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Le porte dell'inferno
Le porte dell'inferno
Le porte dell'inferno
E-book754 pagine11 ore

Le porte dell'inferno

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Info su questo ebook

In un lontanissimo futuro, la scoperta del relitto di un'antica astronave, alla deriva nello spazio interstellare, sembra far luce sul nostro travagliato presente. Una squadra di paleoinformatici riesce a decifrare quel che resta delle memorie del computer di bordo e a ricostruire un racconto epico, che descrive le drammatiche circostanze in cui l'umanità della Terra entrò in contatto con le altre specie della Galassia. Siamo di fronte a un'epopea o alla memoria storica che riemerge dalla notte dei tempi?

L'invasione, proveniente dal di fuori della nostra Galassia, distrugge un sistema dopo l'altro in una terrificante successione: l'intera civiltà della Via Lattea rischia l'estinzione. È una lotta contro un nemico senza volto, il mostruoso Qhrun, una misteriosa forma di vita aliena che minaccia l'universo, un'entità sconosciuta e insondabile, ma letale. La nebbia, che ne avvolge l'identità, inizierà a diradarsi soltanto al termine di questo primo volume della saga, quando si farà strada una terribile verità.

Il romanzo solleva domande profonde: cos'è un alieno? Quali pensieri o emozioni possono guidarne il comportamento, le reazioni, le scelte?
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2018
ISBN9788827837382
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    Anteprima del libro

    Le porte dell'inferno - Giancarlo Genta

    Indice

    Personaggi

    Prologo

    1. L'agguato

    2. Spedizione di soccorso

    3. L'incontro

    4. La confederazione galattica

    5. A casa

    6. L'incrociatore

    7. Il quarto pianeta

    8. La partenza

    9. L'iperspazio

    10. L'Iktlah

    11. Il traditore

    12 L'interrogatorio

    13. La setta

    14. Il Coordinatore

    15. Verso Gorkh'ar

    16. La base stellare di Gorkh'ar

    17. Il primo contatto

    18. La ricerca di superstiti

    19. I frammenti

    20. Ritorno alla base

    21 La retata

    22. Lo sconosciuto

    23. Il comitato di crisi

    24. Ytl

    25. Il mercante

    26. La base di Qtr

    27. Operazione Terra Bruciata

    28. Yinlad

    29. L'evacuazione di Gatlaat

    30. Le ultime ore di Gatlaat

    31. La quattordicesima flotta

    32 L’investitura

    33. La scomparsa

    34. La ricerca

    35. Il bozzolo

    36. Il clone

    37. Il blocco del Quinto Settore

    38. La battaglia di Aq

    39. L’assedio di Aq

    40. Terkar

    41. Il tempio

    42. La battaglia di Terkar

    43. Il Qhrun

    44. La riunione

    45. Il ritorno

    46 Il palazzo di vetro

    47. La battaglia della Terra

    Epilogo

    Giancarlo Genta

    Le porte dell'inferno

    Romanzo

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Le Porte dell’Inferno

    ©  2018 Giancarlo Genta

    ISBN | 9788827837382

    I Edizione: Maggio 2018

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il

    preventivo assenso dell’Autore.

    Progetto grafico e copertina: Massimo Turletti

    Immagine: Outpost, © Michael Boehme, Michael-Boehme.com

    Questo libro è un'opera di fantasia. I personaggi e i luoghi sono invenzioni dell'autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi o persone – vive o defunte - ideologie o gruppi religiosi è assolutamente casuale.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 - 73039 Tricase (LE) - Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Facebook: facebook.com/youcanprint.it

    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    A Franca e Alessandro

    Un sincero ringaziamento a Massimo Turletti, per i preziosi consigli e l'incoraggiamento a entrare nel mondo dell'autopubblicazone, e a Paolo Riberi, saggista, giornalista e appassionato di cinema e fantascienza.

    Ma, soprattutto, questo romanzo non avrebbe potuto essere scritto senza l’aiuto, l’incoraggiamento, le critiche e i suggerimenti di mia moglie Franca – da 48 anni ispiratrice, editor, compagna e amica – che come sempre ha riletto più volte il manoscritto, svolgendo con professionalità il lavoro di editing.

    Romanzi dello stesso autore:

    Il Cacciatore, UteLibri, Genova, 2012;

    - Trad. in ucraino: Mislivietz,pubblicato a puntate sulla rivista Svitoglyad, edito da Main Astronomical Observatory of the National Academy of Sciences of Ukraine, Kiev, a partire dal numero 1(33) 2012

    - Trad. in Inglese The Hunter: A scientific Novel, Springer, New York, 2014.

    A man from planet Earth: A scientific Novel, Springer, New York, 2015

    Personaggi

    -- Terrestri

    Thomas Taylor (Nome Aswaqat: Tayqhahat)

    Susan Taylor (Nome Aswaqat: Susakahan)

    Edward Douglas Woods (Generale, USAF)

    John Angus Ryan (Giornalista)

    --Aswaqat

    Sinqwahan (Agente della Confederazione Galattica)

    Ashkahan (Primo ufficiale, nave CH–23426)

    Brelkahad   (Addetto ai sistemi d'arma, nave CH–23426)

    Heiqwahan   (Addetto all'elaboratore, nave CH–23426)

    Ikelkahan   (Motorista, nave CH–23426)

    Istlahad   (Comandante, nave CH–23426)

    Ulkahan   (Ufficiale di rotta, nave CH–23426)

    Aintlhad   (Coordinatore del Quinto Settore)

    Entlahad   (Comandante di una nave)

    Yinlad  (Presidente di Gatlaat)

    -- Irkhan

    Raoqal   (Pilota, nave CH–23426

    Ilkalt   (Addetto ai sensori, nave CH–23426)

    Ratlqal    (Ammiraglio ribelle)

    Itqlakat   (Agente della Confederazione Galattica)

    Etvay   (Agente della Confederazione Galattica)

    Upotl    (Comandante di WH 51349)

    -- Nahaqol

    Wal-Nah   (Addetto ai sistemi di sopravvivenza, nave CH–23426)

    Del-Nah   (Ufficiale sala macchine, nave CH–23426)

    -- Tteroth

    Quanslyaq   (Iktlah)

    Ertlaq   (Comandante)

    Ruklyaq   (Discepolo dell'iktlah)

    Yusqal  (Comandante della guardia Tteroth)

    --Opsquat

    Idlath  (Presidente del comitato di crisi)

    -- Wisagr

    Ewakl    (Comandante di NH 47152)

    -- Sitkr

    Yyrtlatkenotlisstq  (Yyrtl, Specialista in informatica)

    -- Terqhatl

    Qatlaassari   (Coordinatrice Centrale)

    -- Injjuk

    Atkaljj    (Signore degli Injjuk)

    -- Specie non indicata

    Terkr   (Ammiraglio, comandante di Gorkh'ar)

    Hatk di Wetkloss (Comandante di TH 44621)

    -- Personaggi storici

    Vertearis   (Ammiraglio, guerra contro gli Xartian)

    Breve nota sui nomi: i nomi delle persone e dei pianeti sono stati traslitterati in quello che, all'epoca dei fatti narrati, era chiamato 'alfabeto latino terrestre'. Purtroppo si sa molto poco su come le lettere di tale alfabeto venissero pronunciate e in particolare su come si pronunciasse la lettera q, così comune nei nomi Aswaqat e Tteroth, o il gruppo jj nella lingua Injjuk.

    Proiezione sul piano galattico della posizione di alcuni sistemi.

    Proiezione sul piano galattico della posizione di alcuni sistemi del Quinto Settore.

    Prologo

    … in un futuro lontano milioni di anni…

    Gli storici danno il nome di Epoche Intermedie a quel lungo periodo di tempo, durato più di trecentomila anni, che va dal momento in cui ciascuna specie umana acquisì la facoltà di viaggiare tra le stelle a quello in cui le umanità del gruppo galattico, di cui la Via Lattea fa parte, si organizzarono stabilmente in una pacifica e civile convivenza. Per il grande pubblico si tratta di un lungo periodo, barbaro e romantico insieme, di un’epoca che, anche a causa del fiorire di una discutibile letteratura di evasione, richiama alla mente romantiche figure di avventurieri, grandi scontri tra sterminate flotte di navi stellari ed epici conflitti tra regni e potentati.

