L'uomo che cambiò il futuro: Romanzo breve ma non troppo sul futuro del mondo, sui viaggi nel tempo, sugli zombie e sul pensiero cartesiano
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Ancora non lo sanno, ma presto le loro vicende si intrecceranno fino a diventare una comune corsa contro il tempo, che li trascinerà in un viaggio tra epoche e mondi diversi, zombie e personaggi lontani, atmosfere distopiche e riflessioni filosofiche, nel disperato tentativo di salvare se stessi ed il mondo da un terribile destino.
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Anteprima del libro
L'uomo che cambiò il futuro - G. B. Thistle
1
Mi chiamo Erika McCarthy e sono nata il 10 ottobre dell'anno 2281 in un piccolo villaggio della campagna scozzese. Si chiamava Humphrey Point. Ora non esiste più. O meglio, nel mio tempo, quello da cui vengo, nel futuro non esiste più. È possibile che in questo tempo sia un brulicante condensato di operosità umana. O forse che ancora non esista. Non lo so. Non lo posso sapere. E comunque non cambierebbe nulla.
2
Quando l’allarme iniziò a suonare, la mattina del 21 gennaio 2301, Ari era già sveglio da un pezzo.
Aveva passato la notte a rigirarsi nel letto, alternando brevi periodi di sonno ad altri di veglia agitata e nervosa, con i pensieri che non l'avevano lasciato neanche per un momento libero di rilassarsi e di riposarsi, cosa di cui corpo e mente avrebbero invece avuto un estremo bisogno quel giorno.
La ragione di quel disagio interiore era facilmente riconducibile all'esperienza che di lì a poche ore avrebbe vissuto. Un privilegio riservato a pochi sceltissimi giovani.
Poter partecipare al viaggio inaugurale della prima macchina commerciale per viaggi temporali era un'esperienza unica e per la quale avrebbe dovuto sentirsi onorato. Questo, almeno, era quanto continuava a sentirsi dire. In cuor suo non riusciva a far altro che provare ansia per l'avvenimento.
Si alzò dal letto e si ritrovò in bagno a guardarsi stordito allo specchio, con un distacco che solo una difficile notte di sonno appena accennato avrebbe potuto creare.
Si sciacquò il viso, cercando uno sprazzo di lucidità nella risposta nervosa al contatto con l’acqua fredda. Il piano funzionò, anche se l'effetto positivo non durò che qualche secondo.
Il contatore digitale segnalava che rimanevano cinque virgola trentadue litri d'acqua per il fabbisogno giornaliero della famiglia. Meno del solito. La penuria d'acqua stava peggiorando. O forse qualcuno aveva fatto una rapida doccia. Anche se era molto presto. Sarebbe stato strano.
Si lavò distrattamente. Il contatore scese a quattro virgola novantotto. Tornò in camera e si vestì con i primi indumenti che trovò nell'armadio.
Solo una volta sceso al piano di sotto e ritrovatosi di fronte al grande specchio che si stagliava al fondo della scala, si rese conto del fatto che probabilmente si sarebbe dovuto vestire in modo più curato per quella giornata così importante.
Sicuro che ci sarebbero state autorità presenti. E foto da fare. Ma non aveva voglia di ridiscutere con se stesso la scelta dell'abbigliamento. Lasciò perdere.
Entrò nella cucina e lo sguardo di sua madre che lo squadrava con attenzione, nello stesso istante in cui lo salutava con un hola ed un sorriso caloroso, gli fece capire che probabilmente sarebbe dovuto risalire a cambiarsi d'abito prima di uscire.
S'arrese all'evidenza.
«Sì, mamma, dopo mi cambio, hai ragione» disse.
«Bravo, è meglio. Cosa ci fai già qui?»
«Ho dormito poco e male questa notte e mi sento un po' strano.»
«È normale, Ari, questo è un giorno importante ed è giusto che tu ti senta nervoso, ma non ti devi preoccupare, tutto andrà bene.»
«È già pronta la colazione?»
«È in arrivo. Ancora due minuti. Sei sceso davvero presto rispetto al solito.»
«Già… Brooke è in piedi?»
«È già uscita, oggi aveva l'esame!»
Ma certo!
pensò Ari. Ecco spiegato l'anomalo consumo d'acqua.
«Volevo salutarla» disse, poi, ad alta voce.
