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Extinction III - La notte
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E-book158 pagine1 ora

Extinction III - La notte

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Zombie - romanzo breve (104 pagine) - La notte. Proprio quando un’ultima fiammella di speranza si era accesa nel crepuscolo, il morbo ha attraversato l’oceano, facendo precipitare Mosca e l’intera Russia nell’oscurità della notte. Patologia degenerativa umana / natura pandemica / agente patogeno ignoto / profilassi ignota. Sepolcro dell’umanità?


Kiev. L’inverno è arrivato. Ksenija è finalmente a casa. Quale casa? L’Ucraina è scossa dalla crisi delle autoproclamate repubbliche filorusse del Donbass. Si spara per le strade. Guerra civile? Oltre il confine, il morbo ha infettato Mosca. Il morbo dilaga. Il resto del mondo non sa. Non ancora. Non abbastanza. Ksenija deve risolvere il proprio conflitto interiore. Ksenija deve tornare nel parco degli orrori. Al suo fianco, nuovi compagni di sventura. Miliziani. Non più contractors ma uomini che lottano per un ideale. Non più scienziati ma uomini comuni. Uomini e donne. Shiloh, Oksana e Serhij. Ombre. Questo sono ormai le loro vite. Uomini e donne senza passato. Senza più un passato. E un futuro incerto ancora da scrivere. Non solo per loro, non solo per la propria patria, non solo per l’odiata Rodina, l’ex Santa Madre Russia. Molto altro. Molto di più. Impedire la tumulazione dell’umanità.


Gianluca D’Aquino, nato ad Alessandria, classe 1978, è autore di romanzi, sceneggiature e racconti, alcuni dei quali apparsi nei Gialli Mondadori (Lettera dall’Eritrea, Il rumore del vento, La casa sul lago, La quintessenza, Il tempo delle risposte, Al di là del tempo) e nelle antologie e collane Delos Books (Quel che non è dato sapere, Torino 1835, la serie Extinction: L’alba [vol. 1], Il crepuscolo [vol. 2]). Vincitore di numerosi premi letterari, è in libreria con Pàrtagas, romanzo epico sull’islamizzazione del mondo. In pubblicazione il romanzo storico Traiano – il sogno immortale di Roma.

LinguaItaliano
Data di uscita17 ott 2017
ISBN9788825403657
Extinction III - La notte

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    Anteprima del libro

    Extinction III - La notte - Gianluca D'Aquino

    9788825409376

    a Sergio Alan D. Altieri,

    maestro dell’Apocalisse,

    amico oltre ogni limite umano.

    47

    A tre giorni dall’azione di Ksenija, la Russia era piombata nel caos del morbo. Gli infetti si erano moltiplicati a una velocità impressionante, diffondendo morte e distruzione in tutto il territorio. La follia militare di Mosca aveva fatto il resto.

    Dal suo rifugio in Ucraina, Ksenija continuava a rimuginare su Pryp’jat’, combattendo con le emozioni che quella fugace visita le aveva causato. Sentiva dentro una lacerazione incurabile, resa ancora più profonda e angosciosa dalla consapevolezza di avere causato una nuova catastrofe umanitaria che avrebbe colpito indistintamente uomini, donne e bambini, colpevoli solo di essere russi e per questo astrattamente responsabili di quanto la sua famiglia aveva dovuto patire nel disastro di Černobyl’ e nel massacro di Beslan.

    Comprese quanto folle, irrazionale e vile fosse divenuta la sua vendetta e quanti innocenti sarebbero morti ingiustamente. Non l’aveva immaginata così. Iniziò a prenderne coscienza. Era stata ottenebrata dal dolore, alienata dal rancore. Deglutì lame di riprovazione nei confronti di se stessa. Lottò per scacciare i pensieri ma il rimorso era una montagna troppo alta da scalare. Dibatté con la propria anima. Si era illusa che il sapore di quella rivalsa sarebbe stato gradevole e che nuova vita avrebbe ricominciato a pulsare nelle sue vene. Invece il cuore cominciò a dolerle e il senso di colpa si fece dilaniante, tanto da rischiare di esserne schiacciata.

    Un rumore al di là della porta della stanza d’albergo la fece sussultare. D’istinto afferrò la pistola rubata la sera precedente a una poliziotta. L’agente, in quel momento, si trovava probabilmente in ospedale, con un forte mal di testa. Fort-12 calibro 9x18 Makarov. Improbabile, invece, che dietro la porta ci fossero i suoi colleghi. L’azione era stata pulita: nessun testimone, nessuna telecamera.

