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Sophie è diversa
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E-book443 pagine6 ore

Sophie è diversa

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Info su questo ebook

Due compagni di scuola "emarginati" e i loro amici uniscono le forze per mostrare ai bulli nella loro scuola di cosa sono fatti.

La scuola media è tutta una questione di inserimento. Non si tratta di distinguersi. Dopotutto, i ragazzi possono essere crudeli.

Sophie Devereaux non si è inserita. Lei e le sue due migliori amiche, Marissa e Michelle, sono viste come delle emarginate. Le cose peggiorano solo quando Sophie si imbatte in Alexis, la ragazza più popolare a scuola.

Ayden Saunders non si è inserito. Tragedie nella sua vita lo hanno indotto a ritirarsi nell'ombra, dove osserva i suoi compagni di classe da lontano e fantastica di essere un supereroe.

Quando Ayden viene a conoscenza di un piano per rovinare la vita di Sophie, sa che non può più sedersi ai margini. I due scoprono presto, con loro stupore, che la vita non si adatta, si tratta di essere fedeli a ciò che sei.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita18 dic 2018
ISBN9781547558575
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    Anteprima del libro

    Sophie è diversa - Patrick Hodges

    RINGRAZIAMENTI

    Caspita. Siamo già a tre libri?

    A dire la verità, gli ultimi due anni sono volati in un attimo. Nel gennaio 2014 una fantasia nostalgica sui miei giorni trascorsi alla scuola è diventata, quasi un anno dopo, la nota storia del libro L'isola di Joshua. E ora ha già più di cento recensioni positive. Se questo non rende l'idea, non so cosa potrebbe renderla.

    Quando ho pubblicato il mio primo libro non avevo alcuna idea di come sarebbe stato il mio viaggio. È stata una corsa davvero grandiosa e non per l'approvazione e i premi - anche se, lascia che te lo dica, sono davvero fantastici - ma per via di quelle persone straordinariamente talentuose e di supporto che ho incontrato, che ho conosciuto, e che hanno influito su di me in così poco tempo.

    Ancora una volta devo incominciare menzionando mia nonna materna, Florence Delvalle, la cui vivacità e il cui spirito indomito l'hanno mantenuta su questo mondo per novantasei anni. Uno dei miei più grandi rimpianti è che non sia vissuta abbastanza a lungo per vedere concretizzarsi questo viaggio almeno in parte.

    Alla mia bellissima moglie, Vaneza, che ha la pazienza di una santa e che mi ha permesso di passare innumerevoli ore faticose davanti al mio portatile, mentre passava l'aspirapolvere intorno a me e placava i miei nervi a pezzi quando ne avevo più bisogno.

    Ai miei genitori, Bob e Karen Hodges, i più grandi e i più solidali mamma e papà che un figlio, sempre al di sotto delle aspettative come me, potrebbe mai desiderare. Le parole non possono esprimere quanto io apprezzi il vostro supporto ogni singolo giorno.

    A Glenda Rankin, che ancora una volta mi ha stupito con la sua meravigliosa arte. Ad oggi è già la terza volta che insinui un’immagine nella mia mente e la riempi di pura vita vibrante e questo unicamente grazie alla tua straordinaria abilità. Sei, inoltre, una grande signora ed è stato un piacere lavorare con te.

    Alla Young Adult Author Rendezvous, il più grande gruppo di autori indipendenti di ogni luogo, senza il cui incommensurabile supporto, consiglio e acume, non sarei mai stato neanche la metà dello scrittore che ero quando ho selezionato per la prima volta il comando carica. Mi piacerebbe molto ringraziare personalmente, uno ad uno, tutti voi e molti, molti dei miei beta-lettori che visitano la pagina della YAAR, ma voi sapete chi siete e sapete cosa voi tutti significate per me. Nulla è più confortante della consapevolezza di essere circondati da persone dalle menti affini, dotate di talento, che vogliono la stessa identica cosa che vuoi tu.

    E infine, grazie a te per avermi permesso di condividere la mia storia con te.

    PROLOGO

    ~TRE ANNI PRIMA~

    SOPHIE

    Non appena vi salii, scrutai l'autobus alla ricerca di Kelsey. Quando finalmente localizzai dove si trovasse, capii che c'era qualcosa che non andava affatto bene.

    Era rimasta seduta per tutto il viaggio su uno dei sedili posteriori, cosa che non le avevo mai visto fare. E piangeva, cosa, anche questa, che non le avevo mai visto fare. O meglio, in realtà questa era la seconda volta.

