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Il circolo di lettura di Rebibbia
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E-book313 pagine4 ore

Il circolo di lettura di Rebibbia

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Info su questo ebook

La condizione di recluso può rappresentare una sfida insuperabile, specie per chi, fino a poco tempo prima, faceva parte a pieno titolo di quella che normalmente viene denominata “società civile”. È il caso di Plinio G., un ex professore rimasto impigliato nelle fitte reti della malavita organizzata. In prigione l’unica fonte di svago per lui sono i libri e fra tutti i generi Plinio G. predilige le lettere, in particolare quelle che Gramsci scrisse dal carcere alla sua famiglia. Nelle sue parole si ritrova, a lui si ispira quando decide egli stesso di cimentarsi nella scrittura. Toccanti le espressioni che adopera nelle lettere inviate a Elena, la figlia prediletta, che gli risponde con l’affetto necessario a restituirgli il gusto di tornare a vivere con dignità, sebbene nella sua non invidiabile condizione di recluso. E saranno, accanto alla tenera e commovente corrispondenza epistolare con la figlia adolescente, ancora i libri a salvarlo dalla profonda prostrazione in cui era scivolato, fino al punto di accarezzare l’idea del suicidio. Il suicidio, una scelta che cerca di spiegare studiando e ricorrendo a illustri precedenti. E lo fa con mille esitazioni e complessi di colpa che lo assillano durante la sua permanenza a Rebibbia. Trova, grazie al rapporto indistruttibile con il suo amico di cella Giuliano L., l’occasione di ricucire alcuni legami importanti che credeva ormai definitivamente interrotti. L’autore, rimasto piacevolmente colpito dal discorso che lo stesso Giuliano tiene durante la premiazione di un libro, decide di raccogliere la sua importante testimonianza in un racconto intenso ed edificante: nasce così Il circolo di lettura di Rebibbia, che, grazie al confronto sempre vivo con il pensiero di autori del passato più o meno recente, regala al lettore l’opportunità di indagare a fondo i grandi temi che riguardano la condizione di essere umano.

Filippo Piccione è nato a Marsala. A vent’anni viene chiamato in servizio per la Leva obbligatoria militare a Roma dove riprende gli studi interrotti dopo la Licenza elementare. Qui lavora, prende il diploma di maturità, frequenta l’Università come studente-lavoratore e si laurea prima in Economia e Commercio e poi in Giurisprudenza. Viene assunto alle poste come fattorino telegrafico e, attraverso una serie di concorsi nella Pubblica amministrazione, diventa dirigente del Ministero della Giustizia e responsabile di un settore del Dipartimento della Giustizia Minorile. Per il Gruppo Albatros Il Filo ha già pubblicato
 
LinguaItaliano
Data di uscita11 giu 2018
ISBN9788856790146
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    Anteprima del libro

    Il circolo di lettura di Rebibbia - Filippo Piccione

    Sciascia)

    Premessa

    Quell’anno la premiazione del libro ha avuto luogo al Teatro Quirino. All’incontro, da mesi programmato dalla direzione delle Biblioteche di Roma, hanno partecipato tutti i componenti dei ventidue circoli di lettura. Ma soltanto ai rappresentanti del circolo Marconi e della casa Circondariale di Rebibbia, è stata data la parola. I due interventi hanno riscosso moltissimi applausi, ai quali ho con grande convinzione unito il mio. In particolare mi aveva colpito il discorso di Giuliano L. pronunciato qualche minuto prima della conclusione della serata. Il mio elogio per quanto consapevole e sincero mi sembrava tuttavia troppo poco o quanto meno insufficiente per manifestargli per intero il mio apprezzamento. Desideravo, sia pure di sfuggita, avvicinarlo per chiedergli se in futuro sarebbe stato possibile avere un abboccamento per continuare a parlare delle cose che aveva detto nel suo intervento. Dopo una serie di difficoltà quell’incontro è potuto, in via eccezionale, avvenire presso la biblioteca di Rebibbia fra il circolo di Marconi e il suo circolo. Il risultato era stato senz’altro utile ma non poteva esaurirsi soltanto con un’ora di discussione. Si era avuto appena il tempo di fissare le basi per un discorso che aveva bisogno di altre occasioni di incontro e di tempi molto più lunghi. Poiché le condizioni per conseguire tale obiettivo apparivano proibitive aggirammo l’ostacolo ricorrendo al mezzo più agevole ed efficace: un reciproco fitto scambio di lettere.

