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Le Detentricici di Arantha Libro Primo: Pedine: Le Detentrici di Arantha - Libro Primo
Le Detentricici di Arantha Libro Primo: Pedine: Le Detentrici di Arantha - Libro Primo
Le Detentricici di Arantha Libro Primo: Pedine: Le Detentrici di Arantha - Libro Primo
E-book504 pagine7 ore

Le Detentricici di Arantha Libro Primo: Pedine: Le Detentrici di Arantha - Libro Primo

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Info su questo ebook

Settecento anni nel futuro, i Jegg - una potente razza aliena - invadono la Terra, spazando via metà della Confederazione Terrestre.

In una base nascosta sotto il deserto del Sahara, un team di scienziati lavora per organizzare una resistenza contro gli invasori. Il loro piano è inserire in un'astronave terrestre una tecnologia spaziale Jegg e viaggiare dall'altra parte della galassia per trovare una misteriosa fonte di energia... una che potrebbe aiutarli a sconfiggere i Jegg.

Ma prima della partenza, arriva la catastrofe. Solo due dell'equipaggio sopravvivono e riescono a raggiungere la loro destinazione: la moglie del leader della squadra Maeve e suo figlio adolescente Davin. Ciò che trovano sul pianeta lontano cambierà per sempre entrambi i futuri della loro famiglia e del loro pianeta, mentre iniziano una corsa contro il tempo... e contro ogni pronostico.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita21 ott 2020
ISBN9781547575664
Le Detentricici di Arantha Libro Primo: Pedine: Le Detentrici di Arantha - Libro Primo

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    Anteprima del libro

    Le Detentricici di Arantha Libro Primo - Patrick Hodges

    Ringraziamenti

    Il Libro Primo della serie Le Detentrici di Arantha è il mio quarto romanzo, e pare che la lista di persone che devo ringraziare in ogni libro diventi sempre più lunga. Ma va bene, perché mi piace davvero tanto ringraziare le persone.

    Prima di tutto alla mia straordinaria famiglia, che ha supportato ogni mio sforzo letterario. Grazie per l’infinita sorgente di supporto. Senza di voi, io non starei realizzando il mio sogno di essere uno scrittore pubblicato, e per questo vi sono eternamente grato.

    Alla mia armata di beta-readers, molti dei quali sono miei colleghi allo Young Adult Author Rendezvous, la migliore raccolta di autori YA esistente. E’ grazie a voi se questo libro è bello così com’è ora. Il vostro feedback era più che prezioso. Era inestimabile. Ringrazio le mie stelle ogni giorno, perché posseggo un’incredibile risorsa da estrarre ogni qualvolta ho bisogno di un input creativo.

    E non posso dimenticarmi delle mie coorti al Central Phoenix Writers Group, che una volta a settimana hanno preso un estratto dalla mia storia e mi hanno solo detto cosa diavolo non andasse  in esso – ed inizialmente c’era tanto che non andava – e senza le vostre miriadi di opinioni, di abilità e di destrezza verbale, Le Detentrici sarebbe stato un prodotto molto meno allettante di quanto non lo sia ora. Vi elencherei tutti per nome, ma ve ne sono troppi, e i più speciali di voi sanno già chi siete.

    Infine un ringraziamento a te, lettore. Sebbene i miei primi libri avessero a che fare con le insidie dell’infanzia e della scuola media, il mio primo amore fin da giovane è sempre stato la fantascienza e il fantasy, e essere capace di saggiare la situazione nelle acque di questo genere è un sogno che diventa realtà per me. Spero che troverete i miei sforzi valevoli di lode. Prometto che ci saranno ben più di qualche svolta e colpo di scena, prima che abbiate finito.

    Prologo

    L’anziana donna giaceva sul suo letto, immobile, fissando la soffitta dell’unica casa che avesse mai conosciuto. Era nata in quella stanza. E ci sarebbe anche morta.

    Aveva poggiato le sue mani rugose sulla Pietra un’ultima volta il giorno prima, sentendo un’ondata di calore, un’energia familiare mentre scorreva attraverso il suo fragile corpo. La sua mente scorse una schiera di immagini familiari: il passato, il presente e il futuro della sua gente, una storia che lei aveva aiutato a plasmare. Mentre il sentimento di unità con Arantha cominciava a placarsi, lei si sentì coperta da uno straordinario senso di pace interiore. Finito il suo lavoro, sarebbe stata presto la benvenuta nelle braccia in attesa di Arantha.

    Per la sua gente, la strada davanti sarebbe stata difficile. Il loro isolato stile di vita, il sentiero su cui Arantha li aveva posti secoli or sono, sarebbe finito. La catena di eventi che lei aveva messo in moto col suo ordine finale ne sarebbe stata testimone. E sarebbe toccato a sua figlia Kelia, come successore, scoprire un nuovo sentiero per loro. Sarebbero apparsi dei nuovi nemici, così come nuovi amici. Lei li vide tutti, più e più volte, nel suo occhio mentale: gli oscuri gemelli, il mago del nord, la donna dipinta dall’Alto.

    Un ultimo e persistente dubbio si fece strada attraverso la mente dell’anziana donna. Aveva preparato Kelia per il suo ruolo di Protettrice per tutta la vita, e sebbene Kelia non possedesse il livello di preveggenza di sua madre, le sue abilità elementali erano ineguagliabili. Lei era un leader forte, ben rispettato e più saggia di quanto dimostrassero i suoi anni. Ma sarebbe stato abbastanza?

