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Il male online: Quindici assassini, una sola mente
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E-book379 pagine5 ore

Il male online: Quindici assassini, una sola mente

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Info su questo ebook

A cinquant’anni dalla nascita di internet, l’umanità oscilla tra due dimensioni: quella reale e quella virtuale, la vera e la falsa.
Quali sono i criteri per distinguere l’una dall’altra? E soprattutto, cosa accade quando le due si sovrappongono al punto da sconvolgere il ritmo di maturazione delle nuove generazioni, la capacità di adattamento delle più vecchie, la stessa lucidità mentale di quelle adulte, che oggi reggono il mondo?
“Il Male Online” è il romanzo che esamina la capacità di manipolazione psichica della rete su ignari utenti (solo apparentemente “deboli” e influenzabili) che alla soglia del baratro si ritrovano ad accettare le provocazioni di uno sconosciuto incontrato in chat e a mutare per sempre, in sole ventiquattro ore, il proprio destino.
Da innocenti a colpevoli, da insospettabili ad assassini: in quindici capitoli, quindici casi di “succubi” adescati da un’unica mente che si infiltra nelle loro vite, nelle loro tentazioni illecite e psicotiche. Il risultato sarà sconcertante: un crescendo di tensioni, rancori, deliri che a fine episodio esploderanno nel delitto concertato “virtualmente” dall’anonimo utente con BlackJohnny, il provocatore online.
“Il Male Online”, completo a circa 500.000 caratteri, offre un’originale spunto di riflessione a quell’ampia fetta di società “maniaca dei social” che sempre più spesso cede alla tentazione di servirsi della rete come sfogo per una irrazionalità delittuosa e sacrilega, finendo poi per liberare alla luce del sole i fantasmi di una violenza che non tarderà a farsi di carne e sangue.

Laureato in lingue e culture internazionali, Raffaele Isolato applica le sue ricerche in campo etico ed epistemico a novelle e romanzi che spaziano dal fantasy al noir, al filone avventuristico, alcuni dei quali già pubblicati in rete e cartaceo. In attesa di pubblicazione sono altre raccolte di saggi e i più significativi esperimenti poetici. Tra i titoli pubblicati su Amazon: Attacco al potere (La Saga dei Perfetti e degli Imperfetti vol.I), Chi vuole andare in TV?, Viaggio a Nord, Dall’altra parte del nulla, Lineamenti di religione universale, Inferno XXI (poema didascalico-allegorico in trenta canti), Il nulla imperfetto, Nati alla luna nuova, Viaggio a Lost City, L’angelo dalle ali di carta, La pietra e lo scandalo (raccolta di novelle d’argomento erotico), Il Presidente (tragedia in cinque atti in versi sciolti).


 
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita15 feb 2019
ISBN9788893454810
Il male online: Quindici assassini, una sola mente

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    Anteprima del libro

    Il male online - Raffaele Isolato

    BLACKJOHNNY

    Introduzione

    (dal messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica)

    Roma, 31 dicembre

    […]

    Ci appressiamo al nuovo anno sotto i peggiori auspici. Undici morti in meno di nove mesi, e tutte dovute allo stesso uomo, alla stessa mente perversa. Un criminale, un sadico e un assassino della peggior specie che si fa chiamare BlackJohnny: veleno di una comunità virtuale che potrebbe schiudere alla società moderna un più autentico modo di far democrazia, e che invece presenta ancora sacche di malvagità, di dolore, di pericolo per noi e per i nostri figli.

    Mi trovo a rimpiangere, mio malgrado, i tempi in cui il male si guardava in faccia, e aveva un volto da accusare, un corpo da mettere in prigione, una mente da rieducare. Qui siamo di fronte a una malvagità che non ha volto, che non ha corpo, che quasi non ha un’identità. BlackJohnny è il male, e in quanto tale va riconosciuto per fermarlo, per impedirgli di metter radici nelle nostre case. Prometto sul mio onore, Italiani e Italiane, che al più presto sarà stanato questo parassita della nostra comunità: pagherà per i suoi errori, per le morti che ha giù causato e per quelle che presenteranno evidenti legami con le sue chat d’adescamento. Vi chiedo solo di cooperare per quanto possibile, e di segnalare alla Polizia Postale ogni minimo sospetto di istigazione al crimine da parte di qualsiasi sconosciuto incontrato sui social.