    Uno scambio intenso e proficuo pur non essendo questo il principale scopo della nostra interlocuzione, ma che tuttavia mi ha consentito di conoscere più a fondo la vita dei detenuti in una delle case di pena fra le più famose del Paese. Capire il tipo di esperienze che ciascuno di loro aveva fatto e fa con se stesso e con i propri compagni di cella. E soprattutto con coloro che vivono e condividono il rapporto con i libri, la lettura, la scrittura e ogni manifestazione culturale che si svolge all’interno del carcere. Un rapporto, quello con i libri, che prima o poi diventa la meta principale, raggiunta la quale, in determinate particolari situazioni, si viene a stabilire una sorta d’identificazione, d’immedesimazione e persino di interiorizzazione dei più profondi significati contenuti nei libri che hai letto e che ti fanno cambiare la vita e non solo quella, come cercava di spiegare Giuliano L. nel suo intervento.

    Ho potuto conoscere, grazie a lui, alcuni protagonisti che scontano o che hanno scontato parte della loro vita in carcere. Parlare di Salvatore Buzzi, che è stato ospite di Rebibbia prima della vicenda di Mafia Capitale e per quello che ha comportato per Roma, era quasi un obbligo. Peraltro avevamo a che fare con un personaggio singolare, che aveva suscitato l’interesse e l’ammirazione anche da parte di alcuni rappresentanti delle Istituzioni per il suo esemplare comportamento di detenuto, per la sua voglia di affermarsi, per la sua eccezionale capacità di studio e per il suo singolare, inedito talento di imprenditore, di regista, di scrittore.

    Dal racconto di Giuliano L. sul conto di Buzzi ho potuto percepire e cogliere con maggiore nitidezza i tanti aspetti che prima mi sfuggivano. Sebbene Giuliano L. non avesse avuto modo di conoscerlo direttamente era in grado di sapere per filo e per segno, respirando l’atmosfera di Rebibbia, la storia riguardante il suo passato, ma anche quella che era emersa negli ultimi tempi che ha visto Buzzi coinvolto nel processo della cosiddetta Mafia Capitale, il cui relativo dibattimento di primo grado si era peraltro celebrato in un’aula del Tribunale, allestita appositamente all’interno del carcere di Rebibbia, a pochi passi dalla cella di Giuliano L.

    L’altro protagonista, del tutto sconosciuto, si chiama Plinio G., con il quale Giuliano L. stringe un indistruttibile sodalizio. Un legame umano e culturale che caratterizzerà le pagine di questo libro. Plinio G. è un prestigioso e stimato professore di matematica di un importante Liceo scientifico di Roma, il quale fra i suoi impegni civili poneva al primo posto quello di una strenua lotta a ogni forma di delinquenza mafiosa, corruttiva e del malaffare, ma che poi, inspiegabilmente e misteriosamente, aveva finito per farne parte.

    Un passaggio drammatico della sua esistenza che diventerà il rovello che lo accompagnerà per sempre e che lo segnerà per tutto il tempo della pena che dovrà espiare in carcere. Una caduta rovinosa da cui non riesce a rialzarsi e di cui non riesce a farsi una ragione né a dare a se stesso e ad altri, soprattutto alla sua famiglia, una spiegazione. Ma la cosa più terribile è che non è capace di trovare una via d’uscita dignitosa, nemmeno ricorrendo all’arma estrema del suicidio, su cui medita a lungo e che però non metterà mai in atto. Non per codardia, ma perché, nel confrontarsi con coloro che hanno deciso di porre fine alla loro vita, non trova, né moralmente né eticamente, alcun appiglio decente che giustifichi un gesto del genere che in certi casi può avere un suo decoroso significato.

