Poema bianco
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Il soliloquio, questa intima piazzata, questo comizio, questo convenire, qui, di un’oratrice che ha solo se stessa a ascoltarla, a ascoltarsi, a sentirsi regnante sul silenzio.
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Anteprima del libro
Poema bianco - Pasquale Panella
l’amore
E UNO
Laggiù da te già piove
Vedo i lampi
Non sento il rumore
Sono le otto meno dieci
È sera, è lunedì
Non ho voglia
di guardare un film,
di leggere, ossia di fare
qualsiasi cosa mi possa
far sentire spiata,
distratta, sola
Nemmeno di mangiare,
per ora
Non ho voglia
Aspetto che anche qui
piova
La verità per te:
Come mi sento?
Dovrei rispondere
Ma aspetto
Anzi non voglio sapere
come mi sento
Anzi, sentirmi
è per dispetto
fatto a me, passando per te,
o, passando per me, fatto a te
E, tra l’uno e l’altro
attraversamento,
l’impatto è con me stessa
È in me che sbatto
Quindi non mi sento,
non mi vorrei sentire
Parlo con te da sola
Qualche improperio,
un incitamento
Nell’uno e l’altro caso,
senti?, mento
No, non senti, sento
Tra parentesi
(ti chiedo a me)
ti pare possibile
(a me sì, possibile che sì),
ti pare possibile che tu,
(tu no, non sei possibile)
come io ti parlo, sì, tu
mi stia parlando?
Ossia ti sento me
(ma non mi sento te)
Non so come altro
Non so come altro dirlo
Non so, come altro, te
Vorrei dire frasi toccanti,
frasi toccanti nel senso del tatto
Devo togliermi un peso
Devo confessare
Devo dirlo a qualcuno
(a qualcuna)
come fosse un comizio
Devo dirlo a chi legge
E non sto parlando di te
Tu sei ‘a chi scrivo’
Scrivo? Che complicazione
Che rischio di poemetto
Ma sai cosa si scrive veramente?
L’interpunzione, ecco:
questi due punti precedenti,
le virgole,
l’interrogativo poco fa
Il punto fermo, no
Quello, alla fine
Sai, sono segni
Ecco, appunto, devo confessare,
devo togliermi il peso
di un apostrofo (anzi due)
che lasciai nell’edizione precedente
Sì, hai ragione (tu, chi?):
è imperdonabile parlare
di parola scritta, qui
Perché virai la voce dal maschile
al femminile (come adesso)
e rimase un apostrofo
dopo l’indeterminativo
(l’indeterminativo!) davanti
alla parola che non sei:
tu non sei un altro
E lo lasciai, l’apostrofo
(anzi due)
Capisci? Ricordai la scuola
elementare: l’elisione ossia
che cade la vocale femminile
e resta la lacrima
per la vocale persa
(la spiegavano così,
con cognizione latina:
che fosse una ferita, l’elisione)
Capisci a cosa arriva
la sperimentazione?
Tu non sei un altro
con l’apostrofo
che ti faceva un poco femminile
(cosa volevo, per errore, dire?)
L’apostrofo ero io sulla mia carne
Insomma, sulla pagina
(perdona il miserabile lirismo)
L’apostrofo è una lacrima
sulla guancia grammatica
Virai la voce dal maschile
al femminile (come adesso)?
Che ho detto?
L’evirai? Perdona
il miserabile risibile
Ma dalla sfiducia nelle parole
nasce la sperimentazione
o il loro gioco
(due ottime occasioni
per scrivere o non scrivere)
E poi perché:
"Com’è patetica
la voce poetica al maschile"
(era questo che volevo dire?)
Ma io scrivo che non scrivo,
s’è capito?
Lo so, è una volgarità
Un sentimento
Nell’uno e l’altro caso
sei tu l’uno e l’altro:
due casi di silenzio
Il telefono
Quando lo guardo
sento il violento
sentimento del niente
(sono, quindi, eccessiva
o eccedente)
Quando squilla
Tutto il mondo chiama e parla
Quando il telefono non squilla
sei sempre tu
che non mi chiami
Siamo spariti
come se non fossimo
mai esistiti, non in questa
ma in un’altra vita
Un’altra vita
nella quale non credo
Ora non credo, ma allora
la vivemmo non credendo
in questa
Non è questione di realtà,
l’esistenza
È questione di credulità
E non credo nemmeno che tu
sia sparito per me o io per te
Con per
intendendo
attraverso
Se usassi da
dovrebbe essere inteso
che da me io sono
sparita e tu da te
(non so se mi spiego
a me stessa)
Ecco qua: la sparizione
Io lo sapevo, fatta la legge,
trovato l’inganno:
vediamoci al di là
del nostro danno
(vediamoci, sì, là dove
gli spariti stanno)
Insomma, è ovvio, dico
E cos’è l’ovvio? È la possibilità,
in questo caso,
che le cose ossia le persone,
noi due, per essere precisi,
noi, gli unici abitanti della terra,
per quanto ne so io di te e di me
(gli altri sono le solite voci che girano
vocìo, notizie, ossia troppa invenzione)…
la possibilità (dicevo) che in quella sparizione
(dico) eventualmente noi poi ci incontriamo,
là dove gli spariti vanno e stanno
(e chi è più sparito di noi?, mi domando
conoscendo la risposta, e questa,
per inciso, è l’unica risposta che conosco
a proposito di esistenza e inesistenza)
(la risposta è: nessuno)
(se ha qualche importanza)
O siamo scomparsi per niente?
Non credo
Saremo o no anche noi
un po’ furbi ovvero ammetteremo che l’eternità
avrà più o meno la stessa durata
della nostra sparizione dalla faccia?
Per sempre ti dirò: tu non sei qua...
(ma che esagerata cantabilità)