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Maxine. Parte seconda
Maxine. Parte seconda
Maxine. Parte seconda
E-book373 pagine5 ore

Maxine. Parte seconda

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Info su questo ebook

Coinvolgente storia in cui il continuo confronto e l’assidua lotta tra il bene e il male non lasciano tregua, sino all’ultima pagina. Val di Chiana, Toscana anno 1963.

È qui che nasce Maxine, oggetto di puro amore e, nello stesso tempo, di odio profondo e implacabile, vittima insieme alla madre e la nonna della crudeltà feroce del nonno e del patrigno. L’amore che avvolge tutte e tre, sprigionato ogni attimo dal loro cuore, combatte inesorabilmente, giorno dopo giorno, contro il male. Obbligate da Marcel e Clyde, Cécile e Marie non avranno altra scelta che sottostare, costrette a obbedire ai loro diktat, e Maxine sarà rinchiusa in una soffitta del podere. Le sue incredibili capacità mentali vengono da lei espresse con naturalezza, manifestando sin da piccolissima degli straordinari poteri che, col tempo, sconvolgeranno la vita di tutti i protagonisti.

Maxine parla con gli animali, legge nel pensiero e agisce mentalmente in ogni cosa che desidera. Gli avvenimenti, al compimento dei quindici anni, saranno sconvolgenti,

ma solo un preludio per giungere, pagina dopo pagina, alla parola fine.
LinguaItaliano
Data di uscita27 dic 2017
ISBN9788827800249
Maxine. Parte seconda

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    Anteprima del libro

    Maxine. Parte seconda - Gambarutti

    633/1941.

    Il mio nome è Max

    L'acqua sorgiva, appare al diradare delle nebbie dagli alti monti sgorgando mite e silenziosa, unendosi improvvisamente poi ad altre in quella sua lunga corsa varcando alture sino a biancheggiare frangendosi contro ogni roccia incontrata, e il suo grido, diviene così simile a inquietanti urla di sfida raccogliendosi al limite di quel letto cavato con forza nella terra, rendendosi ormai sempre più turbolento quel divenuto ora grande fiume che, in piena e impetuoso, scende a valle rumoreggiando ingannando così tutti con quel falso natio quieto apparire, scivolando dapprima sereno fra quelle alte cime, giungendo infine a fondo valle al termine di un violento, irrefrenabile scorrere, trascinando con sé impietoso tutto ciò che trovò dinanzi.

    Identica l'immagine mia descritta dall'impeto di uomini, incuranti infine dopo l'incontenibile famelica e distruttiva corsa di quanto abbiano divelto, spezzato o distrutto per sempre, percorrendo la divenuta tortuosa strada del proprio vivere, iniziando quel lungo tragitto con il gioire di un vagito e proseguendolo poi ben consapevoli, infine, di aver proseguito quel passo egoisticamente solo per se stessi, ignorando tutto, e tanti dei loro simili.

    Dall’ultimo tratto di Maxine, prima parte…

    Una belva, uccide per sfamarsi rendendo così necessaria quella sua naturale temibile inclinazione, mentre per l'essere umano, al contrario, quest'istinto è motivato solo dall'animo, quando decide, invaso dal male in qualsiasi tratto della sua vita, d'assalire e colpire il suo prossimo. Disconosce l'uomo e vanifica, a quel punto, ogni forma del bene e spesso, ancor più soddisfatto di ciò che commette, si prefigge di raggiungere così a ogni costo e senza pietà il proprio fine. Simile a un serpente velenoso, con l'inarrestabile, silenzioso, suo inquietante avvicinarsi, si appresta infine ad avvolgere e stringere la sua preda nell'abbraccio della morte prima d'affondare in quel corpo i suoi denti, simili ad acuminate piccole lame, forse non rammentando che il diritto di morire mai è definito reato, ma ben lo è uccidere, impenitente infine nell'aver lasciato dietro di sé nient'altro che odio e dolore.

    Ebbene, al termine di quel suo malvagio cammino vissuto, inevitabilmente da me infine sarà accolto per occupare un posto nelle mie fila, negandogli in quel momento pietà, perché mai da lui concessa in vita.