    In realtà tutto questo è in buona misura falso, e la maggior parte della gente che visse in quei mitici anni godette di una notevole pace e stabilità. Nelle varie galassie si posero le basi di confederazioni che poi, lentamente, hanno dato origine all'attuale ordine civile.

    Anche la crisi dei Qhrun, sicuramente la peggiore che abbia sconvolto le Epoche Intermedie, non è stata universale come si tende a credere, ma fu vissuta in modo molto diverso dalle varie umanità. A questa crisi è inscindibilmente legato il nome dell'Ammiraglio Thomas Taylor; tuttavia, nonostante sia il protagonista di tanti racconti ed epopee, la sua figura è in buona parte circondata dal mistero a tal punto che molti storici dubitano persino che sia veramente esistito.

    Su di lui esistono varie tradizioni, che ne fanno di volta in volta un avventuriero senza scrupoli, una specie di barbaro guerriero o un romantico cavaliere al servizio della giustizia. Queste tradizioni, così come quelle che arrivano ad attribuirgli poteri quasi magici, sono generalmente ritenute originarie del Quinto Settore della Via Lattea, settore da cui si dice provenisse.

    Le dispute sulla sua figura sono però rifiorite negli ultimi dieci anni, dopo il famoso 'ritrovamento di Centauri'. Tutti conoscono le fortuite circostanze in cui una nave di soccorso nel tentativo di ricuperare il prezioso carico di un cargo automatico, che si era perso nella rotta tra i sistemi del Sole e di Vega si imbattè in una grossa massa che andava alla deriva all'estremo limite del sistema di Centauri. Fu solo grazie all'estremo scrupolo e alla notevole perizia del comandante di quella nave che l’oggetto fu localizzato con esattezza, identificato come il relitto di un'antica nave da carico alla deriva da centinaia di migliaia di anni e recuperato.

    Quando il relitto fu portato a Laraki, al museo di storia antica del Quinto Settore, gli archeologi si resero conto di avere a che fare con il più importante ritrovamento degli ultimi millenni. Infatti, nonostante fosse gravemente danneggiato dall'esplosione accidentale del propulsore e poi da centinaia di millenni di abbandono, quel relitto permise di ricavare importanti informazioni sulla tecnologia e la vita di un passato ormai remotissimo.

    Ma le scoperte più importanti furono quelle di un gruppo di paleoinformatici, che riuscirono a ricostruire pazientemente i contenuti della memoria dell’elaboratore della nave dalle tracce ancora esistenti sui componenti del sistema, e, tra la mole di informazioni riguardanti la navigazione spaziale e la routine di bordo, riuscirono a decodificare un testo completo relativo alla crisi dei Qhrun e alla figura dell'ammiraglio Taylor.

    Ricostruzione tanto più importante in quanto gli archeologi sono convinti che la nave fu abbandonata non più di tre secoli dopo la crisi dei Qhrun; ci si trova dunque di fronte alla versione più antica della storia. Per di più il ritrovamento viene da una zona del Quinto Settore molto vicina al sistema del Sole, dove sembra abbia avuto origine la maggior parte delle leggende riguardanti l'ammiraglio Taylor.

    Il risultato del lavoro di ricostruzione di quel testo viene qui proposto in linguaggio moderno, senza apportarvi modifiche di sorta. L'autore pone in guardia il lettore dal dare valore di verità storica al contenuto di un testo che si ritiene essere principalmente un racconto epico.

    ’hu-The hua

    Direttore della Sezione di Paleoinformatica

    dell’Istituto di Storia antica della Via Lattea

    1. L'agguato

    «Quindici minuti all'ingresso nello spazio normale, ammiraglio». La voce dell'incrociatore stellare CH–23426 era calma e come al solito un po' annoiata. Gli schermi che riportavano le visuali esterne erano completamente neri, ma entro pochi minuti si sarebbero riempiti di stelle.

    «Grazie, Ventisei. Predisponi tutti i sensori e, appena usciti, porta gli scudi alla massima potenza». L'ammiraglio Taylor era decisamente seccato di dover perdere tempo a controllare l'operato dell'elaboratore di bordo in una navigazione così di routine; la missione era complessa dal punto di vista diplomatico, ma banale da quello militare e della navigazione spaziale.

    «Naturalmente, ammiraglio» fu la risposta dell'elaboratore.

    Come ogni buon comandante, Taylor riteneva di poter capire anche le minime sfumature del comportamento della sua nave e non riusciva a reprimere la sensazione che CH–23426 si fosse fin troppo immedesimata nel suo ruolo di nave ammiraglia e ora tendesse a trattare tutti con una certa sufficienza. Ne avrebbe dovuto parlare con uno specialista di elaboratori prima della partenza, anche se sapeva che l’informatico lo avrebbe liquidato con una scrollata di spalle e la solita frase fatta ‘un elaboratore è solo un elaboratore e l'intelligenza artificiale è solo un’apparenza'. Gli specialisti dicevano così da tempo immemorabile, eppure i comandanti sapevano che le cose stavano diversamente: un incrociatore che sopravvaluta le sue possibilità costituisce sempre un pericolo. Ventisei deve essere un po' ridimensionata, pensò, non riuscendo a trattenere un sorriso perché, in fin dei conti, si trattava pur sempre di una macchina.

    E poi l'incrociatore stellare CH–23426 era una delle navi più vecchie della flotta ed era una delle poche superstiti delle battaglie che, circa dodicimila anni prima, avevano opposto i secessionisti del Settimo Settore alla flotta confederale. In realtà, CH–23426 aveva combattuto dalla parte sbagliata e lei sosteneva addirittura di aver partecipato alla battaglia di Teryygil in cui i secessionisti erano stati definitivamente sconfitti. Pretesa alquanto improbabile, dato che nessuna delle loro navi risultava funzionante al termine della battaglia, tuttavia in assenza di documenti ufficiali, ormai perduti, Taylor riteneva inopportuno contraddire l'elaboratore. Se lei lo credeva veramente, era meglio non rischiare di creare problemi alle unità logiche della nave.

    «Cinque minuti all'ingresso nello spazio normale, tutti gli uomini ai loro posti».

    «Verifica sala macchine», replicò Taylor, stringendo leggermente i braccioli della poltroncina di comando, per far sentire alla nave che aveva la situazione sotto controllo.

    «Sala macchine pronta alla decelerazione nello spazio normale, appena verificata la possibilità di ridurre potenza agli scudi», fu la risposta, perfettamente scontata come da regolamento, del comandante di macchina.

    «Susan, appena usciti nello spazio normale calcola la traiettoria più rapida per il terzo pianeta in modo da portarci sull'obiettivo circa 3 ore dopo l'alba, ora locale». Finalmente la nave prendeva nuovamente vita dopo un'attesa di 3 giorni nell'iperspazio: tanto era stato necessario per percorrere i 450 parsec che separavano il Sole dalla base di Qhra'ar.

    L'elaboratore ridusse l'intensità delle luci in plancia pochi secondi e gli schermi si sarebbero riempiti di stelle.

    Improvvisamente le stelle comparvero, ma, passati i pochi attimi necessari a CH–23426 per elaborare i segnali che improvvisamente pervenivano dai vari sensori, scattarono tutti i segnali di allarme acustici e luminosi.

    «Tre navi non identificate a distanza ravvicinata». La voce dell'elaboratore era inequivocabilmente sorpresa. «Nave non identificata dritta di prua».

    «Massimo ingrandimento sullo schermo anteriore». Taylor era sbalordito: non era prevista alcuna intrusione nel sistema del Sole per almeno altre due settimane e i Qhrun non potevano certo sapere della sua missione.

    Sullo schermo anteriore si stagliava ora l’enorme sagoma di una nave d'assalto Qhrun. Le altre due navi, uguali alla prima, erano ferme ai lati, a breve distanza. All'Ammiraglio bastò un rapido sguardo al visore tattico per rendersi immediatamente conto che si trattava di una perfetta manovra di interdizione che gli lasciava una ridottissima libertà di manovra.

    «Decelerazione di emergenza; pronta a deviare tutta la potenza ai motori». L'incrociatore stava per iniziare l'unica manovra per cui era stato addestrato.

    «Negativo, Ventisei. Mantenere la velocità. Traiettoria di collisione; puntare sulla zona centrale della nave più vicina. Scudi attivi solo sulla parte anteriore e deviare parte della potenza alle batterie. Istruire i siluri da uno a trenta per colpire la zona dritta di prua. Pronti ad abbassare gli scudi al mio comando e a fare fuoco con tutte le batterie».

