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Bioterapia nutrizionale nello sport femminile
Bioterapia nutrizionale nello sport femminile
Bioterapia nutrizionale nello sport femminile
E-book141 pagine48 minuti

Bioterapia nutrizionale nello sport femminile

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Info su questo ebook

Lo sport è salute. Ma se non ben calibrato, lo sport può portare a uno stato di affaticamento eccessivo che si può tradurre in malattia.
La sindrome da sovrallenamento OTS (Overtraining Syndrome) può costare cara alla donna. Potrebbe darle problemi neurologici o immunitari e intaccarne la fertilità. I segnali del corpo sono diversi da persona a persona: depressione, affaticamento costante (astenia) e alterazioni del ciclo mestruale sono dovute all’alterazione del Sistema Nervoso Autonomo che compromette alcune funzioni biologiche. Quando lo sforzo fisico supera le fisiologiche capacità di adattamento da parte dell’organismo si può arrivare a uno stato di infiammazione cronica latente nell’organismo. E l’infiammazione apre la porta alla malattia.
Lavorare sul Sistema Nervoso con l’utilizzo degli alimenti è possibile. Bisogna frenare l’asse dello stress e rifornire l’organismo dei nutrienti indispensabili, evitando pericolose oscillazioni glicemiche. Gli zuccheri sono fondamentali per il rifornimento energetico della donna sportiva ma non è mai consigliabile mantenere l’equilibrio glicemico di un organismo con integratori artificiali.
 
Il libro suggerisce una serie di accorgimenti dietetici e di rimedi naturali, facili da preparare e da utilizzare. Dall’indicazione dei nutrienti indispensabili nell’attività sportiva femminile, agli antiossidanti reperibili in natura, dai consigli per i pasti secondo il ritmo e l’intensità degli allenamenti a uno sguardo del ciclo ormonale femminile. Per il riequilibrio della performance e della salute mentale e fisica.
 
LinguaItaliano
Data di uscita5 gen 2018
ISBN9788893372381
Bioterapia nutrizionale nello sport femminile

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    Anteprima del libro

    Bioterapia nutrizionale nello sport femminile - Letizia Bernardi Cavalieri

    Note

    INTRODUZIONE

    Amare lo sport è un atteggiamento esistenziale che dovrebbe essere insegnato a tutti i bambini. Lo sport, come anche una moderata attività fisica, soprattutto di tipo aerobico: camminare, correre, andare in bicicletta, nuotare, praticare lo sci di fondo, la pallavolo, il canottaggio, sono tutte attività che costituiscono una fonte insostituibile di ossigeno per il corpo e per la mente. Un esercizio di tipo aerobico implica un’attività moderata che utilizza ossigeno per fornire l’energia necessaria alla contrazione muscolare, cuore compreso, ha un’azione protettiva per il cervello e per il tessuto nervoso, complessivamente. Addirittura sembra responsabile della rigenerazione delle cellule nervose (neurogenesi).

    Gli effetti dell’attività fisica sono paragonabili a quelli dei farmaci ansiolitici e antidepressivi. Insomma l’attività fisica equilibrata è senza dubbio un toccasana per la salute. Per tutti.

    L’attività fisica da una parte incrementa la circolazione, dall’altra aumenta un importante fattore di crescita nervosa: il BDNF(Brain-derived neurotrophic factor), che sembra notevolmente coinvolto nei processi di rigenerazione neuronale. Il BDNF ha effetti neuroprotettivi e neurotrofici. Consente la sopravvivenza dei neuroni e facilita la crescita dei dendriti, aumenta la capacità di incrementare le connessioni sinaptiche, quindi è un importante fattore di plasticità neuronale ed è implicato nei processi della memoria.

    Inoltre l’attività fisica rilascia importanti neuromodulatori per cui attiva le cortecce prefrontali (preposte ai processi corticali superiori), ovviamente anche le cortecce motorie, i gangli della base, il cervelletto, il setto e il mesencefalo. Questo fa sì che si liberino, con l’attività fisica, importanti neurotrasmettitori come acetilcolina e serotonina, il fattore di crescita insulinosimile e l’anandamide. L’anandamide è l’ormone della felicità, perché si lega al recettore cannabinoide di primo tipo, quello al quale si lega anche la marijuana. Soltanto che questa sostanza endogena non ha tutti gli effetti collaterali delle droghe. Inoltre l’attività fisica equilibrata è un potente fattore di difesa immunitaria, ma uno sforzo eccessivo e protratto può portare, anche in chi segue allenamenti costanti, un fenomeno di immunodepressione. Soprattutto nei maratoneti, che richiedono uno sforzo sempre al di sopra delle loro performance, è stata riscontrata una maggiore suscettibilità alle infiammazioni.

    Infatti il nostro organismo è un network, e anche i muscoli partecipano a questo network rilasciando citochine, anche nominate miochine: IL-1, IL-6, TNF-α, le citochine infiammatorie. Ma a differenza del processo infiammatorio vero e proprio, che parte proprio rilasciando TNF-α, un’ equilibrata attività fisica rilascia prima le interleuchine che attivano una sequenza di citochine antinfiammatorie: IL1ra, sTNF-R, IL10.