    Io, eterno custode posto dinanzi a un'antica e temuta porta, ordinerò allora di varcare l'ardente ingresso dell'immensa casa del padrone mio, il demonio! Benvenuto all'inferno!

    *********

    La notte trascorre scandendo inarrestabili le sue ore sino al sorgere del sole, che si annuncia al mondo offrendo la sua antica luce all'ingresso di ogni nuova mattina, lasciando così proseguire il conto dei giorni del settimo mese di quell'anno, luglio 1966, che leggo stampati uno sotto l'altro in nero e rosso sul foglio verticale dell'immancabile ventottesimo almanacco, fedelmente presente come quanti lo precedettero anno dopo anno dal primo, ora appartenente al passato... era il 1938. Fu al nascere del primo mese di quell'anno, gennaio, quando i Grieux fecero ingresso nel podere come proprietari, appendendo quel detto calendario, ad altezza d'uomo, al robusto gancio fissato a un lato della parete della cucina dove si erigeva il grande camino situato invece al centro, con un ampio contenitore rettangolare in ferro battuto al suo fianco, costruito per riporre la legna già tagliata pronta da ardere. Una grande ascia intarsiata nel suo manico appesa a due robusti rampini, appartenuta al padre di Marcel, una piattaia d'ulivo con dodici piatti dipinti a mano, raffiguranti paesaggi di diverse località della Francia, offrivano l'unica nota di colore su quella bianca parete.

    Quanto è strano e curioso l'impegno dell'uomo nel vedere e indicare puntualmente quei numeri elencati uno sotto l'altro, a volte facendo sopra di loro ogni mattina persino una piccola croce, posta a segnare l'inizio del trascorrere di un nuovo giorno che gli appartiene, arrivando così con quel voluto agire, sino al termine di ogni anno. Imperterrito, continua poi con il successivo e ancora sempre oltre, sino al giungere del suo ultimo giorno, forse allora guardando amareggiato ancora una volta la data impressa su quell'almanacco, rammentando infine con rammarico d'aver adoperato quel gesto per decine d'anni. Ritengo invece io di poter affermare che, se ciascun essere umano, al contrario di quanto da sempre si sente quasi obbligato a fare, rinunciasse a elencare con quel segno il fluire dei propri giorni, probabilmente, la vita, l'apparrebbe persino più lunga. Nessun simbolo dovrebbe aver il potere, anche se marcato su semplice carta, di rammentare il tempo percorso di ogni uomo; ben sarebbe far rimaner proprio quell'affascinante trascorrere, vivendo ogni giorno semplicemente come un nuovo evento inarrestabile d'innata gioventù, lasciando magari quel garbato compito solo al vostro viso, impresso su di un limpido specchio d'acqua osservandovi di tanto in tanto, senza alcun timore, immergendo poi le mani tentando di cogliere quel riflesso e infine, semplicemente rinfrescarvi offrendovi un sorriso, unito a una sensazione colma di... sì, solo puro compiacimento.

    Domenica, 3 luglio 1966, ore 20,00

    Quel dì le ore passarono giungendo a sera come dune d'un deserto che cambiano il loro aspetto ogni giorno, ma al suolo, per molti vostri simili, ciò che gli appartiene è sempre l'identica sabbia, e mai il trasformarsi come per magia nel verde rigoglioso d'un campo fiorito.