    Deve esserlo, pensò lei con un sospiro dispiaciuto. Fallire significherebbe l’oblio per la mia gente, e per tutta la gente di Elystra.

    La sua visione si offuscò, una tenda di oscurità che le rubò la vista un centimetro alla volta. Il suo respiro divenne irregolare, e lei sentì il suo cuore battere per l’ultima volta.

    Mentre il suo spirito abbandonava il suo corpo, il suo pensiero finale fu una preghiera silente.

    Arantha, vegliate su di loro.

    Capitolo uno

    Richard è morto.

    Maeve ricacciò indietro le lacrime, mentre il Talon prendeva potenza attraverso l’atmosfera della Terra. Erano sfuggiti alle armi terrestri dei Jegg, ma essi erano a malapena la prima linea di difesa.

    Una volta raggiunto lo spazio aperto, i loro problemi crebbero esponenzialmente. Lei non ebbe bisogno di guardare i sensori per avere la conferma che le astronavi Jegg li stavano inseguendo. In cinque anni, il Talon era la prima astronave della Terra ad essere stata lanciata nel cielo. Sebbene la fusoliera fosse di colore nero e argento, avrebbe potuto benissimo essere rosa e gialla, con un grande occhio di toro dipinto sopra.

    Avevano pianificato questa missione per diciotto mesi. Con l’aiuto dei suoi contatti nel Sottosuolo, Richard non solo riparò un rottame di astronave cargo delle Forze Spaziali, ma in qualche modo combinò un modulo di curvatura quantigrafico Jegg con un motore supralight terrestre. Due tecnologie completamente diverse, eppure lui riuscì miracolosamente a fargli parlare la stessa lingua. Questo brillante ingegnere, l’uomo di cui lei si era innamorata e con cui aveva avuto un bambino, era il fattore chiave nello sforzo finale del Sottosuolo per trovare un modo per fuggire dai conquistatori alieni che avevano sottomesso la razza umana.

    L’ultima notte dieci di loro avevano festeggiato: Maeve, Richard, il loro figlio quattordicenne Davin, Gaspard ( il protetto di Richard ) e tutto il team che aveva lavorato sodo e in assoluto segreto per far volare questo secchio. L’umore era oltre il limite, in quanto sembrava che la loro missione sarebbe finalmente cominciata.

    Missione! Sbuffò Maeve, mentre l’astronave irrompeva nella stratosfera e giungeva nello spazio aperto. Un Ave Maria è quello che è. Stiamo appendendo la nostra ultima speranza alle parole di un luccicante essere alieno, e stiamo pregando che ci sia una pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno.

    Mentre si toglieva dal suo viso ciocche dei suoi capelli purpurei, lunghi fino alle spalle, gettò uno sguardo obliquo alla sedia del copilota. Vedendola vuota, una lacrima sfuggì ai suoi occhi violetti.

    Richard è morto.

    Mio marito è morto.

    Così come Manny, Kacy, Calvin, Ji-Yan, Suri e Mahesh.

    Lei si rimproverò. Ora non era il momento per quei pensieri. Mandavano la sua scarica di adrenalina fuori di testa e disturbavano la concentrazione di cui adesso lei aveva terribilmente bisogno. C’erano ancora tre vite da salvare, inclusa la sua. Per combattere le sue emozioni spostò la sua mente sulle abilità di pilotaggio che aveva affinato trascorrendo quindici anni nelle Forze Spaziali.

    Era quasi impossibile distruggere i combattenti Jegg, a meno che non si trovassero proprio di fronte a te, una delle ragioni per cui Le Forze di Difesa terrestri erano state così inutili contro di loro. Gaspar incrementò le capacità dei sensori quanto bastava per sapere che i combattenti li stavano inseguendo. A giudicare dal numero di esplosioni che detonavano vicino all’astronave, causandole degli scossoni come un kayak nelle rapide d’acqua, ce ne dovevano essere almeno tre di loro.

    Riguadagnando la sua attenzione, Maeve inclinò l’astronave rapidamente verso destra e fece fuoco con i propulsori sublight, creando una linea retta verso l’Asteroide Belt. Una volta sgombrata, e con essa il campo di smorzamento che effettivamente rendeva la tecnologia supralight inoperabile, loro poterono innestare il loro MCQ improvvisato ed essere fuori dal sistema terrestre in un batter d’occhio.

    I combattenti Jegg che li inseguivano incrementarono la loro velocità. Stavano progredendo.

    Maeve fece schioccare un interruttore sul suo pannello. Gaspar! urlò. Non credo che ci lasceranno scappare senza una battaglia!

    Oh, dici? dall’altro lato dell’interfono arrivò una voce esausta.

    Qualche idea? chiese Maeve. Spinse il piantone dello sterzo in avanti di pochi pollici, e il Talon aumentò la sua velocità. Le vibrazioni si intensificarono, come se l’astronave stesse per staccarsi al livello delle saldature.

    Aspetta un secondo, disse Gaspar, facendo una breve pausa. Ho quattro scatole di latta di D34Z pronte per essere scaricate in volo. Fammi sapere quando iniziare la detonazione. Forse possiamo farne fuori un paio.

    Lei controllò i sensori, i quali indicarono cinque combattenti Jegg in uno sfrenato inseguimento. Rimani in linea!

