienti sognò, durante un sogno abbastanza lungo, che aveva ordinato una «Kontuszówka» in un bar. Dopo avermelo raccondato, mi chiese cosa fosse una «Kontuszówka», poiché non aveva mai sentito quella parola prima. Potei rispondergli che si trattava di un liquore polacco e che non poteva aver inventato il nome, dato che anche io avevo imparato a conoscerlo dai cartelli pubblicitari. Al principio non mi voleva credere, ma qualche giorno dopo, avendo realizzato il suo sogno in un bar, notò quel nome

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