    La mia mente correva svelta. Consideravo Kelsey Callahan una buona amica, anche se aveva tre anni più di me. Avevo avuto modo di conoscerla piuttosto bene negli ultimi due mesi, visto che, durante gli spostamenti in pullman verso e dalla scuola, Kelsey parlava sempre con me e con mia sorella Kirsten, che frequentava la prima media. Kelsey era una delle persone più toste che avessi mai incontrato e non doveva essere stato facile farla piangere.

    Come me anche Kelsey aveva ricevuto un duro colpo qualche settimana prima. Ricordavo il giorno in cui mi aveva detto che le interessava un ragazzo di nome Ethan Zimmer, un nuovo compagno di classe, del quale lei non sapeva nulla. Mi aveva chiesto di raccogliere qualche informazione su di lui facendo conoscenza con suo fratello Logan, che frequentava la mia classe di matematica. 

    Non fu facile conoscere Logan. Di norma i bambini del quinto anno della scuola elementare non chiacchierano molto con le bambine; di solito preferiscono scambiarsi battute su caccole e peti nel parco giochi tra una partita di pallone e l'altra. Logan era diverso. Era una visione così insolita: un ragazzino di dieci anni dai capelli a spazzola, con indosso un paio di jeans neri e una maglietta dei Van Halen, seduto sugli spalti all'angolo del parco giochi a disegnare sul suo album da disegno. In pratica tutti i giorni, durante l’intervallo, lui era lì.

    Le prime volte in cui gli parlai non riuscii a tirargli fuori più di un ciao e mi sentii così a disagio e imbarazzata che finii con l'andarmene via. Alla fine, però, mi lasciò sedere accanto a sé e non molto tempo dopo incominciò a parlarmi. Quando mi guardò negli occhi per la prima volta capii quanto, sotto sotto, fosse triste. Stava male e molto.

    Provai ad approfondire la conoscenza con lui, ma proprio non riuscii a raccogliere quelle informazioni che Kelsey avrebbe trovato utili. Gli parlavo, lui rispondeva e disegnava. Tutto qui. Alla fine, diventammo amici. Tutta questa situazione era davvero strana e molti dei miei compagni di classe ci prendevano in giro, ma non mi importava. L'unica opinione che contava per me era quella della mia migliore amica Marissa, che conoscevo da sempre.

    Due settimane e mezzo fa, però, Logan si era dovuto ritirare dalla scuola e non riuscivo proprio ad immaginarmi il perché. O meglio, finché Kelsey non me lo disse. Si era davvero innamorata di Ethan. Potrei dire che aveva tralasciato alcuni dettagli, ma mi disse abbastanza per permettermi di capire. Venne fuori che Ethan e Logan non erano i loro veri nomi. Si stavano nascondendo da alcuni loschi individui che li cercavano perché il loro padre avrebbe dovuto testimoniare in tribunale contro l'uomo che aveva ucciso la loro madre. E ora che il processo era finito, il governo li aveva portati via, perché potessero finalmente iniziare una nuova vita in qualche altro luogo.

    Comunque, l'aver appreso la verità su Logan non diminuì affatto il dispiacere. Mi ero fatta un sacco di amici negli ultimi anni: ad alcuni ero rimasta vicino, da altri mi ero semplicemente allontanata. Ma non avevo mai avuto un amico, un caro amico, ma... era andato via.

    All'inizio provai rabbia nei sui confronti perché mi aveva mentito. Sapevo che si trovava in una situazione terribile. Aveva appena perso sua madre. Probabilmente gli avevano vietato di parlare di quello che stava succedendo alla sua famiglia. Comunque... come aveva potuto non raccontare tutto questo a ME? Ero la sua amica! Ho passato ore sulle gradinate con lui! Avrebbe potuto fidarsi di me...

    Perché non ti sei fidato di me, Logan?

    Durante le ultime due settimane Kelsey ed io ci eravamo sedute sul pullman l'una accanto all'altra ogni giorno. Mi spiegò cosa fosse successo al ballo, che si era concluso con la polizia sparpagliata per tutta la scuola e con uno dei suoi migliori amici trasportato in ambulanza all’ospedale. Dopo un po' mi resi conto che nulla di ciò che era accaduto a Logan era dipeso da lui. Si era solo comportato nel modo in cui gli era stato detto di fare. La rabbia che provavo ora non c'era più, era stata sostituita dalla tristezza. Mi faceva male al cuore l'idea che non avessi potuto dire a Logan che grande amico fosse per me, e mi fece ancora più male pensare che probabilmente non avrei mai più avuto l'occasione per farlo. Mai.