    Quella stanza ricavata in soffitta già appariva a Maxine sempre più stretta e la solitudine iniziava a trafiggerle impietosa il piccolo cuore, mentre sfogliava attentamente, sempre incuriosita, le pagine dei libri che leggeva nell'intento di dar sfogo alla sua crescente necessità d'apprendere - preferendo incredibilmente i più impegnativi, che ora tanti le appartenevano - memorizzando fatti rilevanti accaduti a uomini, donne, bambini, raccolti in lunghi racconti, guardando con ammirazione foto e disegni raffiguranti luoghi del mondo in altri che trattavano temi sulle proprietà della terra, e ancor più apprezzando la lettura di parole complesse, ma a lei sempre ben comprensibili, come fossero già state stipate dalla nascita nella sua mente. Tutto ciò offriva a Maxine un'iniziale gioia che si tramutava poi in un devastante affliggersi, ritrovandosi, anche se da solo un giorno, tra quelle mura bianche che la circondavano alfine come una gabbia, una prigione, e proprio leggendo 'Il Conte di Monte Cristo' di Alexandre Dumas, soffermandosi più d'una volta su alcuni episodi, meditò a lungo sulla terribile prigionia di Dantès nel castello d'If, costruito su una rocca in mezzo al mare, ricordando con interesse e apprensione ogni parola, riconoscendo in quell'esprimere parte di ciò che aveva provato la mattina precedente quando entrò per la prima volta nella soffitta: 'La porta si richiuse, e Dantès avanzò con le mani avanti finché toccò il muro; allora si sedette in un angolo rimanendo immobile, mentre i suoi occhi, abituandosi all'oscurità, iniziarono a distinguere ogni oggetto'. E ancora, quell'unica finestra lasciava presagire, ancor meno di una goccia d'acqua, quanto, da quando nacque, le era stato impedito conoscere e vedere.

    Maxine richiuse con cura il libro e salì sulla sua rossa bicicletta, con un cigolio dei pedali appena percettibile ai piani sottostanti; contenta, adagiando con cura Milly nel piccolo cestino bianco legato al manubrio, iniziò a percorrere l'unico spazio che possedeva, sognando un giorno, come disse anche a sua madre, di poterla usare con lei in una delle strade sterrate che si allineavano intorno al grande podere, appena visibili come linee dalla finestra, vedendole distanti attraversare i grandi prati verdi sino a scomparire fra gli alberi dei boschi che li circondavano.

    Rammento che quella mattina di domenica si annunciò deliziosa, crogiolandosi nella prima luce che schiariva ora i convolvoli bianchi e rosa che serpeggiavano nelle piccole dune erbose in alcune parti poco distanti dall'ampia corte, come sorridessero della propria bellezza, mentre un gallo libero nella corte sopra la staccionata arruffò le corte piume del petto e si voltò verso il sole ripetendo il suo canto, e subito dopo saltò giù dirigendosi verso il declivio erboso.

    La pioggia della notte precedente aveva continuato a imperversare nella valle sino all'alba alternandosi al breve apparire del sole che, infine, prese il sopravvento invadendo il cielo con la sua luce, aiutato dal vento proveniente da sud che spazzò via, con i suoi potenti risonanti soffi, l'ammasso cupo di nuvole, ora frantumate compagne della notte, che abbandonarono definitivamente il cielo, dando una visibile sebbene lontana forma irregolare di un mutevole ampio semicerchio grigio scuro, avvolgendo ora a cornice i distanti colli. Una brezza mattutina si levò fra i cespugli fioriti ai bordi della corte e il loro profumo si mescolò a quello della terra bagnata, ora compatta e rugosa, con leggere folate che sapevano d'eucalipto, e miriadi di uccelli cantavano come a gioire dell'arrivo del sole che avrebbe con il suo atteso arrivo asciugato i pericolosi greti del canale maestro della Chiana e i sentieri che scendevano a valle.

    In quell'inizio di giornata, gli uomini ultimarono la colazione dirigendosi poi nei campi occupando nel lavoro, come sempre, numerose ore di quella giornata festiva, mentre Cécile si alzò quasi un'ora prima del solito per raggiungere sua madre in cucina, salendo in soffitta subito dopo con lei, entrambe giustamente preoccupate per quella prima notte di Maxine, da sola, trascorsa con quel violento temporale unito a lampi e fulmini che attraversarono il cielo senza interruzione, timorose che tutto quell'imperversare avrebbe potuto impaurirla, non avendo avuto, per la prima volta, sua madre accanto, rammentando come in altre occasioni di tempo avverso fosse stato sufficiente farle sentire la propria mano sul viso, con una semplice carezza, per allontanare dai suoi occhi ogni timore. Quando entrarono in quell'odiato sottotetto, avvicinandosi al lettino senza provocare alcun rumore, videro invece con stupore che la bambina dormiva col viso completamente disteso, coperto in gran parte dai suoi capelli, stringendo la sua amata Milly, con Cherie adagiata ai suoi piedi che, al loro ingresso, si limitò a osservarle senza emettere neppure un miagolio. Fecero per uscire attente a non svegliarla, ma Marie, volgendo per un attimo lo sguardo verso la finestra si fermò fortemente incuriosita, si avvicinò e, scostando un po' le tende, allungò verso i vetri le proprie mani, sino ad appoggiarle completamente su di essi.

