Rohingya. Analisi di un genocidio
Di Ivan Maffei
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Rohingya. Analisi di un genocidio - Ivan Maffei
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Introduzione
I recenti eventi nello Stato sud-occidentale di Rakhine, in Myanmar, hanno attirato l’attenzione del mondo intero. I militari del Paese asiatico hanno attaccato numerosi villaggi, costringendo circa mezzo milione di musulmani di etnia Rohingya a fuggire dalle loro case per trovare rifugio nel vicino Bangladesh. Secondo fonti umanitarie, si contano circa cinquemila vittime a causa delle violenze dall’agosto 2017. Il governo del Myanmar afferma che le operazioni in corso sono la risposta agli attacchi terroristici compiuti dall’Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA), un sedicente gruppo separatista musulmano responsabile della morte di undici membri dei servizi di sicurezza.
La questione e le origini delle ultime violenze contro i musulmani nello Stato di Rakhine (prima chiamato Arakan), non possono essere spiegate come lotta al terrorismo, ma fanno parte di un quadro ben definito e antico. I Rohingya sono una minoranza musulmana che vive principalmente in prossimità della costa occidentale del Myanmar. Si stima che siano circa un milione, stanziati soprattutto nelle cittadine settentrionali dello Stato. Da quando il governo ha approvato il Citizenship Act del 1982, ai Rohingya è stato negato il diritto di cittadinanza, inoltre la minoranza musulmana ha dovuto subire gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità militari e di polizia, oltre che dalla popolazione locale di fede buddista. Migliaia di Rohingya sono state vittime di tortura, detenzione arbitraria, stupri e altre violenze, e privati della libertà di movimento e di accesso al cibo, acqua potabile pulita, servizi igienico-sanitari, cure mediche, opportunità di lavoro e istruzione.
Mentre la comunità internazionale plaude alla democratizzazione del Paese dopo le libere elezioni del 2015 e la vittoria del partito del già premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, Unione Europea e Stati Uniti revocano le sanzioni, ma il Myanmar rimane uno dei maggiori produttori al mondo di rifugiati
. La lunga storia del Myanmar conta 124 anni di dominio coloniale britannico, seguiti da dodici anni d’indipendenza, che fu interrotta da un colpo di stato militare nel 1962. Il golpe di conseguenza ha comportato quarantanove anni di dominio militare. Nel 1989 il regime cambiò il nome del Paese da Birmania in Myanmar. Molti Paesi del mondo, così come il movimento per la democrazia all’interno del Myanmar, preferiscono la denominazione Birmania
, poiché non riconoscono la legittimità del regime militare non eletto. Le Nazioni Unite hanno accettato il nome Myanmar facendo affidamento sul principio che ogni Paese membro è libero di decidere il proprio nome. Esiste un certo modello tra i Paesi post-coloniali in cui la costruzione della nazione e l’ascesa del nazionalismo si trasformano spesso in conflitti basati sull’identità.
I musulmani Rohingya non sono inclusi nella lista di 135 minoranze ufficiali del Myanmar, ed è uno dei motivi per cui i media internazionali e le organizzazioni per i diritti umani, li riconoscono come la minoranza più perseguitata al mondo. Tuttavia il caso dei Rohingya è più complesso, non si tratta solo di discriminazione in base all’etnia o alla religione. Quello che era iniziato come un conflitto politico durante gli anni della dittatura militare, si è trasformato in un conflitto sociale che è stato manipolato dal regime. Ciò ha comportato all’interno del Paese un’ondata d’odio nei confronti dei Rohingya. E’ più di una coincidenza che le aree ricche di minerali, gas e petrolio, siano allo stesso tempo quelle più interessate al conflitto con le autorità. In questo contesto si potrebbe supporre che solo il governo trarrebbe beneficio dalle tensioni tra gruppi etnici, infatti, lo stesso regime alimenta le violenze. In retrospettiva è evidente che l’unica cosa che mette d’accordo molti birmani e la giunta militare, è la loro reciproca animosità verso i Rohingya.
Storia
L’area conosciuta storicamente come Nord Arakan era una volta governata dai re indù, molto prima dell’attuale maggioranza buddista. Da qualche parte della regione, intorno all’ottavo secolo, fu fondata la capitale di Arakan con il nome di Wesali, e la religione cambiò dall’induismo al buddismo. I birmani non sembrano essersi sistemati in Arakan fino forse al 10° secolo D.C., quindi le prime dinastie si pensano siano state indiane. Molto probabilmente il primo contatto che Arakan ha avuto con l’Islam è avvenuto attraverso i mercanti arabi arrivati via mare nel nono secolo.
L’ultimo regno indipendente sul territorio Arakan fu fondato nel 1430 col nome di Mrank-U, e governato dal re Narameikhla. Il sovrano cedette alcuni territori al sultano del Bengala, e riconobbe la sua sovranità su quelle aree. Come riconoscimento del suo vassallaggio, il re di Arakan ricevette i titoli islamici e la possibilità di utilizzare la moneta bengalese. Questo vassallaggio fu però di breve durata: dopo la morte del sultano, avvenuta nel 1433, i