    Quel giorno Kelsey e io piangemmo molto. Quella era stata la prima volta che la vedevo piangere. Oggi era la seconda.

    Mi sedetti accanto a lei e le chiesi gentilmente: «Kelsey, che c'è che non va?»

    Si voltò a guardarmi. I suoi capelli castani erano un disastro e le lacrime le solcavano il suo viso lentigginoso. «Ho visto Mark oggi».

    Feci un sussulto. Mark era il vero nome di Ethan. Cosa? È tornato?! Pensavo che se ne fosse andato! Chissà se «era con Logan?»

    Scosse la testa. «No, c’era solo Mark. Mio padre lo ha portato a scuola perché potesse dirmi addio».

    «Come... come stava?»

    Kelsey tirò su col naso. «Era... meraviglioso. Mi ha detto che mi ama».

    Spalancai gli occhi. «Oh», è tutto ciò che riuscii a dire.

    Mi guardò dritto in faccia. «Aveva provato a dirmelo una volta, ma non glielo avevo permesso». Capivo che altre lacrime erano pronte a farsi strada sul suo viso.

    «Perché no?»

    Si guardò intorno, assicurandosi che il resto dei passeggeri non stesse ascoltando di nascosto prima di voltarsi nuovamente verso di me. «Avevo... paura, Soph. Non volevo ammettere che provavo anch’io la stessa cosa, perché sapevo che se ne sarebbe andato». Abbassò la testa. «Ma io lo amo veramente. Lo amo così tanto. Non mi ero resa conto di quanto fino a quando non l'ho visto là in piedi ad aspettarmi». Sospirò pesantemente. «E ora se ne è andato. Probabilmente non lo rivedrò mai più».

    Oh, mio Dio. Povera Kelsey. Una delle persone più fantastiche che io conosca e il suo cuore adesso è completamente distrutto. Ethan se ne è andato. Quindi anche Logan. Forse per sempre. Qualche lacrima iniziò a formarsi all’angolo dei miei occhi. «Logan ha... detto qualcosa?»

    Kelsey annuì, allungò la mano verso il basso, aprì la cerniera dello zaino appoggiato per terra e tirò fuori un libro di medie dimensioni con una copertina nera, che mi porse. Lo riconobbi all'istante: l'album da disegno di Logan. Mi si bloccò il fiato in gola. «Mark mi ha dato questo. Gli ho promesso che te lo avrei consegnato».

    Presi l'album da disegno, del tutto sotto shock al pensiero che Logan lo avesse dato a me. Poi guardai il volto di Kelsey, che stava piangendo di nuovo. Appoggiai l'album sul sedile accanto a me, mi chinai e la abbracciai, cosa che lei ricambiò. Avvertii le sue lacrime sul dorso del mio collo. Non mi importava nemmeno se gli altri bambini ci stessero guardando.

    ✻✻✻

    Camminai verso casa molto lentamente, quasi come uno zombi, ignorando il forte vento che si era alzato negli ultimi minuti. Mi trascinavo lentamente, i miei occhi fissi sull'album che tenevo nelle mie mani. Lo aprii alla prima pagina, che presentava una selezione di piccoli scarabocchi. La seconda pagina mostrava l'immagine di una donna più grande, molto carina, con i capelli lisci lunghi fino alle spalle, che immaginai fosse la madre di Logan. E sulla terza pagina c'era un disegno di... me. Eccomi lì, con la mia coda di cavallo bionda e gli occhiali con la montatura di metallo, che fissavo me stessa dal foglio di carta. Il mio respiro si fece più veloce.

    Sfogliai il resto delle pagine e disegno dopo disegno vi trovai il mio viso. Alcuni disegni erano grandi, altri erano piccoli. Aveva usato matite normali, matite colorate, pastelli, persino pennarelli a punta sottile, ma tutti quei disegni indubbiamente mi ritraevano. Il mio cuore batteva a ogni immagine che vedevo. Erano belli, non confusi e disordinati come i disegni di molti bambini. Logan aveva un vero talento e io avevo tra le mie mani almeno un mese del suo lavoro a quei disegni che per la maggior parte erano del mio viso. Avevo notato, però, che una pagina era stata strappata. Ne aveva ovviamente tenuto uno per sé.

