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Scusate se non siamo morti in mare
Scusate se non siamo morti in mare
Scusate se non siamo morti in mare
E-book68 pagine49 minuti

Scusate se non siamo morti in mare

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Info su questo ebook

In un futuro non troppo lontano l’Europa si è trasformata in un continente di emigranti. I cittadini europei, alla ricerca di un lavoro e di un futuro migliore, cercano di raggiungere i paesi più ‘ricchi’, ma devono farlo clandestinamente, salpando verso destinazioni ignote, nascosti all’interno di un container. Testo finalista nel 2015 al Premio Riccione e al Premio Scenario.
LinguaItaliano
EditoreCue Press
Data di uscita21 feb 2016
ISBN9788899737016
Scusate se non siamo morti in mare

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    Anteprima del libro

    Scusate se non siamo morti in mare - Emanuele Aldrovandi

    SCUSATE SE NON SIAMO

    MORTI IN MARE

    © 2016 Cue Press

    via Selice 84a, 40026 Imola, Bologna IT, cuepress.com

    ISBN 978-88-99737-01-6

    Direzione

    Mattia Visani

    Prefazione

    Davide Carnevali

    Immagine copertina

    Jessica Montanari

    Testo finalista al Premio Riccione 2015. Presentato in anteprima con il titolo Balenes al Festival PIIGS 2015 di Barcellona. Spettacolo finalista al Premio Scenario 2015. Prima rappresentazione: 22 febbraio 2016 al Teatro della Cooperativa di Milano. Regia: Pablo Solari. In scena: Matthieu Pastore (Morbido), Daniele Pitari (Robusto), Marcello Mocchi (Alto), Luz Beatriz Lattanzi (Bella). Scene: Maddalena Oriani, Davide Signorini. Sound Designer: Alessandro Levrero. Produzione: MaMiMò / Arte Combustibile. In collaborazione con la Corte Ospitale attraverso il bando Forever Young 2015.

    Indice

    Luoghi fuori dal comune

    di Davide Carnevali

    Scusate se non siamo morti in mare

    Luoghi fuori dal comune

    di Davide Carnevali

    In questi anni mi è capitato spesso di discorrere di drammaturgia italiana con colleghi e operatori culturali di altri paesi. Le conversazioni vertono di solito sull’esistenza e l’attività di giovani autori, e il nome che ricorre è quello di Fausto Paravidino, che ha consolidato in questi anni una certa diffusione a livello europeo. Così, di solito, la domanda che mi viene posta è: «E dopo Paravidino? C’è qualche altro autore giovane che continua in quella direzione?». Le mie risposte variano secondo il periodo e i testi che ho occasione di leggere, perché la drammaturgia italiana, seppur non goda di uno status definito né di un riconoscimento istituzionale, esiste ed è attiva; esempi se ne possono fare molti, non è questa l’occasione per citarli tutti. Emanuele Aldrovandi è uno di questi, forse quello che più si è affermato, a forza di premi, negli ultimi anni. I paragoni sono incomodi, e accomunare più autori nel cerchio stretto del pericoloso termine generazione spesso non rivela altro che un’insana necessità di definizione e un desiderio altrettanto insano di creare artificialmente una tradizione. Non si tratta di ciò; ma credo che, in questo caso, il fatto di menzionare insieme almeno i nomi di Paravidino e Aldrovandi faccia bene a entrambi. Fa bene a un autore come Paravidino, la cui notorietà nel panorama teatrale italiano si vede ancor più giustificata nel momento in cui si afferma il suo ‘essere modello’ per altri autori. Fa bene a un autore come Aldrovandi perché parla a suo favore il fatto di aver saputo assimilare quanto di buono ci sia stato nell’autoria italiana, aprendo però a sua volta una strada nuova, che si spinge oltre quell’esperienza e sperimenta un linguaggio del tutto personale. Certo, come in Paravidino, anche in Aldrovandi c’è ancora l’abilità nell’intrecciare il dialogo, quel gusto per la rapidità della battuta e il senso dello humor, segni distintivi di quella drammaturgia anglosassone che continua a influenzare il nostro modo di guardare, leggere e scrivere teatro – e non solo attraverso il teatro, ma oggi anche e soprattutto attraverso le serie televisive, per esempio. Eppure, differentemente dagli autori anglosassoni e dal primo Paravidino, ad Aldrovandi non basta più andare a scovare nell’esistenza quotidiana il conflitto più accattivante, quello che permette di far funzionare una macchina drammaturgica ben oliata che porta la storia a uno scioglimento imprevisto eppure soddisfacente per lo spettatore. Ho l’impressione che nella scrittura di Aldrovandi, affinché la macchina drammaturgica renda al meglio, la situazione debba essere portata all’estremo delle sue possibilità. Deve fare un passo – ma solo un piccolo passo – oltre le circostanze dettate dalla convenzione estetica che intendiamo come realismo, e toccare – ma solo toccare – il grottesco. Il conflitto che sta al centro dell’opera resta ben ancorato alla realtà, ma la situazione che il conflitto genera stacca spesso i piedi da terra. Così quella bolla di verità scomoda che si nasconde sotto la superficie del felice rapporto di coppia dev’essere messa a confronto con la possibilità concreta della morte, come in Homicide House, per venire a galla e per esplodere. Nello stesso modo, in Scusate se non siamo morti in mare, l’istinto al dominio e all’annientamento del debole da parte del più forte, che è alla base di ogni razzismo, è posta nella

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