    L’Asteroide Belt si profilò di fronte a loro, milioni di rocce che avevano galleggiato nello spazio tra Marte e Giove per eoni. Alcuni secondi in più e si sarebbero potuti perdere al suo interno. O morire di una morte terribile.

    Davin irruppe dalla porta della cabina di pilotaggio, si gettò sulla sedia del copilota e allacciò la sua cintura di sicurezza. Quando vuoi portarci fuori da qui, mamma... Il sudore e la sporcizia incrostavano il suo volto lentigginoso e i suoi capelli ricci rossi, ma i suoi occhi brillavano di ardente determinazione.

    Lei riportò lo sguardo sul vetro di fronte, stringendo di più i suoi comandi. Non iniziare, bimbo, siamo nella merda più profonda qui. Dove sei stato?

    Ad aiutare Gaspar a caricare le scatole di latta nella camera di compensazione. Liberiamoci di questo problema e andiamo, okay?

    Ricevuto, disse lei, mentre un’altra esplosione scosse l’astronave. Nell’interfono urlò: G! Espelli le tre scatole di latta...ora!

    Il suono di un portello metallico che si apriva echeggiò attraverso l’astronave, seguito da un fruscio di aria compressa, mentre tre grandi container gialli vennero sparati dalla camera di compensazione, uno dopo l’altro. Lei seguì le loro traiettorie sullo scanner, guardando mentre i combattenti Jegg si li premevano.

    Inizia la detonazione al mio segnale!

    I secondi passarono mentre le astronavi nemiche si avvicinavano sempre più.

    Adesso!

    Una grande esplosione scosse violentemente e nuovamente il Talon. Un pannello di controllo dietro Davin scintillò e cominciò a fumare. Lui si sganciò, balzò fuori dalla sedia, afferrò un estintore e spruzzò il pannello con la schiuma antincendio.

    Maeve controllò di nuovo il suo scanner. Dove prima vi erano cinque piccoli pallini che li stavano inseguendo, ora ve ne erano solo tre, e uno stava rimanendo indietro, ovviamente paralizzato.

    Lei si permise un sorriso. Tre abbattuti! Ben fatto, G!

    Signore? arrivò la voce di Gaspar, piena di disperazione. Abbiamo un grosso problema!

    Che c’è, ora?

    Il modulo di curvatura quantigrafico è offline! Quell’ultima esplosione ha distrutto il campo di contenimento!

    Oh, merda. Non va bene. Puoi riattivarlo?

    Sperando che lo stabilizzatore complesso non sia fritto, sì.

    Maeve deglutì. Stai attento, G.

    Tranquilla. Dammi due minuti.

    Nessuna promessa. Maeve eseguì un avvitamento, sfuggendo al vortice di rocce che sembrava riempire quasi ogni pollice quadrato della finestra. I due rimanenti combattenti Jegg erano ancora proprio dietro di loro, sparando in un continuo sbarramento.

    Proprio allora le venne in mente una pazza idea. Dav, la quarta scatola di latta è pronta per andare?

    Davin, ritornato alla sua sedia, controllò il pannello di fronte a lui. Chiusa e carica.

    Perfetto! Lei tirò indietro i comandi, impennando verso l’alto e mancando di poco un grande asteroide frastagliato. Era impossibile, ma Maeve giurò di aver sentito il suo vento passarle accanto.

    Uno dei combattenti inseguitori non fu così fortunato. Cercò di virare all’ultimo secondo, ma fu troppo tardi. L’asteroide troncò la sua elica di dritta, per poi roteare fuori controllo fino a schiantarsi in una conflagrazione infuocata su un’altra enorme roccia.

    Un altro andato! urlò Davin.

    L’ultimo combattente rimasto si mosse rapidamente su di loro, sparando una raffica dopo l’altra. Il Talon tremò ancora, e delle scintille sprizzarono da un altro pannello di controllo.

    Maeve attivò di nuovo l’interfono. G, dobbiamo andare! Il campo di contenimento è tornato attivo?

    Sì! Giunse la voce di Gaspar. Trenta secondi per preparare il salto!"

    Okay, ecco che cosa accadrà, Maeve diede le istruzioni, virando a sinistra. Espelliamo l’ultima scatola di latta e la facciamo detonare a bruciapelo proprio mentre noi facciamo il salto.

    Sei pazza? La voce di Gaspar suonò agitata. La fusoliera è già stata indebolita! Se la fai detonare così vicino, ci farà a pezzi!

    Maeve sospirò. Il lungo raggio degli scanner Jegg penserà che siamo stati distrutti. E’ la nostra unica speranza in questo momento.

    Signore...

    "Non c’è tempo, G! Prepara l’espulsione! Venti secondi al salto, al mio segnale! Mettiti al riparo!"

    Ricevuto, disse lui, e l’interfono si spense.

    Maeve e Davin trattennero entrambi il respiro.

    Il Talon roteò attorno ad un altro asteroide galleggiante. Avevano ripulito il Belt.

    Espelli!

    Un altro clangore, seguito da un altro fruscio.

    Il pollice di Maeve aleggiò sopra un bottone che diceva ‘MCQ – Ingaggio’.

    Detonazione! gridò lei.

    Lo schermo che mostrava la schiera di sensori posteriori lampeggiò di arancione e rosso fuoco.

    Mezzo secondo dopo, Maeve premette il bottone. Adesso! Tieni duro, Dav!