    Qualcosa non va, mamma?, chiese sua figlia con un sussurro, incuriosita da quel suo inaspettato atteggiamento.

    Guardavo i vetri, Cécile... rispose anche lei sottovoce, stupefatta, facendo scorrere ora adagio i palmi delle mani a ventaglio sui vetri.

    Si è forse rotto un vetro? domandò Cécile avvicinandosi a lei.

    Guarda sono asciutti, dopo tutta quella pioggia e il vento fino a poco fa. com'è possibile? Persino il davanzale esterno non ha neppure una goccia d'acqua sopra la sua superfice!

    Cécile appoggiò come sua madre le mani senza dire una sola parola e gli occhi si dilatarono, costatando anche lei che, quel davanzale in pietra, davvero era perfettamente asciutto, come se qualcosa avesse impedito all'acqua spinta dal vento di avvicinarsi alla finestra e frangersi poi sui vetri, disturbando il sonno della bambina. Gli occhi di Cécile brillarono di lacrime, si guardarono in viso entrambe silenziose senza la forza di emettere una sola parola riaccostando subito dopo le tende e, avviandosi poi verso la porta, volsero infine lo sguardo per pochi attimi al crocefisso appeso su quella parete. Fecero il segno della croce avvicinandosi alle scale, obbligate a lasciare quella soffitta che sembrava ora avesse una sua voce emettendo parole d'amore e gioia infinita ogni volta che si fosse dovuta varcare la sua soglia. Di lì a poco, in alto, l'azzurro nel cielo si arricchì di nuove sfumature e sullo sfondo del podere, le boscaglie spiccarono nette e scure come il metallo; il nitrire dei cavalli unito al muggire proveniente dalla stalla e l'abbaiare discontinuo dei cani diede la conferma che, quel nuovo giorno, attendeva d'essere ora solo vissuto, con l'abbraccio silenzioso, o piacevolmente assordante che sia, della magnificenza di madre natura e della vita!

    *********

    La lotta in ogni sguardo, tra una lacrima e un sorriso, era oramai un susseguirsi d'emozioni che facevano parte integrante del viso d'ogni giorno di Cécile. Salì le scale per raggiungere l'amata figlia come aveva fatto la sera prima e ancora avrebbe desiderato poter fare in ogni attimo della sua vita pensando più d'una volta di dedicarla esclusivamente a lei e a nessun altro, sentendosi sola e abbandonata in quel suo esistere divenuto così sofferto, obbligata ad assoggettarsi a ogni richiesta, con una pressante disillusione, afflitta nella mente e l'animo, che la allontanava persino nell'amare sentendosi, ogni volta che Clyde la toccava, un semplice oggetto da prendere e usare quando lui ne aveva voglia, appagata solo dall'esistere di Maxine. L'uomo che aveva accanto era solo fumo pronto a disperdersi nell'aria appena si avvicinava, mentre il suo sogno continuava a essere indiscutibilmente la speranza che Edoardo, da sempre veramente amato, d'improvviso le apparisse davanti agli occhi ripromettendosi che mai, se ciò fosse accaduto, avrebbe chiesto il motivo di quella sua sofferta, e incompresa assenza, e abbracciandolo l'avrebbe ringraziato per essere tornato al fianco suo e a quello della loro bambina, ma essendo così ineluttabili le cose nella realtà avrebbe voluto invece poter evadere da quel mondo con Maxine stretta a sé, sperando di trovare in chissà quale parte dell'universo pace, gioia, spensieratezza, con tanta voglia di continuare a vivere, dimenticando quanto, negli ultimi anni, i suoi occhi avevano con malinconia potuto vedere e la perdita dei sensi che prima possedeva, accesi come stelle nel firmamento quando incontrava il suo amato, ora privi di qualunque frammento di desiderio e felicità, coltivando nel cuore l'unica ragione del suo continuo combattere... Maxine.