    La mia riflessione si interruppe quando due ragazzi in bici sfrecciarono vicino a me su entrambi i lati, facendomi sobbalzare e facendomi cadere dalle mani l'album da disegno. Alzai lo sguardo e vidi le loro facce serrarsi in sorrisetti infantili mentre si allontanavano. Idioti.

    Mentre stavo raccogliendo l'album da disegno, ne fuoriuscì una busta bianca. La afferrai mentre cadeva, ma il vento la spinse via e la trasportò giù per la strada. Era una lettera. Di Logan. E stava volando via.

    No...

    Le diedi freneticamente la caccia, ma la lettera era già a circa venti metri di distanza davanti a me. Svolazzava giù per la strada, sempre più lontano, più veloce di quanto io riuscissi a correre. Sentii il cuore battere disperatamente nel mio petto. Le ultime parole di Logan per me. E forse ora non avrei mai potuto leggerle.

    Inseguii freneticamente la lettera, che danzava e svolazzava appena fuori dalla mia portata come se venisse tirata su da una corda invisibile. Proprio in quel momento, sentii il rumore di un'altra bicicletta e un ragazzo alto come me, con capelli biondi e corti, sfrecciò vicino a me. Con forti pedalate si portò avanti, dove la lettera per un attimo si era fermata sull'asfalto. Con una sola mossa balzò giù dalla bicicletta e appoggiò la scarpa sulla lettera, impedendole di volare via di nuovo.

    Senza fiato, corsi incontro al ragazzo, che aveva preso la busta e la stava guardando. Lo riconobbi immediatamente: Ayden Saunders. Avevamo frequentato parecchie lezioni insieme da quando avevamo iniziato la scuola elementare e alcune volte avevamo conversato insieme, ma non lo conoscevo molto. Era gentile, ma non molto loquace. Proprio come Logan, con quel modo di fare ‘tranquillo ma amichevole’, ora che ci penso.

    Guardò su e i nostri sguardi si incontrarono. «Ehi, Sophie».

    «Ehi, Ayden», risposi, respirando ancora faticosamente.

    Con la mano strofinò via dalla busta i segni dell'impronta lasciati dalla sua scarpa. Guardando verso il basso notai il mio nome scritto a caratteri cubitali sul davanti della busta. Lui me la porse gentilmente. «Immagino che questa sia tua».

    Annuii afferrandola. «Grazie», dissi, sorpresa che un ragazzo potesse essere così collaborativo. La maggior parte dei ragazzi della mia età non avrebbe resistito all'opportunità di giocare a qualche stupido gioco tipo lanciare in aria la busta.

    «Nessun problema». Tirò su la sua bici e svelto montò in sella dalla parte posteriore. «Ci vediamo» e poi pedalò via senza aggiungere altro.

    Rimasi a guardarlo per qualche secondo mentre se ne andava e poi, per sicurezza, riposi nello zaino sia la busta, che l'album da disegno. Per nulla al mondo l’avrei persa di nuovo.

    Circa venti minuti più tardi mi ritrovai seduta sul bordo del mio letto a fissare la busta che tenevo tra le mie mani. Tutto ciò che riuscivo a sentire, a parte il mio respiro affannoso, era il suono del vento che nel nostro cortile faceva sbattere i rami dell'albero del palo verde blu contro il vetro della mia finestra. I pensieri frullavano nella mia testa ancora più veloci del vento.

    Eri il primo ragazzo che mi fosse capitato di conoscere, Logan. Non mi importa che tu abbia mentito su chi fossi, eri il mio amico. Mi manchi. Mi manca il tuo sorriso smagliante. Mi mancano i tuoi stupidi capelli a spazzola, che per non farti arrabbiare non volevo dirti che mi sembravano ridicoli. Mi mancano le passeggiate fuori nel parco giochi, quando ti vedevo seduto sulle gradinate a fare disegni sul tuo album.

    E ora questo album da disegno è proprio qui sul letto accanto a me. Il tuo regalo per me.

    Non voglio aprire questa busta. Questo è il tuo addio. Una volta che l'avrò letta, tutto questo diventerà reale. Allora saprò che te ne sei andato veramente. E starò male. Molto male.

    Ma non posso NON aprirla. Devo sapere cosa mi hai detto.

