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Pianeta d'acqua - Parte prima
Pianeta d'acqua - Parte prima
Pianeta d'acqua - Parte prima
E-book291 pagine4 ore

Pianeta d'acqua - Parte prima

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Info su questo ebook

Pianeta d’Acqua – Prima Parte è il primo di tre romanzi. Il protagonista è Giulio, un antropologo spaziale in viaggio versoun mondo che rifiuta di sottomettersi al dominio dell’Impero Terrestre. Giulio, dopo che l’equipaggio che lo accompagnaentra in contatto con una telepata, viene spedito da solo verso questo pianeta a lui sconosciuto, che scoprirà abitato da esseriumani, proprio come lui.Qui conosce Rosanna e si imbarca sulla sua penice, partendo alla scoperta di luoghi nuovi, incontrando personaggi particolari e facendosi diversi amici.Purtroppo, la minaccia dell’Impero incombe su di loro e le intenzioni della grande potenza interplanetare sono terribili. Accompagnato dal suo fedele pilota automatico Filippo, toccherà a Giulio salvare quel mondo ormai condannato all’estinzione.
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2019
ISBN9788867829309
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    Anteprima del libro

    Pianeta d'acqua - Parte prima - Sergio B. Cena

    Pianeta

    d’Acqua

    Sergio B. Cena

    Parte Prima

    Pianeta d’Acqua - Parte Prima

    Sergio Bruno Cena

    © Editrice GDS

    Via per Pozzo, 34

    20069 Vaprio D’Adda (MI)

    www.gdsedizioni.it

    Ogni riferimento dell’opera a cose, luoghi, persone

    e altro è da ritenersi del tutto casuale.

    Illustrazioni: Sergio Bruno Cena

    Tutti i diritti sono riservati.

    CAPITOLO I

    Sullo schermo il pianeta non appariva più grosso di un pisello, esattamente come tre ore prima. Non fosse stato per il ronzare dei motori, si avrebbe avuto l’impressione che l’astronave fosse immobile.

    Giulio Langa distolse lo sguardo dallo schermo, diede un’occhiata all’orologio da polso e scosse il capo; ci doveva essere un problema, ma se c’era un problema, perché il comandante non ne dava comunicazione all’equipaggio? Forse era normale routine e prima di accostare il pianeta occorreva raccogliere i dati necessari, ma fosse stato così, perché tenersi tanto alla larga?

    Giulio si avviò lungo il corridoio che portava alla sala bar con la sgradevole sensazione che vi fosse un impiccio. Di fronte al banco rispose al sorriso della cameriera e ordinò un caffè.

    Per caso avete idea del perché giriamo attorno al pianeta senza accostare? chiese la voce acuta della cameriera.

    Giulio si volse a dare un’occhiata al monitor, al centro del quale il pisello continuava a rifiutarsi di aumentare di formato.

    Non ne so niente, rispose infine.

    Qualcosa proprio non va, riprese la cameriera, non ho mai visto fare tante cerimonie prima di entrare in orbita.

    Giulio osservò attentamente la cameriera, non era così giovane come poteva apparire a un primo sguardo, come stavano a dimostrare il numero degli anelli che formavano i centosei tentacoli della razza Oibò.

    Fate questo lavoro da molto tempo?

    È la mia settantacinquesima crociera.

    E voi dite che l’accostamento a un pianeta richiede sempre meno tempo?

    Ne richiede giusto quanto ne occorre per mettersi in orbita.

    Anche nel caso di un pianeta sconosciuto?

    Questa è un’astronave da crociera e un’astronave da crociera non gira intorno a pianeti sconosciuti, quello è compito degli esploratori.

    Vero, rispose Giulio un po’ piccato dalla precisazione.

    Però so per certo che nessuno ha mai messo piede su questo pianeta.

    Non è l’antropologo della spedizione lei? chiese la cameriera facendo delicatamente scivolare con un tentacolo la tazza fumante di caffè bollente verso il suo interlocutore.

    Giulio afferrò la tazza e assentì col capo.

    Allora è perché sanno che laggiù c’è gente e per saperlo non si sono di certo affidati a una veggente.

    Giulio soffiò nella tazza, poi rispose: Questo è un altro bel mistero.

    Già, già, gluglutò la cameriera.

