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Le otto tribù
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E-book264 pagine3 ore

Le otto tribù

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Info su questo ebook

I romanzi e i racconti di Tan sono ricchi di interessanti osservazioni di carattere psicologico ed etnografico, dovute sia al suo acuto sguardo scientifico che alle sue doti di artista.
Egli appartiene a quella pleiade di scrittori russi realisti degli anni '90 dell’Ottocento - Serafimovič, Kuprin, Veresaev e tanti altri - tra i quali occupò un posto particolare, facendo conoscere al lettore russo l'esistenza degli aborigeni siberiani, Čukči, Jakuti, Jukagiri.
Nel romanzo Le otto tribù è stato ampiamente utilizzato materiale del folclore; sono state create realistiche rappresentazioni della vita di quelle popolazioni, di estrema attendibilità artistica e di grandioso romanticismo. La trama è avvincente, il racconto delle vicende degli eroi è originale, inaspettato e strano e si stampa nella memoria come un quadro raffigurante un popolo fino allora sconosciuto.
Nel romanzo, come nei due racconti, l'anima dell'etnografo Tan si fonde inevitabilmente con quella dell'artista il cui compito, che assolve magistralmente, è quello di inserire scene di vita nelle descrizioni etnografiche che già di per sé sarebbero, comunque, interessanti.
Bogoraz ebbe grandi ammiratori tra gli intellettuali dell'epoca che lodarono soprattutto Le otto tribù, per lo stile epico del racconto, l'esposizione magistrale, le immagini artistiche, la descrizione degli eroi.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2020
ISBN9788899415648
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    Le otto tribù - Tan Bogoraz

    COLOPHON

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2020 Gammarò edizioni

    http://www.gammaro.eu

    ISBN 9788899415648

    Titolo originale dell’opera:

    LE OTTO TRIBÙ

    di Tan Bogoraz

    Collana * i Classici/ Letteratura e Storia *

    diretta da

    Vincenzo Gueglio

    TAN BOGORAZ

    Tan, come si firmava nelle opere letterarie Vladimir Germanovič Bogoraz, nacque nel 1865 e fin dai primi mesi di vita visse a Taganrog, sul Mar d’Azov.

    Negli anni settanta dell’Ottocento, presso larghi settori della borghesia e dell’intellighenzia russa era maturato un fenomeno di politicizzazione in favore delle classi popolari che vivevano in condizioni durissime. Bogoraz, già durante il secondo anno di liceo si diede alla politica in difesa di quelle classi.

    Fu arrestato varie volte e dopo l’ennesimo arresto, fu mandato in esilio a Srednekolymsk, sul fiume Kolyma, nella Siberia estrema e desolata dove Bogoraz si dedicò allo studio delle popolazioni aborigene con le quali condivideva le condizioni di vita estremamente dure.

    I suoi materiali etnografici cominciarono a essere conosciuti e apprezzati tanto che nel 1895 ebbe, dalla Sezione orientale della Società Geografica Russa, l’invito a partecipare a una spedizione per lo studio dei Čukči del Kolyma. Egli fece letteralmente scoprire al lettore russo, un mondo a lui sconosciuto. Tornato in Russia dopo aver vissuto a lungo negli Stati Uniti, si dedicò attivamente alla difesa dei diritti delle popolazioni autoctone del Nord.

    Bogoraz morì nel maggio del 1936, ma le circostanze della sua morte sembra non siano mai state chiarite.