    Strappai un lembo della busta e tirai fuori il contenuto, usando tutte e due le mani per cercare di aprire la lettera delicatamente. Mi feci coraggio e incominciai a leggere.

    Sophie

    Ho appena scoperto che mio fratello deve tornare per salutare Kelsey. Ce l'ho messa tutta a convincerli a portare anche me, ma mi hanno risposto di no. Quindi ho solo mezz'ora per scrivere questo biglietto. Quando lo leggerai, probabilmente io sarò, su per giù, a un milione di miglia di distanza.

    Nelle ultime settimane sono rimasto bloccato in questa stupida casa noiosa senza niente da fare, se non pensare. Ho pensato a cosa ti avrei detto se ne avessi avuto la possibilità. Ho così tante cose da dirti, ma tu sai quanto io non sia bravo con le parole. Non sono mai stato bravo a parlare. Ecco perché disegno. Sono molto più bravo con i disegni. Spero che ti piacciano quelli che ho fatto per te.

    Non so perché tu abbia deciso di parlarmi. Le ragazze non mi parlano mai. E non parlo con loro, perché tutte quelle che mi è capitato di conoscere sono delle so-tutto-io. Sono rimasto sorpreso che tu non sia come loro.

    Sei davvero simpatica, Sophie. Mi hai reso felice quando pensavo che sarei sempre stato triste. Mi hai fatto tornare a ridere. Mi hai fatto tornare a divertirmi disegnando, a tal punto che non riuscivo a smettere di disegnarti. Mio padre dice che sei la mia musa. Non so cosa sia, ma suona bene.

    Mi dispiace che la mia vita sia così incasinata da doverti dire addio in questo modo e non di persona. Voglio solo dirti grazie. Per tutto quello che hai fatto per me. Sei la ragazza più fantastica che abbia mai incontrato.

    Vorrei poter ricominciare ancora tutto daccapo. Parlerei di più. Sarei un vero amico per te. Penso che ti sarei piaciuto se avessimo avuto questa possibilità.

    Mancano solo pochi minuti. Accidenti.

    Mi ricorderò sempre di te, Sophie. Non sei come le altre ragazze. Sei amica di chi vuoi essere, e non ti importa di quello che pensano gli altri. Questa è una bella cosa. Mi mancherai moltissimo.

    Sei diversa. Promettimi che rimarrai diversa, ok?

    Il tuo amico,

    Logan

    Lessi la lettera ancora e poi ancora, lo stomaco mi si attorcigliava ad ogni lettura. Alla terza ero in lacrime. Non potevo fermarle. Lasciai cadere la lettera sul pavimento e mi buttai sul cuscino, sforzandomi di reprimere i suoni del mio pianto.

    Mentre piangevo sentii qualcuno entrare nella mia stanza e sedersi sul letto accanto a me. Sapevo chi fosse, quindi non aprii nemmeno gli occhi. Sentii una mano accarezzarmi delicatamente i capelli, dei quali alcune ciocche erano fuoriuscite dalla coda di cavallo. Una voce dolce sussurrò, Sophie?

    Alzai lo sguardo per vedere la faccia di Eve incorniciata dai suoi capelli lisci e setosi di un colore nero corvino. Aveva sedici anni, la persona più straordinaria che avessi mai conosciuto e la miglior sorella maggiore che si potesse avere. Era sempre lì per me quando avevo bisogno di lei. Lei e il suo fidanzato Joshua si erano messi insieme in terza media e si amavano ora tanto quanto in passato. Un amore che praticamente si irradiava da lei.

    Tirando su col naso, mi drizzai e mi buttai tra le sue braccia, che lei strinse amorevolmente intorno a me, continuando ad accarezzarmi i capelli mentre singhiozzavo sulla sua spalla. Mi cullò dolcemente avanti e indietro mentre sussurrava nel mio orecchio: «Shhh, va tutto bene»; fino a quando le mie lacrime alla fine si fermarono.

    Alla fine, ci staccammo l'una dall'altra ed Eve mi passò un kleenex dalla scatola che si trovava sul mio comodino. Lo presi ringraziandola e mi soffiai il naso, gettando il fazzoletto di carta in un cestino vicino. Guardai Eve e vidi che mi stava sorridendo. «Ti senti meglio adesso?» chiese, accarezzandomi la guancia rigata di lacrime.

    «Un po'», dissi.

    «Vuoi parlarne?»