    Sapeva di essere come una mosca presa in una ragnatela e il suo compito era di muoversi il meno possibile e, se lo faceva, sempre solo con intelligenza, senza mai destare il ragno nella sua attesa, altrimenti, sarebbe stata la fine e quel declino era esattamente ciò che mai avrebbe voluto arrivasse per lei e tanto meno per l'amata figlia, ripromettendosi di proteggerla rimanendo consenziente a ogni ordine espresso da suo padre o da Clyde, accettando ogni volta con arrendevolezza tutto ciò che avrebbero voluto lei facesse, ricevendo con quel continuo acconsentire un barlume di speranza che sua figlia non avrebbe dovuto soffrire più di quanto già ora pativa, confidando che, un giorno, tutto quel calvario, finalmente, sarebbe giunto, in qualche modo a lei ancora sconosciuto, al termine.

    Erano da poco passate le venti quando volli tornare indietro nelle ore e narrarvi ciò che accadde la mattina di quella domenica di luglio che, dando fede a una delle cose che mai si può fermare - il trascorrere del tempo - si avvicinava al suo termine.

    Cécile aiutò sua madre a sparecchiare e subito dopo, come vi dissi, salì le scale volendo raggiungere Maxine prima di entrare nella sua camera; aprì la porta e la vide seduta sulla piccola seggiola che di nuovo aveva messo al centro della stanza; nelle mani un libricino e, vicino a lei, per terra, un piattino con pochi resti sminuzzati di pollo e di mela...

    La mia mamma!, disse con gioia la bambina alzandosi e correndo verso di lei per farsi prendere in braccio.

    Sono qui dal mio tesoro..

    Ti ho sentita arrivare mamma. prima salivi le scale piano e poi veloce.

    ... sì, è proprio così, avevo fretta di raggiungerti.

    Mi vuoi bene mamma?

    Ma. sono domande da fare?

    Bene come Gesù?

    Certamente e ogni giorno sempre di più, ma. cosa ci fa quel piattino con gli avanzi sul pavimento?

    Sono di Crip, mamma.

    Crip?

    Sì il mio amico topolino, ricordi?

    E... adesso dov'è?

    È andato via dalla finestra perché, per ritornare nella sua casa, deve passare sempre da lì.

    Sempre da lì? E te l'ha detto lui questo o lo pensi tu?

    No, no, mamma, me lo ha detto lui, adesso Crip è mio amico, viene tante volte a trovarmi.

    Io non so cosa pensare, Maxine, un topo nella tua camera non credo che..

    È amico mio e di Milly, mi ha detto che mi vuole bene, e allora, io gli do sempre da mangiare.

    Ecco perché mi avevi chiesto quel piattino, credevo ti servisse per qualche tuo gioco invece... e il cibo da dove arriva? Non lascio mai niente in camera, dopo che hai mangiato Maxine.

    No, mamma, quello è di Crip perché anche Maxine e Cherie hanno il piattino per il mangiare, prendo sempre dei pezzettini e li nascondo così dopo anche Crip mangia. Sono cattiva se faccio così mamma?

    Assolutamente no, amore, ma adesso che lo so non avrai più bisogno di nascondere nulla, basterà che me lo dici e ne lascerò un poco per Crip, d'accordo? E Cherie dov'è?

    Oh grazie, mamma! Cherie è andata via sul tetto anche lei come Crip. la notte vanno tutti e due dai loro amici, mamma.

    Cherie è andata sul tetto con Crip?

    Sì e anche quando Crip mangia nel suo piattino lei si avvicina e gli prende il mangiare e allora io la sgrido, ma per finta, mamma. poi la prendo in braccio e la porto vicino a me e quando Crip va via anche lei va dai suoi amici.

    Incredibile!