    SOMMARIO

    AUTORE

    INTRODUZIONE DI TAT’JANA ŠENTALINSKAJA

    LE OTTO TRIBÙ

    CAPITOLO PRIMO

    CAPITOLO SECONDO

    CAPITOLO TERZO

    CAPITOLO QUARTO

    CAPITOLO QUINTO

    CAPITOLO SESTO

    CAPITOLO SETTIMO

    CAPITOLO OTTAVO

    CAPITOLO NONO

    CAPITOLO DECIMO

    CAPITOLO UNDICESIMO

    CAPITOLO DODICESIMO

    CAPITOLO TREDICESIMO

    CAPITOLO QUATTORDICESIMO

    CAPITOLO QUINDICESIMO

    CAPITOLO SEDICESIMO

    I RACCONTI

    INTRODUZIONE

    NELLA TENDA DEI GRIGOR’II

    INTRODUZIONE A NELLA TENDA DEI GRIGOR’II

    NELLA TENDA DEI GRIGOR’II

    NELL’ACCAMPAMENTO DELLA MORTE

    INTRODUZIONE A NELL’ACCAMPAMENTO DELLA MORTE

    APPENDICE

    DENOMINAZIONE DELLE TRIBÙ NOMINATE IN LE OTTO TRIBÙ

    GLOSSARIO DEI TERMINI RUSSI NON TRADOTTI

    NOTA SULLA PRONUNCIA DEI TERMINI RUSSI TRASLITTERATI

    INTRODUZIONE

    Questo libro, che tenete tra le mani, è un libro sorprendente.

    Tratta di tempi lontani, di un diverso modo di vivere, di un altro ambiente naturale e climatico.

    L’azione del romanzo si svolge nella zona nordorientale della penisola della Kamčatka, nella neve del Campo Čagar, un luogo dove ogni anno le tribù aborigene si riunivano per barattare generi di prima necessità.

    L’autore aveva definito il suo romanzo paleolitico, nonostante il tipo di vita dei suoi eroi e gli avvenimenti che accadono si attaglino perfettamente alle sue personali osservazioni durante il periodo da lui trascorso nel Nord siberiano, alla fine del XIX secolo e nel primo anno del XX. La storia e la civilizzazione non hanno avuto fretta in questi luoghi remoti, e dall’era paleolitica poco è cambiato nella coscienza e nella vita quotidiana degli aborigeni.

    Il manto di neve, nelle distese dove vivono gli eroi del romanzo, copre la terra fino a nove mesi l’anno. I dati archeologici testimoniano della vita, nei territori della Čukotka¹ centrale, già nel IV e nel III millennio. Le popolazioni artiche hanno sviluppato particolari caratteristiche, in particolare la continua regolazione della temperatura corporea. Sulla neve preparano il cibo, consumano i pasti e con la neve puliscono le stoviglie; alla stanchezza, dopo la corsa dietro le renne che si allontanano dalla mandria, ci bevono sopra inghiottendo un pugno di neve. Con mattoni di neve costruiscono precarie abitazioni. Nella neve il sonno nel riposo notturno, nella neve anche i caldi abbracci amorosi...

    Nell’Eurasia nordorientale vivono tribù differenti linguisticamente, ciascuna con le proprie modalità di vita, con i propri dei, le proprie abitudini e i propri riti. Le tribù che l’autore fa riunire nel Campo Čagar sono i Čukči (Tan’gi e Myšeedy), i Korjaki della costa (Nymylany) e i Korjaki allevatori (Čavčuveny), gli Eschimesi (Juit), gli Jukagiri (Oduly), gli Eveny (Cavalieri delle Renne), gli Itel’meny, e gli Ajnu (Kuru).²

    Proprio otto tribù, come recita il titolo del libro.

    Al Campo Čagar tutti arrivarono con la loro merce, chi sulle renne, chi su slitte trainate da cani, chi sugli sci, ben sapendo che cosa comprare e cosa offrire. Per esempio, agli abitanti della costa servono la carne di renna e le pelli che hanno i Čukči e i Korjaki allevatori di renne; mentre agli allevatori servono il grasso e la pelle di animali marini che vengono cacciati dagli Eschimesi e dai Korjaki della costa.

    I rappresentanti delle varie tribù si distinguevano, oltre che nell’aspetto esteriore – capigliatura, taglio degli occhi, ovale del viso, abbigliamento – anche nella rappresentazione dei propri dei, in onore dei quali venivano compiuti gli usuali riti pur essendo lontani dalle loro abituali zone di stanziamento.

