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Una passione inaspettata
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E-book290 pagine3 ore

Una passione inaspettata

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Info su questo ebook

Alcune regole sono fatte per essere infrante

Autrice del bestseller Sbagliando si ama

Quando Parker incontra Ben durante il suo primo anno al college, la complicità tra loro è immediata… e platonica. Sei anni dopo sono ancora molto amici e condividono un appartamento in un quartiere trendy di Portland. Ma quando il ragazzo di Parker la lascia all’improvviso, qualcosa in lei cambia: comincia a fantasticare su Ben. Succederebbe qualcosa se non fossero così amici? E così – dato che per Parker sembra impossibile togliersi questo pensiero dalla testa – i due stabiliscono un accordo piuttosto bizzarro: faranno entrare il sesso nel loro rapporto, evitando però che qualsiasi coinvolgimento emotivo rovini quello che c’è tra di loro. Le cose sembrano funzionare alla perfezione… almeno all’inizio. Finché l’ex di Parker non si rifà vivo, deciso a tornare con lei, e Ben scopre di essere disperatamente geloso. Ma anche Parker mal sopporta l’idea di vederlo flirtare con una sua collega. E se si fossero spinti troppo oltre, senza accorgersene?

Una splendida amicizia può trasformarsi in qualcos’altro?

Bestseller negli Stati Uniti

«Ho appena finito di leggerlo e mi sono innamorata di questa incredibile storia.»
Sandi Lynn, autrice bestseller del New York Times

«L’ho letto tutto d’un fiato. Il libro che fa per me: sexy, divertente, con dialoghi da fuoriclasse. Mi sono innamorata di Ben e Parker dalle prime pagine.»
Sidney Halston, autrice bestseller di USA Today
Lauren Layne
si è laureata in Scienze politiche. Dopo essersi occupata di e-commerce a Seattle e nella California del Sud, si è trasferita a New York dove scrive a tempo pieno. I suoi romanzi hanno avuto un grande successo negli Stati Uniti e hanno venduto centinaia di migliaia di copie. La Newton Compton ha pubblicato la Redemption Series e la Best Mistake Series.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2018
ISBN9788822727190
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    Anteprima del libro

    Una passione inaspettata - Lauren Layne

    Capitolo 1

    Parker

    Al secondo anno delle superiori strinsi un’amicizia di breve durata con una ragazza di nome Korie Hamilton.

    Era abbastanza carina.

    Esagerava un po’ con l’eyeliner viola, parlava a macchinetta usando un po’ troppi tipo, ma nel primo semestre frequentavamo le stesse lezioni e diventammo, per così dire, amiche di default.

    In ogni modo, Korie non faceva che ripetere che il suo migliore amico sulla faccia della Terra era Stephen Daniels, un ragazzo che aveva promosso alla condizione di Migliore Amico quando si conoscevano da appena quattro settimane.

    Sembrava che fosse una cosa come Oddio, è tipo la cosa migliore del mondo avere uno con cui parlare senza incasinare le cose con implicazioni sentimentali.

    Ma per piacere!

    I veri migliori amici in genere possono stare più di un paio d’ore senza dover nominare l’altro, ma Korie trovava il modo di infilare il nome di Stephen in una frase sì e una no.

    Solo amici un paio di palle.

    Immagino che tecnicamente per un po’ il loro rapporto sia restato su un piano platonico. Stephen aveva una ragazza che si chiamava Libby Tittles, o un nome sfigato del genere, e Korie una storia tira e molla con il suo ragazzo delle medie.

    Chiunque avesse visto un film o guardato la tivù, o sapesse anche solo per sentito dire come funzionano i rapporti umani, intuiva esattamente dove quei due sarebbero andati a parare: a letto.

    Anche se Korie giurava in tutte le lingue che lui non le piaceva in quel senso, arrivati al giorno del Ringraziamento di quell’anno, di entrambi i loro partner non c’era più traccia.

    Per le vacanze di Natale, Korie non diceva più tutti quei tipo. Perché? Perché aveva la lingua di Stephen infilata in bocca prima e dopo la scuola e tutti i fine settimana, senza eccezione.