    Attese qualche secondo, ferma sul letto, con l’arma pronta a rispondere a un’eventuale minaccia. I rumori si fecero voci, poi risa di una conversazione informale, quindi passarono oltre. Il rumore di una porta che si chiudeva nel corridoio certificò un passaggio occasionale di altri avventori.

    Fissò la pistola. Per un attimo pensò di rivolgerla contro di sé. Un palpito e tutto sarebbe finito. Provò ribrezzo.

    Si alzò dallo scomodo giaciglio dell’albergo di infima categoria e osservò fuori dalla finestra, senza palesarsi oltre le tende lise. Il principio dell’inverno manifestava in modo evidente i suoi segni: tutto era ricoperto da un denso strato di ghiaccio, come un manto opalescente. Nonostante fosse mattina inoltrata, l’abitato sembrava ancora assopito. Tutto era fermo, immobile, come in un quadro del pittore ucraino Alexander Bolotov. In lontananza, oltre il giardino pubblico imbiancato, alcuni palazzi in tipico stile social-comunista mostravano le lacerazioni dei colpi di mortaio e dei proiettili che ne avevano crivellato i muri. Sebbene il morbo non fosse arrivato in Ucraina, non ancora perlomeno, l’uomo aveva già pensato ad auto-estinguersi in una guerra civile troppo taciuta oltre i confini nazionali russi e ucraini.

    I segni della rivoluzione ucraina, come in molti l’avevano definita, erano terribilmente manifesti.

    La situazione era precipitata rapidamente in pochi anni. Dopo le consultazioni presidenziali del 2010, che avevano visto l’elezione del filo-russo Viktor Janukovyč in danno dell’ex primo ministro Julija Tymošenko. La candidata fu quindi coinvolta in un procedimento penale che, in violazione dei diritti dell’uomo, la portò in carcere. Le prime tensioni sfociarono nel 2013 in forti proteste europeiste contro il presidente Janukovyč, responsabile di avere sospeso un accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea a vantaggio dei rapporti con la Russia. Il dissenso divenne uno scontro armato che culminò con le stragi del febbraio 2014. Dopo i massacri imputati alla polizia speciale Berkut, il presidente scappò da Kiev e il parlamento si riunì in seduta plenaria per eleggere un nuovo governo, ordinando la scarcerazione della Tymošenko e scegliendo Arsenij Jacenjuk, uno dei leader della rivolta, come primo ministro.

    L’immediata risposta russa fu un notevole aumento del costo del gas e un inasprimento delle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Le popolazioni dell’est dell’Ucraina, anche a causa della crescente crisi economica e dell’instabilità politica, si ribellarono al nuovo governo e, appoggiate politicamente e militarmente dalla Russia, si dichiararono contrarie a Kiev. In segno di protesta e di scissione, occuparono diversi edifici governativi e militari, in particolare nelle zone del Donbass, mettendo sul campo ribelli paramilitari e militari di stampo russofono, aiutati da volontari e militari russi, dei quali la Russia aveva intensificato lo schieramento lungo il confine, nonostante le denunce dalla NATO come atto d’aggressione, avviando anche l’occupazione della Crimea. Così aveva deciso il nuovo Zar, Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa. Politico, ex militare, ex funzionario del KGB e direttore del FSB, erede del servizio segreto sovietico. Amato quanto odiato, accecato dal culto della personalità, autoritario e oligarchico con contorni dittatoriali, accusato di numerose violazioni dei diritti umani e della libertà d’espressione e di aver ordinato omicidi di dissidenti, in pieno stile KGB. Forse l’uomo più ricco al mondo. Certamente uno dei più ricchi. Indubbiamente uno dei più influenti.

    Ksenija tornò al quotidiano che aveva lasciato scivolare sul pavimento, a lato del letto, prima di addormentarsi. Fakty i Kommentarii. La data era di alcuni giorni prima ma fu utile per ricostruire le vicende ucraine degli ultimi tempi. Proprio dalle pagine del giornale aveva avuto aggiornate informazioni sulle due repubbliche popolari autoproclamatesi indipendenti nel 2014, di Donec'k e di Luhansk, riunitesi nello Stato federale della Nuova Russia e considerate dall’Ucraina al pari di organizzazioni terroristiche, di cui rivendicava i territori. Territori che, come riportavano gli articoli, erano teatro di scontri violenti, con l’impiego di artiglieria pesante e carri armati, e che l’attuale primo ministro Volodymyr Groysman, in carica da pochi mesi, aveva dichiarato di voler riprendere, per riavere il controllo della produzione di carbone nelle aree controllate dai separatisti e poter soddisfare le esigenze della popolazione in difficoltà. Dure e violente erano però le repliche delle autorità separatiste, che dalle risorse minerarie cercavano lo slancio per l’economia delle neonate repubbliche.