    Un pensiero ai genitori di tutti quegli adolescenti che ormai passano la maggior parte delle loro giornate su internet, a perdersi dietro fantasmi di socialità o speranze di rapporti appaganti che non si concretizzano: fate che ritrovino il piacere di giocare all’aria aperta, di coltivare amicizie in carne e ossa, di accorgersi di chi è loro nemico, e di rifiutarne la compagnia. Se il male si guarda negli occhi, è più facile sfuggirgli: se invece è nascosto e si avvicina subdolamente, come nel caso di BlackJohnny, abbiamo bisogno di tutta la nostra forza di volontà per riconoscerlo e impedirgli di prendere possesso della nostra facoltà di agire.

    È una società in pericolo, quella di oggi. Una società che ha scelto l’odio per rispondere all’inganno, alla violenza, alla falsità e allo spergiuro: l’odio che trae nutrimento dal male, e che questo male a sua volta alimenta, accresce, infiamma. Undici persone, adulti, giovani e giovanissimi, hanno scelto l’odio perché hanno ascoltato l’odio: queste persone hanno ucciso. A volte per motivi futili, altre volte perché ingannati e accecati dalla paura, dal ricatto, dalle lusinghe di BlackJohnny. Sono menti deboli che pagheranno per la loro follia: così come ingiustamente hanno pagato le persone che hanno vissuto accanto a loro, e che si sono ritrovate la vita sconvolta da gesti impensabili, al limite del raccapricciante.

    In quindici casi accertati, laddove è assolutamente provata l’istigazione all’omicidio da parte di BlackJohnny, due vittime sono ancora in gravi condizioni, mentre per fortuna altre due sono riuscite a salvarsi. A queste ultime quattro vanno gli miei più sentiti auguri di pronta guarigione, fisica e psicologica. Il male può essere sconfitto, se ci teniamo uniti e confidiamo nelle autorità che hanno il dovere di vigilare su di noi, di proteggerci dalla violenza.

    Un’ultima parola vorrei spenderla per i cosiddetti Johnnies: mi è stato riferito che sono in crescita in rete i casi di emulazione del ricercato che si nasconde sotto il nickname di BlackJohnny. Sono individui senza morale e senza rispetto per la nazione in cui vivono, mi auguro tutti giovanissimi e con un senso della morale non ancora pienamente formato, che professano aperta e vergognosa ammirazione per i crimini appena citati. Per loro BlackJohnny è un idolo, un modello di potere e soggiogamento su chi è più debole e influenzabile. Forse i Johnnies non comprendono che i deboli sono loro, che il più grave pericolo per loro sono loro stessi, che la strada che stanno intraprendendo finirà per distruggerli, così come distrutto sarà il loro capo.

    Ho piena fiducia, Italiane e Italiani, che quest’incubo assurdo avrà presto termine, e che vicino è il giorno in cui la rete tornerà a essere un libero strumento di crescita, cultura e solidarietà internazionale.

    […]

    Capitolo 1

    BLACKJOHNNY: Devi ucciderlo. Capisci che non c’è alternativa.

    CONANILBARBARO: Sarà lui a uccidere me! Non sai quello che mi costringe a fare. Ridono tutti di me, dicono che sono un fallito.

    BLACKJOHNNY: Non sei un fallito, lo sai. Il problema non sei tu. È lui.

    CONANILBARBARO: Mi ha umiliato. Mi ha costretto a baciare merda di cane!

    BLACKJOHNNY: Lo vedi? La merda è lui, che è marcio dentro. Lo sai che si deve fare a bastardi come questi? Lo sai?

    CONANILBARBARO: Certo che lo so. Me lo dici sempre.

    BLACKJOHNNY: Allora dimmelo, Conan. Vediamo se hai le palle come il nick che porti.

    CONANILBARBARO: Certo che ce le ho, le palle.

    BLACKJOHNNY: Dimmelo, allora. Dimmi cosa si meritano i bastardi come Silvio Testa.

    CONANILBARBARO: Una bella lezione. Qualcosa che li rimetta al posto loro.

    BLACKJOHNNY: Una lezione non basta, cagasotto.

    CONANILBARBARO: Ti ho detto che non devi più chiamarmi cagasotto!

    BLACKJOHNNY: E tu dimostrami che non lo sei. Toglilo di mezzo.