    Sappiamo però come vanno a finire queste cose, no? Appena qualche mese dopo, Korie e Stephen non solo non stavano più insieme, ma di sicuro non erano affatto migliori amici.

    La loro breve storia e conseguente rottura passarono quasi inosservate a livello di gossip, ma mi piace pensare che impartirono una lezione importante a noi ragazze della scuola: ragazzi e ragazze non possono essere solo amici. O comunque, non migliori amici.

    La faccenda finisce per diventare troppo complicata.

    Ma andiamo avanti di qualche anno, d’accordo?

    Adesso ho ventiquattro anni e mi ritrovo a dover fare un annuncio di pubblica utilità: mi sbagliavo.

    Ragazzi e ragazze possono davvero essere migliori amici.

    È possibile avere un rapporto platonico con un ragazzo senza implicazioni romantiche, fantasie sessuali né proclami ingenui tipo non mi piace in quel senso, nell’angoscioso tentativo di nascondere lo strazio di un amore non corrisposto.

    Come faccio a saperlo? Come so che un ragazzo e una ragazza possono essere amici senza conseguenze sentimentali?

    Be’, semplice, perché ormai da sei anni sono la controparte femminile di un rapporto platonico di questo tipo.

    Sei. Anni.

    !

    Storia vera.

    Io e Ben Olsen ci siamo conosciuti l’estate prima dell’inizio del primo anno all’università dell’Oregon, durante i corsi di orientamento per le matricole. Eravamo nello stesso gruppo in una di quelle terribili attività per rompere il ghiaccio in cui ci si deve mettere un post-it sulla fronte e indovinare che tipo di animale da safari sei o cose del genere, ed ecco che…

    Ci siamo trovati?

    Non so come sia successo di iniziare un rapporto tipo Ciao, mi piaci ma non mi interessa trombarti, ma è andata così. Forse è stato perché io mi ero presa una stupida cotta per un altro del nostro gruppo. O forse perché le mie ovaie sapevano bene che uno fico come Ben mi avrebbe spezzato il cuore. Qualunque sia stata la ragione, abbiamo fatto qualcosa di totalmente poco plausibile.

    Siamo diventati migliori amici.

    E sì, tutte le mie amiche mi hanno avvisata, esattamente come avevo fatto io ai tempi con Korie Hamilton: non funzionerà.

    Le mie amiche sono divise in due netti schieramenti rispetto a come la storia naufragherà, ma sono tutte convinte del fatto che naufragherà.

    Metà di loro pensa che io e Ben siamo anime gemelle che stanno solo ingannando il tempo prima di sposarsi e mettere al mondo dei bambini.

    L’altra metà pensa che una sera dopo aver bevuto troppo faremo del sesso orrendo e non ci rivolgeremo mai più la parola.

    Io e Ben le abbiamo smentite quando, finito il primo anno di università, la nostra amicizia era ancora intatta.

    Secondo anno? Idem.

    Terzo anno, abbiamo persino alzato il tiro. Non solo eravamo più vicini che mai, ma siamo addirittura diventati coinquilini. È accaduto un po’ per caso, quando uno dei suoi coinquilini si è chiamato fuori all’ultimo momento e io mi sono tardivamente resa conto che non avrei retto un altro anno di mensa, quindi mi sono trasferita da lui. E ha funzionato. Così abbiamo continuato anche l’ultimo anno.

    Eccoci qui, due anni dopo la laurea, a vivere ancora insieme, anche se dall’orrida sistemazione fuori dal campus, a Eugene, siamo passati a un bilocale un po’ meno terrificante, nella zona nordovest di Portland.

    E sì. Sempre platonici come al solito, neanche un accenno di cambiamento nell’aria. Io sono pazzamente innamorata di Lance Myers, il mio ragazzo, da cinque anni e Ben…

    Be’, Ben è alle prese con l’ambiziosa missione di sedurre l’intera popolazione femminile dell’Oregon occidentale.

