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Historiai
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E-book282 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Per la prima volta riuniti in un'unica edizione ebook tutti i racconti di Giancarlo Busacca, ambientati nella splendida e amata Sicilia. 

Giancarlo Busacca nasce ad Acate il  31 luglio del 1961. Autore di romanzi polizieschi è anche sceneggiatore e regista teatrale.
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita29 apr 2018
ISBN9788893458757
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    Anteprima del libro

    Historiai - Giancarlo Busacca

    8

    Penelope e Platone

    Il rumore della solitudine dove ogni passo che fai, ogni sospiro sembra rimbombare nel nulla di una vita vuota e priva di senso, priva di sorrisi, che non puoi né dare né ricevere, priva di lacrime ed emozioni, che non puoi condividere. Puoi urlare quanto vuoi, ma le tue parole si mescolano ai tuoi pensieri facendo lo stesso rumore. Questa sarebbe una bella visione pessimistica della mia vita, ma io la penso in maniera diversa perché io non sono uno, ma la metà di due.

    Sono nato nel quarantatre durante la guerra ai primi di gennaio, giorno più giorno meno, all’anagrafe è il cinque, la mia genitrice, quella insomma che mi partorì, mi lasciò davanti alla porta di un convento, da lì finii in quello che si chiamava collegio dei Salesiani.

    Ho voluto cancellare dalla mia mente i ricordi di quel periodo, perché non mi diedero nulla dal punto di vista umano. Ricordo quel periodo come fossi un cane, preferivi le bastonate nella speranza magari di ricevere un premio o almeno di poter mangiare, perché se combinavi qualche monelleria finivi senza cena. In vita mia non ho mai festeggiato il compleanno, non riesco nemmeno a vederne il motivo o a capirne il senso e poi festeggiare con chi?

    Non so chi era mia madre e perché mi abbandonò in quel convento, so solo che la cosa più vicina ad una figura materna i primi tempi furono le suore, almeno fino a quando fui mandato dai salesiani. Lì imparai a fare il tornitore e l’idraulico, appena raggiunsi i sedici anni andai a lavorare con don Salvatore come apprendista idraulico, il paese si stava riprendendo dalla guerra, eravamo nel boom economico e il lavoro non mancava.

    Don Salvatore, apprezzava il mio impegno nel lavoro e mi pagava discretamente, poi quando c’erano lavoretti di poco conto mandava me e lasciava che mi tenessi i soldi, ciò mi consentì almeno di guadagnare quanto bastava per potermi affittare una specie di basso.

    L’alloggio in cui ero andato a vivere, il basso di un antico palazzo nobiliare, era una stanza che non superava i venticinque metri quadri con un gabinetto e un lavandino, avevo poi una rete e un materasso dove dormire e per lavarmi dovevo scaldare l’acqua sull’unico fornello che c’era, visto con gli occhi di oggi era un posto triste.

    Per me allora invece era una reggia, abituato a dormire in uno stanzone assieme a tanti altri, tra puzza di piedi e rumore di scorregge, potere avere un posto tutto mio, con anche un armadio e un tavolo e due sedie, era una grande conquista, potevo anche ascoltare la radio e sentire la musica quando volevo, che per chi non è cresciuto in un collegio può sembrare una cavolata, ma per me era una grande conquista, mi dava un grande senso di libertà.

    Nella metà degli anni sessanta don Salvatore andò in pensione e cedette l’attività a me, mi buttai a capofitto sul lavoro, non conoscevo altro che lavorare e non avevo mai orario, se mi chiamavano lavoravo anche di domenica.

    Poco alla volta il mio lavoro crebbe, l’edilizia andava alla grande e la mia attività andava crescendo di pari passo, avevo quattro operai che lavoravano per me e avevo lasciato la buia catapecchia dove vivevo per comperare una casa tutta mia, pagata tutta in contanti, di centoventi metri quadri, con due garage dove tenere gli attrezzi e i due furgoncini, che usavo per il lavoro.

    Il mio pensiero era solo e unicamente rivolto al lavoro e ai soldi, non c’era spazio per le relazioni con la gente, né tanto meno con le donne, quindi meno ancora lo spazio per mettere su famiglia, termine che conoscevo ovviamente solo per sentito dire e basta. Vedevo gli altri uscire con la moglie e i figli, ma non ne vedevo il vantaggio, anzi avendo il mio pensiero rivolto solo unicamente ai soldi pensavo solamente a quanto costava mantenere tutta quella gente, scusate tutti quei familiari.