    «Ordine annullato, ammiraglio. Le probabilità che il nemico desista dall'interdizione sono nulle e pertanto la manovra non è autorizzabile». Era chiaro che l'incrociatore si sarebbe rifiutato di eseguire ordini così in contrasto con le norme di sicurezza.

    «Ashkahan, disinserisci manualmente i sistemi di sicurezza e tienti pronta ad assumere il controllo. Prepararsi al controllo manuale di tutte le funzioni».

    «Chiedo conferma, ammiraglio». Questa volta era Ashkahan che esitava. La sua voce era incerta e l'idea di dover usare i controlli manuali non la entusiasmava affatto.

    «Ricordo che il disinserimento dei sistemi di sicurezza è una manovra non autorizzabile e...». Questa era nuovamente la voce dell'elaboratore.

    «Ventisei, questo è un ordine formale. L'ordine precedente è confermato e, in caso di mancata esecuzione, le funzioni logiche dell'elaboratore verranno disinserite», tagliò corto Taylor. Non poteva permettere che la mentalità burocratica della nave e l'abitudine alla routine dell'equipaggio facessero perdere istanti preziosi.

    «Sistemi di sicurezza disinseriti, traiettoria di collisione in corso». La voce dell'elaboratore era fredda e distaccata e a Taylor sembrò di notare un tono di sfida. Comunque aveva ubbidito più in fretta del previsto. «All'ordine di deviare tutta la potenza alle batterie, portare i generatori al centotrenta percento e disinserire tutte le utenze non indispensabili».

    L'incrociatore si muoveva verso la nave d'assalto più vicina alla massima velocità subluce, mentre la potenza sottratta agli scudi posteriori portava le batterie anteriori a un livello accettabile e le manteneva pronte a fare fuoco. Sullo schermo  la nave Qhrun ingrandiva a vista d'occhio e in plancia il silenzio era rotto solo dall'anomalo ronzio dei generatori, che lavoravano a un livello di potenza pericolosamente vicino ai limiti.

    Quando ormai la distanza si era ridotta a poche migliaia di chilometri, Taylor ordinò di abbassare gli scudi, di far fuoco con tutte le batterie e di lanciare i siluri. Immediatamente seguì l'ordine di dare la massima potenza agli scudi anteriori.

    Poi, tutto si svolse in un tempo brevissimo. I raggi arancione delle batterie si concentrarono sulla zona centrale della nave d'assalto, dove lo scafo si restringe collegando la zona anteriore con la sezione dei motori. Quando entrarono nella zona protetta dagli scudi di energia, tutto lo spazio intorno si illuminò di scariche tanto luminose che lo schermo divenne abbagliante come se avesse inquadrato una stella a distanza ravvicinata. Una frazione di secondo dopo, i siluri penetrarono attraverso gli scudi della nave Qhrun e i generatori, sovraccarichi, non riuscirono a farne esplodere più di una decina. Gli altri colpirono la nave provocando la totale caduta degli scudi protettivi.

    Con gli scudi anteriori nuovamente alla massima potenza, l'incrociatore urtò lo scafo della nave Qhrun, ormai priva di protezione, nella zona più debole. La nave si spezzò in due e una serie di esplosioni iniziò a propagarsi per tutto lo scafo.

    «Alzare gli scudi posteriori». Altro momento delicato: bisognava impedire che frammenti dell'esplosione, alcuni dei quali più grandi dell'incrociatore stesso, lo colpissero.

    «Sala macchine. Devo ridurre la sovrapotenza; i generatori sono surriscaldati». Era la voce di Del–Nah. Dopo il disinserimento dei dispositivi di sicurezza l'incrociatore non era più in grado di proteggere da solo la propria integrità.

    «Positivo, Del–Nah. Riportare la potenza a livelli normali. Ventisei, reinserisci i sistemi di sicurezza e riprendi il controllo della nave». Taylor si rilassò sulla poltrona e strinse un bracciolo per fare sentire alla nave che, passata l'emergenza, tutto rientrava nella normalità.

    Il blocco era stato violato tanto rapidamente che le altre due navi non erano riuscite a cogliere il breve attimo, in cui l'incrociatore aveva abbassato gli scudi, per colpire a loro volta.

    Taylor conosceva bene i Qhrun: in fondo, negli ultimi anni non aveva fatto altro che studiare il loro comportamento. Aveva scommesso sul fatto che non avrebbero potuto credere che un umano fosse disposto a rischiare una collisione e aveva vinto. Ora era sicuro che si sarebbero gettati all'inseguimento in modo scoordinato, senza riunire la formazione e a scudi abbassati per poter utilizzare tutta la potenza per l'accelerazione. Avrebbero alzato gli scudi solo quando fossero giunti a portata delle batterie dell'incrociatore.

    «Ventisei, visualizza distanza e velocità». Alcune cifre comparvero sullo schermo vicino alle sagome delle due navi. «Ora riduci molto lentamente la velocità, in modo che gli inseguitori non se ne accorgano. Appena la nave più vicina è a tiro, abbassa gli scudi e distruggila».

    Effettivamente il piano aveva possibilità di successo: se i Qhrun, certi della loro superiorità, non avessero tenuto costantemente sotto controllo la distanza effettiva del bersaglio, la nave più vicina sarebbe giunta a tiro una decina di secondi prima del previsto, ancora a scudi abbassati.

    Taylor verificò che la nave distrutta non avesse lanciato alcun segnale: se quel varco iperspaziale era bloccato, era probabile che lo fossero anche gli altri e quindi era indispensabile agire in modo rapido e deciso.

    «Ammiraglio, ho calcolato che, se gli altri varchi sono presidiati, le navi d'assalto possono intercettarci sulla traiettoria per il terzo pianeta in circa 18 ore». L'elaboratore stava mostrando il meglio di sé, addirittura precedendo le sue richieste: evidentemente si sentiva in dovere di farsi perdonare le incertezze di poco prima.

    «Se lanciano un messaggio di soccorso dovremo rientrare nell'iperspazio e tornare con una squadra». Ma così avrebbero perso giorni preziosi e il fatto che il sistema fosse presidiato significava che non c'era assolutamente tempo da perdere. Era tassativo distruggere quelle due navi prima che si mettessero in comunicazione con le altre.

    La nave Qhrun si avvicinava, in modo impercettibilmente più rapido di quanto pensassero. L'inseguimento durava ormai da una decina di minuti quando l'elaboratore abbassò di colpo gli scudi, azionò tutte le batterie per dieci secondi e li rialzò immediatamente. Colpita con gli scudi ancora abbassati, la nave d'assalto vaporizzò istantaneamente.

    Anche questa non ha fatto in tempo a comunicare con le altre navi, pensò Taylor con sollievo. Intanto la terza nave era giunta a tiro e, abbassati gli scudi, aprì il fuoco. Lo spazio intorno all'incrociatore si illuminò, anche se la scarica non era molto potente a causa della distanza che separava le due navi. «Ventisei, quanto possiamo resistere prima che gli scudi cedano?»

    «Credo una trentina di secondi, ammiraglio». Se avessero proseguito con quel bombardamento si sarebbero trovati a corto di energia e non avrebbero potuto alzare immediatamente gli scudi. Forse però vi sarebbe stato un intervallo di un paio di secondi, sufficienti per colpire i generatori.

    «Pronti a fare fuoco al mio comando. Mirare ai generatori». Gli scudi reggevano bene, sebbene i generatori fossero sovraccarichi. I tiri si andavano facendo più radi, segno che i generatori della nave Qhrun stavano rallentando. Taylor attese ancora qualche secondo e diede il segnale.

    Una serie di colpi ben assestati distrusse i generatori nell'istante in cui la nave d'assalto aveva smesso di sparare per alzare nuovamente le difese. La nave Qhrun riprese il fuoco, con potenza ridotta, mentre CH–23426 concentrò l'azione delle batterie a piena potenza.

    La terza nave Qhrun esplose in una nuvola di frammenti, tuttavia un paio di colpi raggiunsero l'incrociatore, centrando i generatori degli scudi. In plancia l'unico segnale avvertibile fu un colpo sordo e un momentaneo abbassamento delle le luci.

    «Condizioni della nave?», chiese Taylor all'elaboratore.