    «Avete del latte in casa?».

    Ah, ecco… per l’appunto. Alzo gli occhi e vedo una bionda alta e magra sulla porta della cucina.

    «Latte?», mi chiede ancora.

    Mando giù un altro boccone di cereali e mi ci vuole tutto il mio autocontrollo per non mettermi palesemente a fissare la scodella.

    Certo che ce l’abbiamo il latte, cazzo.

    «Nel frigo», dico con un sorriso amichevole. Mi sorride anche lei, mostrando due fossette profonde sulle guance. Carina. Capisco come mai piaccia a Ben.

    Passa oltre il tavolo andando verso il frigo e mi sento male quando vedo che sul didietro dei pantaloni celesti della tuta ha la scritta svampita. Sul serio? Sul serio?

    A quanto pare la svampita ha dimenticato che voleva il latte perché tira fuori una delle lattine di iced coffee di Starbucks che tengo di scorta per il lunedì mattina, quando mi serve qualcosa di più forte per tirarmi su, il che accade ogni lunedì perché, ecco, i lunedì fanno schifo, no?

    La svampita tira la linguetta e beve un sorso senza chiedere il permesso, cosa che giudico abbastanza fastidiosa, ma non sono mai stata una di quelle ragazze che sprecano energie a incazzarsi per le stronzate, perciò lascio stare.

    «Ciao, sono Parker», dico.

    «Io sono Liz. Frequenti il coinquilino di Ben?».

    Considerato che so per certo che Liz è l’ultima di una serie abbastanza impressionante di storie da una botta e via, frequentare mi sembra una scelta lessicale un po’ audace, perché come fa a sapere che non sono solo ospite di una sera proprio come lei?

    Anche questa, la lascio passare senza commentare.

    Voglio dire, non potrà mica chiedermi: Ti sei ubriacata e sei andata a letto con uno che conosci appena, come ho fatto io?

    In più, ho una sorpresa divertente per lei.

    «Sono io il coinquilino», dico mantenendo un sorriso amichevole. Indosso il mio pigiama più vecchio e non ho nemmeno fatto finta di togliermi il mascara di ieri sera, che adesso è spalmato su tutta la faccia. Sono sicura di non apparire minacciosa.

    Invece mi sbaglio.

    Liz si ferma a metà strada sorbendo la mia preziosa bevanda ghiacciata e la sua faccia da curiosa diventa circospetta.

    Dentro di me alzo le spalle. Ben tende a sfruttare a suo vantaggio il fatto che ho un nome unisex evitando pronomi femminili quando parla di me, mentre è alle prese con una delle sue storie. Ha adottato questo approccio dopo che diversi incontri erano andati a monte perché alcune erano ancora fedeli all’assioma per cui ragazzi e ragazze non possono essere solo amici.

    Dilettanti.

    Ben arriva tranquillo in cucina, con dei pantaloni della tuta dallo stile simile a quello della sua bambola, anche se i suoi sono del verde scuro dell’università, e invece della scritta idiota dietro hanno solo l’anitra dell’Oregon, la nostra vecchia mascotte universitaria. Ci siamo laureati un paio di anni fa perciò questa tenuta in effetti è un po’ triste, ma non posso giudicarlo troppo duramente perché tutto il mio guardaroba sportivo consiste in vecchie magliette del college.

    Lui sbadiglia e sorride. «Buongiorno. Vi siete presentate, ragazze? Liz, Parker. Parker, Liz».

    Ben non si rende conto che Liz lo sta fulminando con lo sguardo; oppure non gli interessa, ora che se l’è portata a letto.

    Questo è l’altro motivo per cui non ci tengo particolarmente a pensare a Ben sotto una luce romantica: è una specie di playboy. Da amica posso amarlo per questo, ma sul piano sentimentale? Mai e poi mai. Nemmeno dopo tutti i test negativi delle malattie sessualmente trasmissibili.

    «Ehi, che ne è stato della regola per cui si deve indossare la maglietta in cucina?», gli chiedo inforcando un altro boccone di cereali sempre più mollicci.