    CONANILBARBARO: Come faccio?

    BLACKJOHNNY: Hai mica paura? Un duro come te…

    CONANILBARBARO: Non è questo… C’è la galera.

    BLACKJOHNNY: C’è anche l’inferno, che è la tua vita di adesso. Sai quanti ce ne saranno come lui? Ti uccideranno loro un po’ alla volta, per sempre, se tu non agisci prima.

    CONANILBARBARO: Io vorrei solo che capisse… quello che si prova.

    BLACKJOHNNY: Non hai le palle. Hanno ragione a farti leccare merda di cane.

    CONANILBARBARO: Non è questo!

    BLACKJOHNNY: Addio.

    CONANILBARBARO: Aspetta! Aspetta, non andartene! Tra poco devo andare a scuola…

    BLACKJOHNNY: Mi sono rotto il cazzo a sentirti piangere come una ragazzina. Ti ho spiegato quello che c’è da fare. Devi toglierlo di mezzo. Oggi, prima della fine della giornata: dimostrerai a me, alla scuola e al mondo intero di avere le palle, e di non essere un perdente come vuol far credere a tutti il signor Testa di Cazzo.

    CONANILBARBARO: Ok.

    BLACKJOHNNY: Ok. Aspetto il tuo messaggio, tutto come ci siamo detti.

    CONANILBARBARO: Ok.

    BLACKJOHNNY: Hai capito tutto? È la tua ultima occasione. A stasera.

    CONANILBARBARO: Ok. Ciao.

    ***

    Bologna, 10 aprile

    Continuava a fissarsi allo specchio di camera sua e non capiva. Come poteva essersi ridotto a zimbello della scuola, lui assieme al suo gruppetto di nerd sfigati? Tra poco sarebbero passati i suoi amici in bici, e in silenzio avrebbero iniziato a pedalare verso il Pascoli e una nuova grigia giornata di tortura. Ultimamente Silvio aveva passato ogni limite: se n’erano accorti anche gli atri compagni di classe, eppure nessuno aveva alzato un dito per difenderlo. Filippo sospettava che godessero un po’ tutti a vedere lui e i suoi amici torturati dalle quotidiane marachelle del Testa: almeno c’è lui sotto torchio e non io, gli pareva di sentirli rimuginare, i coglioni. Una cosa era certa: non poteva continuare così. Era arrivato ad accennarne qualcosa a suo padre, la sera prima, e tutto quello che era riuscito a tirar fuori dal placido, inflessibile signor Teotini era stato un suadente invito allo stoicismo intellettuale:

    Tu non abbassarti a fare il suo gioco, e lui neanche si accorgerà più che esisti.

    Erano seduti a tavola per la cena, e a Filippo saliva il vomito in gola al pensiero di tutti gli insulti che era stato costretto a sorbirsi la mattina al liceo.

    Ma papà, non funziona, se lui è sempre il primo a venirmi addosso.

    Lo fa perché è un codardo. Ti sfiderebbe sul piano didattico, se volesse far veramente bella figura con la classe.

    Non funziona proprio così, sai?, aveva sospirato Filippo, ficcandosi in bocca il primo boccone di pollo arrosto per non rischiare di aggiungere altri agghiaccianti particolari sulla sua vita sociale.

    E tu non reagire. Lascia che si stanchi e scelga qualcun altro da tormentare. Di tipi così il Pascoli era pieno anche ai miei tempi. Sono talmente stupidi che finiscono per perdersi per strada alla prima bocciatura.

    Detto questo, il signor Teotini si era lisciato i baffi unti e aveva lanciato un’occhiata soddisfatta al soffitto. Un dubbio gli era venuto solo quando era ridisceso a fissare la faccia sbalordita e delusa di suo figlio sopra la pietanza:

    Non vuoi che venga a scuola con te, domattina? Potrei dirgliene quattro…

    No davvero, papà. Lascia stare, sarà come dici tu. Col tempo capirà anche lui.

    Ci mancò poco che suo padre non congiungesse le dita di entrambe le mani per la contentezza:

    Così parla un vero Teotini. Va’ e fatti onore, figliolo. La vita è piena di bulli come questo tuo compagno di classe: magari fosse sempre così facile affrontarli da pari a pari, faccia a faccia…

    Già, magari fosse stato facile. Filippo distolse lo sguardo dal suo viso smunto allo specchio (i baffetti cominciavano appena a scurirgli il labbro superiore) e prese con una manata lo zaino dal letto sfatto. Da giù sentiva i campanelli delle bici in avvicinamento: era già ora di andare. Era l’ora di affrontare ancora una volta il suo destino da perdente.