    «Generatori degli scudi inservibili, ammiraglio. Un gruppo di ventiquattro siluri in avvicinamento». Questa era una complicazione pericolosa, proprio ora che il peggio sembrava passato. Fortunatamente si trattava di un lancio da distanza notevole e vi era un certo tempo per le contromisure. Di sfuggita Taylor vide che tutti i membri dell'equipaggio azionavano i sistemi di ritenuta delle loro poltrone. Fece la stessa cosa e sentì la pressione del campo di forza sullo stomaco, le gambe e la fronte.

    Sugli schermi cominciarono a comparire i raggi luminosi del fuoco di sbarramento attuato dall'elaboratore nel tentativo di colpire i siluri. Un bagliore improvviso segnalò l'esplosione del primo. «Brava Ventisei, continua così», disse Taylor, con evidente sollievo. «Sala macchine, riuscite a fare qualche cosa per i generatori degli scudi?».

    «Ikelkahan è uscito all'esterno dello scafo e ora sta lavorando sui generatori. Io sto controllando le operazioni di qui», rispose Del–Nah. La voce di Ikelkahan si sovrappose a quella dell'ufficiale di macchina: «Sono nel generatore quattro. È ridotto male, ma spero di riuscire a ripristinarne almeno parzialmente le funzioni».

    «Ricevuto. Ventisei, dà a Ikelkahan tutta l'assistenza possibile e proteggi al meglio la zona del generatore quattro». L'elaboratore fece ruotare l'incrociatore sul suo asse per sistemare il generatore in direzione opposta a quella di provenienza dei siluri. Intanto alcuni lampi luminosi segnalavano l'esplosione di altri siluri. Taylor si rese conto che li stava contando.

    «Con questo sono dodici». Era la voce di Ashkahan: evidentemente tutti stavano facendo la stessa cosa. Ventisei era a metà del suo lavoro, ma i siluri erano sempre più vicini. Una brusca accelerazione laterale segnalò l'inizio delle manovre evasive. Il lampo che seguì comparve sullo schermo laterale invece che su quello posteriore: un siluro li aveva già affiancati. Uno dopo l'altro le batterie di bordo distrussero altri dieci siluri, anche se il notevole uso di potenza per effettuare le manovre evasive e per azionare le batterie stava mettendo a dura prova i generatori. Intanto le accelerazioni laterali diventavano sempre più deboli e le esplosioni erano sempre più vicine.

    «Non credo di riuscire a evitare gli ultimi due» disse l'elaboratore.

    «Concentrati su uno e cerca di farti colpire dall'altro sulla corazzatura della giunzione laterale; dovrebbe essere sufficientemente robusta da resistere all'esplosione», rispose Taylor.

    Un paio di brusche variazioni di direzione permisero all'incrociatore di evitare uno dei due siluri, che venne distrutto con un preciso colpo delle batterie laterali. L'elaboratore tentò una rapida rotazione intorno all'asse longitudinale e uno scarto laterale, ma la potenza non era sufficiente ad assicurare la velocità necessaria. Il siluro colpì l'incrociatore una decina di metri sopra la giuntura laterale, in corrispondenza della sala macchine; l'esplosione aprì la corazzatura e la carica a frammentazione penetrò nella parete laterale dello scafo, provocando un'apertura lunga parecchi metri.

    Il colpo fece risuonare tutto lo scafo; le luci si spensero e i generatori si fermarono. La plancia fu invasa da un fumo non denso ma sufficiente a fare lacrimare gli occhi, mentre i sistemi di ritenuta dei sedili si disinserirono. Fortunatamente però Taylor non udì il temuto sibilo dell'aria che sfugge dallo scafo, segno che le paratie stagne si erano chiuse regolarmente e che non vi erano pericoli di depressurizzazione.

    «Ventisei, inserire i sistemi di emergenza», disse Taylor, mentre si alzava ed estraeva una tuta spaziale da sotto la poltrona.

    L'elaboratore non rispose.

    «Ciascuno inserisca i controlli manuali di sua competenza; riferire sulle condizioni di efficienza della nave per sezioni». Taylor non aveva ancora finito di parlare che le luci di emergenza si accesero e gli schermi ripresero a funzionare, anche se in modo discontinuo.

    I rapporti dei responsabili delle varie sezioni arrivarono immediatamente: a parte la sala macchine in via di depressurizzazione, i danni sembravano abbastanza contenuti.

    Dall'esterno dello scafo Ikelkahan confermò che il cordone ombelicale aveva retto all'urto e stava rientrando. «I generatori degli scudi sono parzialmente riparati, ma non vi è energia. Di qui vedo che la sala macchine è molto danneggiata; Del–Nah era dentro e non mi pare ci siano segni di vita», concluse ansimando a causa dello sforzo per rientrare manovrando dall'esterno dello scafo.

    «Ikelkahan, credi di riuscire a entrare nella sala macchine dallo squarcio aperto all'esplosione? Io mi sto dirigendo lì, ma tu dovresti poter arrivare prima di me», disse Taylor.

    «Ho già iniziato ad avvicinarmi; credo di poter raggiungere la sala macchine in meno di due minuti», rispose Ikelkahan.

    2. Spedizione di soccorso

    Taylor aveva già finito di indossare la sua tuta spaziale e altrettanto stavano facendo Brelkahad e Wal–Nah.

    «Andremo io e Brelkahad. Wal–Nah, tu resta qui: devi tenere sotto controllo i sistemi di sopravvivenza. Ashkahan, prendi il comando delle operazioni di ripristino della nave», decise rapidamente l'ammiraglio. Ma poiché Wal–Nah esitava a riprendere il suo posto, aggiunse: «Sai bene che alle operazioni di salvataggio non devono partecipare persone emotivamente legate con chi viene soccorso. Sta tranquillo, te la riporteremo tutta intera». La sua voce rivelava una certezza che in realtà non possedeva.

    Le due figure in tuta spaziale uscirono dalla plancia e si incamminarono per i corridoi. In meno di un minuto raggiunsero la camera di decompressione e in altri venti secondi erano nella sala macchine. L'esplosione era stata terribile e sulle pareti vi erano segni dell'impatto dei frammenti della carica del siluro; buona parte delle luci di emergenza erano state danneggiate e il locale era immerso nella penombra.

    I microfoni registravano l'inconfondibile sibilo dell'aria che usciva attraverso la falla: se non altro voleva dire che all'interno c’era ancora aria. L'elaboratore della tuta avvertì Taylor della presenza di fortissime radiazioni provenienti dai motori: non avrebbero potuto restare nella sala macchine per più di una decina di minuti, anche con la pesante schermatura delle tute.

    «Credo che Del–Nah sia là sotto». La voce di Ikelkahan giungeva dall'interfono, non era dunque possibile dedurre la posizione del motorista, che era riuscito a precederli. Brelkahad si mosse con decisione verso la zona dei motori iperspaziali. Taylor lo seguì e un attimo dopo vide anche Ikelkahan. Seguendo le indicazioni di quest'ultimo scorse Del–Nah, incastrata tra le colonne di supporto dei motori. Avvicinandosi ancora notò con sollievo che le colonne dovevano averla protetta dai frammenti perché non vi erano tracce di sangue in giro, ma Del–Nah era immobile e la faccia e le mani avevano un colore grigio–violaceo, invece della tonalità azzurro scuro tipica dei Nahaqol.

    «Respira e non ha nulla di palesemente rotto», esclamò Ikelkahan con sollievo, regolando l'interfono in modo che tutti lo potessero ricevere.

    Immediatamente Taylor ordinò all'elaboratore della sua tuta di estrarre dallo zaino una barella pressurizzata: un piccolo oggetto, che rapidamente si trasformò in una piastra rigida lunga un paio di metri e larga circa mezzo, cadde sul pavimento. Fecero scivolare la piastra sotto il corpo di Del–Nah e lo coprirono con un foglio trasparente a prova di radiazioni, che si gonfiò all’istante mantenendo all'interno un'atmosfera controllata.

    «Attenzione, è stata per un paio di minuti a pressione molto bassa, in ambiente con forti radiazioni», disse Taylor all'elaboratore della barella.

    Quest'ultimo aveva già cominciato a rilevare i dati essenziali per iniziare il trattamento di emergenza. «Funzioni vitali attive, nessun evento traumatico grave e nessun pericolo immediato, anche se la dose di radiazioni assorbita è molto elevata. Inizio tra poco la prima terapia di emergenza», rispose l'elaboratore.