    «Non c’è mai stata una regola del genere», mi dice facendo l’occhiolino a Liz-barra-svampita. L’espressione di lei si addolcisce un po’ e io resisto alla tentazione fortissima di aprire gli occhi a quella povera ragazza. Vorrei dirle che i suoi ammiccamenti non valgono un fico secco, ma che senso avrebbe? Ha scritto svampita dietro ai pantaloni, accidenti.

    «C’è anche una regola riguardo alle magliette in cucina!», insisto io. «Regola numero quattordici. A proposito, dove sono le mie regole della casa?»

    «Difficile a dirsi», mi fa lui aprendo il frigo e guardando il poco che ha da offrire, optando poi per una tazza di caffè. «Potrei averle usate per tirare su del succo d’arancia, l’altro giorno. O forse come sottobicchiere per la birra». Schiocca le dita. «No, aspetta, adesso mi ricordo. Le ho solo buttate via, vecchio stile».

    Indico la porta. «Maglietta. Subito».

    Lui lancia un’occhiata a Liz. «Non riesce a concentrarsi, con i miei addominali in mostra. Dobbiamo darle delle pillole per non farla svenire».

    Liz ridacchia mentre mi rivolge uno sguardo indagatore, come se cercasse di stabilire se potrei davvero svenire di fronte al torace effettivamente notevole di Ben. Quel ragazzo è una macchina. Salta la palestra solo nei peggiori casi di postumi da sbronza.

    «Vuoi che andiamo a fare colazione da qualche parte?», chiede Liz a Ben.

    Ah, povera Svampita. Le mancano proprio le basi.

    Ben fa subito una faccia dispiaciuta. «Mi piacerebbe, ma ho promesso a Parker di portarla all’IKEA a prendere uno scaffale nuovo per la sua collezione di bambole».

    Ho appena messo in bocca una cucchiaiata enorme di cereali, il che mi impedisce di parlare, perciò devo accontentarmi di un’occhiataccia. Sta contravvenendo a un’altra delle regole della casa: Non usare Parker per scaricare le tue toy girl.

    Penso di avere persino aggiunto una nota, di recente: E soprattutto, non tirare in ballo l’IKEA. Odio l’IKEA.

    «Non ce l’ha un ragazzo che può accompagnarla?», chiede Liz.

    Oh, te la giochi male, Svampita. Troppo ovvio il tuo tentativo di stabilire se sono una rivale.

    «Ce l’ha. Ma è uno smilzo», dice Ben sussurrando forte. «Mani molto piccole».

    Un’altra regola non rispettata: Non criticare Lance per usare Parker per scaricare le tue toy girl.

    Lance non è mingherlino. Voglio dire, forse il mio ragazzo non è fissato con la palestra come Ben, ma è snello e in forma e di sicuro non ha le mani piccole.

    Eppure, a questo punto mettersi a discutere probabilmente avrebbe solo l’effetto di prolungare il soggiorno di Liz e, a essere onesta, non vedo l’ora che la Svampita prenda la strada della sua stanza nello studentato.

    Tiro su quello che resta dei cereali nella tazza mentre mi alzo. «Penso sia ora di andare», dico mentre sto ancora masticando. «All’IKEA il sabato è un casino e non voglio che finiscano la scorta di scaffali extra-large».

    «Ne hai così tante, di bambole?», mi chiede Liz, incerta se essere turbata o dispiaciuta per me.

    «Cinquantasette e rotti», dico io impassibile. «E in realtà, Ben, se mi aspetti un attimo vado di sopra a pettinarle, va bene? Ieri sera ho visto che a Polly cominciavano ad annodarsi i capelli».

    Ben svuota la tazza, si stacca dal piano della cucina e mi guarda scuotendo la testa. «Poveretta, come sei ridotta». Poi si rivolge a Liz mettendole le mani sulla vita sottile e avvicinandola a sé con un sorriso di scuse. «Ti dispiace se rimando l’invito a colazione?».