    I rapporti con l’altro sesso si limitavano a qualche prostituta di tanto in tanto, il mio pensiero era solo rivolto a lavorare e a mettere soldi da parte, so che la gente mi criticava dicendo che pensavo ad impilare i soldi uno sull’altro, ma me ne fregavo apertamente delle loro vuote opinioni, del resto il proverbio dice fatti i cazzi tuoi e campi cent’anni.

    Ho lavorato con la mia ditta fino agli inizi degli anni novanta, quando ho capito che l’edilizia stava andando in crisi ho ceduto l’attività e sono tornato a fare l’artigiano occupandomi solo di riparazioni e basta, fino a quando ho raggiunto l’età per andare in pensione.

    A questo punto ho fatto quello che non avevo mai nemmeno pensato di fare in tutta una vita, per la prima volta sono andato in ferie per oltre un mese. Come prima cosa, scommetto che non ci crederete, sono andato a vedere il mare, che non avevo mai visto, ho persino fatto il bagno, almeno fino a dove si toccava, perché ovviamente non sapevo nuotare. Poi ho preso l’aereo, una volta sola però, perché ho scoperto di avere paura di volare, e sono andato a visitare Milano, Roma e Firenze, sono andato anche in piazza san Pietro a vedere il Papa affacciato alla finestra, quest’ultima era solo una curiosità gli anni passati tra suore e preti non hanno fatto di me un uomo religioso, anzi tutt’altro, uscito dal collegio non ho più rimesso piede in una chiesa.

    Tornato in città, dopo questa lunga vacanza, ho poi comperato un piccolo appezzamento di terra dove ancora mi occupo degli ortaggi, che coltivo e di alcuni alberi da frutta ed ulivi, spesso ci vado solo per godermi il silenzio e la tranquillità, mi siedo e guardo gli ortaggi crescere e la frutta maturare.

    Non sono un tipo che non ama la compagnia, ma non sono abituato a relazionarmi con gli altri, non ho mai avuto amici neanche ai tempi del collegio, non ho mai saputo che fine abbiano fatto i ragazzi che erano con me.

    Anche con i miei operai non c’era dialogo, eppure li vedevo ogni giorno, le uniche cose che dicevo loro erano: fai questo, fai quello, prendimi questo, prendimi quello. So che loro alle mie spalle mi chiamavano il muto, ma non me la sono mai presa, anzi me ne fregavo, basta che mi facessero il lavoro per cui li pagavo.

    Quando non vado in campagna passo le mie giornate come la maggior parte dei pensionati, la mattina vado al bar prendo il caffè, dò un’occhiata al giornale e poi dopo una camminata per le vie della città vado a fare la spesa per sperimentare nuove ricette.

    La cucina è la mia unica passione, ogni giorno mi piace cucinare un piatto diverso, ho una dozzina di ricettari comperati nei mercatini e da lì prendo le ricette, che poi realizzo. Questa passione l’ho scoperta quando feci la famosa vacanza ed ebbi la possibilità di assaggiare piatti nuovi, prima invece a mezzogiorno mangiavo un panino e via di nuovo a lavorare, a cena spesso mangiavo qualcosa presa in rosticceria e poi subito a letto, ricordo ogni tanto quando cucinavo qualcosa il piacere di assaggiare del cibo caldo.

    Una mattina come al solito esco per andare a fare la spesa, sono quasi arrivato al supermercato quando attorno a me all’improvviso tutto diventa buio, mi sono svegliato in un letto di ospedale con dei fili attaccati sul corpo, non ricordo cosa mi era capitato, mi sono guardato intorno meravigliato, era la prima volta che mi trovavo ricoverato, mi giro e vedo il campanello per chiamare l’infermiere, schiaccio il pulsante e attendo. Pochi minuti dopo la porta si apre ed appare una infermiera.

    -le mando subito il medico – da fuori sento l’infermiera chiamare il medico- dottore il paziente ha ripreso conoscenza

    Pochi secondi dopo entra il medico

    -signor Mario buongiorno sono il dottore Ferranti, come si sente

    -bene – rispondo io – ma che ci faccio qui in ospedale

    -non ricorda nulla di quello che è successo

    -ricordo solo che stavo andando a fare la spesa e poi basta

    -lo consideri un campanello di allarme, lei la controlla la pressione giornalmente?

