Salvataggio a Van Demon Deep
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Fin dove si spinge il cameratismo, quando è questione di vita o di morte?
La miniera di Demon Deep è inutilizzabile. I minatori sono scomparsi e dei selvaggi psicotici, i Senzavincoli, ne hanno preso possesso. Purtroppo, dove vanno i Senzavincoli la magia malvagia li segue. Magia che muta le cose viventi e liquefà la roccia.
Kiprik, capo della squadra di soccorso d’élite da lungo tempo, deve salvare i minatori prima che i comandanti dell’esercito perdano la pazienza e inizino a inondare i tunnel di gas velenoso.
Un compito che vedrà Kiprik e la sua squadra andare fino in fondo alla miniera, dove si annidano la magia più profonda e le verità più oscure.
Col suo caporale, e leale amico, con la testa sulle spalle Stack a fianco, affronterà qualunque minaccia e le pianterà un’ascia in faccia, fintantoché lo sprezzante Padre Brax non si mette in mezzo.
Ma l’onore e il loro cameratismo saranno sufficienti a distruggere gli psicotici Senzavincoli?
Unisciti a Kiprik e ai ragazzi in questa commovente avventura high fantasy. Se ti piacciono i personaggi complessi, le splendide ambientazioni e i grandi, grandi mondi, te ne innamorerai.
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Anteprima del libro
Salvataggio a Van Demon Deep - S. P. Stevens
Salvataggio a
Van Demon Deep
di S. P. Stevens
Pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 2018
da Pitt Norton Publishing
Copyright del testo © 2018 S P Stevens
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PREFAZIONE
Immergiti in un universo del tutto nuovo, in cui i mostri e la magia sopravvivono.
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Per Clare, Louis e Sam
L’esca nella miniera
Kiprik non era il genere d’uomo che soccombeva alle proprie paure. In effetti, se glielo avessero chiesto, avrebbe negato di averne alcuna. Era un soldato, vecchio e brizzolato per dirla tutta, e nell’esercito la paura non serviva ad altro che a farti diventare cibo per vermi prima del dovuto: l’aveva imparato dal primo giorno.
Ma quel tunnel faceva caso a sé. L’oscurità lo avvolgeva come un sudario e tutto era nero, così nero, così stretto, la pressione immaginaria che lo schiacciava così opprimente. A volte dell’acqua gocciolava e un ratto sfrecciava oltre i suoi stivali dell’esercito da trentasei chicchi d’orzo. I ratti non possono farti del male, si diceva, non quanto un milione di tonnellate di granito.
Procedette. La luce della torcia generava riflessi nei cristalli rossi delle pareti del tunnel. Intenzionato a pensare a tutto fuorché all’essere sepolto vivo, si chiese quanti secchi di diaspro sanguigno sarebbe stato il caso di riportarsi a casa. Aveva visto il prezzo all’oncia fuori dalla bottega di un mercante di Tal Maran. All’incirca otto marchi. Otto per...
Qualcosa ringhiò.
Kiprik si immobilizzò.
Forse se l’era immaginato. Laggiù a Demon Deep si poteva scambiare il rumore del proprio respiro affannoso per qualcosa di peggio. Scrutò nella tremolante oscurità in cerca di qualche sagoma. Niente. Fece un cauto passo.
Un altro ringhio. Sembrava umano.
Trattenne il respiro, in attesa, il cuore che gli martellava contro le costole. Indistinte forme scure nelle nicchie e negli anfratti gli confondevano la vista. Fece un altro passo e un’ombra si mosse davanti a lui, si formò una figura. Accenni di zigomi e denti. Poi un’altra dietro la prima. Si avviarono verso di lui.
Attese per essere certo. Solo un secondo. Un battito del cuore terribilmente lungo...
Kiprik partì di corsa.
Non era di piccola statura e il soffitto basso e irregolare obbligava la sua schiena cinquantenne a provare nuove angolazioni. Si azzardò a guardarsi alle spalle mentre si lanciava al di là di uno spuntone frastagliato di roccia. Le creature non sembravano preoccuparsi degli ostacoli e li investivano senza esitazione.
«Due su!», urlò Kiprik davanti a sé. Ja Vok! Sei fuori forma, vecchio.
Il suo elmetto di latta urtò una sporgenza e cadde in terra sferragliando. Non aveva tempo per riprenderlo. Arrischiò un’altra occhiata. Due paia di occhi scintillavano rossi, a pochi passi di distanza.
Svoltò un angolo e strizzò gli occhi quando una forte luce arancione prese vita. Si fermò barcollando e si guardò indietro, schermandosi la vista. Gli uomini folli girarono l’angolo e urlarono quando la luce li accecò. E due asce dell’esercito li decapitarono sul posto. Carne, sangue e ossa spruzzarono le pareti del tunnel e una testa arrossata e gonfia rotolò fino allo stivale di Kiprik.
Abbassò lo scuro della lampada sfavillante. Le pareti del tunnel danzarono di nuovo alla luce delle torce e i suoi occhi si rilassarono. Le sodalanterne erano ammirevoli. Specie quelle ultimo modello in dotazione all’esercito. Non facevano fumo, erano virtualmente indistruttibili... funzionavano perfino sott’acqua E l’innaturale luce arancione accecava i Senzavincoli laggiù nell’oscurità.
