La moglie del maraja': Harmony Collezione
Di Penny Jordan
5/5
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Info su questo ebook
Jayes di Ralapur, fratello minore del nuovo marajà, è un ricchissimo uomo d'affari, e ha assunto Keira Myers per il suo talento come progettista e designer d'interni. Quello che però Jay non riesce a spiegarsi sono i segnali contrastanti che Keira gli invia, passando da un'ardente passione a una freddezza glaciale. È forse la classica arrampicatrice sociale che cerca di usare il proprio fascino per ottenere un tornaconto economico?
Poi, però, Jay scopre la verità su di lei, e il suo onore gli impone una sola scelta. Ma è davvero soltanto l'onore... o anche il suo cuore?
Penny Jordan
Scrittrice inglese, attiva da parecchi anni nell'area della narrativa romantica, è notissima e molto apprezzata dal pubblico di tutto il mondo.
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La moglie del maraja' - Penny Jordan
1
«Mi scusi.»
Il trambusto causato dagli ospiti che affollavano il cortile dell’antico palazzo - nel quale due dei suoi più cari amici si erano appena sposati - era tale che Keira non si accorse che stava bloccando il passaggio verso il giardino. Voleva avvicinarsi a uno dei padiglioni allestiti per la celebrazione delle nozze, ma si era ritrovata rapita dalla magica e inebriante atmosfera del luogo.
La voce maschile risuonò autoritaria, profonda e ruvida come velluto, una volta che la superficie del tessuto fosse stata rimossa per rivelare la forza che si celava nella sua trama. Il solo fatto di sentirla diede a Keira l’impressione che quello stesso tessuto le avesse sfiorato la pelle, con un effetto sensuale che scatenò in lei piccole scariche di elettrica consapevolezza. L’accento era tipico della scuola inglese, ovviamente raffinato in ambito universitario: l’accento di un uomo che dava per scontate sia la posizione sia la ricchezza, esattamente come il diritto di nascita. Un accento che esprimeva privilegio, potere e orgoglio.
Chissà se anche la sua voce rivelava così tanto di lei, si domandò. Chissà se quell’uomo avrebbe riconosciuto l’accento settentrionale con cui anche lei aveva imparato a intridere i toni che sapeva più adatti al suo lavoro di designer d’interni?
Si voltò verso di lui, le labbra pronte a formulare le proprie scuse per essere stata così distratta, quando si accorse di trovarsi di fronte all’uomo più affascinante e sessualmente pericoloso che avesse mai incontrato.
I suoi occhi si spalancarono. Poi, come se tutti i suoi sensi non stessero aspettando altro che quel momento, ogni terminazione nervosa reagì a lui con silenziosa ma violenta intensità. Le sembrò di essere fisicamente attaccata dal suo stesso corpo, come se la normale cautela che da sempre la proteggeva, a un tratto le fosse stata strappata. Rimase impietrita, consapevole della pericolosa natura dell’impatto che quell’uomo aveva avuto su di lei, come se si fosse trovata sul binario di un treno in corsa.
Il potere di quella sensualità la colpì, lasciandola senza alcuna difesa.
Jay non aveva la minima idea del perché stesse perdendo tempo restando lì e lasciando che quella donna continuasse a fissarlo, sfacciata nella consapevolezza della sua presenza virile.
Era splendida, impossibile negarlo. Ma non era l’unica ospite europea invitata al matrimonio, anche se con quel fisico e quello sguardo si sarebbe distinta ovunque.
Alta ed elegante, possedeva un aspetto decisamente raffinato mentre le voluttuose curve del corpo e la soffice pienezza delle labbra rivelavano chiaramente che la sua sensuale natura era proprio quella che Jay preferiva in una donna.
Di certo a letto avrebbe dimostrato una sensualità degna delle pagine più erotiche del Kama Sutra, istigando qualunque uomo diventasse il suo amante a soddisfarla fino a farla gridare per l’intensità di quello stesso piacere. Riusciva addirittura a vederla con gli occhi della mente, i capelli scuri sparsi sul cuscino, gli occhi accesi di eccitazione, il centro della sua femminilità pulsante al sapiente tocco di lui come i petali di un giglio mentre offrivano al calore del sole la parte più intima del loro essere.