    Plinio G. vede nel comportamento di Giuliano L. innanzitutto il sostegno psicologico per la sua sopravvivenza. Per lui, come lo è per Giuliano L. i pilastri su cui poggia la propria tormentata, precaria esistenza, sono i libri, la scrittura, la ricerca, lo studio, l’analisi e l’approfondimento puntuale dei testi e il confronto su di essi. Questo loro impegno che a tratti può apparire perfino capzioso e stucchevole si rivela quasi sempre il motivo e la spinta essenziali per rinsaldare il legame profondo che esiste tra di loro. Interessante e per certi aspetti divertente è la competizione sui vari tipi di lettori, partendo dalla definizione e la classificazione che ne danno Italo Calvino e altri prestigiosi scrittori. Così come la disputa sui classici e sui rapporti che si stabiliscono fra autore e lettore, sul lettore solitario e su quello che fa parte di un circolo di lettura, sul lettore silenzioso e il lettore ad alta voce. La loro attenzione e il loro coinvolgimento diventano ancora più stringenti quando leggono gli articoli che appaiono sulle riviste e i giornali o quando guardano i servizi mandati in onda o trasmessi dalla Radio e dalla TV, ma soprattutto quelli che parlano del fenomeno, dell’intreccio, dei misteri e degli enigmi che caratterizzano la presenza della mafia, il diffondersi della corruzione, l’azione capillare quotidiana della micro e della macro criminalità, il ruolo della politica, delle istituzioni e della intellettualità. In particolare a Napoli, dove lo scontro fra lo scrittore Saviano e il sindaco De Magistris, così come in casi simili si è verificato in passato in Sicilia (Sciascia e la polemica con l’Antimafia), in Giuliano e in Plinio aveva lasciato una traccia profonda e fornito interessanti e preoccupanti ulteriori motivi di riflessioni.

    Ma il mastice più resistente che unisce Giuliano L. e Plinio G. è rappresentato dal quotidiano impatto con le vicende umane e personali proprie e altrui che, in maniera particolare, colpiscono Plinio G. e rispetto alle quali inevitabilmente Giuliano L. non può fare a meno di esserne quasi totalmente coinvolto.

    Ci sono alcuni episodi che lo turbano, lo commuovono e lo emozionano e altri che gli fanno da pungolo per andare avanti. Ma con più frequenza intervengono fatti che gli impediscono persino di fare un piccolo passo in avanti per tirarsi fuori dalla sua depressione e dalle sue angosce.

    Tuttavia, al centro e accanto a tutto questo sommovimento di apprensioni e di prostrazione, entra in azione un meccanismo che spinge i due compagni detenuti a confrontarsi sui grandi problemi dell’umanità mettendosi alla ricerca di una purchessia valida soluzione per risollevarsi dalla condizione frustrante di recluso.

    Solitamente le conclusioni cui arriva Plinio G. sono il frutto delle sue meditazioni e dei suoi approfondimenti, che egli annota con scrupolo certosino nei suoi block notes, che custodisce in uno zainetto tenuto sempre a portata di mano vicino alla sua branda. Per quanto robuste siano però le sue riflessioni non sono mai in grado di arginare l’incombere di un altro pensiero che lo tormenta e che è costituito dall’impossibilità di incontrare e di comunicare con sua moglie Rita e i figli, Elena e Nicola. Ed è soprattutto per questa ragione che parte del suo tempo lo dedica a trovare i modi più adatti per ripristinare almeno uno straccio di rapporto con loro, che di lui, in primo luogo la moglie, non ne vogliono più sapere. Scrive e riscrive lettere che conserva nel suo tascapane ma che non ha, per timore di un respingimento, l’animo di inviare ai suoi naturali destinatari. Tranne una volta, quando decide di rispondere ad una lettera sofferta e commovente che Elena gli aveva inviata, sollecitandolo a rispondere.