    Un ronzio di energia accumulata riempì le loro orecchie, mentre il modulo di curvatura quantigrafico prendeva potenza. Il pannello di controllo alla sinistra di Maeve eruppe in una pioggia di scintille, e lei sentì un’intensa sensazione di bruciore sul suo braccio.

    La sua bocca si aprì in un urlo silenzioso, mentre il campo d’energia avviluppava il Talon.

    Capitolo due

    Il sole di mezzogiorno pendeva alto nel cielo ceruleo Elystrano, e la vista era magnifica. Kelia scrollò la sua borsa a tracolla di pelle di kova dalla sua spalla e prese una lunga e temprante sorsata dalla sua borraccia. Era divenuta abbastanza assetata durante la camminata lunga un’ora dal suo villaggio a questo punto. Si ergeva sopra un prominente affioramento di una roccia che sovrastava il vasto Deserto Praskiano, il quale si estendeva tra l’Altopiano Ixtrayano e le distanti Montagne Kaberiane. Durante i suoi trentasei anni, lei aveva visitato questo posto molte volte, ma mai con un profondo senso di un fine come oggi.

    Questo affioramento indicava il limite del territorio delle Ixtrayu che si protraeva dal Lago Barix nella catena a sud delle Montagne Kaberiane e attraverso la grande distesa della foresta a nord dell’Altopiano che le Ixtrayu chiamavano ‘casa’. Non per la prima volta, Keila sorrise all’ironia che questa parte di Elystra apparteneva ad una tribù di donne, e nemmeno uno dei regni distanti, governati da millenni dagli uomini, sapeva della loro esistenza.

    Arantha è stata buona con noi, pensò. Per otto secoli ci ha tenute al sicuro e nascoste.

    Prese una profonda boccata di calda e secca aria e si sedette all’ombra di un grande albero di huxa che cresceva a poche iarde di distanza dal bordo del punto sopraelevato. Il suo tronco era spesso e la sua corteccia indurita per resistere al clima desertico, ma sembrava dare il benvenuto alla sua presenza come un vecchio amico. Lei mosse distrattamente una treccia dei suoi lunghi capelli castano scuro oltre la sua spalla sinistra, dove pendé sopra i suoi seni. Si prese un momento per ammirare l’intricata treccia che sua zia, Liana, aveva intrecciato per lei, e come si aderiva splendidamente alla sua tunica larga di colore marrone-rossastro.

    La sua mano si mosse poi verso il pezzo di metallo marrone brillante che pendeva dal laccio di  pelle largo attorno al suo collo. La collana era stata costruita da sua figlia Nyla quando aveva solo sei anni. Consisteva di sei perline di legno infilate insieme, tre su ogni parte del piccolo pezzo di metallo che si trovava nel mezzo. Toccare la sua superficie liscia riportava alla mente i ricordi di sua madre, in quanto era stato il regalo finale di Onara prima della sua morte.

    Anche se i suoi poteri di divinazione impallidivano in confronto a quelli di Onara, fu ancora capace di discernere molto dalle immagini che lampeggiarono attraverso la sua mente durante la sua consultazione più recente. Sin da quando aveva preso la mantella di Protettrice, aveva sperato che ogni consultazione avrebbe rivelato la ragione per la quale Onara aveva decretato un fermo ai Soggiorni; ma ogni volta Arantha scelse di tenere quell’informazione per sé. Dalla morte di sua madre non era stato accettato neanche un singolo Soggiorno, e perciò neanche una singola figlia era nata nella tribù Ixtrayu. Il popolo di Kelia la supplicava, volendo delle risposte che lei non riusciva a dare.

    Per gli ultimi tredici anni le sue visioni erano state insignificanti e frustranti. Quella mattina, tuttavia, Arantha le mostrò finalmente qualcosa di nuovo.

    Vide, chiara come le acque del fiume Ix, un’immagine nella sua mente di questo esatto punto. Sentì l’immagine tirarla, come se la sua propria essenza stesse venendo trascinata qui. Lei capì che che vi era qualcosa di grande importanza che Arantha voleva che lei vedesse. Liana aveva preparato una borsa a tracolla con degli approvvigionamenti per Kelia, che era partita dal suo villaggio nel giro di due ore dall’aver avuto la sua visione. Il Concilio aveva suggerito che lei non viaggiasse non accompagnata, ma Kelia aveva insistito che sarebbe partita da sola. Ciò che Arantha aveva in serbo per lei era per i suoi occhi e per nessun altro.

    Aprì la sua borsa a tracolla e controllò i suoi contenuti: diversi pezzi di frutti tropicali, un paio di strisce di carne essiccata di kova, una pagnotta di pane fatta di grano di leccio e due borracce d’acqua extra. Liana aveva persino incluso diversi bustine di tè di radice di jingal e una piccola pentola di metallo per macerare. Come una Detentrice Elementale, lei non aveva bisogno di un fuoco per ottenere l’acqua da bollire; riusciva non solo a manipolare la forma fisica dell’acqua, ma anche la sua temperatura. Sapeva che avrebbe avuto bisogno del tè per rimanere sveglia e restare all’erta, poiché non aveva alcuna idea del tempo che Arantha richiedeva per il suo continuo tenere sotto controllo.