    Incredibile vuol dire una cosa difficile da capire, mamma?

    Sì, direi di sì, Maxine.

    Ho imparato tante parole in un libro che c'è scritto dizionario e tutte quelle parole Maxine le ha imparate a memoria perché sono belle.

    Si dice, dove c'è scritto. Hai detto. a memoria?

    Sì a memoria, le ricordo tutte e adesso, sono arrivata già alla lettera emme come mappamondo.

    Ormai, io e la nonna sappiamo quanto sei intelligente, Maxine.

    Le figure del mappamondo che ho visto, mamma, sono belle e si vede tutta la terra e un giorno Maxine la vuole vedere tutta perché la mia camera nuova è piccola, mamma, e non ci sono nemmeno le stradine e i prati per andare con la bicicletta come fa Gaia.

    Ti ho promesso che un giorno vedrai tutto ciò che desideri... ci vuole del tempo e tante preghiere a Gesù in modo che ci ascolti e possa aiutarci ad avere ciò che desideriamo tutte e due... è per questo motivo che ogni sera prima di addormentarci dobbiamo dire la nostra preghierina, perché lui possa sempre sentirci e sapere quanto gli vogliamo bene.

    Il Gesù ascolta sempre Maxine.

    Davvero?

    Sì. io gli parlo e lui mi guarda sempre.

    A quelle sue parole, Cécile si voltò verso il crocefisso sulla parete guardando anch'ella il suo volto.

    Adesso ti accompagno in bagno e poi vai nel letto insieme alla tua Milly, d'accordo?

    Prima di andare nel letto devo dire la preghierina a Gesù, mamma..

    Naturalmente..

    La prese per mano e insieme raggiunsero il pianerottolo entrando nel piccolo bagno di fronte alla porta della soffitta, rientrando poco dopo in camera fermandosi ancora brevemente a parlare con lei, poi le fece indossare la camicia da notte e baciandola più volte la lasciò raccomandandole di spegnere la lampada, cosa che Maxine già perfettamente sapeva fare quando era nella camera sottostante con sua madre.

    Cécile lasciò un'anta della finestra aperta accostando le tende, e subito dopo uscì dalla soffitta chiudendo con delicatezza la porta al battente lasciandola da sola.

    Maxine rimase per pochi attimi in piedi al centro della stanza con le braccia abbandonate lungo i fianchi, malinconica e pensierosa, guardando fissa quella porta che di nuovo la richiudeva dentro quelle mura, come avveniva nella camera precedente, anche se non di notte, sentendosi imprigionata, privata di quanto la vita poteva offrire, ma non a lei, dopo l'apprendere d'ogni giorno dai libri che leggeva annotando in sé tutto ciò che avrebbe voluto fare, arrivando spesso perfino a chiedersi se esisteva qualche altra bambina costretta come lei a vivere in una stanza, vittima dell'ingiustizia degli uomini convincendosi a suo modo nel suo puro animo che forse... l'orco non esisteva solo nelle fiabe.

    Io avrei potuto rispondere a quella sua domanda affermandole che l'odio dell'uomo, dovunque - essendone io testimone in ogni giorno trascorso nel passato e ancora nel presente - non ha confini, e il dilagare di ogni male anche verso i più indifesi è pari al diffondersi del bene e dell'amore. ma Max non può parlarle di questo e qualcun altro, so con certezza, lo farà al posto mio!

    Ora era sola fra le apparizioni d'ombre ingannevoli al calare del sole, ma la paura non riuscì ancora a impossessarsi di lei in quella sua seconda notte; si avvicinò alla sedia e la spostò poco distante dal crocefisso, poi sedette sempre stringendo a sé Milly e, a mani giunte, iniziò a pregare lasciandosi avvolgere da quel silenzio che sembrava ora più intenso, stendendosi pietoso sopra quella sua cruda realtà.

    All'improvviso, sentì sui capelli e sulle guance un filo d'aria, come fosse il fiato del mondo che desiderava, e per pochi attimi gli occhi si aprirono su un giardino colmo di fiori e alberi mai visti prima, neppure nei disegni dei suoi numerosi libri; scosse la testa guardandosi intorno come se sentisse la presenza di qualcuno o qualcosa poi, sempre con le mani giunte, rivolse lo sguardo a Gesù, riprendendo sottovoce la sua preghiera.