    Ci pensai per un momento, poi scossi la testa. «Non ora. Però ti prometto che lo farò più tardi».

    Passò ancora la sua mano tra i miei capelli. «Allora d’accordo. Sarò proprio dall'altra parte del corridoio se avrai bisogno di me». Si alzò e si avviò per uscire.

    «Eve?» Le dissi, fermandola sulla soglia.

    «Sì?» Rispose, ancora di fronte a me.

    Guardavo fuori, osservando i rami dell'albero che continuavano a strisciare contro la finestra. «Sono... diversa?»

    Un sorriso smagliante illuminò il viso di Eve e sentii il suo calore penetrarmi il cuore. «Sì, Soph, lo sei. Sei il miglior tipo di diverso che ci sia». Mi fece l'occhiolino e poi se ne andò.

    Mi avvicinai alla finestra e continuai a guardare fuori. Nuvole da temporale si erano addensate sopra di noi e stava piovendo intensamente. Ero felice di trovarmi al chiuso, al caldo e all’asciutto, ma sentivo ancora un peso nel cuore.

    Una volta mia mamma mi aveva detto che quando si è bambini si vivono alcuni momenti che formano il tipo di persona che sei e il tipo di persona che sarai per il resto della tua vita. Il fatto è che di solito non li riconosci se non dopo molto tempo averli vissuti. È raro che tu possa apprezzare un simile momento mentre lo stai ancora vivendo.

    Avevo appena vissuto uno di quei momenti.

    Quella fu la prima volta che sorrisi nell’arco di tutto il giorno.

    Sono Sophie Devereaux e sono diversa. E questa è una buona cosa.

    Addio, Logan. E grazie.

    CAPITOLO 1

    ~ giorno 1 (lun.) ~

    SOPHIE

    Seduta sul fondo del mio armadio con la mente in subbuglio, lanciavo grida nel mio cuscino.

    Deve trattarsi di uno SCHERZO. Cosa ho fatto oggi per meritarmi questo? Voglio dire, COSA?!

    Sono una brava persona. Lo sono sempre stata. Alle elementari ero la ragazza col sorriso sulle labbra. Abbracciavo persone che conoscevo a malapena e non odiavo i ragazzi solo perché erano... beh, ragazzi. Mia madre mi aveva sempre detto che ero così perché avevo un cuore enorme; qualcosa apparentemente normale nella mia famiglia, visto che le mie sorelle Eve e Kirsten erano sempre state così. Molte sorelle litigano come cani e gatti, ma non era il nostro caso.

    Eve e Kirsten erano sempre state carine. Invece io non lo ero davvero. Proprio come avevo fatto fin dalla prima elementare, portavo ancora un paio di occhiali con la montatura metallica, che mi dava un’aria un po’ da secchiona. Di solito non mi truccavo, non indossavo gioielli e non ero una di quelle ragazze che passavano un sacco di tempo a sistemarsi i capelli alla perfezione. L'anno scorso avevo smesso di raccoglierli in una coda di cavallo e ora li lasciavo sciolti, dal cuoio capelluto giù dritti in una linea noiosa. La maggior parte delle ragazze della mia classe aveva quell'attenzione in più per piacere ai ragazzi, ma io non ne comprendevo il motivo e pertanto continuavo a mostrarmi alla mia maniera. Avevo sempre avuto uno specchio a figura intera nella mia cameretta, ma più crescevo e più evitavo di specchiarmi. A meno che, naturalmente, non stessi cantando.

    Da sempre mi era piaciuto cantare. Avevo trascorso interminabili ore nella mia stanza a cantare canzoni con la mia spazzola a microfono, fingendo di essere una popstar o qualcosa del genere. Dal primo momento in cui incominciai a vedere film, imparai le canzoni di quasi tutti i film Disney. In ogni momento della mia giornata avevo sempre una canzone da abbinare al mio umore. Sfortunatamente il mio amore per la musica si abbinava solo alla mia completa e totale incapacità di cantare. Non importava quanto impegno ci mettessi a far uscire belle melodie dalla mia bocca, le mie corde vocali non collaboravano. Mi ero convinta che si trattasse di una causa persa.

    A volte, però, non potevo farne a meno e il desiderio di cantare diventava quasi incontrollabile. Spesso rimediavo canticchiando canzoni tra me e me nella mia testa. Era un compromesso per mantenermi sana di mente. Facevo sempre attenzione a chi avessi vicino quando sentivo crescere in me questo desiderio, ma un sacco di volte mi capitava di guardarmi intorno e di vedere le facce dei miei compagni di classe con un'espressione tipo oh-mio-Dio-è-così-strana e allora cercavo di non lasciarmi sopraffare dall'imbarazzo.