    Pronti?, lo salutò Michele anche per Teddy, che come al solito aveva qualche difficoltà a parcheggiare la bicicletta sul marciapiede di fronte a casa Teotini.

    Il tuo apparecchio pare più ingombrante del solito questa mattina, Mickey, gli rispose Filippo balzando in sella alla sua.

    E non chiamarmi così. Già ho un bel daffare con quel pezzo di merda.

    Secondo mio padre dovrei lasciargli carta bianca. Prima o poi si stancherà e ci lascerà in pace

    Avevano imboccato la via che costeggiava gli argini del Mugnone: un lieve puzzo di stantio rovinava l’aria fresca di prima mattina, peggiorando il malumore dei tre adolescenti.

    Tuo padre? Hai parlato di Silvio Testa a tuo padre?, echeggiò la voce infantile di Teddy dietro di loro.

    Tranquillo. Non si abbasserebbe mai a parlarne con gli insegnanti. Ha piena fiducia in me, e nel fatto che ce la caveremo da soli.

    Forte, tuo padre. Con chi crede che abbiamo a che fare, con un bamboccio del ginnasio? Se non gli consegniamo i compiti anche oggi, quelli della sua banda ci ribucano le ruote…

    Come minimo…, puntualizzò Michele sputando dall’apparecchio, mentre già le tegole del Pascoli sbucavano dietro gli ultimi palazzi di via Lungo Il Mugnone.

    La scena era quella che Filippo era stata costretta a sopportare negli ultimi due anni di scuola: il Testa e i suoi amici al portone del liceo, i sorrisi spianati e le mani tese a esigere i compiti della giornata.

    Come faremmo senza di te, Mickey Mouse!, ringraziò Silvio, rilassato sulla sella del motorino rosso cromato, fissato alla ringhiera del sottopassaggio antistante l’edificio. Aveva spuntato ai lati i capelli biondi che solo il giorno prima gli piovevano ribelli su nuca e spalle: il taglio gli donava un’aria più distinta e allo stesso tempo misteriosa, come in antitesi all’immagine d’irruento che aveva sempre voluto pubblicizzare tra i compagni di classe.

    Michele passò nervosamente la lingua sulla montatura d’acciaio che gli ingabbiava i denti, e si chinò ad aprire lo zaino. I compiti che avrebbe passato al Testa e alla sua cricca non erano proprio uguali ai suoi, altrimenti qualche insegnante avrebbe potuto insospettirsi.

    Inglese… Matematica…

    La conta avveniva in religioso silenzio, con gli altri che si guardavano intorno nel timore che qualcuno d’estraneo al loro privato commercio intellettuale avesse potuto scoprirli.

    Bravo Mickey Mouse.

    Potresti almeno non chiamarmi più così?, tentò di opporsi, assai timidamente invero, Michele.

    Come vuoi tu, Mickey Mouse. Se non fosse per quei dentoni di ferro, giuro che ci proverei.

    Risata complice del gruppo, pallore diffuso sul volto dei tre perseguitati.

    Domani tocca a te, Teddy Bear. E ricordati di offrirti per l’interrogazione di scienze.

    Teddy alzò gli occhi e annuì ancor prima di aver capito di cosa si stesse parlando. Quel giorno se ne stava un po’ per i fatti suoi, forse perché gli aveva dato da pensare la rottura della cappa d’omertà che gravava sulle loro violenze al Pascoli, da parte di uno dei suoi migliori amici. Filippo gli aveva dimostrato che non erano soli, che forse era possibile reagire a quei prepotenti con l’aiuto di qualcuno più grande di loro…

    Io… non credo che potrò venire domani, a scuola., fu tutto quello che gli uscì di bocca, nello stesso istante che il suono della campanella d’inizio lezione li scuoteva dal loro torpore mattiniero. Michele si affrettò a riporre i quaderni nello zaino, Filippo si era fermato a una certa distanza per osservare la scena: tra le biciclette incatenate alla ringhiera, l’Honda su cui stava poggiato Silvio batté sinistramente contro la barriera con rumore di ferraglia.