    Una lettera che prima di scriverla, sente ancora il bisogno di accrescere la lettura di un numero sterminato di corrispondenza epistolare che si era procurato durante il tempo della sua detenzione. Senza che questo gli impedisca di ritornare a leggere le lettere scritte dai partigiani condannati a morte. Sia dei partigiani che ormai erano rassegnati a essere passati per le armi sia di quelli che speravano ancora di scamparla per riabbracciare i loro cari. Ma legge anche le lettere spedite da donne e uomini che avevano deciso di trovare nel gesto estremo del suicidio la migliore via d’uscita per porre fine alla loro vita, o perché non più degna di essere vissuta o perché non avrebbe avuto, date certe condizioni, più alcun senso continuare a sopravvivere. Legge le lettere di poeti, scrittori, magistrati, operai, donne e uomini disperati e depressi, di persone colte e analfabete. Ma l’ispirazione più intensa gliela offrono le lettere che Antonio Gramsci scrive nella cella del carcere che manda alla moglie, alla cognata, alla madre, al fratello, ai figli.

    Parte prima

    Capitolo 1

    La direzione delle biblioteche di Roma aveva stimato utile e opportuno che la premiazione dei libri valutati dai circoli di lettura durante l’autunno, l’inverno e la primavera, potesse questa volta tenersi in un prestigioso teatro della Capitale. La data era stata stabilita a fine maggio 2016. Ogni lettore del circolo era chiamato a partecipare all’evento per aver acquisito un duplice merito: quello di aver contribuito e dato il meglio di sé anche dal punto di vista letterario e quello di aver messo in campo la sua sensibilità e le sue capacità critiche assimilate all’interno del gruppo di cui faceva parte. Il giudizio dato al libro era quindi figlio oltre che di questo corale concorso di idee e d’impegno collegiale, anche del confronto con lo scrittore, che avveniva di volta in volta nelle varie sedi dei quartieri della città dove è dislocata ed è in funzione una biblioteca del Comune di Roma. Fino a quel punto il ruolo del lettore aveva il suo peso specifico di cui l’autore in qualche maniera teneva conto, evidenziando, nel corso della discussione, i profili e i passaggi più interessanti della sua opera. E tutto questo emergeva con maggiore risalto quando egli si trovava a tu per tu con i circoli di lettura.

    Ma il giorno della premiazione tutta l’attenzione era rivolta agli scrittori e in quella occasione i membri dei circoli di lettura diventavano pubblico, sia pure pubblico speciale. Di questo pubblico faceva parte Giuliano L., il detenuto del carcere di Rebibbia. A dare un’ulteriore prova del suo impegnativo compito in questa particolare occasione non era soltanto un rituale scambio di opinioni con i suoi compagni. Con i quali da qualche mese si riuniva settimanalmente per discutere il contenuto di un libro scelto dal circolo di lettura della locale biblioteca per commentarlo e su cui esprimere un giudizio, muovere una critica, esaltarne il messaggio e arrivare persino a farlo proprio. Il detenuto Giuliano L. aveva ottenuto l’autorizzazione del magistrato di sorveglianza per partecipare a una manifestazione nella quale anche lui doveva giocare un ruolo da protagonista, insieme a coloro che, in quanto scrittori, apparteneva al mondo della cultura. Quelli che si presume abbiano qualcosa interessante da dire, da insegnare, una strada da indicare, un obiettivo da raggiungere, un orientamento da dare. Sia ai singoli che alle masse indistinte degli individui presi nel suo insieme; quelli che hanno l’autorevolezza per farti meditare e riflettere, che suggeriscono, perché sanno di essere ascoltati, come agire e comportarti dinanzi a certe circostanze secondo il buon senso, la correttezza, la convivenza civile, il rispetto di se stessi e degli altri. Quelli che sono altresì in grado – in virtù della loro credibilità, della loro autorevolezza e della loro forza di persuasione – di affermare ch’è legittima anche la ribellione, la rabbia, il riscatto e la denuncia contro le ingiustizie, i soprusi, le angherie, le sopraffazioni, le prepotenze.

    Era difficile capire se l’attesa di quell’evento avesse stressato a tal punto il detenuto Giuliano L. da costringerlo a ricorrere a un uso massiccio di adrenalina. Egli si sentiva «veramente onorato ed emozionato di partecipare a una prestigiosa premiazione letteraria come quella programmata dalle Biblioteche di Roma». Il luogo, questa volta, non era la stanza di lettura dell’Istituto penale che lo ospitava, né il teatro e la sala del cinema frequentato dai suoi compagni reclusi con cui – insieme a educatori, psicologi, assistenti sociali, mediatori culturali, insegnanti, personale tecnico, amministrativo e di sorveglianza – Giuliano L. trascorreva gran parte delle sue interminabili giornate.