    -mai fatto

    -da domani dovrà farlo, ora continuo il giro delle visite e poi torno per parlare con lei e si consideri fortunato, perché se non fosse stato per il suo cane, la cosa poteva essere più grave.

    -il cane?

    -sì il suo cane, si è messo ad abbaiare attirando l’attenzione delle persone, che l’hanno soccorsa, e non c’è stato verso è voluto salire in ambulanza con lei. Ma non si preoccupi è qui davanti all’ospedale, che l’aspetta, gli diamo da mangiare

    -dottore ma di quale cane sta parlando. Io non ho cani

    -ma allora il labrador non è il suo cane?

    -no, non ho cani, né amici, nè parenti

    -incredibile, gli animali hanno più sensibilità delle persone- dice mentre si allontana

    Due giorni dopo vengo dimesso, tutto sommato sto bene, ma ho una serie di medicine da prendere, esco dal lato del pronto soccorso perché così mi evito di fare il giro e davanti all’ingresso vedo un labrador accucciato in un angolo, che appena mi vede si avvicina scodinzolando.

    -allora sei stato tu, grazie- dico questo ed istintivamente gli faccio una carezza.

    Proseguo nel mio cammino, passo prima dalla farmacia a prendere le medicine e una macchinetta per misurare la pressione, poi vado al supermercato a fare un po' di spesa per poi tornare a casa. Solo nel tragitto di ritorno mi accorgo che il cane mi sta seguendo.

    -si può sapere perché mi segui? Ti ho ringraziato già, vai a casa tua

    Il cane ovviamente non capisce e l’unica risposta che mi dà è una scodinzolata, salgo le scale ed entro in casa, chiudo la porta alle mie spalle, pensando che il cane dopo un po' si sarebbe stancato e sarebbe andato via.

    Mi disinteresso completamente del cane e mi dedico alle mie faccende, dò una controllata alla casa e vedo che è tutto a posto, poi sistemo la spesa e controllo il frigo, butto via un paio di cose, che sono andate a male, poi faccio un po' di spazio nella credenza della cucina e sistemo i medicinali, che dovrò prendere ogni giorno e la macchinetta della pressione.

    Non ho voglia di cimentarmi in piatti particolari e mi preparo due spaghetti in bianco, olio e parmigiano, c’è pure una bistecca nel frigo, che è ancora buona ma lascio stare.

    Mi metto a mangiare, ma mi accorgo di avere buttato troppa pasta, quella in più la lascio dentro alla pentola, mangio una mela e poi mi viene in mente il cane. Vado a controllare se è andato via, ma appena apro la porta lo vedo davanti a me fermo nel pianerottolo, che mi scodinzola. Richiudo la porta vado in cucina apro il frigo e prendo la bistecca e la cucino, la taglio a pezzettini poi vi aggiungo la pasta cucinata in più, metto tutto in un piatto di plastica e lo porto al cane, il quale mangia tutto voracemente. Prendo una vecchia tazza con dell’acqua e la do al cane, poi rientro in casa, non mi sento molto in forma per cui mi sdraio sul divano accendo la tv e mi addormento un’oretta.

    Quando mi sveglio mi accorgo che fuori sta piovendo, penso al cane e vado a vedere se è andato via, ma appena apro la porta vedo il cane accucciato davanti all’ingresso mentre inutilmente cerca di ripararsi dalla pioggia.

    -avanti vieni dentro e siediti qua che ora ti asciugo

    Il cane, come se avesse capito tutto, entra e si accuccia a lato della porta, mentre io vado a prendere un vecchio accappatoio, che avevo messo pronto per buttarlo, e asciugo il cane, che sembra gradire le mie attenzioni. Prendo poi una vecchia coperta e gliela sistemo davanti alla porta così si sarebbe potuto accucciare al caldo, vado a sedermi sul divano per guardare la televisione e vedo che il cane, coda bassa e orecchie basse quatto quatto cerca di avvicinarsi a me

    -vai a cuccia e non ti muovere

    Nel sentire la mia voce torna indietro, ma cinque minuti dopo vedo che nuovamente cerca di avvicinarsi a me, questa volta non gli dico niente, ma se prova a salire sul divano giuro che lo sbatto fuori ed invece il cane si avvicina a me e si acciambella ai miei piedi. Lo lascio stare in fondo non fa casino, anche se avrebbe bisogno di un bagno, e per fortuna sua sa stare al suo posto per cui la sera lo faccio sdraiare nella cuccia che gli ho preparato

    -ora mettiti a cuccia che è ora di andare a nanna- mi accorgo che non solo sto parlando con il cane, ma che ho anche pronunciato una delle frasi più lunghe di quegli ultimi tempi.