    Cosa hai detto?

    Motivi familiari. Mi dispiace.

    E pensi di cavartela così? Ce l’avevi promesso, e sai bene che sono io il prossimo in lista dopo di te.

    Non è colpa mia, mi dispiace…

    Cazzone.

    Silvio sputò sull’aiuola la gomma che aveva tormentato tra i denti tutto il tempo, e mollò al suo compagno di banco le copie degli esercizi di matematica.

    Non penserai di cavartela così. Sai che un altro impreparato io e Fabio non possiamo permettercelo.

    Indicò con un sogghigno cattivo quello a cui aveva rifilato gli esercizi, che annuì come se si trattasse di una questione d’onore.

    Se non può, faresti meglio a rassegnarti.

    Nessuno si sarebbe più aspettato l’intervento a bruciapelo di Filippo; Sara Rovai, l’ultima fiamma di Testa e un anno più grande di tutti loro, sgranò gli occhi chiari e languidi come se fosse appena caduto un fulmine lì al centro del gruppo.

    Cosa dici tu, coglione?

    Dico che non puoi costringerlo a fare qualcosa che non gli va.

    Filippo…, sussurrò Teddy in maniera appena udibile, storcendo lo sguardo all’inverosimile dietro gli occhiali, per fargli capire che avrebbe peggiorato ancor di più le cose.

    Io posso fargli fare quello che voglio, quando voglio. Soprattutto quando si tratta di una cosa che mi aveva promesso.

    Una cosa che gli avevi costretto a prometterti.

    Michele passò accanto al suo amico, ormai nei guai, con lo zaino in spalla:

    Dobbiamo entrare in classe, coraggio.

    Raccogli la gomma da masticare da terra. Prendila e ficcatela in bocca., diceva Silvio allo stesso tempo, fissando Teddy con uno di quegli sguardi cattivi, senz’anima, che trasmutavano l’azzurro mare dei suoi occhi in ghiaccio artico.

    Teddy chinò lo sguardo alla gomma spiaccicata su un filo d’erba, arrossì visibilmente e poggiò a terra lo zaino per appressarsi all’ultima umiliazione.

    Che cazzo fai? Perché devi dargliela sempre vinta?, riprese Filippo, coi denti serrati al punto che gli facevano male.

    Anche Sara salutò e sparì di corsa all’interno dell’edificio; il bidello li squadrò con un’occhiata cattiva, poi chiamò gli ultimi ritardatari.

    Teddy tenne lo scarto tra le labbra come sul punto di vomitare, poi sputò e corse dietro Fabio che già saliva i pochi scalini dell’entrata.

    Ti ho sentito, sai? Non mi piace quest’aria da furbo del cazzo che hai tirato su all’improvviso.

    Silvio squadrava Filippo con gli stessi occhi glaciali che aveva riservato al suo amico; l’altro cercò di ricambiarlo il più possibile, poi fu costretto a prestare attenzione al bidello che a gesti li minacciava che tra poco avrebbe chiuso definitivamente il portone d’ingresso del Pascoli.

    Lo so come finiscono i tipi come te. Dovresti pensarci su, prima che sia troppo tardi., disse tutto d’un fiato, prima d’infilarsi lo zaino in spalla e prepararsi alla più gloriosa uscita di scena che il suo liceo avesse ricordato dai tempi di suo padre.

    Ah sì, e come finiscono? Sentiamo.

    Andrea gli era venuto a un palmo dal naso. Era più robusto di lui, più alto, più pericoloso. Anche gli allievi dell’ultimo anno lo temevano, e questa breve considerazione bastò a far disperare Filippo di cavarsela con un mordi e fuggi. Decise di andare fino in fondo: se non altro suo padre sarebbe stato fiero di lui, comunque fosse andata.

    Sono talmente stupidi che finiscono per perdersi per strada alla prima bocciatura.

    Ecco, l’aveva detto. Chissà perché ancora il giorno prima considerava quell’osservazione una delle tante massime sterili e inapplicabili del signor Teotini: ora invece, al momento del bisogno, gli era tornata alla mente tutta intera, e incredibilmente tosta da spiaccicare sul muso a quel bullo che gli incombeva a pochi centimetri di distanza.

    Bocciatura, eh?

