Gli opinionisti
Di Mario Borghi
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In un salotto, dove si trova per motivi di lavoro, durante un pomeriggio di ferragosto, una donna delle pulizie riceve strani personaggi che recano al seguito dei foglietti sui quali hanno scritto le loro opinioni sui temi più disparati. Questi personaggi dopo aver declamato tali opinioni consegnano i foglietti alla donna, la quale li lega a dei palloncini che libera nell’aria. Durante queste visite, si parla anche della sparizione di una targhetta dalla porta dello studio di un dottore. Uno dei personaggi scopre casualmente che quella targhetta si trova proprio in quel salotto e cerca di farlo sapere a due poliziotti, anch’essi entrati per esprimere le loro opinioni. Ogni tanto, per spezzare il clima, la signora delle pulizie invita i suoi ospiti a ballare o a cantare tutti assieme e loro accettano. Un attimo di confusione segna l’entrata dell’ultimo ospite, quello meno appariscente, che esprime ciò che realmente succede fuori da quella stanza; egli si rifiuta di dare il suo foglietto alla signora delle pulizie, sa che andrebbe perso, come le parole vane e inutili di tutti gli altri (che si esprimono solo con frasi fatte e a effetto). Oramai, le opinioni e i pareri che i mass media propinano al popolo bue hanno lentamente corroso le coscienze di molti. Ognuno parla, senza che l’altro si preoccupi di ascoltarlo, nell’unica speranza di apparire. Stuoli di opinionisti ci assediano dovunque. Ma la verità, o almeno la verosimiglianza, resta una cosa lontana. Un unico filo lega tutte queste persone, quello dell’inutilità.
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Anteprima del libro
Gli opinionisti - Mario Borghi
breve
Prefazione
Gli opinionisti è uno spettacolo sulla morte.
Non vi si parla d'altro. Come si può tollerare un oggetto di cui non si può dir nulla? Appunto, parlando d'altro, facendo infinite conversazioni che non devono mai cessare, pena l'osceno ingresso dello Special guest.
Una donna delle pulizie riceve, abusivamente, in un salotto non suo, degli strani personaggi, che le consegnano alcuni foglietti contenenti le loro opinioni, tali foglietti vengono appesi a dei palloncini diretti verso la Luna, dove – esattamente come per il senno di Orlando – saranno conservati. Ma il salotto è già sulla Luna e la signora delle pulizie è proprio il corpo celeste che ruota sopra le nostre teste o, meglio, è una sorta di ninfa chiacchierona.
È raro imbattersi in testi a prima vista simili a uno spasso giocoso. L'iniziale effetto di divertimento per lo spettatore ben presto si trasforma in ilare perplessità. Ci si chiede: Ma di cosa sto ridendo? Di me? Degli altri?
. Un rovello giocoso comincia a rodere dentro, a sollevare pensieri, mettendo tutto in allegro subbuglio. Con ogni evidenza, nell'opera c’è qualcosa di inafferrabile, di cui è solo possibile ridere facendo il paio con l'esperienza televisiva di noi tutti. Il pubblico rimane intrappolato, cioè, tra un'esigenza di trattenere (pensare) e una di liberare (ridere). L'oggetto che cerchiamo di individuare è volato sulla Luna con un riso liberatorio: dobbiamo solo aspettare per vederlo scendere sulle ali di un fragile palloncino e poterlo finalmente fare nostro. Ma si può fare nostro un pensiero sulla morte?
«Sai, spesso mi sfiora un pensiero... Quando morirai…», (si) chiede la signora delle pulizie al principio della pièce, «quale foto vorrai sulla tua tomba? Tu non ci pensi, ma io sì, sono io quella che rimane, secondo le statistiche.»
Nello sguardo dell’altro c'è sempre qualcosa di incollocabile; la donna resta e vede passare gli uomini, alla cui memoria cerca di associare una foto per renderne al meglio lo spirito, ma risulta, all'opposto, grottesca.
Un attimo di confusione segna l’entrata dell’ultimo ospite, a prima vista quasi un intruso. Questi balbetta, arrossisce e non si sente a proprio agio; si rifiuta di dare il suo foglietto alla signora delle pulizie per evitare di vederlo andare perso, come perse sono andate le parole vane di tutti gli altri. Tenta di mettere insieme le parole ma, tra assonanze e rime casuali, si lascia (inconsapevolmente?) andare a un linguaggio che, attraverso la sola fonazione, potrà finalmente dire l'assurdo dell'uomo, tra code di scampi, code sull'autostrada, auto che costano come figli, capi senza coda e impiccati senza capo né coda. L'intruso mette in scena la morte del discorso, ossia la sua sorte quando gli si tira troppo la coda e non sa più come salvarsi.
Gli opinionisti risuona di suggestioni tra Achille Campanile e Tadeusz Kantor. È un testo difficile, benché allegerito con la spassosità, ma solo apparente, di un varietà sgangherato in cui si agitano soubrette, aspiranti stelline, poliziotti afflitti da inguaribile solitudine, intrattenitrici ambigue e algidi funzionari. Tuttavia, questo apparato spettacolare nasconde un convitato di pietra, lo stesso del Don Giovanni: la morte. Se in Mozart/Da Ponte il libertinismo è un modo eroico e maledetto di sbeffeggiare la morte stessa – attraverso la burla della sua imago in terra, ossia la donna – nel fiammeggiante script di Mario Borghi nessun titano si propone di duellare col nemico: il modo di opporsi all'invisibile presenza è conversare e, più si conversa (anche mediante semplici opinioni), più si gode la sensazione di tenerlo fuori dalla porta a fare anticamera.
Non si tratta di cosa nuova. Già all'inizio del ‘600, nei salotti fin de siècle
, la nobiltà parigina si riuniva per fare lo stesso. Madame De Rambouillet riuniva i suoi amici nella Camera Azzurra: batteva il ritmo della conversazione, invitava il più restio a partecipare, stigmatizzava gli interventi più audaci, come un direttore d'orchestra che governa