    La mattina seguente, io come al solito mi sono alzato alle sei e mezza, vado in cucina a prepararmi la colazione e a misurarmi la pressione, appena mi vede il cane mi fa festa poi va verso la porta e abbaia, capisco che vuole uscire, gli apro e vedo che scende dalle scale e va a fare i suoi bisogni, finita la colazione, la misurazione della pressione e le medicine, vado ad aprire la porta e vedo che il cane mi attende pazientemente

    -dai entra che ora andiamo dai vigili

    Non avendo un guinzaglio ne faccio uno con una corda e lo lego al collare, poi esco con il cane e con mia grande sorpresa mi segue docilmente. Vado dai vigili perché avendo il cane un collare probabilmente sarà microcippato e quindi potrò restituirlo al proprietario. Dai vigili vengo a sapere che il cane è veramente microcippato

    -il cane risulta di proprietà del signor Michele Ercoli abita in via degli aceri 52 – mi dice uno dei vigili

    -Ercoli, Ercoli questo non mi è nuovo, si adesso ricordo. Michele Ercoli è morto due anni fa insieme alla moglie in un incidente stradale, avevano una figlia dovrebbe avere vent’anni – mi dice un altro vigile

    Entra nella stanza il comandante dei vigili, che mi conosce benissimo perché è il nipote di don Salvatore, il mio primo datore di lavoro.

    -don Mario che succede?

    -ho trovato questo cane

    -il cane è di Michele Ercoli- dice uno dei vigili

    -lo conoscevo, era collega di mio cognato. Quando i bresciani quindici anni fa aprirono la fabbrica di alluminio portarono con loro degli operai per istruire il personale e il signor Ercoli era uno di questi, solo che mentre gli altri poi sono ritornati al loro paese lui è rimasto. Con la moglie si erano innamorati della Sicilia, avevano anche acceso un mutuo per comperare casa. Poi quell’assurdo incidente, me lo ricordo come se fosse oggi, stavano scendendo verso mare quando al chilometro otto, proprio nel rettilineo si è rotto un braccio della ruota anteriore sinistra dell’auto perdendo il controllo e finendo contro un camion che sopraggiungeva nel senso opposto. La figlia si chiama Penelope, povera ragazza, i pochi soldi le hanno permesso di tirare avanti solo qualche mese, poi si è trovata in mezzo a una strada. Io stesso gli ho dato in comodato d’uso un piccolo dammuso, quello che ho ereditato da mia zia, almeno per farle avere un tetto sopra la testa. È in graduatoria per una casa popolare, ma ne passerà di tempo. Avevo provato a contattare dei parenti che vivevano in provincia di Brescia, ma lasciamo perdere, gentaglia, poi criticano a noi meridionali.

    -e come vive la ragazza adesso

    -si arrangia con qualche piccolo lavoretto, poverina tira a campare, ma è rimasta con la testa sulle spalle. Una brava ragazza, non meritava tutto questo.

    -col cane come facciamo

    -se non le porta fastidio potremmo fare una cosa, lei si riporta a casa il cane e io vado a rintracciare la ragazza e gli dico di venire a casa sua, così risolviamo la cosa in maniera amichevole ed evitiamo multe.

    -ve bene comandante facciamo così, tanto il cane è tranquillo

    Esco dal comando dei vigili e mi reco a fare la spesa al supermercato per comperare da mangiare e prendere anche delle scatolette per il cane, che rimane seduto ad aspettare che io esca.

    Arrivato a casa sistemo la spesa e comincio a preparare da mangiare, apro una scatoletta al cane e gli sistemo un piatto in cucina, quando sento suonare alla porta, vado ad aprire e davanti a me vedo una ragazza bruna sul metro e sessanta, magra, pallida in volto, dall’aria malandata

    -buongiorno signore sono Penelope Ercoli sono la proprietaria di Platone… il cane, mi manda il comandante dei vigili

    -si so tutto – rispondo io

    Sentendo la voce della ragazza il cane lascia perdere di mangiare e corre a fare festa alla ragazza, la quale appena si china per salutarlo cade a terra priva di sensi. Subito mi precipito ad aiutare la ragazza, la prendo in braccio, è leggera, e la sdraio sul divano, sono confuso non so cosa si fa in questi casi, ma vedo che lei poco a poco riprende i sensi.