    Non vedevo l'ora di iniziare il mio ultimo anno alla scuola media James Madison. Avevo appena compiuto tredici anni e, per la prima volta nella mia vita, sarei andata a scuola senza accompagnatore. Prima io e Kirsten eravamo sempre andate insieme, ma ora che lei stava iniziando il suo primo anno della scuola superiore Centralia, ero da sola.

    Qualcosa era comunque successo qualche giorno fa. Al posto dell'attesa e dell'eccitazione che provavo di solito prima di incominciare un nuovo anno scolastico, ora mi sentivo... scontrosa. Lunatica. Pensai stupidamente che un interruttore interno fosse stato gettato dentro di me, come se il mio tredicesimo compleanno avesse fatto scattare qualcosa dentro il mio corpo, forse quella cosa che rende gli adolescenti depressi, goffi e angosciati tutto il tempo. Penso che in fondo in fondo io sapessi di cosa si trattasse, ma davvero non potevo credere che Dio o Madre Natura o qualunque altra cosa avrebbe fatto coincidere QUESTO con il mio primo giorno della terza media.

    Racconto quello che so.

    ✻✻✻

    Non mi importava di avere Educazione Fisica alla prima ora. Non ero mai stata molto interessata allo sport ma, fortunatamente, nel tempo molti dei miei allenatori avevano trovato il modo di rendere l'atletica divertente. Ero diventata brava in cose come il basket e il softball e mi piaceva anche correre, quindi non mi preoccupava affatto iniziare la mia routine quotidiana con un leggero allenamento. Certo, se avessi avuto una sfera di cristallo, questa mattina appena scesa dal letto avrei simulato un infarto, o una crisi, o qualunque cosa. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di ciò che realmente accadde.

    La prima cosa che fece la professoressa di Educazione Fisica delle ragazze, l'allenatrice Randall, fu quella di far indossare a tutte noi l'abbigliamento da atletica. Fui contenta di non far parte di quasi quel terzo della classe che si era dimenticato di portare il cambio e che dovette correre intorno all'enorme campo sportivo con blue jeans, maglioni e abiti firmati alla moda. Perché sì, quella fu la seconda cosa che l'allenatrice ci chiese di fare: i giri di corsa. Mi sentivo in buona forma, quindi non ero preoccupata di consumare tutte le mie energie.

    Mi fermai in una delle fontanelle del campo per placare la mia sete. Dopo aver bevuto un paio di sorsi d'acqua fredda, alzai gli occhi e vidi la mia amica Michelle che stava correndo a pochi metri da me. Non sembrava nemmeno un po' affaticata, il che mi rendeva un po' gelosa. «Ehi, Soph», disse lei.

    «Ehi, Shell», risposi cercando di riprendere il fiato.

    Guardandola, vidi la sua bocca e i suoi occhi spalancarsi. Poi deglutì.

    «Che c'è?» Chiesi io, avvertendo un senso di paura crescere nel mio stomaco.

    Improvvisamente incapace di parlare, alzò lentamente il suo dito indicando le mie gambe.

    Diedi un’occhiata verso il basso e compresi ciò che aveva causato il suo panico. Michelle non stava indicando le mie gambe, ma i miei pantaloncini bianchi da ginnastica, sui quali ora c’erano alcune macchie rosse, che punteggiavano la zona del cavallo.

    Non penso di essermi mai sentita tanto mortificata in tutta la mia vita. Tutto ciò che potei fare fu evitare di urlare a squarciagola.

    Mio Dio. Ho il ciclo. Il mio PRIMO ciclo. E doveva succedere proprio ADESSO, proprio durante il mio PRIMO giorno di terza media. Davanti a tutta quella dannata scuola!

    Mi misi a correre trascinando i piedi il più velocemente possibile attraverso il campo fino a raggiungere l'allenatrice. Fortunatamente, proprio per queste emergenze, lei teneva sempre a portata di mano nel suo ufficio una piccola scorta di prodotti femminili. Nello spogliatoio mi infilai di nuovo i vestiti da scuola e feci del mio meglio per mantenere un profilo basso per tutto il resto della giornata, pregando che il peggio fosse già passato.