    Kelia si rannicchiò contro il tronco dell’albero. I suoi scuri occhi marroni analizzarono l’arida terra desolata che si allungava a perdita d’occhio di fronte a lei, cercando qualsiasi cosa fuori dall’ordinario. Lei sentì un debole formicolio di eccitamento, mentre si chiedeva che cosa Arantha l’avesse portata lì ad osservare.

    Capitolo tre

    Elzor guardò i cavallerizzi avvicinarsi al galoppo: cinque uomini, vestiti con una bella armatura di alta qualità. I merych che cavalcavano era ben sellati e forti, con lunghe e fluenti criniere; cavalcature idonee per coloro che comandavano l’armata Agrusiana.

    Lui lanciò un veloce sguardo alla sua destra. Come sempre, Elzaria stava al suo lato. Come lui, la sua sorella gemella era alta, con capelli neri e occhi scuri che ardevano con tanta determinazione quanto la sua. Lei, a dispetto di Elzor o dei seicento soldati che lo seguivano, non indossava alcuna armatura. Lei portava una tunica stretta color verde smeraldo, allacciata alla vita da una spessa cintura di pelle, la quale abbracciava la sua corporatura snella. Lei non era mai stata timida riguardo il mostrare la scollatura: faceva voltare le teste degli uomini che l’avrebbero invariabilmente sottovalutata.

    Elzor sentì il crepitio di energia passare attraverso il corpo di lei, mentre il suo potere cominciava a manifestarsi, facendo venire il pizzicore al volto di lui sotto la corta barba nera, e un sorriso freddo si formò sul suo viso. Lei era cambiata così tanto dalla ragazza sottomessa e domata che una volta era.

    Se lui fosse stato uno dei tanti ingenui sciocchi che veneravano Arantha, avrebbe potuto valutare che trovare la Pietra era il loro destino. Senza di essa, lui e sua sorella sarebbero stati solo altri due orfani senza particolarità costretti a lavorare fino alla morte nelle miniere di Barju.

    Di tanto in tanto Elzor malediceva il destino per aver scelto di conferire così tanto potere greggio a sua sorella e non a lui. La sua capricciosa personalità, accoppiata con la sua profonda rabbia, rendeva le sue abilità difficile da mantenere segrete. Lei aveva trascorso anni ad imparare come concentrare la sua mente, fino al momento in cui Elzor era riuscito a raggruppare abbastanza seguaci da impadronirsi del potere loro stessi.

    Lui era stato paziente, abile e industrioso. Il suo più importante piano stava per dare i suoi frutti. Il potere che Elzaria incanalava la rendeva l’arma più potente su Elystra.

    Ora era il momento di scatenare quell’arma.

    Mentre i cavallerizzi si avvicinavano, Elzor analizzò l’ambiente circostante. La strada sopra la quale viaggiavano, il percorso principale tra Agrus e la loro precedente terra natale di Barju, era larga e piana e accomodava la maggior parte della sua armata, la quale lui l’aveva soprannominata ‘Elzorathiana’. Seicento uomini stavano fermi in un silenzio impassibile, mentre i cavallerizzi continuavano ad avvicinarsi. Ogni uomo teneva la sua mano sull’impugnatura della propria spada.

    Questo particolare tratto della strada si curvava attraverso una fitta foresta di alberi di nipa decidui. La maggior parte degli edifici a Agrus venivano costruiti usando questo legno robusto, la più grande eccezione è il Castello Tynal. Il castello secolare era la sede di potere per i governanti di Aigrus, ed entro la fine della giornata sarebbe appartenuto a lui.

    Con un coro di nitriti dei merych e il clip-clop dei loro zoccoli, i cavallerizzi rallentarono fino a fermarsi. Elzor aspettò che smontassero, ma non lo fecero.

    Fissò lo sguardo sul loro leader, la cui armatura di machinite di alta qualità portava l’emblema Agrusiano di due spade incrociate. I capelli lunghi e biondi del comandante scendevano dalla sua testa, e la sua mascella era quadrata come le sue spalle erano larghe. Elzor aspettò che l’uomo parlasse, ma ricevette solo uno sprezzante sguardo torvo.

    Un’altra tattica inutile. Uno penserebbe che far marciare un esercito, in pieno giorno, fino ai confini del suo paese, lo convincerebbe che io sono immune all’intimidazione. Che braga arrogante.

    Devo distruggerli? sussurrò Elzaria.

    Non ancora, cara sorella. Pazienta.

    Lei non obiettò. Fece appena scricchiolare le nocche in anticipo.

    Finalmente il comandante parlò con una profonda e rimbombante voce. Quando i miei scout mi hanno informato presto questa mattina che un’armata che non si comportava secondo lo standard di alcun paese si era avvicinata ai nostri confini, ero certo che fosse un errore. Ora che ho posto i miei occhi su questa grave violazione dei nostri confini, posso vedere che ero corretto: questa marmaglia atea non ha alcun diritto di chiamarsi ‘esercito’.

    Le labbra di Elzaria si arricciarono in un ringhio, i sibili più calmi scappando dalle sue labbra. Elzor pose una mano solida sul suo braccio, mentre i suoi occhi ritornarono al comandante Agrusiano. Parole ardite, invero, disse, per un uomo la cui morte non è che ad un cenno di distanza. Alzò la mano, e la prima linea dei soldati mossero le loro spade diversi pollici fuori dai loro foderi.