L’improvvisa intensità di quell’ondata di bramosia lo aveva letteralmente colto di sorpresa. A trentaquattro anni era abbastanza adulto per riuscire a controllare le proprie reazioni fisiche di fronte a una donna desiderabile, eppure, in qualche modo, lei lo aveva indotto a una reazione inaspettata.
Non si era neppure preoccupata di indossare il tradizionale abito che le donne indiane portavano con eleganza, e che talvolta anche quelle europee adottavano per presenziare alle celebrazioni del luogo. In ogni caso, niente avrebbe potuto neutralizzare la convinzione che quella donna gli stava facendo capire di essere disponibile e che quindi, secondo la legge delle probabilità, lo sarebbe stata anche per qualunque altro uomo avesse avuto la fortuna di trovarsi sulla sua strada. Attese che il bruciante desiderio che gli aveva appena incendiato il corpo fosse raggelato dalla spiacevole deduzione a cui era deliberatamente arrivato, ma si accigliò di fronte alla constatazione che niente di tutto ciò avvenisse.
E si scoprì ancora più allibito quando udì la propria voce chiedere: «Sposa o sposo?».
«Scusi...?»
«Le chiedevo a quale schiera di invitati appartenesse.»
La scelta del verbo appartenere ferì la mente e l’orgoglio di Keira con la dolorosa e ormai familiare consapevolezza che non ci fosse nessuno al mondo a cui lei appartenesse, tuttavia era evidente che quella domanda non era altro che un tentativo di attaccare discorso.
Era innegabilmente affascinante. A un tratto si ritrovò sopraffatta da una sorta di tensione, come se l’istinto la stesse in qualche modo mettendo in guardia; eppure, si rese conto con sgomento, i sensi sembravano non voler ascoltare.
Ma che cosa stava facendo? Di certo era troppo cresciuta per rimanere a fissare un uomo in palese adorazione, e tuttavia, come un bambino preso da un’improvvisa smania di dolci, e conscia del fatto che avrebbe potuto rendersi ridicola, non riusciva a smettere di guardarlo.
Indossava un abito di lino marrone chiaro del tipo preferito dagli italiani facoltosi, anche se tutto, in lui, parlava di ricchezza e di educazione cosmopolita. La pelle era di un caldo colorito olivastro, le spalle ampie, il fisico alto e muscoloso. Eppure, nonostante tutto nella sua persona suggerisse una ricchezza e una posizione sociale che si tramandavano nel tempo, Keira aveva l’impressione che ci fosse in lui una parte più oscura, una pericolosa crudeltà che gli si aggrappava addosso in modo così prepotente da poter essere concretamente percepita.
Lottò per non lasciarsi incantare dall’aura di magnetismo che lo circondava. Se qualcosa la stava intossicando, doveva di certo essere la magica ed esotica atmosfera che avvolgeva quel luogo da fiaba.
Originariamente residenza estiva e di caccia di un maharaja, il palazzo era stato trasformato in un lussuoso hotel a cinque stelle che, da lontano, pareva fluttuare insieme ai suoi giardini sulle serene acque del lago circostante.
E se non si trattava del luogo, doveva essere certo l’inebriante profumo dei gigli che galleggiavano sulle piscine a produrre sui sensi di Keira quel pericoloso effetto. A ogni modo, qualunque fosse stata la causa, la cosa migliore che avrebbe potuto fare era rammentare a se stessa di essere un’adulta dotata di raziocinio.
Fece un profondo respiro, poi finalmente rispose.
«A entrambe. Sono amica sia della sposa sia dello sposo.» Subito dopo, un turbine di movimento riportò la sua attenzione alla festa.
Il tardo pomeriggio stava cedendo il passo al buio della sera, mentre i preparativi per il ricevimento si avviavano ormai al termine. Centinaia di lumini erano stati disposti ad arte tutt’intorno al cortile, altri fluttuavano nelle piscine e nelle vasche delle fontane, mentre le luci che si riflettevano sul lago creavano una magica aura di romanticismo.
Padiglioni riccamente decorati e dai colori sgargianti erano stati eretti come per magia; i fili dorati dei loro ricami sembravano catturare i riflessi del sole e i rami degli alberi nei giardini oltre il cortile sostenevano file di piccole luci che illuminavano il sentiero fino alle suite degli ospiti.
Presto i giovani sposi e le loro famiglie si sarebbero cambiati per la serata, e lei doveva fare altrettanto, rifletté Keira. Eppure non riuscì a muoversi.