«La vedrai stasera» rispose la madre, senza distogliere lo sguardo dal Cooker 3000 Deluxe sul quale stava armeggiando. Poi aggiunse: «Mentre aspetti puoi connetterti alla registrazione neurale che ti ha mandato papà. È arrivata pochi minuti fa.»
Il viso di Ari si riempì di un sorriso ampio ed eloquente.
«Ci sarà stasera?» chiese, lasciando trasparire il desiderio di rivederlo.
«Dice di sì» lo rassicurò lei «ma voleva farti gli auguri per la giornata.»
Mentre sua madre inseriva nel Cooker 3000 Deluxe tre cubetti di un centimetro di lato ed avviava la macchina, Ari si avvicinò al pannello di controllo di AL1C3, il sistema di gestione automatizzato della casa, e fece partire la registrazione che il computer gli inviò dritto nell'innesto neurale.
Si sedette al tavolo, dalla parte della panca in legno sintetico, al solito posto al quale si sedeva sin da quando aveva imparato a camminare per conto suo, e chiuse gli occhi. L'immagine del padre gli si materializzò dinnanzi.
«Hola, Ari. Come stai? Io sto bene. E sto per partire. Tra un'ora sarò sulla nave. Questa sera ci ritroveremo a cena, te lo prometto. Ma ora voglio che non ci pensi. Voglio che ti concentri sulla tua giornata. Andrai indietro nel tempo a vedere perché siamo diventati ciò che siamo. Sei molto fortunato ad essere tra i prescelti per questo primo storico viaggio commerciale. Quindi, cerca di imparare tutto ciò che puoi. Ci dovrai raccontare ogni cosa.»
Quando l'immagine scomparve, Ari aprì gli occhi e si ritrovò davanti un piatto fumante. Il Cooker 3000 Deluxe aveva trasformato i tre cubetti in un piatto di uova strapazzate da manuale. Non vere uova, ovviamente. Tutto era ormai sintetico. E da parecchi decenni, anche. Erano una perfetta imitazione, diciamo. Almeno per quanto poteva saperne lui, che di uova, di quelle vere, non ne aveva mai assaggiate. Però erano una fonte perfetta di aminoacidi essenziali. Questo sì.
Non fu necessario che sua madre lo spronasse a mangiare. Quando non dormiva bene, si svegliava sempre con un grande appetito. Spazzolò il piatto in men che non si dica. Poi si fiondò in camera, per cambiarsi.
Diede una scorsa agli abiti che il pannello di controllo di AL1C3 gli propose e finì per optare per un completo abbastanza elegante, ma comunque sportivo, che la madre approvò quando lo vide scendere al piano di sotto.
Quando Ted passò a chiamare Ari per dirigersi alla stazione Jimbaill, trovò quest'ultimo, dentro al completo, impalato sull'uscio.
Era una cosa che non succedeva tanto spesso. Anzi, era talmente rara da poter essere considerata come il chiaro sintomo di una nottata difficile.
Ted lo sapeva. Era successo quando Ari aveva conosciuto Liza, poi quando avevano sostenuto l'esame per l'ammissione all'università, e anche in un esiguo certo numero di altre occasioni. Leggeva il suo amico come un libro aperto, tanto era il tempo che avevano passato insieme.
Si erano conosciuti all'asilo, quando avevano entrambi circa sette od otto mesi. Ed avevano frequentato assieme gran parte delle scuole, tranne un anno in cui Ted aveva dovuto frequentare un altro istituto a causa della separazione, poco consensuale e vagamente violenta, dei suoi genitori.
Sua madre l'aveva portato via, per salvarlo dalle grinfie di un padre diventato negli anni un dispotico ed incontrollabile ubriacone. Per un po' s'erano dovuti trasferire sottoterra. Mentre all'uomo, rimasto solo, non ci volle molto per finire ad annegare il vago dolore che ancora la rara lucidità gli donava in un lago di sangue all'uscita di un bar della città vecchia, con una bottiglia di vetro rotta in una mano e un'altra identica conficcata nel petto.
Così, l'anno dopo, Ted fu di nuovo al suo posto, nella vecchia scuola, a fianco al suo amico. Anche se, per far fronte alle spese, lui e sua madre avevano dovuto vendere la casa nella città vecchia, e la sera era obbligato a tornare sottoterra. A tornare ad essere una talpa. Era così che quelli di su chiamavano quelli di giù.
Che Ted