    -che è successo? - chiede la ragazza

    -sei svenuta

    -mi scusi, tolgo subito il disturbo

    Fa il gesto per rialzarsi, ma ricade di nuovo sul divano

    -mi gira la testa

    -calma resta sdraiata, non avere fretta, come mai questo svenimento

    -ho un poco di febbre e poi anche la debolezza, sono due giorni che non mangio

    -rimani sdraiata, non ti alzare, sto preparando da mangiare dieci minuti il tempo di buttare la pasta è pronto, sto cucinando degli spaghetti all’amatriciana, il sugo è fatto da me, ti piacciono?

    -in questo momento mangerei anche le pietre

    -bene allora rimani sdraiata e quando è pronto ti chiamo

    Ci sediamo a tavola e Penelope si spazzola tutto il piatto in pochi minuti, io non sono ancora arrivato a metà

    -calma ce n'è ancora se vuoi

    -certo che voglio è buonissima, ma la fa lei?

    -sì certo, mi piace cucinare

    -posso fare la scarpetta, so che non è educato

    -fai pure sono contento che ti piaccia

    Penelope mangia con foga e gusto, poco dopo finisce pure il secondo piatto

    -se hai ancora fame ti posso cucinare una bistecca

    -no grazie sono sazia

    -vuoi della frutta, ci sono mele, pere e banane

    -una mela grazie

    Porgo la mela alla ragazza, ma mi accorgo che mentre tenta di sbucciarla gli tremano le mani

    -dalla a me, te la sbuccio io prima che ti tagli, perché tremi?

    -crisi di astinenza- dice ridendo

    -sì che ci credo, fammi sentire la fronte…ma tu scotti

    -sento un poco di freddo, devo avere qualche linea di febbre

    -finisci di mangiare la mela, che ti preparo il letto nella camera degli ospiti e ti prendo una coperta

    -ma non si disturbi, ora mi passa

    -come no, te la fai passare a comando la febbre, tieni metti il termometro- dico questo mentre dal mobile della cucina prendo il termometro.

    Intanto vado a preparare il letto, metto delle lenzuola pulite e prendo una coperta e mentre faccio questo mi viene in mente che non ho mai ospitato nessuno in casa mia, infatti non so perché all’epoca comperai quel letto o forse più semplicemente in una casa troppo grande per me non sapevo come riempirla. Torno in cucina e vedo che la ragazza ha fortissimi brividi di freddo.

    -te la sei misurata la febbre?

    -si tutto a posto

    -tutto a posto un cavolo- dico io guardando il termometro- hai quaranta di febbre, dai vai a riposare e tu Plutone fai compagnia alla tua padrona

    -Platone non Plutone- dice ridendo Penelope

    -Platone, ma che nome è?

    -era un filosofo greco

    -mai sentito, del resto ne capisco solo di tubi

    -tubi?

    -si facevo l’idraulico, dai sdraiati e riposa, io vado a chiamare il medico

    -ma non…

    -sai dire solo no, non ti reggi neanche in piedi, se non ti basta una coperta te ne prendo un’altra

    -forse un’altra è meglio

    Il medico venne dopo una mezzoretta, era un mio vecchio cliente e con tutte le volte che ero corso a toglierlo dagli impicci mi sembra normale che venisse quasi subito.

    -don Mario tranquillo sua nipote ha l’influenza, è periodo, fra una settimana sarà guarita del tutto, prenda queste medicine in farmacia sul foglio ho scritto la posologia.

    Accompagno il medico alla porta ringraziandolo di essere venuto, torno nella camera della ragazza e vedo che la ragazza e il cane si sono addormentati, ne approfitto per andare in farmacia a prendere le medicine. Lungo il tragitto penso al medico, che ha scambiato la ragazza per mia nipote, ovviamente non mi andava di spiegare tutta la storia e l’ho lasciato dire, ma camminando mi accorgo che parlo da solo

    -ma vedi tu cosa mi va a capitare, mi ritrovo nonno senza gli impicci del matrimonio, dei figli e della famiglia. Ma aldilà del nonno e non nonno, cosa potrei fare di diverso se non accogliere e soccorrere quella povera ragazza. Intanto è giusto che faccia questo, poi il resto si vedrà.

    Tornato a casa Penelope si è svegliata

    -ti ho portato le medicine, prendi intanto la tachipirina così ti si abbassa la febbre, ti vado a prendere una bottiglia d’acqua e il bicchiere

    -perché una bottiglia?

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