    Erano passati poco meno di tre minuti dall'esplosione e Del–Nah era sostanzialmente al sicuro. Ora però bisognava uscire al più presto da quella zona satura di radiazioni. Si avviarono verso la camera di decompressione, dove spostarono Del–Nah su una barella non contaminata e si tolsero le tute. Taylor incaricò gli altri due di portare Del–Nah in infermeria, raccomandando loro di non lasciarla sino a quando le funzioni dell'elaboratore della nave fossero completamente ripristinate, e rientrò rapidamente in plancia.

    Subito si rivolse a Wal–Nah: «Non appena la trasferiremo su una nave di soccorso si riprenderà in pochi giorni. Per ora è meglio metterla in biostasi per evitare che le radiazioni causino danni biologici». Si sedette sulla poltroncina di comando e aggiunse: «Ashkahan, rapporto sullo stato della nave».

    «L'elaboratore ha subito danni ai sensori e a tutte le funzioni localizzate vicino alla sala macchine. Heiqwahan sta riaddestrando le funzioni di base e spera che in pochi minuti possa ritornare operativo con efficienza ridotta», iniziò Ashkahan. Proseguì elencando a una a una tutte le operazioni eseguite, che andavano dal lancio di una sonda iperspaziale per richiedere alla base di Gorkh'ar l'invio di una nave di soccorso, debitamente scortata, al calcolo di una nuova rotta per il terzo pianeta, che tenesse conto della ridotta potenza disponibile. Nel giro di poche ore l'incrociatore sarebbe stato in grado di funzionare quasi normalmente.

    Ashkahan stava ancora parlando quando la voce dell'elaboratore la interruppe: «Qui incrociatore stellare CH–23426. Ora ho ripreso gran parte delle mie funzioni e ricordo l'accaduto». La voce era quasi tornata normale, solo piccole esitazioni segnalavano uno stato leggermente alterato. «Vorrei tranquillizzarvi sullo stato di Del–Nah. Ho preso il controllo dei sistemi medici e ho iniziato le procedure di biostasi controllata. Per due o tre settimane non corre alcun pericolo e la nave di soccorso è attesa tra circa cento ore».

    «Bravissima, Ventisei. Se la nave è salva, è principalmente merito tuo», rispose Taylor.

    «No, ammiraglio. La manovra di speronamento è stata un'idea sua e a momenti falliva per causa mia. Chiedo di parlarle in privato» disse l'elaboratore.

    Taylor estrasse dal bracciolo un auricolare con microfono. Ci siamo; ora dovrò anche mettermi a fare la psicoterapia a una macchina. Bisogna assolutamente che non si senta in colpa per quello che è accaduto, pensò tra il divertito e l'annoiato. Chiaramente, se un incrociatore troppo sicuro di sé era pericoloso, un incrociatore con complessi di colpa verso l'equipaggio poteva avere comportamenti anche peggiori.

    Per fortuna fu Ashkahan a rompere la tensione. «Quello speronamento è stato un vero colpo di genio. Mai pensato che si potesse forzare un blocco in quel modo. Come hai fatto a pensare una manovra del genere?».

    «Non è stata un'idea mia» rispose Taylor sorridendo, «quando il Terzo Settore ricadde in uno stato di isolamento e bande di pirati bloccarono praticamente ogni forma di commercio, la flotta dei Terqhatl ricorse al blocco sistematico dei varchi iperspaziali. I pirati adottarono questa tecnica di speronamento e la flotta perse decine di incrociatori prima che qualcuno mettesse a punto le necessarie contromisure».

    «L'isolamento del Terzo Settore deve risalire a quarantamila anni fa!», esclamò Raoqal.

    «Per l’esattezza iniziò quarantatremila duecento anni fa e durò per ventisette secoli», concluse Taylor. «Ora però lasciatemi parlare con l'elaboratore, che ha qualche cosa da dirmi».

    Taylor si aggiustò auricolare e microfono e l'elaboratore iniziò un lungo discorso di scuse per la propria incapacità a comprendere la situazione e a proteggere la nave con l'efficienza necessaria. La lasciò sfogare per parecchi minuti, rendendosi conto che macchine, costrette a prendere decisioni rapidamente basandosi su dati incompleti e tendendo a obiettivi contrastanti, potevano trovarsi in condizioni di conflitto tali da causare qualcosa che, in termini umani, poteva essere definito solo come fragilità psicologica. I comandanti dovrebbero essere addestrati meglio nella psicologia delle macchine, annotò mentalmente, riproponendosi di approfondire l'idea appena possibile.

    Quando l'elaboratore tacque, Taylor iniziò a parlare cercando di farle capire che non vi era stata altro che una diversa valutazione della situazione e che la manovra finale non era riuscita a causa del sovraccarico dei generatori. Concluse profondendosi in ringraziamenti e insistendo sull’opportunità di memorizzare e di valutare un maggior numero di documenti storici. Questo almeno la terrà occupata per un bel po', impedendole di porsi troppi problemi, pensò alla fine.

    Evidentemente l'elaboratore si era ripreso, dato che staccò il collegamento in cuffia e ricominciò a comunicare con tutti membri dell'equipaggio: «Arrivo previsto in orbita intorno al terzo pianeta entro ventotto ore, tenendo conto che la propulsione è attiva al quarantadue percento circa».

    L'emergenza poteva considerarsi chiusa e se, come probabile, sulla loro traiettoria non si nascondevano altre insidie, la missione sarebbe proseguita senza troppi ritardi.

    La cabina di Taylor era discretamente ampia. L'ammiraglio stava sdraiato sul campo di forza e ripensava a quanto era avvenuto nella giornata. Solo ora si rendeva conto del pericolo passato ed era decisamente spaventato. Come al solito la paura viene dopo, pensò, e comprese che ora era lui che avrebbe voluto sfogarsi con qualcuno.

    La porta si aprì: Susan entrò, attraversò la stanza e si gettò anche lei sul campo di forza. «Tom, è dalla prima volta in cui sono stata in mezzo a una battaglia, nel sistema di Kistl, che non ho avuto tanta paura come oggi».

    «Effettivamente c'è mancato poco. Se ti consola, stavo pensando la stessa cosa anch'io», rispose Tom, voltandosi verso di lei.

    «Pensa a cosa sarebbe successo se tu non avessi avuto l'idea di speronare quella nave d'assalto», riprese Susan.

    «Oppure se loro non fossero tanto stupidi… Comunque è stato un grave errore quello di venire qui con una nave sola», concluse.

    «Già, meglio non fidarsi troppo delle simulazioni. Dai calcoli risultava che le probabilità che il sistema del Sole venisse bloccato prima di due settimane erano meno di una su dieci milioni. Non è colpa tua, con risultati del genere nessuno si sarebbe mosso con una squadra. Mi domando perché ci siamo sbagliati in questo modo». Susan si alzò, si diresse verso la nicchia nella parete dove era installata la doccia e, dopo essersi spogliata, entrò. La parete anteriore si chiuse immediatamente e Susan si trovò in una nuvola di vapore tiepido e profumato.

    Tom rimase in silenzio sulla sua cuccetta a riflettere sulle ultime parole: era vero, le previsioni escludevano ogni possibilità di blocco del sistema del Sole. Era possibile che avessero sopravvalutato gli effetti delle azioni di disturbo condotte di recente oltre la frontiera? O nei modelli matematici c'era qualche cosa che non funzionava più a dovere?

    Susan rimase un paio di minuti nella doccia, poi uscì mentre da una fessura nella parete usciva un pigiama, caldo come se fosse stato appena stirato. Lo indossò e ritornò sulla cuccetta, completamente rilassata, con una generale sensazione di benessere.

    «Chissà se loro si sono accorti che questa era la nave ammiraglia della flotta. Certo che, se fossero riusciti a eliminarci, avrebbero avuto un bel colpo di fortuna», riprese Tom, quasi parlando tra sé.

    «Non penso che possano rendersi conto di cose simili, e forse questo è uno dei pochi vantaggi che abbiamo. Per loro le navi e gli equipaggi sono tutti uguali e non credo che possano neppure concepire l'idea che esista una nave ammiraglia», replicò Susan.

    «... o che esista un ammiraglio, per quello che può valere», la interruppe Tom. «Ora ogni minuto è prezioso: sapessimo solo da quanto tempo questo maledetto varco era presidiato... », riprese.