    Ksenija conosceva il Donbass, il Bacino del Donec.

    Ormai, nei centri della regione era in atto una vera e propria guerra civile, con centinaia di migliaia di persone che cercavano rifugio in Ucraina o in Russia, a seconda dell’orientamento di pensiero.

    Ancora una volta, i russi minacciavano la sua terra. Nonostante il passare dei decenni, lo spettro del comunismo sovietico e le nuove genesi di quel morbo devastante continuavano a generare divisioni, morte e distruzione. Si sentì pervasa dall’irrefrenabile necessità di prendere le armi in difesa del proprio popolo, affinché, in quel momento che si profilava funesto per le sorti della Russia, la si potesse ricacciare oltre i confini ucraini, una volta per tutte.

    48

    La decisione era presa.

    A bordo di un’autovettura rubata, Ksenija era in viaggio in direzione del Bacino del Donec. Nel marasma che stava divampando oltre il confine russo, nessuno si sarebbe preoccupato di dare la priorità alle ricerche di un veicolo. La radio rimandava notizie allarmanti: la Guardia Nazionale e l’esercito si stavano attestando lungo ogni via d’accesso al paese, pronti a respingere l’eventuale arrivo di infetti. Nessun caso, a quanto riportavano i media, era stato riscontrato in Ucraina. Ksenija sperò che il proprio paese riuscisse a rimanerne immune, pur sapendo che non sarebbe stato un labile confine a impedire il dilagare del morbo. Lo sguardo le cadde d’istinto sullo zaino: la formula e le fiale dell’antidoto sarebbero tornate utili. Infiniti pensieri le si affollarono nella mente. La realtà era che fino a quel momento non aveva pensato a cosa sarebbe stato della sua vita dopo avere infettato la Russia. Dopo avere piegato la Russia. Ora si aprivano molti scenari, forse troppi. E un problema morale.

    Dall’altra parte dell’oceano, gli Stati Uniti erano stati prossimi all’estinzione. E senza dubbio lo erano ancora. Solo isolate sacche di resistenza umana avrebbero potuto sperare nella salvezza.

    Ksenija ripensò a Vance. Al compagno di sventura che aveva lasciato sulle coste, spingendolo verso nord, verso una possibile salvezza. Anche lui aveva una copia della formula e una fiala dell’antidoto. Oltre alla capacità di riprodurla. Sperò che fosse arrivato a destinazione. A una destinazione sicura. E che avesse già messo in opera una produzione maggiore di antidoto.

    La strada si fece sempre più desolata, sporca al limite dell’abbandono. Vento, vento freddo che trasportava cristalli di ghiaccio. Vento duro, metallico. Piombo, cadmio e mercurio trascinati come polveri. Vento gelido come la tumulazione.

    Più avanti apparvero i primi segni della belligeranza: mezzi incidentati, dati alle fiamme, crivellati di proiettili di armi automatiche. Resti vaiolati di ruggine. Metallo. Ancora metallo nella natura un tempo incontaminata. Un tempo. Ora non più. Ora deturpata, violentata.

    Benvenuta nel Donbass, pensò Ksenija.

    In pochi minuti si trovò a sfilare in prossimità di campi militari, con l’esercito regolare che effettuava servizi di pattugliamento alle porte della regione e, più oltre, degli abitati, coadiuvato da uomini e donne della Guardia Nazionale.

    Era arrivato il momento di abbandonare l’automobile e proseguire a piedi, per strade secondarie, cercando di non dare troppo nell’occhio. Facile a dirsi.

    La neve copriva molto della devastazione del conflitto. Case sventrate, mezzi distrutti, tende nelle piazze da cui si levavano i fumi bianchi delle mense pubbliche, uomini, donne e bambini in fila per una razione di minestra e un panino. Sfollati, gente che non possedeva più una casa, persone che fino a poco tempo prima

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