    Per i giovani l’incontro al Campo Čagar era anche un’occasione per poter conoscere altri stili di vita e simpatizzare con altra gente, cosa che normalmente non accadeva. Infatti, l’incomprensione e l’avversione verso un aspetto altro, verso un modo di vita lontano dalle proprie abitudini, si trasformavano spesso in una inimicizia bellicosa tra tribù, specialmente tra vicini i cui territori di caccia confinavano.

    I documenti storici e i testi sul folclore testimoniano di scontri militari tra Čukči ed Eschimesi, ma anche tra Jukagiri, Čukči ed Eveny, nonché tra Korjaki e Čukči.

    Nella prima pagina del romanzo, l’autore ci spiega che tutta quella regione era allora ricca di pesce e di selvaggina ma, ad eccezione di bande armate dedite al brigantaggio, nessuno vi si avventurava. Piccoli scontri erano all’ordine del giorno con alterne vicende: ora le bande meridionali uccidono i pastori, predano le mandrie e le spingono al Sud insieme ai giovani, ora sono gli allevatori a incendiare le solitarie abitazioni costiere, a rubare pelli e cinghie di cuoio, a uccidere a loro volta gli adulti e a rapire i giovani per farne schiavi.

    Si viveva nella diffidenza, in qualsiasi momento ci si poteva aspettare un’aggressione da parte di gente di altra tribù. E, fin dall’infanzia, i bambini imparavano a usare l’arco e l’ascia non solo per la caccia agli uccelli e altri animali. Imparavano anche le tecniche di combattimento, mosse e accorgimenti vari per scansare le frecce. Tali esperienze costituivano la base di molti giochi e gare tradizionali.

    Ma per tutta la durata del mercato si manteneva la pace assoluta.

    Il romanzo è chiamato anche, a ragione, etnografico. Con attendibilità scientifica vi sono descritti gli abiti, le suppellettili di uso comune, le armi, gli strumenti musicali degli aborigeni nordici, la loro religione, l’adempimento degli antichi riti, le sedute e le improvvisazioni dello sciamano, il consumo degli ovoli allucinogeni, i tradizionali giochi agonistici. Alla fine del romanzo, c’è anche una dettagliata descrizione della preparazione della solenne celebrazione del rito funebre, con la ricerca della legna per il rogo sepolcrale.

    La vita degli aborigeni è piena di simboli sacri di cui l’autore ci parla. Per esempio, il rapporto sacrale con il colore bianco, e con la pelliccia delle renne bianche, è caratteristico di molti aborigeni del Nord, e ciò si evidenzia nel loro folclore, nel loro simbolismo rituale, nell’abito indossato in speciali occasioni. Significativa è la scena in cui uno degli eroi del romanzo inizia l’inseguimento dei rapitori per liberare la ragazza amata, indossando abiti candidi per assomigliare a uno straordinario bogatyr’³ sempre vestito di bianco.

    Molti episodi del romanzo fanno riferimento alla renna, animale indispensabile tra quelle popolazioni.

    La renna per le tribù nordiche è cibo: carne e sangue; è abito e abitazione: con la pelle si copre l’intelaiatura delle tende (jaranga⁴ e čum⁵) e il loro pavimento; con il palco di corna si costruiscono strumenti da lavoro; e, infine, la renna rappresenta il mezzo di trasporto, sia da tiro che da sella.

    I nomi dei mesi, nel calendario della Čukotka, si riferiscono ai cicli biologici e migratori della vita della renna selvatica in quelle grandi distese. A questi cicli, e a quelli stagionali nella vita delle renne domestiche, è legato anche l’espletamento delle funzioni cultuali.

    Molte stelle e costellazioni hanno nomi di renne, o di mandrie di renne al pascolo.

    Nella tradizionale coreografia, rappresentata soprattutto da danze-pantomime, spesso si raffigurano le corse e i salti delle renne.