    Nascondo a stento un grugnito. Nel mondo di Ben, rimandare è sinonimo di perdere appositamente il tuo numero di telefono.

    In meno di un minuto, Ben sta accompagnando Liz fuori dalla porta e incredibilmente lei non sembra nemmeno incazzata. Li seguo fuori giusto per dare fastidio, mentre lui le sussurra qualcosa all’orecchio. Lei spalanca gli occhi con aria solidale e mi rivolge un sorriso della serie Andrà tutto bene, amica mia. Si avvia verso il marciapiede salutando con la mano.

    «Che le hai detto?», gli domando, bevendo un sorso di caffè mentre la vediamo allontanarsi.

    «Le ho detto che sei un’orfana abbandonata e che l’unica cosa che ti ha lasciato tua madre è una bambola di nome Polly. Da lì la tua triste ossessione».

    Scuoto la testa. «Dovrò riscrivere le regole della casa. E da adesso in avanti ci sarà anche Niente bambole».

    Liz si volta e mi saluta un’ultima volta. Sia io che Ben rispondiamo al saluto e io non resisto. «Goditi la passeggiata della vergogna!», le urlo dietro con voce zuccherosa.

    Liz volta la testa di scatto come se cercasse di capire se ha sentito bene quello che ho detto, ma Ben mi mette una mano davanti alla faccia, mi rimanda dentro e chiude la porta.

    Si passa una mano sugli addominali con aria assente e mi guarda da sotto in su. «Dovresti cambiarti. Non puoi indossare quei pantaloncini logori e quella maglietta orrenda per venire all’IKEA».

    «Prima cosa, certo che si possono indossare le magliette più logore e orrende per andare all’IKEA. È più o meno il dress code. E seconda cosa, non ci andiamo, all’IKEA. Sei così a tuo agio con le bugie che finiscono per diventare vere nella tua testa?»

    «Ci andiamo eccome, all’IKEA», replica lui, passandosi entrambe le mani tra i capelli corti castani, poi si dirige su per le scale.

    «A fare che?», gli chiedo.

    «Mi serve una cassettiera nuova».

    «Cos’ha che non va la tua cassettiera?»

    «Si è rotta».

    Arriccio il naso. «Come cavolo si fa a rompere una cassettiera?».

    Mi lancia un’occhiata da dietro le spalle e alza e abbassa le sopracciglia.

    Mi ci vogliono solo pochi secondi per mettere insieme i pezzi.

    «La Svampita?». Alzo un pollice alle mie spalle, in direzione della ragazza che se n’è appena andata. «Te la sei sbattuta contro la cassettiera?»

    «Sai com’è, essendo così alta mi ha dato la rara opportunità e l’angolazione adeguata per…».

    Mi metto le mani sulle orecchie e comincio a cantare Piano Man di Billy Joel, come faccio sempre quando voglio risparmiarmi descrizioni troppo colorite delle imprese sessuali di Ben.

    Altra regola della casa: Parker non vuole assolutamente sapere che cosa succede in camera di Ben.

    «Ascolta, tu e Lance avete programmi per oggi?», mi domanda.

    «Forse me lo dovevi chiedere prima di imporre il viaggio all’IKEA. Comunque no, oggi ha un gruppo di studio per tutta la giornata».

    Lance sta frequentando un master dell’università di Portland.

    «Bene. Dopo andiamo a mangiare qualcosa». Va in camera sua senza guardarmi.

    Mangiare qualcosa?

    Stringo gli occhi e salgo di corsa le scale dietro di lui, spalancando la porta prima che me la chiuda in faccia.

    Figuriamoci, la cassettiera pende malamente da una parte ed ecco che conto due, no facciamo tre, incarti di preservativi.

    Lui prende una polo verde dall’armadietto nell’angolo e si mette a guardare nel casino che ha sul pavimento per trovare i jeans.

    Aspetto paziente.

    «Che c’è?», mi chiede.

    «Mangiare?», dico alzando le sopracciglia. E aspetto una spiegazione.

    Ben si gratta distratto la barba leggera. Dividendo il bagno con lui, so che si rade ogni mattina, ma la barbetta sembra perenne.