    Era il Teatro Quirino Vittorio Gassman di Roma, in via delle Vergini, poco distante da Fontana di Trevi. Due templi dell’arte. Il primo, quello che rappresenta il luogo delle più affascinanti forme ed espressioni della creatività artistica, tramandateci dall’antichità greca e romana, passando dalle grandi rappresentazioni medievali e dalle grandi esibizioni del teatro fra il Cinque e il Seicento, al dramma borghese, l’erede moderno della tragedia e della commedia, al cui centro dell’attenzione sono posti i problemi esistenziali e morali del vivere odierno: la solitudine, l’estraniarsi dell’uomo da se stesso, il senso della perdita, l’amara esperienza della quotidianità e della relatività dei valori che vede fra i massimi esponenti il norvegese Henrik Ibsen (1828-1906) e l’italiano Luigi Pirandello (1867-1936). Ma anche il teatro della grande forza emotiva dell’azione scenica, quello che nasce per contestare lo stato di cose vigente e ricercare un rapporto educativo con il pubblico, fra cui si annoverano i drammi didascalici di Bertolt Brecht (1906-1956), i testi del teatro dell’assurdo di Samuel Beckett (1906-1989) e di Eugène Ionesco (1912-1995). Il Teatro dei grandi registi, dei grandi attori e delle grandi compagnie, del grande pubblico e della grande critica.

    La seconda, Fontana di Trevi, un monumento che oltre ad offrire l’affaccio straordinario del Palazzo storico Conti di Poli del XVII secolo, ricorda la Roma degli anni Sessanta della Dolce vita di Fellini, di Anita Ekberg e di Marcello Mastroianni.

    A fare da cornice a tutto questo, appena a due passi dal Teatro Quirino e da Fontana di Trevi, via delle Muratte, un tempo il luogo dove si recavano gli amanti dei libri rari, dei testi e delle pubblicazioni non più in circolazione, che colmavano le bancarelle, occupanti l’intero percorso della strada. Lì dove potevi trovarti fra le mani l’ignoto ignoto – ciò che non sapevi di non sapere – che nelle librerie non avresti avuto mai il piacere e la possibilità di scoprire.

    Capitolo 2

    Il pubblico di cui faceva parte il detenuto Giuliano L. era costituito da 21 circoli in rappresentanza delle Biblioteche comunali, che operano in quasi tutti i municipi di Roma Capitale. Ogni circolo era composto da almeno 12/ 14 elementi.

    Alcuni degli autori, che avevano concorso al premio nelle tre sezioni della narrativa, della saggistica e della graphic novel, erano stati soltanto selezionati. Anche i candidati che, per vari motivi, non erano stati scelti, hanno fatto pervenire lo stesso il loro intervento scritto, per manifestare gratitudine e al tempo stesso rammarico per l’occasione perduta che difficilmente si sarebbe presentata la prossima volta.

    Come in ogni spettacolo che si rispetti, il palcoscenico era stato allestito in modo tale da essere battuto da veri e propri attori. Gli autori premiati erano tutti seduti in prima fila. Una clip – un filmato girato in precedenza con i componenti dei circoli di lettura – fungeva da viatico e da stimolo per consentire a ciascuno di loro, a loro modo e secondo il loro stile, di esternare, e a tratti ostentare, uno stato di grazia e di delizia. Sia per essere stati insigniti dell’ambito riconoscimento, in virtù dei voti ricevuti dalla speciale giuria costituita dai circoli di lettura delle biblioteche romane e sia per gli applausi, intensi e copiosi, che venivano loro accordati anche per le risposte – non sempre puntuali e pertinenti e tuttavia stimolanti e spiritose – alle domande, il più delle volte scontate, ma non banali, che l’intervistatore-presentatore poneva loro in maniera formale ed equanime.