    Il volto dell’uomo si indurì alla minaccia. Io sono Nebri, Alto Comandante dell’esercito Agrusiano. Ho combattuto, e sconfitto, nemici molto più valevoli di te, Elzor di Barju.

    La faccia di Elzor si ruppe in un ghigno privo di umorismo. Vedo che la mia reputazione mi precede.

    Nebri gli rispose con uno sprezzante sorriso affettato. E che reputazione: un disertore, un codardo, un capitano che ha ucciso i suoi ufficiali ed è fuggito da Barju come una tigla frustata.

    Proprio dietro di lui e alla sua sinistra, Elzor sentì il suono di una spada venire sfoderata. Si voltò per vedere un uomo calvo, barbuto e dal petto grosso fissare Nebri mentre faceva diversi passi pesanti in avanti. Elzor tenne la sua mano alzata, fermando la progressione dell’uomo. Trattieniti, Langon, disse fermamente.

    Langon si fermò all’ordine e rimase fermo al fianco di Elzor. Sì, mio vassallo.

    Le parole del grande uomo suscitarono uno scoppio di risa di scherno dal comandante. "’Mio vassallo? Grande Arantha, sei uno sciocco arrogante, vero?"

    Le sopracciglia di Elzor si unirono. Prendimi in giro a tuo rischio e pericolo, agrusiano, ribatté.

    "Tu sei uno sciocco, Elzor. Nessun’altra descrizione si adatta alla follia della tua presenza qui."

    E che follia potrebbe essere?

    Nebri gesticolò con la mano indietro, nella direzione da cui era venuto. Alla fine di questa strada, l’intera armata agrusiana è assemblata. Siamo preparati meglio, meglio armati e superiamo in numero di cinque a uno la tua schifosa banda di pagani.

    Alzò la voce, rivolgendosi agli elzorathiani. Voi uomini! Se ritornate indietro adesso, re Morix vi dà la sua parola che non sarete inseguiti. Ma se oserete affrontarci in battaglia, posso assicurarvi che non ci sarà alcuna pietà. Morirete in ignominia, le vostre vite fatte a pezzi dal capriccio di uno stupido.

    Alcuni dei soldati riuniti si guardarono l’un l’altro, mentre altri strascicavano i piedi in una momentanea indecisione. Ma nessuno parlò, e nessuno si mosse per andarsene.

    Come puoi vedere, disse Elzor con un ghigno compiaciuto, i miei uomini sono fedeli a me. Non sarebbe chiesta nessuna compassione.

    Nebri lo derise. "Allora loro sono sciocchi come te. Quale soldato rispettoso di se stesso seguirebbe un leader che si porterebbe una donna,"  volse lo sguardo verso Elzaria, in battaglia con lui? Chi è lei, Elzor? La tua puttana personale?

    La scarica di potere che risonò dall’interno di Elzaria incrementò, mentre la sua ribollente rabbia silente si trasformò in odio ardente. Una corona blu di energia apparve attorno al suo corpo, crepitando e scintillando mentre il potere della Pietra scorreva attraverso di lei.

    Anche gli Agrusiani la videro. Sedettero in un silenzio con la bocca penzoloni per alcuni momenti, prima di tirare indietro le redini dei loro merych nitranti.

    Prima che i cavallerizzi potessero ritirarsi, Elzor e Elzaria bloccarono gli occhi. Elzor rispose allo sguardo supplicante di sua sorella con un sussurrato: Lasciane due vivi.

    Lei annuì e sorrise, avanzando in modo impettito. Alzò le sue braccia, tenendo i palmi verso l’esterno. Rivolta a Nebri, sputò: Io sono Elzaria, e sono la tua morte!

    Dell’intensa energia blu esplose dalle sue mani. Si divise e formò dei rami come un fulmine, colpendo Nebri e due altri cavallerizzi nel petto. Congelati sul posto, i loro corpi rabbrividirono e si contrassero, mentre il loro sangue ribolliva dall’interno. I tre uomini fecero uscire un empio urlo collettivo che Elzor sperò potesse venire sentito dal resto dell’armata Agrusiana. Fili di fumo si innalzarono dalle loro armature di cuoio, mentre la loro pelle si carbonizzava e si spaccava.

    Gli altri due cavallerizzi, incapaci di aiutare i loro compagni, fecero voltare i loro merych e li spronarono sulla via da dove erano venuti, cavalcando come il vento.

    Dopo un’ultima esplosione di energia, Elzaria ritirò le mani ed esaminò i suoi palmi. Guardò la luce blu lampeggiare e svanire, senza lasciare nemmeno il minimo segno o la minima bruciatura sopra la pelle delle sue mani. Fatto il suo lavoro, fece un passo indietro e ritornò al fianco di suo fratello.

    All’unisono, i tre cavallerizzi caddero dalle loro cavalcature e caddero al suolo. I merych, sebbene terrorizzati, non erano stati toccati, e sarebbero probabilmente fuggiti, se tre elzorathiani non si fossero avvicinati per afferrare le loro redini.

    Elzor annuì, ammirando la precisione di sua sorella. Guardò in su, i suoi occhi bloccati sui due cavallerizzi sopravvissuti, i quali erano lontani già cento iarde e sarebbero presto scomparsi dopo la curva della strada.

    Langon parlò. Gli arcieri che mi hai fatto disporre dietro la linea degli alberi sono in posizione, mio vassallo. Devo dare l’ordine di fare fuoco?

    Elzor scosse la testa. No, Langon. Lasciali andare.

