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Marksman
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E-book130 pagine1 ora

Marksman

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Zombie - romanzo breve (100 pagine) - Quando l’intero ordine naturale è sovvertito dall’avanzata del morbo, solo la propria natura può essere preservata. Purché questa abbia un solo scopo: uccidere.


L’umanità ha ormai fatto il suo tempo. Gli infetti hanno soppiantato i vivi, invadendo ogni angolo di quel mondo che una volta era appartenuto a coloro che ora sono diventati le loro prede.

Ma una di queste prede, adesso, rivendica la propria natura di cacciatore.

Un uomo che non ha un nome, ma solo un soprannome, scritto con l’oro e con il sangue: Marksman.

E come tutti i predatori al vertice della catena, annienta qualunque cosa gli si pari davanti, viva o morta che sia.

Ma la selezione naturale non si è fermata nemmeno di fronte all’apocalisse, e come in risposta alla sfida lanciatale dal cacciatore eccola partorire l’ennesima aberrazione.

Marksman si troverà così ad affrontare la nuova letale minaccia, insieme a un nemico ancora più formidabile e pericoloso: il proprio passato.


Massimo Lunati è nato e vive a Parma, dove attualmente svolge la professione di consulente aziendale. Ha pubblicato racconti all'interno delle antologie 365 racconti d'estate e Il magazzino dei mondi 3 edite da Delos Books, oltre che sulle riviste Writers Magazine Italia e Robot.

Per il Giallo Mondadori ha pubblicato i racconti La finestra dell’hikikomori (antologia Delitti in Giallo su Giallo Mondadori Extra) e Sorriso di morte (Giallo Mondadori), mentre i racconti Caccia al tesoro e Il numero sono apparsi sul quotidiano Il Cittadino di Lodi all'interno delle rubriche "Il giallo del martedì" e “Un martedì da fantascienza”, in collaborazione rispettivamente con il Giallo Mondadori e Urania.

Ha pubblicato, inoltre, il romanzo breve Il sorvegliante per la collana Chew-9 edita da Delos Digital.

LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2017
ISBN9788825404388
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    Anteprima del libro

    Marksman - Massimo Lunati

    9788867758876

    Il signore vestito sportivo ma elegante

    La creatura avanzò strascicando il piede, collegato alla caviglia da un filamento tendineo prossimo a cedere.

    Un seno le ballonzolava accompagnato da un sordo gorgoglio; dal liquido verdastro, che ne riempiva la cavità, uscivano piccole creature verminose che si facevano strada attraverso il tessuto spugnoso e giallastro che una volta era stato un capezzolo.

    La creatura allungò i due monconi, marcescenti testimoni degli arti superiori che avevano abitato quel corpo tempo addietro, verso l’oggetto bramato dal suo primitivo e sanguinoso istinto.

    La preda, un signore vestito in modo sportivo ma elegante, era comodamente seduta al tavolino posto di fronte a quello che una volta era stato un bar, e del quale rimaneva ormai solo un’insegna penzolante resa illeggibile dalla grande pennellata rosso scuro che, come un’indigesta glassa, la ricopriva.

    L’uomo era intento a sfogliare le pagine del giornale che teneva aperto di fronte a sé, e a giudicare dallo scarso impegno che poneva in quell’attività si sarebbe detto che le notizie contenute all’interno non lo interessassero granché.

    Ben più consistente, invece, era l’interesse della creatura che, ormai a pochi metri da lui, aumentò l’andatura schiumando dalla bocca in modo via via più intenso fino a produrre un piccolo rigagnolo gelatinoso, che iniziò a colare lungo un lembo del torace squarciato per poi deviare la sua corsa in prossimità del seno penzolante, mescolandosi così al liquido verdognolo e alle sue indegne creaturine.

    Il signore vestito in modo sportivo ma elegante, sbadigliando, richiuse il giornale e lo poggiò sul tavolo a fianco di un vassoio argenteo. Afferrò quindi il bicchiere che vi era appoggiato sopra e ne vuotò il contenuto con un unico, vigoroso sorso. Poi, stiracchiandosi le membra, lo ripose sul vassoio, spostando subito dopo la mano sull’altro oggetto contenuto all’interno del portavivande. Dapprima vi tamburellò sopra con le dita, quindi iniziò ad accarezzarlo con delicatezza, come mosso da un sentimento di malinconico affetto.