    «Domani cercheremo di aggiornare le simulazioni. Spero che quelle navi fossero qui da poche ore, al massimo da pochi giorni... », rispose Susan. A quelle considerazioni non c'era granché da aggiungere; bisognava continuare secondo i piani, sperando che la flotta arrivasse in tempo. «Ventisei, abbassa le luci in cabina: sveglia tra sette ore», concluse Taylor.

    Tom non riusciva comunque a prendere sonno. Dal respiro di Susan capiva che lei si era addormentata subito, stanca per le emozioni delle ultime ore. Anche lui era molto stanco, ma continuava a pensare all'agguato, a quello che poteva significare e all'imprudenza commessa. E poi agli eventi degli ultimi anni, a partire da quel giorno in cui tutto era cambiato nella sua vita. Ora però tornava sulla Terra. Cinque anni… erano passati in fretta, in un'attività frenetica. D'altra parte, la sua vita era così cambiata che avrebbero potuto essere cinque secoli. Infine si addormentò pensando a quel pomeriggio di autunno, sul pianeta Terra...

    3. L'incontro

    Era un bel pomeriggio di autunno. Il Professor Taylor era appena rientrato in ufficio dopo aver mangiato un paio di panini alla caffetteria dell'università e stava cominciando a rilassarsi assaporando quello che si preannunciava come un tranquillo pomeriggio di lavoro. In mattinata aveva dovuto intrattenere un gruppo di colleghi di un'università straniera, che volevano conoscere dettagli sulle sue ricerche nel campo delle missioni interstellari. Ora, se da un lato quelle visite gli permettevano di parlare con qualcuno di ricerche che lo interessavano veramente, dall'altra gli facevano anche perdere una quantità di tempo prezioso.

    In effetti, Taylor era più noto per quattro o cinque articoli sulla propulsione relativistica e sulle prospettive dei viaggi interstellari che per le decine di lavori ‘seri’, come diceva lui, sulla dinamica dei satelliti artificiali. Anzi, proprio pochi giorni prima era stato invitato a un congresso internazionale di astronautica per inaugurare la sezione dedicata alle missioni nello spazio profondo.

    In ogni caso, adesso aveva finalmente un intero pomeriggio che si preannunciava abbastanza tranquillo e poteva iniziare a scrivere.

    Con evidente soddisfazione accese il computer, caricò un programma di videoscrittura e iniziò con il titolo: – Prospettive a breve termine dell'esplorazione dello spazio interstellare vicino –. Tornò indietro, cancellò – a breve termine – e stava per correggere con – a medio termine – quando squillò il telefono.

    Siamo alle solite, pensò con disappunto alzando il ricevitore, non si può cominciare a fare qualche cosa di interessante che ti interrompono. «Qui la portineria. C'è il signor Singh che dice di avere un appuntamento con lei» disse il custode con voce annoiata.

    Riuscì a stento a trattenere un'imprecazione. Era vero: un certo Singh aveva telefonato la settimana precedente dicendo che desiderava vederlo perché aveva letto un suo articolo sulla propulsione relativistica e l'appuntamento lo avevano fissato proprio per quel pomeriggio. Non c'era nulla da fare; bisognava fare buon viso a cattivo gioco. «Gli dica di aspettarmi; vengo subito a prenderlo», rispose.

    Si alzò, uscì dalla palazzina dove era il suo ufficio e si infilò nella macchina dell'università, parcheggiata proprio di fronte. Mentre apriva i finestrini (finché continuo a occuparmi di propulsione relativistica e non di qualche cosa che possa portare dei contratti, per muoverci all'interno del campus non potremo permetterci un'auto con il condizionatore in ordine...) cercò di ricordarsi da dove venisse quel Singh. Probabilmente un'università indiana; in tal caso c'era da aspettarsi un Sikh, con tanto di turbante...

    In pochi minuti fu all'ingresso. Il guardiano si limitò a indicare un uomo che, seduto su una delle poltrone, stava sfogliando un giornale. Appena lo vide questi si alzò, posò il giornale sul tavolo e gli si avvicinò tendendogli la mano. Era un uomo dall'apparente età di quarant'anni, piccolo e magro, con la pelle scura e un paio di baffetti neri, abbastanza ben curati. Ricordavo bene, sembra indiano, pensò Taylor.

    «Il professor Taylor? Il mio nome è Singh, dell'università di Madras» disse, estraendo dalla tasca della giacca un biglietto da visita. Taylor notò che il visitatore parlava inglese con un accento straniero, diverso da quello degli altri indiani che aveva conosciuto sino ad allora. Prese il biglietto, lo mise in tasca e si avviò verso la macchina seguito dall'indiano. Nei pochi minuti necessari a raggiungere l'ufficio i due scambiarono poche parole, sempre le solite, da quanto tempo è arrivato, come trova il tempo e cose del genere.

    «Lei lavora all'università di Madras?», chiese Taylor appena furono seduti alla scrivania, più per iniziare una conversazione, che sperava sarebbe stata ragionevolmente breve, che per vera curiosità.

    L'altro si guardò intorno, come per assicurarsi che la porta fosse chiusa e che nessuno potesse ascoltare quello che stava per dire, si chinò in avanti e, invece di rispondere alla domanda, cominciò a parlare a bassa voce: «Credo sia meglio lasciare stare i discorsi di circostanza e arrivare subito allo scopo della mia visita». Lo straniero era visibilmente teso e parlava in un modo che era nel contempo pacato e solenne. Il tutto gli dava un aspetto da cospiratore, che a Taylor sembrò inequivocabilmente buffo. «Le chiedo di starmi ad ascoltare sino in fondo, anche se quanto le dirò le sembrerà incredibile».

    Ci siamo, questo è un fanatico di qualche setta che vuole convertirmi pensò immediatamente Taylor, rammaricandosi del pomeriggio rovinato, o peggio, un inventore che viene a propormi un sistema per fare chissà quale cosa in modo più efficiente, o economico o... Oppure uno che è in contatto con un'entità extraterreste e, dopo aver letto da qualche parte che mi occupo di propulsione spaziale, spera di convincermi della sua verità. Maledizione, proprio a me doveva capitare... e proprio oggi? Dato che non aveva altra via di scampo e che avrebbe dovuto dargli retta almeno per un po', si consolò pensando che almeno avrebbe potuto essere divertente e che quella sera avrebbe avuto qualche cosa di curioso da raccontare a Susan. Quest'ultimo pensiero gli ridiede un po' del suo buon umore.

    «Dica pure, la starò ad ascoltare», disse ad alta voce, cercando di nascondere un sorriso.

    «Il mio vero nome non è Singh ma Sinqwahan, o, come andrebbe pronunciato in realtà..». e qui lo straniero emise una serie di suoni che, Taylor ne era sicuro, non sarebbe mai stato in grado di pronunciare. «E non vengo da Madras, ma da molto più lontano».

    Adesso gli chiedo da quanti anni luce, pensò Taylor, ma si trattenne per educazione.

    «Il mio pianeta originario appartiene al sistema di Asawak, a circa 4500 parsec dal Sole» concluse il sedicente Singh, e rimase a guardarlo in attesa delle sue reazioni.

    Taylor si aspettava ormai qualche cosa del genere, tuttavia quelle parole, dette con tanta semplicità gli fecero un certo effetto. Decise comunque di non rispondere.

    «Lei evidentemente non mi crede», riprese l'altro dopo pochi secondi.

    «Penso che il suo accento non sia indiano, e il suo nome non mi risulta comune in nessuna lingua che abbia sentito, ma di lì a credere che lei abbia viaggiato per 4500 parsec... e poi perché? Per venire a trovare un professore che, pur avendo studiato per anni propulsione spaziale, non saprebbe inviare una sonda nemmeno a un millesimo di parsec?», rispose Taylor.

    «No, non ho viaggiato per 4500 parsec. La base della flotta da cui sono partito si trova nel sistema di Gorkh'ar, la stella che voi chiamate Rigel, a circa 166 parsec». Sinqwahan ora era tranquillo, e parlava con naturalezza, come se dicesse le cose più ovvie.

    «Impossibile, Rigel è una stella tripla di tipo spettrale B8 e non penso possano esservi pianeti abitabili nel suo sistema» riprese Taylor, sicuro di avere colto in fallo l'interlocutore.