    Il grande uomo sembrò incredulo, ma Elzor lo ignorò. Fece un passo in avanti e prese le redini da uno dei soldati prima di posare il suo piede nella staffa del merych di Nebri e tirare il suo corpo sulla sella. Elzaria e Langon si arrampicarono sugli altri due.

    Elzor si voltò per porsi davanti a Elzaria. Ho un compito per te. Te la senti?

    Certo.

    Allora cavalca a tutta velocità sulla strada che corre parallela al fiume Saber. Quando quei due sciocchi riporteranno ciò che è successo qui, Morix manderà dei messaggeri ai suoi alleati in oriente, in cerca di soccorso. Devi intercettarli prima che raggiungano la foresta settentrionale.

    Consideralo fatto, mio vassallo, disse lei.

    Quando avrai completato il tuo compito, raggiungici sulle pianure a nordest di Talcris. Uccidi chiunque si metterà in mezzo al tuo cammino.

    Elzaria chinò la sua testa, e immediatamente spedì in azione il suo merych. La legione di soldati si divideva mentre lei cavalcava tra i loro ranghi,

    Elzor la guardò andare. A due miglia di distanza, questa strada si intersecava ad un’altra che portava a ovest. Elzaria avrebbe poi seguito la linea degli alberi fino ad arrivare al fiume Saber. Lui non aveva dubbi che lei avrebbe svolto con successo il suo compito, e aveva ancora meno dubbi che l’esercito Agrusiano sapesse che cosa ci fosse in serbo per loro.

    Dal suo altro lato, Lagon fece una profonda risata gutturale mentre spostava la sua enorme massa sulla cima del suo destriero egualmente muscoloso. Ho sempre voluto portare un merych in battaglia.

    Anche Elzor ridacchiò. Questo è il giorno, amico mio.

    Langon alzò il suo braccio carnoso, e il silenzio crebbe l’armata riunita mentre aspettavano l’ordine. Un debole sorriso gironzolò sulle sue labbra mentre urlava: Elzorathiani, muoversi!

    Come un’unica persona, l’armata di Elzor cominciò la sua inesorabile marcia lungo il confine Agrusiano, sugli speroni dei loro leader che sollecitavano i loro merych ad andare ad un lento galoppo.

    Elzor sorrise ancora. I suoi uomini erano combattenti capaci, ed erano più preparati adeguatamente per la battaglia.

    La vittoria era dalla loro parte...dopo che Elzaria si fosse divertita.

    Oggi sarebbero nate due leggende.

    Capitolo quattro

    Merda! Maeve ondeggiò la sua pistola per la saldatura verso il pannello di controllo. Dopo cinque ore, il Talon si rifiutava ancora di muoversi. Quando guardò fuori dal vetro, i suoi occhi si bloccarono su un globo verde bluastro che pendeva, incredibilmente vicino, a soli sette minuti-luce di distanza. Castelan VI.

    Non possiamo fallire ora. Non quando ci siamo quasi.

    Fece un paio di respiri profondi e si asciugò il sudore dalla fronte. Stava per fare un altro tentativo, quando udì una voce dietro di lei.

    Mamma?

    Maeve si girò per vedere Davin, i suoi ricci capelli vermigli ingarbugliati e spettinati, picchiettare la testa contro la porta della cabina di pilotaggio.

    Che cosa c’è, Dav? chiese lei mettendo da parte per un momento la sua frustrazione.

    Lui attraversò la soglia, cullando una piccola ciotola nelle sue mani. Ti ho portato un po’ di zuppa. Non hai mangiato per più di otto ore.

    Lei infilò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, emise un sospiro e poggiò a terra la pistola per la saldatura, prima di prendere la ciotola. Che tipo di zuppa?

    Un sorriso perplesso apparve sul suo viso, mentre lei portava il cucchiaio verso la bocca. L’etichetta diceva solo ‘zuppa mista’, ma suppongo che sia pomodoro. Però devo avvertirti...

    Maeve prese una sorsata del liquido acquoso e si coprì la bocca. Sforzandosi di tenere la zuppa nel suo stomaco dove doveva stare, buttò indietro la testa e urlò: Dio mio!

    ...che sa di merda, concluse Davin.

    Da dove lo hai preso, dal serbatoio di bonifica?

    Lui sogghignò. No, stai ripensando alla colazione.

    Maeve fece una smorfia, lasciò il cucchiaio e prese un’altra bella sorsata direttamente dalla ciotola. Cazzo, fa schifo.

    Davin prese una borraccia dalla sua cintura e gliela porse. Ecco, magari vuoi mandarla giù con questo.

    Lei fece un ghigno. Whisky?

    Lui alzò gli occhi. Acqua.

    Passo. Non ho ancora avuto l’opportunità di riparare i depuratori. L’acqua sa peggio di questa zuppa.

    Non più. Li ho aggiustati io. Lui scosse la borraccia nella sua mano, arcuando un sopracciglio.

    Lei guardò suo figlio con orgoglio, mentre prendeva la bottiglia e svitava il tappo. Come hai trovato le parti?

    Ehm... un’espressione colpevole gli percorse la faccia, come se lui fosse stato appena beccato a ritornare di soppiatto in casa dopo il coprifuoco.