    Socchiuse gli occhi e non si accorse che la luce delle due lampade si era fatta più fioca e una dolce e appena percettibile melodia, udibile solo da lei, pervase la sua mente quasi obbligandola ad ascoltarla, svuotata da ogni altro pensiero se non la sua preghiera, che continuò a recitare sino a quando si sentì scossa da un leggero tremito. Le tende iniziarono a scorrere ai lati della finestra che lentamente si aprì, avvertendo subito dopo l'ingresso di un leggero zefiro che si annunciò accarezzandole la pelle e ancora, per la seconda volta, le apparve quella tiepida foschia bianca colma del suo identico brillio vellutato che d'un tratto, come un velo, prese spazio sulla visione immaginaria d'una terra a lei sconosciuta. Vide e udì per la prima volta nella sua vita il mare che si frangeva sugli scogli, mentre i bimbi giocavano spensierati sulla sabbia, sino a quando, stupita e confusa, schiuse gli occhi con un sospiro.

    Con tono dolce e levigato, emettendo ogni parola con sottile cadenza, disse: Io sono Maxine, e fissò Gesù certa che tutto ciò che poco prima l'era apparso nella mente poteva essere stato provocato proprio dalla sua presenza.

    Si voltò di poco a lato e guardò la finestra... era aperta, rimase con le mani giunte desiderando rivolgersi ancora a lui ed elargendo un sorriso gli chiese: Sei tu che mi fai fare i sogni, Gesù? A quella sua domanda, una luce ancor più intensa avvolse il crocefisso e il capo dapprima reclinato da un lato le apparve ora dritto sul braccio superiore della croce.

    Sono venuto a trovare uno dei miei angeli.

    La voce risuonò in quello spazio con un tenue eco, come provenisse chissà da quale lontano luogo, ma ben percettibile a lei che, ancora, gli volse lo sguardo sorridendogli, senza riuscire però a pronunciare una sola sillaba.

    Hai timore, Maxine, della parola di Gesù?

    Ciao, Gesù. no, no, Maxine non ha paura. anche tu puoi parlare con Maxine come i miei amici Crip e Cherie?

    Io vivo nel cuore e nell'anima di ogni creatura che desideri rivolgersi a me.

    Perché non vieni giù, Gesù?

    Sono già accanto a te, Maxine, perché ora, la mia voce. proviene dal tuo cuore.

    La mamma e la mia nonna mi hanno detto che devo ricordarmi di dire la preghierina prima di addormentarmi, e mandarti anche un bacino perché sei bravo e abbiamo bisogno di te vicino a noi.

    Io sono vicino a ogni essere umano dal suo nascere, Maxine, ma tanti, nel proseguire della vita, decidono d'allontanarsi da me smarrendo il valore della mia presenza dentro l'anima, non riconoscendo il sacrificio che feci donandomi al Padre mio sulla croce per essere poi per sempre al loro fianco.

    Ah sì, ricordo, Gesù... ho letto che poi tu sei risorto per essere vicino a tutti e adesso anche a Maxine come fanno Crip e Cherie e anche Jila, la mia amica rondine grande, che è scesa dal cielo appena l'avevo chiamata per parlare con me e poi. è volata via.

    Ciò che ti appartiene è prodigio della tua mente e, da angelo quale sei, l'avere amici può riempire solo di gioia ogni giorno della tua vita. Ora sono qui per te e voglio raccontarti l'antica storia di un uccello. so che a te piacciono molto i racconti, vero, Maxine?

    Sì, sì, leggo sempre le storie così imparo tante cose come i bambini che vanno a scuola.

    Hai mai sentito parlare, piccola come sei, della Fenice?

    No, Gesù..

    "Nel tempo che ti appartiene, Maxine, se lo vorrai, potrai leggere e sapere ancora tanto di più oltre a quello che ora, ti racconterò.

