Sud l'Italia che non c'è: Dall'Unità alla secessione dei ricchi?
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dalla prefazione di Nicola Fratoianni
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Anteprima del libro
Sud l'Italia che non c'è - Tonino Scala
Fratoianni
Prefazione
Scrivere e riflettere sul Sud è ancora oggi, più che in passato, necessario.
Lo è perché siamo ormai al punto in cui la Lega Nord sta realizzando l’obiettivo per cui è davvero nata: la secessione del Nord. E questa volta non si tratta di qualche manifestazione folcloristica ad uso delle telecamere per poi permettere a Bossi di trattare sui tavoli romani con il suo amico Silvio Berlusconi. Questa volta l’alleato di governo, come si può costatare ogni giorno, è politicamente e culturalmente troppo fragile per fare da argine agli obiettivi leghisti. Questa volta l'unità nazionale dell'Italia corre un pericolo mortale.
È in corso un vero tentativo di secessione di fatto che è stato abilmente dissimulato da un lato, allestendo referendum consultivi in Lombarda e in Veneto, dall’altro, affidando al livello regionale una partita che si voleva fosse giocata sotto traccia per non attirare prevedibili reazioni. Trovando sponda anche nei precedenti governi Gentiloni e Renzi sono state firmate pre-intese che si volevano incautamente coperte dal segreto che Lombardia e Veneto vorrebbero fossero puramente e semplicemente ratificate dal governo e dal Parlamento. Una ferita alla Costituzione e alla democrazia.
Fortunatamente la mobilitazione promossa da intellettuali e dalla società civile, nonché il lavoro dell’informazione, hanno progressivamente diradato le nebbie che nascondevano le intese tra lo Stato e le tre regioni del centro-nord. Tutto quello che si è scoperto conferma la gravità e la pericolosità del disegno che stanno preparando a danno delle competenze e dei bilanci dello Stato, e soprattutto a danno del Sud, a danno del Paese. E quello slogan prima gli italiani
, continuamente sparato dappertutto in questo clima da perenne campagna elettorale, assume un sapore beffardo in bocca a chi l'Italia la sta riducendo a brandelli. Serva e soggiogata dagli interessi dei più danarosi, condannando a morte chi non ha soldi a sufficienza e non ha la possibilità di garantirsi servizi adeguati.
All’osso gli obiettivi delle regioni sono i soldi, tanti soldi. Ottenuti come? Svuotando le casse e le competenze dei ministeri, per trasferire tutto al controllo regionale. Parliamo, per esempio, di circa 200.000 dipendenti della scuola, che passerebbero in un nuovo ruolo, sotto la diretta dipendenza della regione in cui fanno la professione. Il controllo di otto miliardi di euro, e parliamo solo della pubblica istruzione.
Sommate, le ventitré materie di cui chiedono la competenza Lombardia e Veneto (sono quindici, invece, le richieste dell’Emilia Romagna), fanno un conto molto salato per il resto degli italiani che vivono in regioni con i redditi più bassi e quindi con un monte inferiore di imposte erariali. Perché il trucco ordito a danno del Mezzogiorno sta tutto lì: legare le risorse alle entrate fiscali generate dal territorio regionale, imponendo che le stesse, ripartite per le materie di competenza, possano aumentare solo se aumenta il gettito, ma mai scendere al di sotto di quelle attuali. Infatti, si pretende che le risorse dallo Stato centrale debbano essere definite sulla base del fabbisogno standard, e cioè della quantità di servizi attivati e già presenti sul territorio e sulla base dei tributi versati in quel territorio. Il che equivale a dire che i diritti degli italiani saranno stabiliti sulla base del reddito disponibile.
Le risorse saranno legate ai settori su cui si chiede completa autonomia: ticket e farmaci, compartecipazione della spesa in sanità per i cittadini; politiche del lavoro, incentivi alle assunzioni. E ancora, cassa integrazione guadagni e l’utilizzazione dei fondi della cassa integrazione in deroga anche per incentivare le imprese del territorio.
Inoltre, Lombardia e Veneto chiedono mani libere sul fisco, e cioè la totale possibilità di scegliere sulle aliquote fiscali locali. Così come chiedono di essere separate dai conti dello Stato rispetto alle regole sul pareggio di bilancio, maledettamente inserito nell'articolo 81 della Costituzione, che a questo punto resterebbe in vigore per tutto il resto del paese, e in particolare continuerebbe a strozzare proprio le realtà più deboli; enti locali che pur avendo avanzi di cassa non possono spendere quando ne avrebbero bisogno per migliorare servizi e fare investimenti. Mentre Zaia e Fontana potrebbero fare quello che vogliono senza alcun vincolo né regola.
C'è però una cosa che non dicono i leghisti, quando frignano sul gettito dei tributi e sul residuo fiscale, e cioè che già oggi lo Stato spende ogni anno per un cittadino lombardo circa 14.000 euro, mentre appena 10.000 euro vengono spesi per un cittadino pugliese. Una disparità in campo già adesso, che significa disparità di servizi, di opportunità, di salute, di futuro. Se ancora non bastasse, nel decreto semplificazione c'è la cessione gratuita dallo Stato alle regioni delle centrali idro-elettriche, con la possibilità per le regioni di cederle ai privati.
Si tratta di un vero massacro per l’unità nazionale, per la coesione sociale e per il principio di uguaglianza assicurato dalla Carta costituzionale. Vanno ringraziati pubblicamente intellettuali, professori, esponenti del mondo accademico italiano, con in testa Gianfranco Viesti, che da mesi provano in qualunque modo a rompere il muro del silenzio intorno a questa vicenda, per fare in modo che diventi oggetto di un dibattito pubblico in tutta Italia.
La priorità è fermare questo tentativo di mettere in atto una vera propria secessione dei ricchi dalla quale non si potrebbe più tornare indietro. Per questo sarà necessaria la mobilitazione non solo del Mezzogiorno e di tutte le forze civili, sociali e intellettuali di cui il Sud è ricco, ma di tutti gli italiani perché di fronte a uno scempio del genere non si può tacere e si deve agire per fermarlo. Innanzitutto mettendo il Parlamento nella condizione di scegliere e decidere. In secondo luogo, consentendo un dibattito nel paese in cui abbiano la voce anche i più diretti interessati: i cittadini del Sud che, ormai è chiaro, riceveranno solo i danni prodotti da questo progetto sconsiderato.
Proprio per i pericoli che si annidano in questa fase e, considerate le difficoltà che con la crisi e la stagnazione da cui il Sud è stato investito, occorre che si metta in piedi anche un dibattito serio e aggiornato sulla vicenda meridionale. Serve un grande confronto tra le forze del paese per arrivare a una conclusione condivisa su almeno un punto: che la questione meridionale sussiste ancora in tutta la sua gravità, e si tratta di una vicenda da cui dipendono le sorti di tutto il Paese.
La sinistra, com’è sempre avvenuto nella storia nazionale, deve fare la sua parte nel dibattito sul Mezzogiorno e offrire le sue proposte. Anche in un momento di