    «Si sbaglia, Professore. Intorno alla componente maggiore, ruota un asteroide con una base della flotta del Quinto Settore, non importante come Qhra'ar, ma pur sempre in posizione strategica, da quasi 30 anni, almeno», concluse.

    Sicuramente il visitatore conosceva l'astronomia. Non era uno sprovveduto, ma esistono anche i pazzi organizzati e gli imbroglioni, pensò Taylor. Il gioco cominciava a divertirlo e si mise a pensare a come farlo cadere in contraddizione.

    «Quinto Settore di cosa?» si limitò a chiedere.

    «Della Confederazione Galattica, naturalmente», rispose Sinqwahan. «Comunque, per la seconda parte della sua ipotesi lei ha ragione: sono venuto qui per parlare con lei per incarico diretto del Coordinatore del Settore».

    «E cosa potrà mai volere da me questo venerabile signore? O forse dovrei chiamarlo Sua Eccellenza? Che diavolo può degnarsi di chiedere una così alta autorità galattica a un abitante di un pianeta che non ha una flotta spaziale né basi stellari?», replicò Taylor, senza neppure tentare di mitigare con il tono di voce la pesante ironia delle parole.

    L'interlocutore non diede alcun segno di essersene accorto e proseguì tranquillamente: «I dettagli li vediamo dopo. Per ora sappia che siamo in una situazione molto difficile e il Coordinatore ritiene che lei possa essere di grande aiuto».

    «Non per contraddire la sua alta autorità, ma come potrebbe un terrestre essere di aiuto a gente che va in giro per la Galassia come se niente fosse? E poi perché io dovrei togliere dai guai persone che vivono a centinaia di anni luce dal nostro pianeta?».

    Sinqwahan sorrise divertito. «Quando sostengo che noi siamo nei guai, come dice lei, intendo tutti noi. In realtà la Terra è in una situazione peggiore di molti altri pianeti. I nostri analisti prevedono per voi un tempo di tre o quattro anni, mentre personalmente credo di potermi mettere in salvo per il resto della mia vita o quasi... Come vede, non le chiediamo di aiutare solo la Confederazione, ma anche e soprattutto la Terra».

    A questo punto Taylor decise di far scattare la trappola a cui pensava da qualche minuto: «E qual’è questo pericolo? Un attacco dell'Impero guidato da Lord Fener in persona? In tal caso non vi serve un professore, ma un cavaliere Jedi..»..

    Sinqwahan lo guardò stupito. «Non scherzi, per favore. Non siamo in un film della serie Guerre stellari», replicò asciutto.

    Taylor lo guardò trionfante: era caduto nella trappola. «Vedo con piacere che la Lucasfilm fa ottimi affari con la Confederazione», concluse.

    Sinqwahan si rese conto di cosa sottintendesse l'affermazione precedente. «Per preparare questo incontro io sono su questo pianeta da più di due anni», rispose con un tono di voce che tradiva ora una forte irritazione «e non creda che sia stato molto divertente. Credo di poter parlare e agire come un terrestre in modo sufficiente da passare per uno di voi con chiunque, ma, mi creda, quanto le ho detto prima è la verità. Lei lavora in campo scientifico e pertanto sa che cos'è un'ipotesi di lavoro. Sarebbe troppo chiederle di accettare quanto ho detto come un'ipotesi di lavoro, lasciarmi illustrare la situazione e poi verificare a posteriori se può fidarsi di me?»

    Spiegazione accettabile, pensò tra sé Taylor. E improvvisamente si rese conto di avere esagerato. Vergognandosi un po' del proprio comportamento si sentì in dovere di scusarsi. «Lei deve però capire che quanto mi dice è talmente inverosimile... Comunque vorrà dire che starò al gioco e fingerò di recitare in un film di fantascienza».

    «Scuse accettate», rispose Sinqwahan sorridendo nuovamente, «ma si ricordi che il film non è né della serie Guerre Stellari, che si svolge in una Galassia lontana e in un passato imprecisato, né Star Trek che si svolge in un futuro remoto. Purtroppo l'azione di questo film si svolge qui e ora, e noi ne siamo tutti coinvolti, che lo vogliamo o no».

    «Vorrà dire che è della serie Ai confini della realtà», Taylor non poté trattenersi dal concludere. E appena finì la frase si accorse di aver ripreso a scherzare sullo stesso tono.

    «No, questa è la realtà», ribatté Sinqwahan.

    Così il boomerang era tornato a colpire chi lo aveva lanciato. Il suo interlocutore conosceva i recenti Guerre Stellari e Star Trek, ma evidentemente non aveva mai sentito parlare della serie di telefilm Ai confini della realtà, molto popolare una trentina di anni prima. Eppure non era troppo giovane: o quei telefilm non erano affatto popolari nel paese da cui veniva (India, come aveva affermato all'inizio?), oppure non rientravano nell'addestramento di questa specie di agente della Confederazione. Per la prima volta Taylor sentì un brivido percorrergli la schiena e gli passò la voglia di scherzare.

    «Ma perché avete scelto proprio me? Siete andati a caso, scegliendo sull'elenco del telefono?» chiese infine Taylor.

    «Sappiamo moltissimo di lei, mi creda, e la scelta è stata fatta con molta cura. Ad esempio, sappiamo che ha 48 anni, che sua moglie si chiama Susan, ha una laurea in astronomia e lavora presso una casa editrice come consulente scientifico. Che vivete a cinque chilometri di qui, che non avete figli... e che la cosa vi pesa molto anche se ora vi siete rassegnati», aggiunse dopo una breve pausa.

    Taylor rimase senza parole. Quell'uomo sapeva decisamente troppo per i suoi gusti, anche cose che non avrebbe potuto sapere. Se non era quello che diceva, cos'era dunque? Un agente, forse, e non di una fantomatica Confederazione Galattica, ma di una ben più concreta e minacciosa potenza terrestre?

    Sino a qualche anno prima avrebbe sospettato che si trattasse di un agente del KGB... ma ora sicuramente i russi avevano altre gatte da pelare che andare a recitare la parte dell'extraterrestre a suo uso e consumo. E allora? Un agente cinese? O iraniano? Da Asimov a Fleming, non poté trattenersi dal pensare, dovrei trovare dello champagne alla temperatura sbagliata per verificare se è una spia bulgara. Ma il gioco non lo divertiva più. Certo, lui non possedeva alcun segreto potenzialmente interessante, tuttavia non era poi così improbabile che un agente di una nazione, eventualmente ostile, collegasse la propulsione relativistica o la stabilità dei satelliti con qualche applicazione militare. Era decisamente più probabile che avere a che fare con un agente della Confederazione Galattica, spedito lì da centinaia di parsec di distanza da un Coordinatore di settore. Devo liberarmi di lui al più presto, concluse tra sé.

    «Quando lei ha telefonato ha detto che voleva parlarmi di propulsione relativistica per alcuni minuti», disse ad alta voce. «Ora, se non le dispiace, ho molto lavoro da fare», concluse, senza sperare troppo di sbarazzarsene così facilmente. E comunque, anche se se ne fosse andato, quello conosceva abbastanza di lui per rintracciarlo in qualsiasi momento.

    «Abbia pazienza ancora per qualche minuto, e mi permetta di mostrarle un paio di cose». Sinqwahan non accennò minimamente ad alzarsi, ma si chinò, aprì la cartella che aveva appoggiato sul pavimento e ne estrasse un cubo dal colore nero opaco, che appoggiò sulla scrivania. Da agente segreto a piazzista di qualche gadget per l'ufficio, pensò Taylor, notando che sulla faccia superiore del cubo vi era una zona circolare leggermente incavata, di aspetto traslucido.

    «Un'immagine della Galassia», ordinò Sinqwahan, e immediatamente un'immagine tridimensionale della Galassia si materializzò sopra il cubo, a una ventina di centimetri. Aveva un diametro di circa un metro ed era sufficientemente opaca da non permettere di vedere la parete opposta della stanza.

    Taylor afferrò i braccioli della poltroncina e cercò di contenere la reazione di stupore. Mosse lentamente la testa di lato e notò che l’ immagine cambiava a seconda del punto da cui la si guardava – una vera immagine tridimensionale, dunque.

