Io e lei
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Anteprima del libro
Io e lei - Maria Rita Insolera
twitter.com/youcanprintit
UNO
Lo schermo del computer si oscura con un semplice clic. Penne e matite spariscono nei cassetti. Stridore di serrature che si chiudono, luccichio di specchietti, profumo di borsette semiaperte dalle quali si intravedono rossetti e ciprie.
Vicino a me, la bionda Teresa si sottopone ai riti precursori dell’uscita e mi sussurra all’orecchio:
<
Io acconsento con un cenno del capo, senza dimostrare la mia sorpresa. Che cosa può avere da dirmi quella strana ragazza, che si sforza d’essere seria, con un’aria però di perenne birichina?
Intanto lei si liscia le ciglia e le sopracciglia con un dito bagnato e sospira dinanzi allo specchio:
<
S’immagina forse che io sia in rapporti con una casa cinematografica?
Esco lambiccandomi il cervello su questo problema che, però, non mi tiene assorta a lungo, poiché un ticchettio di tacchi alti risuona dietro di me e una mano dalle lunghe unghie laccate di rosso si posa sul mio braccio.
<
<
Teresa scuote la testa.
<flirt e facciamo un giretto insieme. Dopo una giornata d’ufficio è indispensabile>>.
Che cosa è indispensabile, il flirt o la passeggiata?
Ma Teresa riprende già a discutere:
<altri. Non faccio nomi, non è vero? Poi capirai. Bisogna che diffidi di loro. Devi parlare soltanto del tempo, della moda, dei film, insomma di ciò che vuoi, ma non dire mai quello che fai né quello che pensi. I colleghi sono falsi e gelosi, stanno a spiare e poi fanno gli ipocriti. Da principio, quando seppi che venivi tu, dissi a me stessa che te la saresti sbrigata da sola. Ma stamattina, invece, appena ti ho vista ho cambiato opinione. Sembri appena una mia sorella maggiore e non hai affatto l’aspetto di una provinciale. Mi sei rimasta subito simpatica. Vedo le cose subito, io, sai? E poi, tra donne bisogna sempre aiutarsi, è un dovere!>>.
Tra donne. Accanto a me, che sono molto alta, Teresa sembra una sorellina che riconduco a casa da scuola.
Le rispondo senza ironia, perché quella spontaneità mi intenerisce.
<
<<È naturale>>, affermò Teresa, <
<
<
Apro bocca per dire che lo spero sinceramente ma Teresa, che ha ripreso fiato, esclama agitando la mano:
<
<
<flirt. Si chiama Roberto, ma io dico Bob, perché sa più d’americano>>.
Tra la folla, un giovanotto avanza verso di noi. Elegante e comune, con un viso insignificante e addormentato, Bob da un bacio sulla guancia di Teresa e lei subito dopo fa le presentazioni:
<
<
Teresa non mi lascia il tempo di rispondere.
<>.
Io termino sorridendo:
<
I due giovani si guardano e poi scoppiano a ridere. Bob batte una mano sulla spalla di Teresa che vacilla, dicendole:
<
Detto questo, Bob s’impadronisce del braccio di Teresa e dichiara con autorità:
<
<>, sostiene Teresa, con occhi lucenti, <
Io mi fermo e tendo loro la mano.
<
<
<
Sorrido.
<
<
<>.
<
<
Dopo due strette di mano in fretta e furia, mi trovo di nuovo sola in mezzo alla folla anonima che incurante scorre sul marciapiedi.
Sono sfuggita al bar e all’aperitivo. Rientrata a casa ho cenato in pochi minuti su un angolo della tavola e ho finito di appendere l’ultimo quadro, mettere a posto qualche cuscino. Piano piano questa casa sta diventando mia. Mi guardo intorno, il mio minuscolo appartamento, dove ogni cosa è luminosa e vivace. Il mio appartamento tanto piccolo che non si può cambiare di posto a una sedia senza spostare tre mobili. Ho l’impressione di abitare nella cabina di una nave, laggiù, sul mare immenso. La pioggia che batte sulle imposte e il vento, attutito dal rumore convulso della città, rafforzano anche più quel senso di solitudine tra cielo e acqua, aggiungendovi un’atmosfera di temporale.
Tra queste mura nuove, in questo condominio immenso, con i suoi cinquanta appartamenti per dormire, lavorare, soffrire, piangere, io non conosco che la portiera la quale ha un viso grazioso e gentile e smentisce la tradizione che vuole che chi fa questo mestiere sia un’intrigante ficcanaso. Ignoro il nome dei miei vicini, la voce dei quali mi giunge attraverso le pareti; di loro so soltanto l’ora in cui si alzano, perché sento la sveglia che suona e il loro indecifrabile chiacchiericcio. So, inoltre, che di fianco a me abita un’anziana donna, che ha il balcone adiacente al mio, e ogni giorno innaffia le sue due piante verdi. Al secondo piano c’è un docile pianoforte che si sottomette agli esercizi di un ragazzino; so che una cagnetta chiamata Molly scappa ogni volta che la portano fuori; che, non so dove, ogni mattina viene fatto l’aromatico caffè e che al quarto piano, lassù dove sto io, i passerotti si posano sul mio balcone cinguettando di mattina presto. Ho già fatto l’abitudine alla mia casa, alla mia strada e, ogni sera, alla bottega del mio quartiere, quando vado a comprare qualcosa per cena, la bottegaia mi sorride mentre mi porge le mie provviste. È quasi indispensabile attaccarci alle cose e alle persone, anche a quelle che non si conoscono per crearsi una propria identità. Se la sveglia non sonasse all’ora solita in casa dei miei vicini, se Molly non scappasse più durante la sua passeggiatina, se il ragazzino del