    «Sai, ti ricordi la ragazza con cui uscivo un paio di settimane fa? Kim?», mi domanda. «Voleva che andassi al brunch di fidanzamento della sorella e le ho detto che ero impegnato tutto il giorno. Solo che è abbastanza fuori da passare a controllare se è vero che non sono in casa, così ho pensato che dovremmo andare da qualche parte…».

    Alzo una mano. «Va bene. Sarò il tuo alibi. Però il ristorante lo scelgo io, e paghi tu. Oh, e per tutta la settimana devi abbassare la tavoletta del water».

    Lui solleva la mano per intervenire, come se fosse a scuola. «Vorrei aggiungere una regola della casa: A Parker non è consentito dire a Ben come deve pisciare».

    «Non sei tu a stabilire le regole. Lo faccio io. E non ti ho detto come pisciare», ribatto esasperata mentre lui apre con uno strattone un cassetto per prendere un paio di boxer. «Sto cercando di fare un favore alla tua futura moglie, insegnandoti a non essere un maiale».

    Mi segue in corridoio. «Un’altra regola della casa: Parker non deve dire oscenità come ‘futura moglie’ a uno scapolo accanito».

    «Non sei uno scapolo accanito. Sei solo il tipico ventiquattrenne arrapato, e di nuovo, non sei tu a stabilire le regole in casa… ehi!».

    Mi sbatte la porta del bagno in faccia e realizzo troppo tardi di non aver capito tutti i classici segni dell’abile manovra diversiva di Ben Olsen. Voleva solo fregarmi il posto in bagno.

    «Non finire l’acqua calda!», gli urlo battendo con la mano sulla porta.

    La porta si schiude appena per mostrarmi un occhio azzurro che mi fa l’occhiolino. «Non avevi detto che Polly ha i capelli annodati? Sarà meglio che pensi a quello».

    La porta si chiude di nuovo e busso una seconda volta. «Ricordati: l’asciugamano verde è mio. Quello bianco è tuo».

    Attendo conferma ma c’è solo silenzio.

    «Ben, lo so che mi senti! Non usare il mio per sbaglio solo perché il tuo puzza».

    Ancora silenzio.

    Merda. Userà il mio asciugamano!

    Quindi sì, il mio migliore amico è un ragazzo. Non significa che la cosa debba piacermi sempre.

    Capitolo 2

    Ben

    Il più delle volte, avere una ragazza come migliore amica è fantastico.

    Tra i punti di forza:

    1) Pur essendo daltonico, non devo preoccuparmi di uscire di casa vestito come un pagliaccio triste.

    2) Il filtro dell’acqua viene sempre sostituito in tempo.

    3) A Parker piace fare il bucato, e si lamenta solo il trenta percento delle volte che infilo la mia roba insieme alla sua.

    Oh, e come ha dimostrato la vicenda di questa mattina, è un’ottima scusa quando c’è bisogno di disfarsi di un’appiccicosa avventura di una sera.

    Poi però ci sono anche aspetti non proprio fantastici. Come quando ha passato trentacinque minuti a guardare delle lampade.

    «Prendi quella e basta», le dico alzando il braccio per indicare una lampada a caso, mentre quell’orrore rumoroso e pieno di bambini che è l’IKEA rischia di soffocarmi.

    Quasi non la guarda, quella che ho scelto io. «Sembra un utero».

    «Ma come cavolo è fatto, un utero?»

    «Come quella lampada. E, onestamente, considerata la quantità di tempo che trascorri a rovistare nelle mutandine delle donne, dovresti proprio imparare a conoscere la loro anatomia».

    «Ma l’utero non è quello…», mi interrompo, cercando la parola giusta per descrivere vaghe reminiscenze di educazione sessuale delle scuole medie.

    Parker solleva un sopracciglio. «…dove si fanno i bambini?».

    Faccio una smorfia, come farebbe ogni individuo normale di sesso maschile. «Cristo santo. Perché dovrebbe interessarmi? Metto

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