    Lo sguardo di Silvio guizzò di lato a sincerarsi che Emilio il bidello fosse occupato a incardinare al suolo un battente dell’ingresso, poi scattò con uno dei suoi ganci fulminei. A spiaccicarsi sulla tempia di Filippo Teotini non fu una massima di pari portata, ma il peso di qualche chilo di muscoli e giunture da giovane pugile. Al colpo che lo tramortì, il mondo si oscurò sul fantasma del suo inutile mentore, e ci fu solo sapore di terra e d’asfalto.

    Tutto a posto? Vuoi che chiami tuo padre?, furono le prime parole che decifrò durante il trasporto nello stanzino di Emilio, che l’aveva aiutato a rialzarsi da terra chissà come, ancora semi incosciente.

    Tutto a posto, lascia stare. Non è niente.

    L’occhio potrebbe gonfiarsi. Ce la fai a reggere questo?

    Gli ficcò in mano una compressa con del ghiaccio col suo solito atteggiamento burbero, squadrandogli l’occhio con attenzione maniacale, come se dovesse lievitare fino a scoppiargli in viso da un momento all’altro.

    Dimmi la verità. È vero che sei scivolato?

    Scivolato?

    Ora sì che cominciava a far male. Filippo allentò la presa sulla compressa, e accettò l’anti-dolorifico che gli porgeva Emilio, sempre con la stessa espressione di sospettosa inquietudine negli occhi.

    Sì, mi sembra di sì. Te l’ha detto Silvio?

    Esatto. Un attimo prima eravate lì uno di fronte all’altro che discutevate… poi mi rivolto e ti trovo sul marciapiede spiaccicato come un pesciolino.

    Filippo smorzò le labbra in un sorriso che per metà era una smorfia di sofferenza. Magari il suo nemico giurato aveva avuto una buona idea: quella era una questione tra lui e Silvio Testa. Per nulla al mondo avrebbe voluto coinvolgere il padre nella sua prima battaglia con la vita: un Teotini era superiore, avrebbe aspettato di veder fallire gli altri che se lo meritavano, prima di scendere al loro stesso livello.

    Sarò scivolato, allora. Una bella botta.

    Mi sa di sì. Fa’ attenzione all’occhio. Se dovesse gonfiarsi corri subito da me, ti accompagno in segreteria.

    Filippo ringraziò ancora intontito; si diresse verso la sua classe come in un viaggio nel mondo dei sogni, col corridoio che gli si sbiadiva progressivamente all’angolo dell’occhio sinistro. Sara Rovai l’aspettava fuori dall’aula, guardinga e agitata perché in tremendo ritardo per la lezione della prima ora:

    Allora, tutto ok?

    Ti manda lui?, ebbe la prontezza di spirito di chiedere Filippo, ignorando il lampo di dolore che gli martellò la testa.

    Solo per sapere se hai intenzione di dirlo alla prof. Si è spaventato anche lui, sai? Dice che non voleva tirartelo così fotte.

    Sta’ tranquilla. Non dirò niente.

    La fissò negli occhi cercando di assumere un’espressione da duro, di quelle che venivano così bene a Silvio prima di uno dei suoi atti di prepotenza. Sulle labbra di Sara, velate di rossetto alla ciliegia, passò l’ombra di un sorriso:

    Ok allora. Gli avevo detto che sei uno tosto anche tu.

    Puoi giurarci.

    L’osservò come a rallentatore, mentre gli voltava le spalle e si avviava in fondo al corridoio verso l’aula di terza liceo: i jeans che le fasciavano le gambe perfette, il top ugualmente attillato in vita. Pareva una modella, e gli aveva appena rivolto la parola per la prima volta in vita sua.

    Entrò in classe spedito, a testa alta e a un soffio dall’appello. L’insegnante neppure gli chiese perché fosse in ritardo.

    ***

    Ce l’ha con te perché è a causa tua che si beccherà l’interrogazione di scienze di domani. E con me perché neanch’io posso salvargli il culo, stavolta., mormorò Michele a Teddy Spalletti, in piedi a pantaloni calati sulla pista d’atletica, in degna compagnia dell’altro nelle stesse pietose condizioni.

    Teddy si morse il labbro inferiore per evitare che una lacrima in punta di ciglio gli piovesse sullo zigomo. Sapeva che gli allievi del primo anno avevano le aule che davano sulla palestra all’aperto, e probabilmente in quel preciso istante si stavano prendendo gioco di loro. Nella migliore delle ipotesi avrebbero evitato di postare sui social i video girati coi telefonini.