Forse aveva a che fare con il sole del tardo pomeriggio che stava tingendo il cielo di rosa, oppure con il languoroso calore che colmava l’aria di sensualità, simile a una carezza sulla pelle, ma il suo cuore aveva comunque iniziato a battere all’impazzata. O forse era colpa dell’uomo che le stava accanto.
Qualcosa dentro di lei vibrò fino a farle male. Era l’India che le stava facendo un simile effetto? Sì, doveva essere così. Iniziò a percepire una sensazione di panico, colta di sorpresa dal disgusto per la propria vulnerabilità verso istinti sui quali si era sempre illusa di avere il totale controllo.
Aveva assolutamente bisogno di pensare a qualcos’altro. Al matrimonio a cui era stata invitata, per esempio.
Shalini aveva utilizzato quel luogo sontuoso non soltanto per la festa di nozze, ma anche come fonte di ispirazione per la scelta degli abiti tradizionali. Tom vi si era adeguato alla perfezione e appariva sorprendente con il suo turbante rosso e oro, l’abito sherwani di seta anch’esso dorato e la sciarpa riccamente decorata che si accordava all’abito rosso e oro di Shalini.
Keira avrebbe partecipato alle loro nozze ovunque fossero state celebrate; loro, insieme a Vikram - il cugino di Shalini - erano i suoi migliori amici. E quando Shalini le aveva comunicato di voler far seguire al matrimonio civile inglese la tradizionale cerimonia indiana lì, a Ralapur, Keira aveva giurato che non sarebbe mancata per niente al mondo.
Sognava di visitare quell’antica città fin da quando, per la prima volta, aveva letto di essa. Tuttavia non erano quelli gli unici motivi per cui Keira era arrivata in India. C’era anche una ragione di lavoro. E comunque non aveva fatto un viaggio così lungo in cerca di una romantica avventura.
«Andavo all’università con Tom e Shalini» spiegò, poi chiese curiosa: «E tu?».
Era tipico di quel genere di donna avere un tono di voce basso e roco, nonostante il lieve accenno di vulnerabilità fosse una nuova interpretazione nella storia più antica del mondo. Ma Jay non aveva la minima intenzione di raccontare qualcosa di sé, tanto meno di rivelare che suo fratello maggiore era il nuovo maharaja di Ralapur.
«Conosco la famiglia della sposa» si limitò dunque a rispondere. In fondo, era la verità, dal momento che era il proprietario dell’albergo. E di molto, molto altro.
Gettò un’occhiata oltre il lago. Sua madre adorava quel posto. Era diventato il suo rifugio quando si era ritrovata a dover evitare la presenza di suo marito il maharaja e dell’avara cortigiana che lo aveva talmente plagiato da indurlo a non curarsi più né dei sentimenti della moglie né di quelli dei figli.
Le labbra di Jay, piene e disegnate in modo da sottolinearne la sensualità, di fronte a quel ricordo si irrigidirono visibilmente. Aveva diciotto anni, ed era appena tornato dalla scuola privata inglese in cui sia lui sia il fratello erano stati educati. Quello stesso inverno la donna che aveva rubato loro l’affetto del padre con le sue carezze sfacciatamente sensuali, la bocca lucida di rossetto e le unghie laccate di smalto, era giunta a Ralapur per la prima volta. Una donna moderna, le piaceva definirsi. Una donna che si era rifiutata di vivere incatenata a regole morali ormai datate, una donna che aveva adocchiato il padre di Jay, viste la sua posizione e la sua ricchezza, e aveva deciso che le avrebbe avute per sé. Una prostituta avida e amorale che aveva venduto il proprio corpo agli uomini in cambio dei loro doni. L’esatto opposto di sua madre, perennemente gentile e obbediente verso il marito e al tempo stesso orgogliosa del proprio amore protettivo nei confronti dei figli.
Jay e suo fratello Rao avevano dimostrato la propria indignazione rifiutandosi di riconoscere l’esistenza della donna che aveva usurpato il posto della loro madre nel cuore del padre.
«Non dovete biasimarlo» aveva detto la madre a Jay. «Vostro padre è vittima di un incantesimo, cieco di fronte a tutto e a tutti, a eccezione di lei.»
E, in effetti, sembrava proprio che fosse stato così: il maharaja non era stato in grado di vedere quella donna per ciò che era in realtà, e a Jay e a Rao non era rimasto altro da fare che osservarlo