    L’unico genere di canto delle popolazioni nordiche è il canto rauco, di gola, che imita il bramito della renna femmina.

    Il possesso della renna risulta spesso nell’etnonimo delle tribù. I Korjaki allevatori, per esempio, chiamano se stessi Čavču, cioè uomo delle renne.

    Commoventi sono i quadri che descrivono il rapporto dell’eroina, Mami, con la renna domestica:

    Mami andava da un animale all’altro e li accarezzava come una madre accarezza i propri figli.

    Il bianco maschio era ancora fermo sul posto: la freccia lo aveva colpito sotto la scapola sinistra, ma l’animale ancora lottava contro il dolore e la morte […]. Vedendo Mami che si stava avvicinando, alzò la testa e la tese in avanti. Dai suoi occhi caddero due grosse lacrime e scesero lungo la liscia pelle...

    Interessante tra quelle popolazioni è anche un loro antico metodo di conto. Si conta praticamente con le dita: mano significa 5; due mani, 10; uomo – cioè le dita delle mani più quelle dei piedi – significa 20.

    Da notare che anch’io ho avuto a che fare con questo antico metodo. È accaduto alla fine del secolo scorso nel villaggio Ostrovnoe, sul fiume Il grande Anjuj, regione Bilibinskij in Čukotka. Avevo chiesto a una Čukča non più giovane quanti anni avesse. Ero arrivata insieme a una sua nipote, insegnante locale, nella sua jaranga, che lei alzava ogni estate ai limiti di un villaggio moderno, e dove viveva come in una dacia. La čukča mi rispose: Quante dita ho nelle mani e nei piedi, quante dita hai tu nelle mani e nei piedi, quante dita ha lei nelle mani e nei piedi, e indicò la nipote, e quante dita ci sono in una mano di mia figlia: cioè 65 anni. La figlia non c’era, ma la sua mano serviva per fare il conto.

    L’autore del libro, Vladimir Germanovič ‘Tan’ Bogoraz, sapeva perfettamente tutto ciò, lo aveva visto con i propri occhi, sentito con le sue orecchie, toccato con mano, percepito e compreso.

    La personalità dell’autore è unica, come unico è il suo destino. Nacque nel 1865 in una famiglia di religione ebraica. Il padre conosceva bene i riti ebraici, aveva buone capacità musicali e letterarie, cantava nelle sinagoghe, scriveva e stampava in ebraico e in yiddish. È evidente che le qualità del padre si trasmisero al figlio, diventato poi grande scienziato, scrittore e personaggio pubblico.

    Il primo nome datogli dai genitori era ebraico, Natan, dal quale nacque in seguito lo pseudonimo dello scrittore: N. A. Tan. Con il battesimo cristiano⁶ Natan ricevette il nome Vladimir. Lo scrittore cessò di usare lo pseudonimo, ma Tan, da allora, appare sempre insieme al cognome di Bogoraz nelle pubblicazioni letterarie: Tan Bogoraz.

    La vita di Bogoraz si è dipanata come in una salda successione di anelli in una catena. A ogni avvenimento ne succedeva un altro. Bogoraz superava brillantemente i cambiamenti inaspettati, le brusche svolte, qualche volta anche pericolose.

    Trascorse l’infanzia e la prima gioventù nella provinciale Taganrog⁷ dove, già dalle ultime classi del ginnasio, prese parte a un circolo nel quale ci si riuniva allo scopo di leggere testi ‘illegali’ dedicati all’amore per la libertà. L’attitudine alle scienze, la sete di attività tese al miglioramento della vita della gente, e alla lotta per la giustizia, portarono il giovane umanista e democratico nell’Università della capitale, a Pietroburgo, dove era in fermento una vita pubblica a mezza via tra legalità e illegalità, in parte anticipatrice degli eventi rivoluzionari del successivo secolo.

    Come scrisse lo stesso Bogoraz: Era un tempo fantastico, […] la gioventù si dava anima e corpo alla rivoluzione.