    Lo sai? Io non ho nessun impegno domani.

    Ma davvero?, esclamò Michele stridulo, dimenticando ogni discrezione di fronte a Silvio che li teneva d’occhio dall’altro lato della pista.

    L’ho detto perché volevo che la pagasse. Non mi va più di stare al suo gioco.

    E ti è venuta questa geniale idea prima o dopo di ficcarti la sua cicca in bocca?

    Almeno gli ho fatto salire su la rabbia. Gli hai visto gli occhi? Sembrava che a momenti li sarebbero spuntati due spilli dalle pupille, confidò Teddy, lanciandogli uno sguardo obliquo di complicità.

    Pur nella situazione assurda in cui si trovavano, Michele non seppe trattenere un ghigno soddisfatto.

    Peccato che abbia pagato anche Filippo.

    Oh, lui saprà vendicarsi.

    Sai che ti vedo più ribelle da un po’ di tempo a questa parte?

    Io e Filippo abbiamo fatto la nostra parte. Ora tocca a te.

    Ah, è iniziata la rivolta, allora?

    Puoi giurarlo.

    La voce seccata di Fabio li raggiunse come una doccia d’acqua gelata, assieme a una folata di vento frizzante che fece loro venire la pelle d’oca alle gambe.

    Iniziate a saltare! Un giro completo!

    Mezzo giro, si era detto…, si lamentò Teddy, ritrovando per l’occasione la sua vocina acuta da preadolescente.

    Silvio aspirò dalla sigaretta un ultimo tiro, prima di restituirla all’amico:

    Un giro intero, e poi flessioni.

    Filippo se li ritrovò davanti in corridoio, poco prima della fine dell’ora di palestra, con quelli di seconda che davano loro il cambio e che li sfidavano a mezza voce in tono canzonatorio:

    Cosce da polli. Avevate caldo al culo, giù in pista?

    Michele si ostinava a guardare fuori dalla finestra, fingendo suprema indifferenza. Teddy fu il primo a correre incontro a Filippo: sapeva che era appena stato nello stanzino-infermeria di Emilio.

    Tutto a posto?

    Lascia perdere me. Se l’è presa ancora con voi due?

    Le solite stronzate. Non ci bado più.

    Ehi!, gli andò contro Michele, punto sul vivo. Forse starà bene a te!

    Filippo si intrufolò in mezzo a loro, cingendogli le spalle da un lato e dall’altro per avere la possibilità di sibilargli all’orecchio in un soffio:

    È tutto pronto per lo scherzo.

    Michele sgranò gli occhi e si sottrasse alla stretta al collo che a momenti minacciava di soffocarlo:

    Lo scherzo! E chi ci pensava ormai…

    L’amico li condusse in aula quasi trascinandoli di peso, sulle labbra un’espressione a metà tra il crudele e l’ironico. Proprio sulla soglia, venne loro incontro Martina, una del loro circolo di secchioni che recentemente aveva mollato un po’ la presa sullo studio perché infatuata di un ragazzo della cricca di Testa.

    Ma davvero? siamo giunti a tanto?, bloccò il terzetto gongolante.

    È solo uno scherzetto da nulla a quel prepotente. Tu non t’immischiare., iniziò Michele, scivolando dentro e mirando con lo sguardo al banco di Silvio e Fabio.

    Filippo prevenne Martina, mettendo le mani avanti come per parare le nuove accuse:

    Io non ho niente a che fare col messaggio alla lavagna, lo giuro.

    E chi può essere stato, se non voi tre insieme?

    Michele si voltò verso la scritta che campeggiava al centro della tavola appesa, in gessetto rosso, abbastanza grande da essere vista anche dalle ultime file:

    NON TORNERAI A CASA VIVO, SILVIO TESTA

    Cazzo. Volevo dire, fico.

    Martina lo aggredì lanciandogli contro il cancellino:

    Vi ho sempre sentito dire che non bisognava scendere a questi livelli! Pensate che lui la smetterà, se si sente minacciato?

    Se non è stato Filippo…, provò a inserirsi Teddy, guardando il soffitto come chi non sapesse più che pesci prendere.

    Se non è stato nessuno di voi, fareste comunque meglio a cancellare tutto prima che arrivi.