«Vok! Quelle cose diventano ogni volta più veloci», disse Kiprik, che ancora ansimava.
«Già», rispose uno dei decapitatori. «O quello, o tu stai diventando più lento, sergente». Il corazzato caporale, un omone di circa trent’anni con cortissimi capelli biondi, si chiamava Tenerson, Tyberius per sua madre. Il resto della Terza Compagnia lo chiamava Stack. Calciò la testa deforme in un crepaccio nel pavimento di roccia.
Kiprik si accigliò. «Potresti mostrare un po’ di rispetto».
«Rispetto? Per una testa a martello? Stai scherzando, vero?». Stack li chiamava sempre testa a martello, molti uomini della Terza Compagnia lo facevano, per via dei loro riconoscibili teschi a forma di martello. Più a lungo le persone sopravvivevano all’Afflizione, più pronunciata diveniva quella forma. Li rendeva semplici da individuare. Con i più giovani non era altrettanto facile, spesso l’unico sintomo erano gli occhi rossi. Certo, anche la furia selvaggia era un valido indizio.
«Stai sanguinando, Ty».
Stack sollevò una mano. Gocciolava sangue. Si accosciò e fece una smorfia.
«Tieni», disse Kiprik, estraendo il suo kit medico. Un frammento bianco d’osso era infilato proprio sopra il pollice di Stack. Usò la lama dell’ascia per rimuoverlo e avvolse una benda attorno alla mano. Per sua fortuna, l’Afflizione non era contagiosa.
Kiprik prese la tabacchiera.
L’altro uomo con l’ascia, Orson, noto anche come Cucciolo per via della giovane età e della tendenza a bagnare il letto dopo aver bevuto troppa birra, fece rotolare nel crepaccio i resti dei due Senzavincoli.
Abacus, il membro restante dell’Ottava Squadra, era rimasto seduto su un masso a osservare l’operazione. Saltò giù. «Basta sniffare, Kip, abbiamo dei minatori da trovare».
«Lo so, non starmi addosso, Abs».
«Mi serve quel bonus, sergente! Tu non hai problemi, avrai la pensione tra qualche settimana».
Abacus era il contafagioli, o il responsabile della logistica, come preferiva farsi definire. Era nativo delle coste di Krell, la terra selvaggia in cui stavano combattendo. Abacus non era il suo vero nome, ovviamente. Kiprik aveva sentito il suo nome Krellen, ma era impronunciabile, Gaythst, o Guthst, o qualcosa di simile. Comunque fosse, tutti se l’erano dimenticato e nessuno gliel’aveva più chiesto. Abacus gli stava alla perfezione.
Ma aveva ragione in merito alla quota. Jelik, il comandante del campo, non accettava la pigrizia tra le sue fila. Non era il caso di attrarre una nota di demerito una settimana prima della pensione, non quando aveva una sedia a dondolo su un portico modesto ma comodo a cui guardare. Kiprik progettava di comprarsi una capanna su nei monti Duchy, che avrebbe potuto affacciarsi su un lago, e passare il tempo a pescare carpe, sorseggiare birra e darsi da fare con una locandiera locale dalle guance rosee.
Si mise in tasca la tabacchiera d’argento e raccolse l’ascia e la torcia, scuotendola per ravvivare la fiamma. «Prendi il posto di Stack». Abacus grugnì ma fece come gli era stato detto, preparandosi assieme a Orson. Kiprik si strizzò di nuovo nell’ingresso del tunnel.
Era tutto tranquillo mentre ripercorreva i suoi passi. Non gli era ancora chiaro perché dovessero ripulire le miniere in quel modo. Doveva esserci un sistema migliore di inviare un singolo soldato per attirarli allo scoperto. Ma d’altra parte quelle creature si spaventavano facilmente, o così si diceva. Il suo lato cinico sospettava che fosse il miglior modo che i parrucconi dell’esercito a Sendal avessero potuto immaginare per evitare di pagare le pensioni. Ci si aspettava sempre che quelli senza famiglia fossero le Esche Umane, gli sfortunati soldati mandati in avanscoperta per attirare il nemico. Kiprik non avrebbe lasciato che i suoi uomini andassero al suo posto, ma il principio lo irritava comunque.
Andò più avanti stavolta e i riflessi nelle pareti di roccia divennero gialli per le vene di citrino. Non sorprendeva che l’esercito Sendali ci tenesse così tanto a reclamare quella miniera. Il bisogno di quarzi rari si era moltiplicato dalla scoperta della sodaluce. Contò i passi. Cinquanta. Era il limite. Avrebbero dovuto spostare il luogo dell’imboscata. Si voltò per tornare indietro.
Qualcosa sibilò e un fagotto di pelo gli saltò addosso da un alto cornicione. Un gatto delle miniere, quelle pesti erano in grande quantità là sotto. Gli artigliò il lato della faccia e Kiprik sussultò. Perse la presa sulla torcia, che cadde nel basso canale al centro del tunnel.
La fiamma si spense sfrigolando e tutto divenne nero.
«Merda. Ehm, ragazzi», chiamò.
Un diverso genere di sibilo trafisse l’oscurità. Decisamente non era un gatto. Kiprik preparò l’ascia. Si udirono dei passi. Poi un respiro. Poi un ululato.
Qualcosa lo sfiorò e lui ruotò su sé stesso, perdendo i punti