    Mi sbagliavo così tanto.

    ✻✻✻

    Mentre posavo il vassoio del mio pranzo sul solito tavolo della mensa, mi ritrovai a pregare perché si avverasse una qualche forma di disastro: una bufera di neve, una collisione di asteroidi, un'apocalisse di zombi. Qualunque cosa avesse potuto obbligare la scuola a chiudere e a far finire quella terribile giornata. Mi misi a sedere, spinsi il vassoio da una parte e mugugnai qualcosa mentre sbattevo la mia fronte, delicatamente e ripetutamente, contro il tavolo. Non ricordavo di essere mai stata così male e il giorno era solo a metà.

    Dopo alcuni attimi sollevai la testa e vidi le miei due migliori amiche, Marissa e Michelle, che mi stavano fissando. Ero felice che fossero lì. Al di fuori della mia famiglia, non c'erano altre due persone sulla faccia della terra delle quali mi sarei fidata per ricevere aiuto nell’affrontare questa catastrofe.

    Io e Marissa Ramos eravamo amiche da sempre, fin dalla scuola materna. Era di pochi centimetri più bassa di me, aveva la pelle scura, i capelli crespi scuri raccolti in una coda di cavallo, dei grandi occhi marroni e un'ossessione maniacale per i pois. Li adorava. Era come se fosse convinta che la Fata dei Pois le sarebbe apparsa e l'avrebbe colpita a morta se fosse uscita di casa indossando solo colori in tinta unita. Ma anche se il suo abbigliamento di solito provocava le occhiatacce e le risatine delle ragazze della mia classe, ai miei occhi questo non la rendeva meno piacevole. Era una delle persone più gentili e genuine che conoscessi e non potevo immaginare di avere un’amica migliore di lei.

    «Giorno no?» mi chiese.

    Alzai la testa e annuii.

    «Cavolo, Soph, fai paura».

    «Grazie, Riss. Credimi, mi sento molto peggio di quanto non sembri».

    «Sì, la prima volta non è mai divertente, vero, Shell?»

    Michelle scosse la testa. «No, non lo è. Sono così felice di esserci passata in prima media».

    «Beh», mormorai, «scommetto che quando ti era successo, non era venuta a saperlo tutta la scuola».

    Marissa, allarmata, si appoggiò allo schienale. «Cosa intendi dire?»

    «Prima della quarta ora sono andata al mio armadietto per prendere il mio libro di scienze. Qualcuno vi aveva attaccato sopra, con il nastro adesivo, un mucchio di assorbenti interni».

    Michelle sembrava scioccata. «Caspita, le notizie viaggiano veloci».

    Michelle Jameson era alta, molto magra, con enormi occhiali da vista e l'apparecchio in bocca. Era vegetariana, figlia di due autentici hippy, che avevano e gestivano un orto biologico di grande successo. Era anche la ragazza più intelligente della nostra classe. Era sempre stata duramente presa in giro per il suo aspetto, ma questo non era mai sembrato darle fastidio. Aveva il controllo totale del suo imbarazzo, che era spesso sottolineato da battute veramente brutte, che lei stessa inseriva all'improvviso nelle conversazioni. L'ho amata da morire.

    «Non l'hai detto a nessun altro oltre a Riss, vero?» Chiesi.

    «Certo che no, Soph! Ma come mi consideri?»

    «Bene e allora come fanno tutti a sapere del mio dannato ciclo?»

    «Non da me, lo giuro!» Lei fece un mezzo sorriso. «Però devi ammettere che è piuttosto divertente...»

    «Cosa c'è di divertente?» Chiesi io senza la benché minima traccia di umorismo nella mia voce.

    «Ti è venuto il tuo PRIMO ciclo proprio durante la PRIMA ora».

    Brontolai e Marissa diede una pacca sul braccio di Michelle.

    «Ahi! Riss, che male!»

    «Shell, ora non è il momento di fare stupidi scherzi, ok?» Le lanciò un'occhiataccia.

    La faccia di Michelle si chinò verso il basso. «Mi dispiace, Soph. Stavo solo cercando di tirarti su di morale».

    Mi voltai e vidi parecchie ragazze fissarmi da altri tavoli più lontano. La Congrega delle ragazze più popolari. Tutta la Congrega era lì: Rhianna Kosto, Kayla Fanning, Lacey Facciadatopo con il piercing al naso. E, naturalmente, Alexis. La bellissima e affascinante

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