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Poema bianco
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E-book126 pagine57 minuti

Poema bianco

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Info su questo ebook

Non è un monologo, è un soliloquio, nessun suono. Qui tutto è chiacchiera nella mente, silenziosa, un silenzio con i rumori intorno. Lei sola, distratta dalla sua chiacchiera, non li sente. Sui rumori lei pone il velo di sordità del suo mutismo.
Il soliloquio, questa intima piazzata, questo comizio, questo convenire, qui, di un’oratrice che ha solo se stessa a ascoltarla, a ascoltarsi, a sentirsi regnante sul silenzio.
 
LinguaItaliano
Data di uscita30 mar 2017
ISBN9788894151732
Poema bianco

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    Poema bianco - Pasquale Panella

    l’amore

    E UNO

    Laggiù da te già piove

    Vedo i lampi

    Non sento il rumore

    Sono le otto meno dieci

    È sera, è lunedì

    Non ho voglia

    di guardare un film,

    di leggere, ossia di fare

    qualsiasi cosa mi possa

    far sentire spiata,

    distratta, sola

    Nemmeno di mangiare,

    per ora

    Non ho voglia

    Aspetto che anche qui

    piova

    La verità per te:

    Come mi sento?

    Dovrei rispondere

    Ma aspetto

    Anzi non voglio sapere

    come mi sento

    Anzi, sentirmi

    è per dispetto

    fatto a me, passando per te,

    o, passando per me, fatto a te

    E, tra l’uno e l’altro

    attraversamento,

    l’impatto è con me stessa

    È in me che sbatto

    Quindi non mi sento,

    non mi vorrei sentire

    Parlo con te da sola

    Qualche improperio,

    un incitamento

    Nell’uno e l’altro caso,

    senti?, mento

    No, non senti, sento

    Tra parentesi

    (ti chiedo a me)

    ti pare possibile

    (a me sì, possibile che sì),

    ti pare possibile che tu,

    (tu no, non sei possibile)

    come io ti parlo, sì, tu

    mi stia parlando?

    Ossia ti sento me

    (ma non mi sento te)

    Non so come altro

    Non so come altro dirlo

    Non so, come altro, te

    Vorrei dire frasi toccanti,

    frasi toccanti nel senso del tatto

    Devo togliermi un peso

    Devo confessare

    Devo dirlo a qualcuno

    (a qualcuna)

    come fosse un comizio

    Devo dirlo a chi legge

    E non sto parlando di te

    Tu sei ‘a chi scrivo’

    Scrivo? Che complicazione

    Che rischio di poemetto

    Ma sai cosa si scrive veramente?

    L’interpunzione, ecco:

    questi due punti precedenti,

    le virgole,

    l’interrogativo poco fa

    Il punto fermo, no

    Quello, alla fine

    Sai, sono segni

    Ecco, appunto, devo confessare,

    devo togliermi il peso

    di un apostrofo (anzi due)

    che lasciai nell’edizione precedente

    Sì, hai ragione (tu, chi?):

    è imperdonabile parlare

    di parola scritta, qui

    Perché virai la voce dal maschile

    al femminile (come adesso)

    e rimase un apostrofo

    dopo l’indeterminativo

    (l’indeterminativo!) davanti

    alla parola che non sei:

    tu non sei un altro

    E lo lasciai, l’apostrofo

    (anzi due)

    Capisci? Ricordai la scuola

    elementare: l’elisione ossia

    che cade la vocale femminile

    e resta la lacrima

    per la vocale persa

    (la spiegavano così,

    con cognizione latina:

    che fosse una ferita, l’elisione)

    Capisci a cosa arriva

    la sperimentazione?

    Tu non sei un altro

    con l’apostrofo

    che ti faceva un poco femminile

    (cosa volevo, per errore, dire?)

    L’apostrofo ero io sulla mia carne

    Insomma, sulla pagina

    (perdona il miserabile lirismo)

    L’apostrofo è una lacrima

    sulla guancia grammatica

    Virai la voce dal maschile

    al femminile (come adesso)?

    Che ho detto?

    L’evirai? Perdona

    il miserabile risibile

    Ma dalla sfiducia nelle parole

    nasce la sperimentazione

    o il loro gioco

    (due ottime occasioni

    per scrivere o non scrivere)

    E poi perché:

    "Com’è patetica

    la voce poetica al maschile"

    (era questo che volevo dire?)

    Ma io scrivo che non scrivo,

    s’è capito?

    Lo so, è una volgarità

    Un sentimento

    Nell’uno e l’altro caso

    sei tu l’uno e l’altro:

    due casi di silenzio

    Il telefono

    Quando lo guardo

    sento il violento

    sentimento del niente

    (sono, quindi, eccessiva

    o eccedente)

    Quando squilla

    Tutto il mondo chiama e parla

    Quando il telefono non squilla

    sei sempre tu

    che non mi chiami

    Siamo spariti

    come se non fossimo

    mai esistiti, non in questa

    ma in un’altra vita

    Un’altra vita

    nella quale non credo

    Ora non credo, ma allora

    la vivemmo non credendo

    in questa

    Non è questione di realtà,

    l’esistenza

    È questione di credulità

    E non credo nemmeno che tu

    sia sparito per me o io per te

    Con per intendendo

    attraverso

    Se usassi da

    dovrebbe essere inteso

    che da me io sono

    sparita e tu da te

    (non so se mi spiego

    a me stessa)

    Ecco qua: la sparizione

    Io lo sapevo, fatta la legge,

    trovato l’inganno:

    vediamoci al di là

    del nostro danno

    (vediamoci, sì, là dove

    gli spariti stanno)

    Insomma, è ovvio, dico

    E cos’è l’ovvio? È la possibilità,

    in questo caso,

    che le cose ossia le persone,

    noi due, per essere precisi,

    noi, gli unici abitanti della terra,

    per quanto ne so io di te e di me

    (gli altri sono le solite voci che girano

    vocìo, notizie, ossia troppa invenzione)…

    la possibilità (dicevo) che in quella sparizione

    (dico) eventualmente noi poi ci incontriamo,

    là dove gli spariti vanno e stanno

    (e chi è più sparito di noi?, mi domando

    conoscendo la risposta, e questa,

    per inciso, è l’unica risposta che conosco

    a proposito di esistenza e inesistenza)

    (la risposta è: nessuno)

    (se ha qualche importanza)

    O siamo scomparsi per niente?

    Non credo

    Saremo o no anche noi

    un po’ furbi ovvero ammetteremo che l’eternità

    avrà più o meno la stessa durata

    della nostra sparizione dalla faccia?

    Per sempre ti dirò: tu non sei qua...

    (ma che esagerata cantabilità)

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