    Martina si diresse a passo spedito verso il cancellino rimasto accanto al battiscopa. Filippo la prevenne ancora una volta, fulmineo. Prese il cancellino e si piazzò a braccia conserte davanti alla lavagna:

    Io dico che dovremmo farglielo leggere. Se qualcuno ha avuto le palle di lanciargli un avvertimento, non vedo perché dobbiamo mettergli i bastoni tra le ruote.

    Ma se la prenderà con voi!

    Se la prenda pure. Vorrei averci pensato io.

    La ragazza sbuffò all’udire le voci degli altri studenti di terza che sciamavano per i corridoi, diretti in aula dopo la fine dei dieci minuti di spacco tra le ore di lezione:

    Io non voglio entrarci. Oh, no.

    Abbandonò l’aula e lasciò il team degli sfigati a contemplare quell’opera d’arte dell’intimidazione, rosso su nero.

    E lo scherzo?, sussurrò Michele, quasi sperando che ormai la loro piccola vendetta privata contro Silvio fosse passata in secondo piano.

    È bello che pronto. Guarda qua.

    Prese una lattina di aranciata dallo zaino, l’aprì e verso il contenuto sul ripiano sotto il banco di Silvio e Fabio. Il filo di carica del cellulare di uno dei due sfrigolò e lanciò scintille, poi tutto tornò immobile.

    Non sarà pericoloso?, s’informò Teddy, l’occhio ormai alla porta dell’aula che si andava riempiendo di studenti.

    Filippo tornò al suo posto appena prima che entrassero le sue vittime:

    Solo una scossetta, niente di che. Qualcosa che possa fargli ricordare questa bella giornata.

    Sarà. Io penso che è colpa mia se ti ha fatto male…

    Teddy, sedutosi accanto al suo compagno di sventure, gli stava ammirando la ferita alla tempia, quando l’agitazione scoppiata in classe li riportò a Silvio immobile di fronte alla scritta sulla lavagna.

    Se sperano che mi caghi addosso…, iniziò senza finire, il solito sorrisetto obliquo stampato sulle labbra mentre eliminava la minaccia con una scia del cancellino.

    Non ti pare di fare troppo il tragico, Teotini? È difficile calibrare la forza di un sinistro, quando hai questi bicipiti…, continuò rivolto a Filippo, passando per raggiungere il suo banco. Filippo credette di intravedere un lampo di insicurezza in quegli occhi sempre così gelidi e asettici, forse per la prima volta da quando era capitato in classe col bulletto più promettente del Pascoli.

    Forse un po’ addosso se l’è fatta comunque., rifletté ad alta voce, godendosi a occhi bassi quei cinque minuti di popolarità di fronte al resto della classe.

    Teddy si voltò indietro, appena in tempo per incrociare l’espressione spaurita di Michele, in attesa del colpo di scena:

    Farei meglio a presentarmi domani a scuola, e a offrirmi per l’interrogazione di scienze comunque vada.

    Sei rincoglionito?, l’aggredì Filippo, sbattendo il pugno sul banco. Per un momento il rumore secco coprì l’esclamazione seccata di Fabio per l’allagamento del suo sottobanco. Un attimo dopo, balzò all’indietro tenendosi il polso sinistro stretto tra le dita della destra:

    Bastardi! C’è corrente!

    Silvio l’aiutò a sgomberare libri e zaino dalla postazione. Qualcuno si preoccupò di staccare il caricatore dalla presa elettrica (era inopportuno che l’insegnante indagasse su quel particolare, visto che era proibito tenere i cellulari accesi in classe), e in breve mezza classe fu radunata attorno a Fabio che si faceva aria con la mano illesa, come appena scampato a un attacco mortale:

    Questi sono scherzi del cazzo! Avrei potuto restarci folgorato…

    Un paio di risatine fuori luogo smorzarono la tensione; solo Martina restava in piedi, rigida in un angolo, a fulminare Filippo con lo sguardo.

    Lo vedi come si fa? A farli cagare addosso, a non passare ogni singolo giorno della nostra vita come dei perdenti?, diceva intanto il Teotini al suo dimesso compagno di banco, ancora convinto che quello fosse soltanto un troppo effimero ribaltamento della gerarchia naturale tra prede e predatori.

    Quando sei visto da tutti per quello che dimostri, tanto vale scendere sempre più giù, fino a toccare il fondo.,

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