    Questo gruppo di interleuchine è la formula magica che spegne la risposta infiammatoria (anche quando l’organismo ne produce impropriamente). Inoltre, durante l’attività fisica interviene l’adrenalina (ormone dello stress di primo intervento), che ha un’azione antinfiammatoria. Tutto ciò avviene quando l’attività fisica o lo stress sono comunque commisurati alle personali potenzialità, al proprio stile di vita e al proprio allenamento, proporzionato all’età.

    Quando il livello dello stress aumenta, o quando ci sono circostanze della vita che sfiancano anche emotivamente il soggetto, i risultati non tornano più e la risposta immunitaria si capovolge, diventando un boomerang.

    L’asse dello stress fa partire immediatamente anche il cortisolo, che a lungo andare altera gli equilibri. Da una parte crea un’insulinoresistenza con tutti i problemi di glicemia oscillante dannosa all’organismo, soprattutto dello sportivo, dall’altra attiva una cascata di ormoni che disregolano l’asse dello stress e così si crea il terreno per la patologia.

    Gli ormoni saltano, la donna sportiva, in particolare, avvisa la stanchezza nella prestazione. Un allenamento troppo intenso può comportare un disequilibrio ormonale e indebolire l’atleta.

    Il sovrallenamento può essere anche definito come lo stato in cui l’atleta è stato ripetutamente stressato dall’esercizio fino al punto in cui non è più in grado di regolare il recupero fisiologico dei propri sistemi di feedback.

    Ma a questo stato di stress cronico concorrono diversi fattori.

    La sindrome da sovrallenamento(overtrainig) infatti è il nome dato a un set di sintomi emotivi, comportamentali e fisici causati dal sovrallenamento che si è protratto per settimane o mesi.

    Gli atleti e gli allenatori lo definiscono anche come burnout. Questo stato è comunque molto diverso dalla comune stanchezza post-performance che è comune negli atleti dopo la gara. Il sovrallenamento è segnato dalla stanchezza cumulativa che persiste anche dopo congrui periodi di recupero. Stanchezza spesso nemmeno percepita coscientemente dall’atleta, ma che si traduce in performance inadeguate o fratture accidentali ripetute, o anche anoressia, dimagrimento, apatia, fino alla depressione.

    Il termine sovrallenamento è stato introdotto da Hatfield (1988) per descrivere questa serie di sintomi causati, sostanzialmente, da un alterato rapporto tra allenamento e recupero, ma come ho già accennato, il sovrallenamento è una condizione abbastanza frequente, una sindrome piuttosto complessa le cui cause vanno ricercate in diversi fattori scatenanti, che non sono soltanto legati allo sforzo.

    Si tratta, sempre, di un fenomeno in cui intervengono diversi fattori: il riposo (quantità e qualità), lo stato d’animo, l’alimentazione.

    Occorre anzitutto migliorare le prestazioni nello sport agendo sulla fisiologia e questo avviene prioritariamente favorendo un corretto apporto nutrizionale che garantisca in primo luogo un congruo periodo di riposo dopo un intenso allenamento. Questo adattamento dell’organismo è infatti un’indispensabile risposta al carico massimo che debbono sostenere sia il sistema cardiovascolare che quello muscolare, impegni che il fisico deve affrontare nella fase di sforzo intensivo. Anche sulla fase di sprint dell’attività agonistica la nutrizione può incidere migliorando l’efficienza del lavoro del cuore, aumentando la fluidità dei capillari nei muscoli, assicurando una costanza di rifornimento nelle riserve di glicogeno e migliorando i sistemi enzimatici dei mitocondri all’interno delle cellule muscolari. È proprio durante il periodo di recupero che i sistemi fisiologici di rigenerazione cellulare (soprattutto a livello mitocondriale) lavorano per compensare lo stress. In seguito a un’attività aerobica a intensità medio-alta, come quella di un atleta di endurance (ciclismo, maratona, sci di fondo, ecc.), nelle strutture muscolari si verificano degli adattamenti enzimatici e cellulari (aumento di mitocondri) che migliorano la capacità di ossidare, al fine di riprodurre grandi quantità di energia per lo sforzo. Questi adattamenti non daranno un dimagrimento, come risultato principale (come in chi cerca il movimento per eliminare peso superfluo), daranno comunque una modesta riduzione del peso corporeo dovuta alla perdita di acqua in seguito all’utilizzo dei carboidrati.

    Nel caso della donna atleta, quando si cerca di scongiurare il pericolo dell’instaurarsi della sindrome da overtrainig, è necessario lavorare sulla dieta assicurando un corretto ciclo ormonale, che è il sistema di regolazione dell’asse neuroendocrino femminile. Quando si comincia a disregolare quello, il sistema è già compromesso.

    IL CASO CLINICO

    l caso

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