    Ad arricchire e vivacizzare la serata, erano intervenuti due gruppi di ragazze e ragazzi, tutti formatisi e appartenenti alle famose scuole di recitazione romane, l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e la Scuola Nazionale di Cinema che, alternandosi – ognuno sotto forma di monologo o di dialogo – leggevano e declamavano alcuni brani tratti dalle opere premiate e anche da quelle soltanto selezionate, ritenute meritevoli di considerazione, arrecando un valore aggiunto insperato per gli stessi autori, i quali, in parte, si sentivano affrancati da dubbi, perplessità e ripensamenti emersi nel corso del confronto con i propri severi giudici-lettori. In parte per i dubbi, le perplessità, le esitazioni che continuavano a persistere anche in uno scrittore meticoloso dopo che i suoi libri erano stati pubblicati, acquistati e letti. Il medesimo effetto che solitamente si produce sui membri dei circoli di lettura che, magari, avendoli letti unicamente per dare il proprio giudizio, non ne sarebbero, in condizioni diverse, rimasti da un lato totalmente e sempre convinti e soddisfatti, dall’altro eccessivamente entusiasti.

    (Di questo pubblico speciale sono stati chiamati soltanto due rappresentanti. Carla V. come coordinatrice del circolo di lettura Marconi e il detenuto Giuliano L. in rappresentanza del circolo di lettura della Casa Circondariale di Rebibbia).

    Il detenuto Giuliano L. era stato preferito e indicato – insieme a Carla V. del circolo di Marconi – nella qualità di componente del circolo di lettura della Biblioteca di Rebibbia, per fare un discorso di circostanza, al quale però lui voleva conferire moltissima importanza. Si era per questo preparato con dedizione monastica per esprimere al meglio la sua riconoscenza a tutti coloro che gli avevano dato questa ghiotta opportunità, a cominciare dal responsabile delle biblioteche di Roma, che si occupa in particolare modo dei circoli di lettura delle carceri, il direttore della Casa circondariale di Rebibbia e naturalmente il suo magistrato di sorveglianza.

    «Un grazie enorme va al personale delle Biblioteche di Roma che, con i suoi libri e i vari eventi culturali che promuove e organizza, rende le nostre giornate un po’ più corte, un po’ più colorate, sensibilmente meno pesanti. Quindi, i libri. I libri sono strumento di evasione, ti permettono di raggiungere qualsiasi destinazione, in qualsiasi tempo, aumentando il bagaglio culturale di ognuno di noi e ci rendono sicuramente uomini più sensibili e attenti alla vita degli altri. I libri ci possono far cambiare i punti di vista sui fatti, cambiano le nostre idee e opinioni… insomma, i libri ci possono far cambiare».

    Il detenuto Giuliano L. ha voluto ringraziare tutti gli scrittori che avevano partecipato a questa e alle precedenti edizioni del Premio Biblioteche di Roma. «I vostri libri sono tutti molto piacevoli e interessanti. Un grazie particolare va a coloro che hanno presentato i propri scritti venendoci a trovare a Rebibbia, insieme abbiamo trascorso ore gradevoli e mi auguro che siate sempre più numerosi a farlo. Per noi è molto importante ricevere le vostre testimonianze. Naturalmente, complimenti ai vincitori delle varie categorie, ma a tutti, veramente tutti, auguro un grande successo e soddisfazione personale. Un saluto speciale voglio rivolgere alle bibliotecarie di Rebibbia e di Regina Coeli che, grazie alla loro disponibilità e cordialità, hanno reso le mura grigie del carcere più luminose. Un ringraziamento va a tutte le persone che mi conoscono e che sono qui stasera per la dimostrazione d’affetto unica e impagabile.

    Ma l’emozione più grande stasera è quella di parlare, qui con voi, davanti a due persone che sono la mia vita: mia madre Aurora e mio figlio Jacopo. Grazie, vi amo. Grazie, grazie a tutti a nome mio e di tutto il circolo di lettura di Rebibbia».

    Capitolo 3

    Il detenuto Giuliano L. si era fatto portavoce anche dei suoi compagni con cui si incontrava per commentare i libri letti durante la settimana. Ma non ha saputo cogliere lo stato d’animo di ciascuno di loro, rimasto nella propria cella in attesa di sapere da lui com’era andata la serata al Teatro. Non si saprà mai se il detenuto Giuliano L. dirà ad Alfonso G., Biagio F., Dionigi D., Eliseo R., Gustavo S. quanta e quale emozione abbia provato mentre sua madre e suo figlio l’ascoltavano scandire quelle parole di riconoscenza rivolte a una platea attenta, così cospicua e qualificata, che gli aveva tributato l’applauso più lungo, più sentito e commosso rispetto a quello riservato agli altri personaggi pure importanti di quell’evento.