    «Indica i sistemi appartenenti alla confederazione 450 anni fa» riprese Sinqwahan e immediatamente una larga porzione della Galassia si colorò di rosso. Taylor notò che si trattava di tutta la zona che stava al di fuori del nucleo. Cercò una prova della teoria della fascia galattica della vita intelligente, ma gli sembrò che la Confederazione si estendesse ben oltre tale zona, anche verso i bracci a spirale. Evidentemente il centro non è abitabile, pensò, e subito si rese conto che quel trucchetto del proiettore tridimensionale lo aveva portato a credere a quanto il suo interlocutore gli aveva detto. Devo stare più attento, questo è solo un trucco, disse a se stesso, ma immediatamente si accorse che in quel cubo doveva esserci qualche cosa di più interessante di un proiettore tridimensionale: sembrava che fosse un elaboratore capace di rispondere a comandi vocali.

    «Indicami il Quinto Settore», disse per verificare la propria ipotesi. E subito un settore della Galassia, esteso per circa 30 gradi, si colorò in verde.

    «Ottimo, può ordinare al proiettore di visualizzare qualsiasi parte della Galassia. Può anche modificare il punto di vista o visualizzare immagini parziali, come con un qualsiasi programma grafico» disse Sinqwahan.

    Taylor provò una serie di comandi e il proiettore visualizzò la Galassia secondo gli ordini che via via gli dava. I risultati erano sempre corretti, quanto meno per quello che gli permettevano di verificare le sue non molto approfondite conoscenze in campo astronomico. Ma la cosa che lo impressionava di più era l'elaboratore che rispondeva ai suoi comandi verbali: nessuno dei programmi in grado di fare altrettanto era utilizzabile su macchine che potessero stare nel piccolo cubo nero appoggiato sulla scrivania, che evidentemente conteneva anche una sorgente di potenza sufficiente a creare l'immagine.

    «Lì dentro c'è un elaboratore, sicuramente. Non mi dica ora che i calcolatori della Confederazione sono programmati per rispondere a comandi in inglese», disse. La sorpresa lo aveva reso aggressivo.

    «Si, una specie di elaboratore, anche se è un modello estremamente semplice: controlla un proiettore di immagini tridimensionali e la sua logica di gestione è elementare. Abbiamo dovuto riaddestrarlo per rispondere ai comandi in inglese, cosa non difficile dato che tutti i nostri dispositivi comprendono una cinquantina di lingue diverse».

    4. La confederazione galattica

    «Ora però mi permetta di farle un riassunto della storia della confederazione, almeno per quanto è indispensabile a comprendere la situazione attuale» disse Sinqwahan. Dopo una breve pausa, riprese: «Per quanto se ne sa, la prima umanità che scoprì il volo interstellare fu quella originaria del sistema di Terkar, nel Primo Settore, circa centoquarantacinque mila anni fa», proseguì col tono di chi racconta a un bambino una cosa del tutto ovvia.

    Taylor fece un salto indietro e per poco finì a terra: il proiettore aveva visualizzato l'immagine di un essere dotato di zampe e braccia molto sottili, con un paio di corte ali, in posizione eretta. Sul corpo esile portava una leggera tuta arancione e le parti che spuntavano dal vestito erano coperte di peli grigi, tuttavia quello che impressionava di più era la testa, che ricordava vagamente quella di una lucertola.

    «Spegni» disse immediatamente Sinqwahan, e l'immagine sparì. «Scusi, ci siamo così abituati che non ho immaginato... Comunque non può pensare che su milioni di pianeti diversi l'evoluzione abbia portato a specie intelligenti tutte fatte come me o come lei... Quando noi diciamo specie umana intendiamo specie intelligente, e le assicuro che le specie intelligenti sono tutte intellettualmente molto simili – se lei potesse parlare con il Terqhatl di quell'immagine in una stanza buia, difficilmente potrebbe distinguerlo da uno della mia o della sua specie».

    Sinqwahan fece una pausa, poi riprese, con tono nuovamente didattico «Le differenze tra le specie umane sono legate all'ambiente in cui si sono evolute; noi apparteniamo a un tipo molto comune, quello che gli antropologi chiamano 2–0–2 – due gambe, nessuna ala, due braccia. I Terqhatl sono 2–2–2; pensi che esistono anche dei 4–4–6! Comunque è considerato di pessimo gusto parlare di queste cose, o meravigliarsi per l'aspetto di un interlocutore, anche se non deve crearsi troppi problemi a riguardo: vi è sempre una certa tolleranza per le reazioni degli appartenenti alle civiltà più giovani e nessuno si aspetterà da lei che si comporti secondo l'etichetta delle specie più abituate alle diversità umane. E per quanto riguarda i Terqhatl, non si lasci ingannare dalle apparenze: sono tra le persone più tranquille e mansuete di questa Galassia, a parte il fatto che hanno un pessimo gusto nel vestire, come ha potuto notare. Discendono da rettili carnivori, come lei e io discendiamo da predatori delle foreste».

    «Rimetta pure l'immagine, ho reagito così solo per la sorpresa». Qualunque fosse il gioco dell'altro, Taylor era molto irritato per la propria reazione: gli sembrava di avere fatto la figura del provinciale. «Homo sum, humani nihil a me alienum puto, disse uno dei nostri scrittori – sono un uomo e non ritengo estraneo a me nulla di ciò che è umano» continuò, rendendosi conto troppo tardi di quanto fosse proprio da provinciale il cercare di fare colpo con una citazione in latino o di contrapporre un commediografo romano ai centoquarantacinquemila anni dei Terqhatl. E poi, era proprio sicuro che il buon Terenzio avrebbe applicato il suo detto a quel lucertolone?

    «Vero, il suo filosofo ha ragione. Non le nascondo che ci sono voluti millenni prima che le specie umane si riconoscessero come tali e questo ha portato a gravi conflitti... Fortunatamente le navi stellari di allora erano primitive e non molto armate» concluse con un sorriso.

    La lezione di storia proseguì per una ventina di minuti, durante i quali il proiettore visualizzò immagini di umani di aspetto molto diverso, disegnò sull'immagine tridimensionale della Galassia zone di colonizzazione, regni, sfere di influenze... e infine la struttura ordinata di una confederazione, suddivisa in settori. «Da ottantamila anni le specie umane hanno convissuto in pace, in una confederazione in cui ciascuna specie ha una larga autonomia e organizza i propri sistemi planetari secondo tradizioni e strutture politiche diverse. Questo non ha evitato occasionali conflitti e anche gravi scontri armati, ma ha permesso di mantenere un sostanziale ordine nella sicurezza per tutti».

    Taylor si riservò di controllare in seguito l'immagine edificante che gli veniva fornita. Se tutto andava così bene, se la Confederazione era il migliore dei mondi possibili, perché il Coordinatore del Quinto Settore si era disturbato a mandare lì qualcuno in cerca di aiuto?

    Taylor si rese conto di restare sempre più invischiato nel racconto dell'altro.

    «La prego di tener presente che per me la sua storia è solo un'ipotesi di lavoro», si sentì in dovere di ricordare al suo interlocutore... e subito si accorse che quella frase, gettata lì completamente a sproposito, era indice di una quasi completa capitolazione.

    «Non chiedo nulla di più. Quando avrò finito deciderà se credermi», rispose Sinqwahan con un sorriso. Evidentemente non voleva infierire.

    Dato che l'altro aveva interrotto la sua lezione di storia, Taylor riprese il filo dei propri ragionamenti precedenti e chiese: «Se è vero che la vostra confederazione ha assicurato un periodo di pace e prosperità che dura da quasi centomila anni, qual'è il motivo che ha spinto il suo Coordinatore a ricercare il nostro aiuto?».

    Sinqwahan esitava, come se cercasse disperatamente le parole per rispondere. In realtà aveva tirato in lungo il racconto precedente proprio perché, più o meno consciamente, desiderava procrastinare quella spiegazione. «Bene, in fin dei conti sono stato mandato qui per parlarle di questo, ma mi creda che è molto difficile. Quando le ho mostrato la prima immagine tridimensionale della Galassia, le ho detto che quella era la situazione di circa 450 anni fa. Se le mostrassi la stessa immagine relativa a oggi... In realtà, per essere sincero, non sono neppure in grado di darle una situazione aggiornata». La sua voce era diventata triste e molto esitante. «Da molto tempo il Quinto Settore è tagliato fuori dal resto della Galassia, e la Confederazione potrebbe addirittura non esistere più. Gli analisti giurano che non siamo ancora

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