    Sappi che la fenice è l'uccello sacro del fuoco e secondo la tradizione è originaria dell'Arabia. Visse più di cinquecento anni e quando si accorse di stare per morire preparò una pira funeraria con rami d'erbe aromatiche, fra cui la mirra, e al tramonto, rivolta verso il sole calante con le ali aperte, diede fuoco a quella folta catasta di rami lasciandosi consumare dalle fiamme, ma nove giorni dopo, risorse dalle sue stesse ceneri.

    Io, dissi: Mi è stato dato il dono di interrompere la mia vita e di poterla riprendere, così, discesi dal Paradiso offrendo me stesso a Dio, mio padre, per la vostra salvezza, sull'altare della Croce, ma nel terzo giorno resuscitai, nell'intento d'affiancarmi al vostro cuore.

    La Fenice è il simbolo della resurrezione, e chi crede in Dio, è destinato a vivere ora come me... per sempre.

    Io, Maxine, sarò la tua coperta quando sentirai freddo, il tuo refrigerio quando il caldo sembrerà soffocarti e il tuo scudo contro il male. Tu saprai riempire il tuo destino con le essenze delle tante virtù che ti appartengono e della pietà, che saprai esprimere al posto dell'odio per tutta la tua vita, e come la Fenice usò le fragranze delle erbe aromatiche per poter un giorno resuscitare, anche tu, un lontano giorno, ti unirai per sempre a me, sedendoti al mio fianco per l'eternità".

    Ohhh, è proprio bella questa storia, Gesù, domani la voglio raccontare alla mamma. posso?

    La mia parola appartiene a ogni uomo che desideri coglierla..

    Quando vieni ancora a trovarmi, Gesù, e mi racconti un'altra storia?

    Sarò vicino a te, per poterti vegliare e asciugare ogni tua lacrima, dolce Maxine.

    Al termine di quella frase, un leggero torpore s'impossessò di Maxine e l'improvvisa stanchezza la obbligò a coricarsi nel suo letto dove, appena distesa, il sonno la rapì cullandola sino al mattino. Le lampade si spensero e la finestra, come le tende, tornarono nella medesima posizione come sua madre le aveva lasciate, mentre un lontano scampanio diede avviso dell'arrivo della mezzanotte.

    L'avvicinarsi del mio eterno avversario a lei non può stupirmi quando, nell'anima di quella bambina, sebbene offesa da esseri umani sin dalla nascita, ciò che si sprigiona è solo innocenza e infinito amore.

    *********

    Descrivo mai con riluttanza episodi circoscritti dall'amore in questo mio narrare, sebbene il sentimento da me rappresentato sempre presieda negli uomini in quella grande casa, rifiutando loro ogni appiglio sul quale con forza potersi salvare, inutilmente aggrappandosi per non cadere nell'abisso della cattiveria, e sento senza timore di sbagliarmi che, questo malvagio stato d'animo opposto a ogni particella del bene, covato nell'anima mi stia chiamando... sì, è vero, sento nel seguito, un forte palpito avverso rimbombare con forza nelle pareti della malignità.

    Lunedì, 4 luglio 1966, ore 9,00

    Erano le sei del mattino quando il sole all'alba si destò da oriente e, dopo poche ore, fece risplendere tutto ciò che i suoi raggi riuscirono a sfiorare, ravvivando ogni naturale colore della natura e d'ogni oggetto, donando la visione d'un oceano d'oro e di zafferano in mezzo a riflessi leggeri, che già risalivano con il vedere di lontani, sebbene ancora tenui, vapori fra terra e cielo. I vari braccianti erano occupati nelle loro mansioni, tutti erano nei campi e anche Cécile dovette andare in una lontana area insieme a suo padre per la raccolta di erbe aromatiche.

    Una donna in bicicletta giunse nell'area della corte interrompendo la sua pedalata e scese, appoggiandola alla staccionata, dirigendosi subito dopo verso la porta d'ingresso, era Adele Parenti, la madre di Leonardo. Marie, celata alla sua vista, sotto il piccolo loggiato dove si svolse il pranzo di nozze, riordinava vasi colmi di fiori in parte appesi con

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