    Non avrà raccontato loro l’incommensurabile valore del riscatto ottenuto, guardando i volti dei suoi congiunti che parevano rivendicare l’orgoglio di essere la madre e il figlio del carcerato che doveva espiare una pena per un delitto compiuto nei confronti del quale nessuno in quella sede pensava o osava chiedere clemenza, in virtù della sua splendida e accattivante performance. I compagni del circolo di lettura non hanno avuto il privilegio che ha avuto Giuliano L., il quale, in cambio, potrà trasmettere loro tutto il suo entusiasmo e l’ottimismo necessario a intensificare la lettura di altri libri, con l’invito ad accentuare, ciascuno, singolarmente o/e tutti insieme, il senso critico e la perspicacia necessaria per trarre nuovo alimento e capire meglio le vicende della vita: le sue contraddizioni, il fascino e i tormenti, espliciti e nascosti, fino a provare, anche nello scorrere immutabile della vita di detenuto, nuove sensazioni, nuovi interessi, nuovi stimoli, nuove occasioni di affrancamento e di possibile ritrovata libertà.

    Ma la vera realtà, quella di fare i conti con la condizione di recluso, quella che va vissuta individualmente, anche in coloro che fanno parte del circolo di lettura, come Giuliano L., sappiamo essere un’altra.

    Forse anche su quest’ultimo aspetto avrebbe detto la sua il detenuto Giuliano L. Solo se avesse avuto più spazio e più tempo per il suo intervento, in prevalenza fatto di ringraziamenti e riconoscimenti, sebbene pregno di significati e allusioni interessanti. Sicuramente avrebbe più esplicitamente fatto riferimento alle condizioni penitenziarie e personali in cui si trova il carcerato. E a maggior ragione lo avrebbe fatto se gli fosse capitato fra le mani il libro di una studiosa, un’insegnante volontaria, che opera all’interno dell’Istituto Penale, Rebibbia, avendo scritto un intrigante libro-denuncia intitolato, Matricola N. 20478 – Il carcere che si prende la vita. Probabilmente lo avrebbe proposto al suo circolo di lettura per poi, senza l’assillo di esprimere un parere esclusivamente finalizzato all’attribuzione di un premio o a stabilire una graduatoria di merito, trarre alcune conclusioni sulle condizioni in cui trascorre il proprio tempo un recluso, una matricola. E capire se effettivamente l’ordine carcerario, così come viene concepito e raccontato, possa arrivare fino al punto di mortificare, disumanizzare, spersonalizzare, denudare l’ospite incappato in quel circuito infernale.

    Non era necessario o era poco importante sapere di quale reato Giuliano L. fosse stato incolpato. Vedendolo sul palco impugnare il microfono, aggiustarsi la voce e leggere quella pagina scritta – chissà quante volte letta e corretta, modificata, rivista, recitata, provata e riprovata, a bassa e alta voce, in solitudine o in presenza dei compagni di prigione. Interpretata in continuazione durante le ore d’aria o durante la consumazione del pasto, con altri carcerati giovani e meno giovani. Autori di delitti efferati o ristretti in quella casa di pena per essere stati colti in flagranza mentre spacciavano stupefacenti, commettevano un furto o portavano a compimento una rapina. O rimanevano coinvolti in una rissa, a seguito di un’aggressione, una violenza gratuita o meditata, magari esercitata su donne, bambini e persone inermi e indifese. Più di ogni cosa colpiva il suo aspetto fisico, la sua postura, che poi diventava tutt’uno con quello morale, etico e comportamentale che voleva comunicare. I concetti, i fatti e le parole – che usava per spiegarli meglio e renderli più intelligibili; il modo con cui le pronunciava, le articolava e le scandiva; l’enfasi che ci metteva e la richiesta di complicità con cui si rivolgeva al pubblico e agli organizzatori della kermesse, compreso

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