    La creatura, ora, era molto vicina. Pochi, bestiali passi, e arrivò a lambirlo con i monconi.

    La bocca scheletrica si schiuse dapprima con un movimento incerto; poi, d’un tratto, si aprì, quasi disconnettendo la mandibola da tutto il resto, tanto che quel corpo indegno ora pareva essere sormontato non più da un abbozzo di cranio umano bensì da un’inquietante e nera lacerazione nello spazio, una sorta di buco sospeso al di sopra delle vertebre sbreccate. Infine, quella stessa cavità, più che richiudersi, implose su se stessa, serrando il dentale abominio.

    Il rumore fu secco, come quello di un gessetto che si rompe su una lavagna.

    La creatura roteò l’unico bulbo oculare rimastole, come se cercasse di capire qualcosa che però non poteva comprendere. Mugugnò un lamento come di sorpresa, che nella sua bestialità poteva apparire quasi una struggente implorazione di aiuto per ciò che le stava accadendo, ben differente da quanto il suo animalesco e primordiale istinto si aspettava.

    La mandibola continuava a scattare con movimenti compulsivi mentre i monconi disegnavano cerchi nell’aria nel tentativo irrazionale di porre rimedio a quell’improvvisa situazione, allo stesso modo di una falena che si ritrova improvvisamente rinchiusa in un contenitore di vetro per opera di un crudele e insensibile entomologo.

    Il liquido gelatinoso colò copioso dalla bocca della creatura, opacizzando la superficie luccicante dell’oggetto che ora le ostruiva l’immonda cavità orale.

    – Che diamine, me la stai imbrattando tutta – berciò l’uomo vestito sportivo ma elegante. – Ecco qua, mi ci vorrà un’intera giornata per ripulirla bene. E pensare che avevo appena finito la manutenzione – proseguì in tono lamentoso. – Fanculo! – fu la sua poco forbita conclusione mentre, ancora seduto, osservava disgustato la sua adorata pistola modello Desert Eagle calibro 50 infilata in bocca al mostro.

    A quel punto si alzò, squadrando lo zombie da capo a piedi. Ne analizzò le fattezze, che in un qualche inintelligibile modo rimandavano alle sinuosità che quel corpo doveva aver posseduto quand’era in vita. Quell’altra vita.

    Avrebbe potuto liberarsene lì, ma non sarebbe stato opportuno: gli spari avrebbero attirato altri infetti, e non era quello che voleva. Perlomeno, non dove si trovava ora.

    Stava ancora rimuginando tra sé quando la creatura, obbedendo ancora una volta al bestiale istinto che le apparteneva, cercò di arretrare nel tentativo di sottrarsi all’oggetto che aveva tra le fauci. Manovra alla quale il signore vestito in modo sportivo ma elegante, obbedendo invece a una becera razionalità, oppose un movimento della mano, rapido quasi quanto quello compiuto pochi istanti prima con cui aveva ficcato la pistola in bocca allo zombie: afferrata la testa del mostro femmineo la tirò verso di sé, spingendo l’arma maggiormente in profondità.

    La fanciulla non morta agitò in modo ancora più frenetico i monconi, immergendo la propria iride opaca in quella di colui che, da preda, si era improvvisamente trasformato in aguzzino.

    – Scusa le maniere poco gentili – si giustificò lui, serrando la presa. – So che non si dovrebbero usare con una signorina.

    Detto ciò, con lo zombie al seguito, si incamminò superando il tavolino del bar, alcuni vasi di terracotta rotti al cui interno spuntavano piantine appassite quasi quanto la sua ospite, e uno scooter rovesciato, giungendo ben presto allo spiazzo antistante.