    Bogoraz divenne membro attivo dell’organizzazione rivoluzionaria La volontà del popolo. Durante la sua vita, sottoposta a un costante controllo della polizia, fu portato in giudizio più di venti volte, dieci volte fu arrestato, subì il confino e le patrie galere. Nel 1886, come membro dell’organizzazione La volontà del popolo, fu rinchiuso per tre anni nella Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, e quindi inviato per dieci anni nella Kolyma⁸: vi inviamo laggiù perché là è impossibile vivere, gli augurò un funzionario di polizia.

    A tappe – a piedi, a cavallo, sulle chiatte, sulle renne, sui cavallini jakuti –, dopo circa un anno il condannato giunse a Sredne-Kolymsk, luogo della sua detenzione, dove in inverno sputi, e lo sputo gelato si ficca nella neve come un ghiacciolo, secondo quanto scritto dallo stesso Bogoraz. Ma proprio l’esilio a Kolymsk, da tragica svolta nella sua vita come appariva, diventò un trampolino per il volo di Bogoraz come scienziato e scrittore.

    Là non si può vivere! aveva sentito dalla voce del poliziotto, ma vide che là dove non si può vivere vivevano da secoli, ciascuno secondo la propria cultura, gli aborigeni del territorio. Il deportato rivoluzionario si introdusse con grande interesse e rispetto tra quella gente, nella loro saggezza di vita, principale scienza dell’uomo sulla Terra. Si relazionò con grande empatia con coloro che da tempi immemorabili erano così abituati alla lotta col mare, col gelo e col vento, che senza di essa la vita sarebbe sembrata priva di contenuto e di senso. Erano i cacciatori che si gettavano con la lancia sull’orso bianco, i navigatori che su malsicure barche di pelle osavano affrontare l’inospitale distesa dell’Oceano artico, gli uomini per i quali il freddo era una forza della natura, l’oceano un campo di cereali, e la pianura gelata un periodo della vita. Erano gli eterni lottatori contro la natura, il corpo dei quali era temprato come l’acciaio e i cui muscoli non erano da meno, quanto a instancabilità, a nessuno degli animali selvaggi che attraversavano il deserto... Queste righe, tratte dal romanzo Sul promontorio di pietra, suonano come un ditirambo.

    Nelle pesantissime condizioni dell’esilio, Bogoraz inizia, secondo le sue stesse parole, lo studio delle popolazioni che là vivevano, primitive, semi estinte e quasi del tutto sconosciute. In ciò egli vede il compito sociale di un’epoca per... un membro dell’organizzazione segreta La volontà del popolo, capitato in un lontano luogo di confino nell’estremo Nord-Est. Inizia a scrivere. Alcuni scritti hanno la forma di racconti, altri sono articoli scientifici. Invia questi testi nella capitale dove vengono pubblicati; nella stampa scientifica appaiono anche suoi testi sul folclore, unici nel loro genere.

    Il nome di Bogoraz diventa noto in determinati circoli e per questo, nel 1895, viene invitato a prendere parte a una complessa spedizione in Jakuzia, organizzata dal settore della Siberia Orientale della Società Geografica Russa, finanziata dall’industriale I. M. Sibirjakov, dal quale prenderà il nome. A Bogoraz viene assegnato il lavoro nel Distretto del Kolyma: studio delle lingue, registrazioni sul folclore, censimento, descrizione delle forme di cultura materiale e delle credenze delle popolazioni locali. Nel corso di circa tre anni Bogoraz si trasferì da un accampamento all’altro, raccogliendo materiale etnografico, folcloristico e relativo alla grammatica delle lingue dei Čukči e dei Lamuti (Eveni).

    Una speciale commissione dell’Accademia Imperiale delle Scienze riconobbe l’alto grado di interesse scientifico del materiale raccolto da Bogoraz, entrato a far parte della Grande Scienza. Fu un gradino verso la successiva crescita dell’ancora giovane scienziato.

