Le teste di Cozzo
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Info su questo ebook
La storia di delitti passati e quella di chi ha tutta l’aria di essere un serial killer del presente viaggiano a capitoli alterni nella nuova vicenda di Nicola Sammartano, Peppe Rallo, Ciccio Bellezza ed Elsa Fachìn. Il racconto dell’indagine s’intreccia infatti con lu cuntu del brigante marsalese Pietro Marino, detto Pietro Cozzo, un brigante realmente esistito, nonché tagliatore di teste, ghigliottinato (sic!) all’alba dell’unità d’Italia. Ma ecco che un moderno emulatore delle gesta di Pietro Cozzo mette sulla graticola Nicola Sammartano e i suoi aiutanti. Vengono ritrovati dei cadaveri, decapitati e con i genitali attaccati al posto della testa. Non sono cadaveri sconosciuti per quella che ormai è diventata una vera e propria agenzia investigativa, la XXI Mistero. Il killer entra in contatto diretto con i quattro amici, e questa volta Ciccio rischia di “perdere la testa”, non solo per amore.
Rocco Pollina
Rocco Pollina è musicista e insegnante. Con Coppola Editore ha pubblicato i romanzi Il XXI Mistero (2008), Madre Mediterranea (2009) e Le teste di Cozzo (2011), ora riediti in versione ebook da VandA.ePublishing (2014). Sempre per Coppola Editore, ha curato con Umberto Leone il libro-cd dedicato al cantastorie Pino Veneziano Di questa terra facciamone un giardino (2009). Con il gruppo etno-rock Mondorchestra ha pubblicato il cd La mafia non esiste (2007) e si esibisce dal vivo con le sue canzoni in siciliano.
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Anteprima del libro
Le teste di Cozzo - Rocco Pollina
1
«Vedo che questa notte è riuscito a dormire! Prenda il termometro e ripasso tra un po’.»
Nicola Sammartano aprì gli occhi e mise a fuoco lentamente la figura di Irene, l’infermiera di turno che gli stava accanto. Di colpo, prese coscienza del letto d’ospedale in cui era sprofondato. Salutò l’infermiera con un grugnito, prese il termometro, se lo ficcò sotto l’ascella e si rannicchiò in posizione fetale, cercando di dormire ancora un po’, ma fu sopraffatto dal ricordo lucido del pestaggio di appena una settimana prima, insieme a una marea di risentimento e rabbia che montavano non lasciandogli tregua.
Ricordando le mazzate, sentiva come se si risvegliassero tutti i dolori a uno a uno. Il primo colpo sulla spalla. Il secondo colpo sul fianco. Poi la mascella destra e, infine, il ginocchio sinistro. Un bel lavoretto fatto con cura e precisione da professionisti.
Rivide la faccia di cazzo del biondino smilzo che era sbucato da un vicolo mentre stava percorrendo via Giudecca, una stradina poco illuminata della Trapani vecchia. Sammartano non si era reso conto subito del pericolo perché pensava ai fatti suoi, come gli capitava sempre più spesso quando camminava da solo per strada. L’azione, comunque, era stata fulminea. Lo stronzo gli aveva sbarrato il passo e lo aveva conciato in quel modo con una spranga di ferro, mentre un bisteccone grande quanto un armadio lo teneva da dietro, stringendogli le mani e le braccia in una morsa d’acciaio. Dopo avere ultimato il loro lavoro, i due gli avevano pisciato addosso e poi si erano dileguati lasciandolo tramortito e fradicio di urina ai bordi della strada. Era rimasto là per due ore senza che nessuno si prendesse la briga di raccattarlo e portarlo in ospedale, o quantomeno chiamare un’ambulanza. Quando aveva ripreso conoscenza, era riuscito a stento a trovare il cellulare e schiacciare il tasto di chiamata veloce per l’amico Peppe Rallo. Aveva biascicato il nome della strada in cui era e, più o meno, cosa era successo. Poi aveva perso ancora conoscenza. Ed eccolo lì in ospedale, dopo una settimana, ancora dolorante e soprattutto incazzatissimo.
Irene era tornata a ritirare il termometro ed era pronta, accanto al letto, con la flebo quotidiana. Annotò la temperatura, predispose la flebo, attaccò il tubicino alla farfalla sul braccio sinistro di Sammartano e lo salutò con un sorriso. Era l’unica infermiera impeccabile e professionale di tutto il reparto degenze di medicina generale all’ospedale Sant’Antonio di Trapani. Persino gentile. Le altre sembravano spuntate fuori da un film di serie B, sgarbatizze e volgari, come alcuni medici con la panza e il camice sporco che, quando passavano nel loro giro mattutino, sapevano articolare solo la seguente frase:
«A posto, Sammartano?»
Ma quando, come al solito, Sammartano li mandava a fare in culo gli rispondevano:
«Che malo carattere ha! Non sia così nervoso!»
Avrebbe voluto vederli al posto suo, quei pezzi di merda incompetenti che gli avevano ammazzato il maresciallo Cammarata cinque anni prima.
Il suo ex collega si era sentito male in caserma e lo avevano accompagnato immediatamente al pronto soccorso con una pattuglia. L’elettrocardiogramma era risultato negativo.
«Tutto a posto!», avevano detto, e gli avevano dato un farmaco per la pressione.
«Lei è troppo nervoso», aveva commentato il medico panzone di turno, il dottor Mannina. Poi lo aveva dimesso senza neanche fargli un prelievo di sangue e tutti i dovuti accertamenti del caso. I colleghi lo avevano amorevolmente accompagnato a casa dove era morto dopo tre ore. Infarto secco. Nonostante le denunce, il medico era ancora lì al suo posto e continuava a dispensare le sue pillole di saggezza.
«Stia tranquillo!», aveva detto a Sammartano. «Vedrà che tra una settimana si sentirà meglio.»
Ma ogni mattina era la stessa storia. Quando finiva l’effetto degli antidolorifici, il pestaggio ricominciava. Il primo colpo sulla spalla. Il secondo sul fianco. Il terzo alla mascella destra. Il quarto al ginocchio sinistro. Poi di nuovo la flebo e un’incazzatura che non accennava a diminuire. Perché lo avevano pestato? Sammartano rimuginava tra sé e sé gli avvenimenti degli ultimi mesi.
Al ritorno da un breve soggiorno a Selinunte si era trasferito nuovamente a Trapani, dove aveva comprato una casa alla marina, contigua a quella di Peppe Rallo. La casa si sviluppava in verticale: due stanze a piano terra, primo piano con soggiorno e cucina, mansarda con camera da letto e terrazzino con vista sul porto. Nelle due stanze a piano terra aveva predisposto uno studio con sala d’aspetto, e lì aveva aperto la sua agenzia di investigazioni private con l’amico Peppe, professore in pensione, avvalendosi anche della collaborazione di Elsa Fachìn, la nipote del professore che si era trasferita da Milano a Trapani appena un anno prima, e Ciccio Bellezza, detto Africa, falegname, imbianchino, spirugghiafacenne, aspirante musicista e