    Proseguì zigzagando tra lamiere di auto, paraurti di auto, frammenti di finestrini di auto, carcasse bruciate di auto, telai arrugginiti di auto… Ma quante cazzo di auto c’erano? Accidenti a lui e quando aveva scelto quel bar del cavolo proprio di fronte a un maxi parcheggio. Ma del resto, era uno dei pochi che possedeva vetrate ancora integre, ottimo per rilassarsi alla vecchia maniera e al contempo tenere sotto controllo eventuali zombie intraprendenti che cercavano di coglierti alle spalle, proprio come aveva tentato di fare poco prima la sua dolce compagna la quale, intanto, non ne voleva sapere di smettere di mugugnare, sbavare e agitare quei ridicoli stecchi che aveva al posto delle braccia.

    Nel giro di pochi minuti arrivarono di fronte all’entrata di un palazzo fatiscente. Non che ce ne fosse qualcuno in condizioni differenti; tutta quella città, infatti, si trovava in un pietoso stato di decadenza. E a dirla tutta, da ben prima del morbo.

    La serranda a pantografo che portava al cortile interno dell’edificio era ben chiusa. L’uomo scrutò attentamente la strada: alcune figure ciondolanti si trovavano su entrambi i lati. Riportò l’attenzione verso la disgraziata creatura.

    – Che spreco, mandare a male tutta questa roba – commentò, lanciando un’occhiata al seno penzolante. Lo zombie rispose con un lamento di protesta.

    – Ma già che è così, vediamo di dare un senso alla tua inutile esistenza – concluse il signore vestito sportivo ma elegante, spostando il dito dal ponticello dell’arma al grilletto.

    Quasi che la creatura avesse capito ciò che stava per succedere, emise un gemito prolungato, simile a una supplica. Anche l’occhio aveva iniziato a roteare all’interno dell’orbita come impazzito.

    Il mugugno di quella triste imitazione di donna si interruppe nello stesso momento in cui il rumore dello sparo riverberò tra i palazzi, con una violenza tale che le pareti parvero vibrare come tanti diapason di cemento.

    Ciò che il tempo, fino ad allora, aveva risparmiato del cranio di quella disgraziata creatura, sparì del tutto, migrando sotto forma di una nube di frattaglie putrescenti. Alcuni frammenti rimbalzarono contro le sbarre della serranda; un altro, come una sorta di frisbee, sibilò roteando nell’aria andando a sbriciolare il vetro di una finestra, uno dei pochi ancora intatti. Altri ancora si infransero con violenza contro il muro dell’edificio, migliorandone l’estetica.

    Il corpo senza testa dello zombie si afflosciò al suolo, privato in maniera definitiva di qualunque forma di esistenza. Quasi in risposta a quello scempio, una serie di atroci lamenti arrivarono da entrambe le estremità della strada.

    L’uomo osservò con attenzione le figure ciondolanti che si strascicavano verso di lui.

    Quando un paio di loro iniziarono ad avvicinarsi troppo, due nuove, fragorose esplosioni lacerarono l’aria. Altri corpi decapitati si accasciarono al suolo.

    Altri zombie spuntarono in lontananza. E poi altri ancora.

    Un nuovo boato squassò l’aria pesante: un’altra testa esplose come un cocomerello selvatico. Richiamate da quell’ulteriore fracasso, frotte di creature iniziarono a riversarsi in strada. Pochi minuti e furono una moltitudine. L’uomo sorrise soddisfatto. Con un po’ di fortuna, tutto quel trambusto avrebbe richiamato uno di quelli.

    Salì tranquillo la scalinata che portava al terrazzino con il cancelletto d’entrata. Quando fu di fronte all’inferriata, estrasse un mazzo di chiavi.

    Ne smistò alcune, con calma: i non morti avrebbero impiegato diversi minuti prima di raggiungerlo. Sapeva bene anche questo.

    Malauguratamente, non ne era altrettanto informato lo zombie che spuntò d’improvviso da dietro il muro del terrazzino.

    Con un verso simile a quello di un suino scuoiato vivo, il cadavere animato si fiondò su di lui, sbavando come un cammello di fronte a una fonte d’acqua nel deserto.

    – Porca… – sobbalzò il signore vestito sportivo ma elegante.

    La mano corse d’istinto alla pistola. Non appena le dita si chiusero attorno al corpo metallico, lo zombie, con un balzo inaspettato, gli piombò addosso. L’uomo riuscì a malapena a estrarre l'arma; non c’era tempo per mirare, non con i quindici chili di quel cannone

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