    Proprio l’Accademia delle Scienze, in risposta a una richiesta del Prof. Frans Boas dell’Università della Columbia, aveva perorato la partecipazione di Bogoraz, appena tornato dall’esilio, alla spedizione Jesup North Pacific Expedition (1897-1903), finanziata dal presidente del Museo Americano di Storia Naturale, il banchiere Morris Jesup. Scopo della spedizione era lo studio comparato della cultura e della genesi dei popoli del Nord-Est siberiano e dell’America nord-occidentale.

    La Selvaggia Čukča,⁹ amichevole appellativo dato a Bogoraz dopo la sua peregrinazione nelle zone Kolyma/Čukotka, cominciò a gironzolare all’estero: a Berlino, a Parigi, a Londra e da lì a New York.

    Dall’America, dove si stava preparando la spedizione, si doveva arrivare nel Nord e nell’Estremo Oriente russi. La base del gruppo capitanato da Bogoraz era il posto di frontiera Mariinskij post¹⁰ alla foce del fiume Anadyr’, adesso città di Anadyr’, centro amministrativo del Distretto Autonomo della Čukotka, da cui partivano i percorsi: verso il nord, fino all’isola di San Lorenzo, e al sud fino alla Kamčatka.

    I risultati del lavoro di Bogoraz in questa spedizione furono, oltre a collezioni di oggetti etnici, i materiali etnografici, folcloristici, incluse registrazioni fonografiche, sulle lingue e sull’antropologia dei Čukči, dei Korjaki delle coste dell’Oceano Pacifico, degli Itel’meny e degli Eschimesi asiatici.

    Nel corso della spedizione, Bogoraz aveva anche elaborato una metodologia di ricerche sul campo che poi introdusse nei suoi programmi pedagogici del corso di etnografia. Una metodologia per cui era necessario vivere nell’ambiente (metodo permanente) e conoscere la lingua del popolo studiato.

    Questa metodologia fu messa in pratica con successo dallo stesso studioso. Ma che cosa aveva comportato tutto ciò? In maniera esemplare in uno dei racconti, Bogoraz descrive dettagliatamente le difficoltà del suo viaggio durante la spedizione Jesup:

    Un intero anno passò in continue peregrinazioni nei deserti settentrionali, a gloria alla scienza etnografica. Ho camminato per qualche migliaia di verste per più di tre settimane. In ottobre, una tormenta d’acqua ci ha fatti quasi annegare nel medio corso del fiume Anadyr’; a gennaio, una tempesta di vento ci ha tenuti bloccati in cima a un passo di montagna al centro della Kamčatka; a marzo, siamo capitati in una zona, presso il fiume Opuka, dove il manto di neve arrivava alla vita e ne siamo usciti a stento dopo tre settimane, trovando la strada in base alla posizione del sole e al corso dei fiumi, come facevano gli antichi cosacchi; a giugno, la risacca del Mare del Nord ci ha gettati sulla sabbia della costa, e fummo costretti a sopravvivere lunghi giorni su un promontorio roccioso, sotto il malsicuro riparo di una barca di pelle ribaltata.

    Persino le condizioni del pur breve lavoro stazionario erano dure e dovevano essere superate: Oh, Dio mio, che fumo! Gli occhi ci escono dalle orbite!esclama Bogoraz, commentando in una lettera l’atmosfera dell’abitazione sotterranea dei Korjaki nella quale capita di scendere lungo una trave sopra il fuoco, nel quale è facile cadere.

    Bogoraz transumava insieme ai Čukči, viveva nelle loro jarangi e nelle abitazioni interrate dei Korjaki, mangiava insieme a loro carne cruda, pesce acido, dolce eufemismo per marcio; parlava la loro lingua. Vedendo e percependo la benevola disposizione d’animo, la mancanza di schifiltosa indulgenza e boria dell’ospite di passaggio, sentendolo dialogare nella loro lingua natia, gli aborigeni spalancavano le porte, non solo delle loro abitazioni, ma anche

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