    Sai cosa? Dimentica ciò che ho chiesto. Sono sicura di non volerlo sapere. Tracannò la borraccia, lasciando che la sorprendente acqua rinfrescante le scivolasse lungo la gola riarsa. Wow. E’ l’acqua più pulita che io abbia assaggiato da mesi. Bel lavoro, Dav.

    Grazie. Prese la ciotola vuota e la posò sulla sedia del copilota. Come sta il tuo braccio?

    Maeve guardò in basso verso la benda indossata sulla parte superiore del braccio sinistro, che Davin aveva applicato un paio di minuti dopo aver avuto la conferma di essere fuggiti con successo dal sistema terrestre. Non erano stati seguiti, perciò lei dedusse che i Jegg li dovevano credere distrutti. Con il modulo di curvatura quantigrafico non operativo, erano completamente vulnerabili.

    Tutto okay. Solo una lieve ustione. Posso sentire l’unguento funzionare. In verità mi pizzica, più che farmi male. Grattò la superficie della benda. Spero che il mio pellegrino sia ancora intatto.

    Davin sogghignò. Io non mi preoccuperei. Quel falco è un vecchio uccello tosto come te.

    Ehi, piano, disse lei con uno sguardo torvo. E l’orgoglio del mio stormo, quello di cui tu stai parlando. E’ il primo tatuaggio che mi sia mai fatta, subito dopo essermi unita alle Forze Spaziali. Significa molto per me. E dubito seriamente che ci sia un tatuatore su questo pianeta che può farmi un ritocco.

    Sì, sì, fece suo figlio mentre guardava il pianeta vicino attraverso il vetro. Io... ho coperto Gaspar, disse, incapace di impedire alla sua voce di tremare.

    Maeve bestemmiò sottovoce. Il suo pericoloso piano di sfuggire ai Jegg era stato un successo, ed erano volati nei tratti più esterni della Via Lattea per il rotto della cuffia. L’esplosione finale non aveva causato una falla nella fusoliera, ma l’astronave era stata scagliata da un lato all’altro così violentemente che Gaspar aveva perso l’equilibrio e si era spaccato il cranio contro la paratia. Per il momento in cui l’avevano trovato, non c’era già più nulla che avrebbero potuto fare.

    Un altro amico andato, pensò lei. Un’altra vita che non sono riuscita a salvare.

    Lottando per reprimere una crescente marea di emozioni, si sforzò di mantenere la sua voce il più confortante possibile. Lo seppelliremo non appena atterreremo. Lo prometto.

    Okay, disse lui mentre continuava a fissare in modo assente fuori dal vetro.

    Maeve guardò suo figlio, maledicendo qualsiasi potere superiore li avesse costretti in questa situazione difficile. Lui non dovrebbe essere qui. Dovrebbe essere a casa, pronto ad iniziare l’università, a spassarsela con le ragazze e a farsi la sua prima birra di nascosto. Non qui.

    Fottuti Jegg.

    E’ quello il posto in cui andremo? disse Davin gesticolando verso il pianeta.

    Maeve bevve un altro sorso d’acqua. Sì. Castelan VI.

    Lui si sedette sulla sedia del pilota, stiracchiò le braccia e intrecciò le dita dietro la nuda. Assomiglia un po’ alla Terra.

    Già.

    Voglio dire, c’è solo quell’unico grande continente, ma a parte quello...

    Maeve si alzò e prese il posto del copilota. Castelan VI, disse lei recitando un rapporto imparato a memoria mesi prima. Leggermente più piccolo della Terra, con un’atmosfera e una gravità simili. Ruota sul suo asse una volta ogni ventidue virgola cinque ore, ci vogliono trecentoottantanove giorni terrestri per compiere una rivoluzione attorno al suo sole. La popolazione totale è approssimativamente di duecento sessantatré mila umanoidi, il novantanove percento dei quali sono raggruppati sulle o vicino alle regioni costiere nella metà settentrionale del continente principale. Vi sono alcune aree non sviluppate nell’entroterra che possono supportare la vita, ma la maggior parte della massa centrale della landa è terreno inospitale: deserti, montagne eccetera. Vi sono poche altre piccole isole, ma sono lontane dal continente principale e sembrano essere disabitate.

    Lui annuì. "Di tutti i posti che Banikar ha suggerito, perché papà avrebbe scelto di venire su questo pianeta?"

    Per diverse ragioni. Dovevamo scegliere un pianeta con un’atmosfera respirabile e così lontano dalla Confederazione Terrestre che i Jegg lo avrebbero ignorato. Idealmente, avremmo scelto un mondo senza vita umanoide, ma... beh, diciamo solo che le nostre opzioni erano limitate. Ironicamente, le due scelte finali erano questo mondo e Denebius IV. Credimi, non avevo fretta di ritornare lì.

    Ci scommetto. Sei sicura che le informazioni siano affidabili?

    Lei gli rispose con un sorriso cupo. Mi sono fatta quella domanda almeno un migliaio di volte. Onestamente, non ne ho idea. La cosa su cui ci si riduce, sfortunatamente, è che non abbiamo proprio altra scelta. Quando un essere trans-dimensionale ti dice che la tua migliore possibilità per sconfiggere i Jegg è trovando qualche misteriosa fonte di energia, stai zitto e ascolti.

    Lui la beffò. Se gli Eth sono così dannatamente potenti, perché non possono liberarsene loro dei Jegg?

    Lei si voltò per fronteggiarlo. "Potresti trovarlo difficile da credere, Dav, ma loro

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