    Giulio sapeva, dal dossier che aveva studiato, della missione di esplorazione che aveva accostato il pianeta molti anni prima, ma per qualche motivo rimasto ignoto non era atterrata. Certo l’atterraggio era un particolare di secondaria importanza, tutto cosa doveva fare un esploratore poteva farlo dall’astronave, salvo entrare in contatto con gli indigeni, dunque l’esploratore aveva svolto il lavoro che gli competeva puntigliosamente e aveva inviato i dati al centro interstellare ma, per qualche ragione sconosciuta, aveva deciso di non atterrare e nessuno seppe mai il motivo di quella decisione, perché l’esploratore era scomparso nel nulla con tutto il suo equipaggio. Tre anni prima della loro missione, sulle tracce del primo, un secondo esploratore aveva accostato il pianeta, o almeno aveva cercato di farlo, perché prima di entrare in orbita l’astronave pareva fosse impazzita e, presa la tangente, fosse precipitata su Antares IV, il sole di X-W 6-9 -15-O, il pianeta in questione.

    Comunque non è per prudenza se ce ne restiamo a questa distanza, disse sempre più convinto che qualcosa non andasse per il verso giusto.

    La cameriera scrollò un paio delle dodici escrescenze che gli servivano da testa e appoggiò una matassa di tentacoli sul banco.

    Conosco i precedenti di quella palla di fango, ma sono d’accordo con lei: non serve a niente starcene qui, se così fosse tanto sarebbe valso restarcene a casa.

    Giulio terminò di bere il caffè e, fatto un cenno di saluto, ritornò sui propri passi nel corridoio, diretto alla sala di comando.

    Dai dati in suo possesso, non potevano essere gli abitanti del pianeta la causa di tanta circospezione. Per quanto ne sapesse, si trattava di un mondo di classe C, vale a dire abitato da una popolazione indigena allo stadio agricolo con qualche rudimento tecnologico, grossomodo sul tipo XVIII secolo terrestre. Inoltre il rapporto del primo esploratore non aveva menzionato nessuna installazione aliena né alcuna anomalia di nessun tipo.

    Varcando la porta della sala comando, Giulio era veramente curioso di conoscere i motivi che avrebbe addotto il comandante per giustificare il suo tentennamento. Appena entrato nella sala però gli passò ogni voglia di porre domande. Il capitano Olaf Ingherson e l’ufficiale di rotta Piet Moret erano pallidi come cadaveri. Vedendolo entrare, il capitano Ingherson fece un gesto in direzione di Giulio, indicandogli di avvicinarsi.

    Abbiamo capito come il secondo esploratore sia andato a spiaccicarsi sul sole.

    Cosa avete intenzione di farmi capire? chiese Giulio, conoscendo ormai abbastanza bene Olaf Ingherson per sapere che solo un gravissimo pericolo poteva ridurlo in quello stato dalle tinte cadaveriche.

    I comandi non rispondono, i motori si stanno portando al massimo e nonostante questo siamo immobili. Se la forza che ci blocca svanisse all’improvviso, l’astronave diventerebbe come un sasso lanciato da una fionda e... il capitano Olaf Ingherson esitò un attimo: con le stesse probabilità che avrebbe un sasso di essere manovrata.

    Non ho mai sentito parlare di simili forze. Di cosa si tratta? chiese Giulio, cercando di non lasciarsi afferrare dal panico."

    Nessuno ne sa niente, rispose il comandante Olaf Ingherson, quasi sicuramente si tratta di una forza artificiale. Come si potrebbe dire...?

    Una cintura di protezione per protegge il pianeta da eventuali aggressori, precisò Piet Moret.

    Ecco, esatto, concesse il comandante Olaf Ingherson, un involucro protegge il pianeta da ogni pericolo naturale o meno. E, se fosse come pensiamo, prima o poi saremmo scagliati lontano dalla forza di attrazione del pianeta, la qual cosa significa che saremo inghiottiti da Antares IV.

    Certo, può essere solo una forza artificiale, convenne Giulio, altrimenti il primo esploratore non sarebbe riuscito ad accostare il pianeta.

    Lo pensiamo anche noi, confermò il comandante Olaf Ingherson, però gli indigeni non hanno la capacità tecnologica di creare un accidenti del genere.

    Lo so, rispose Giulio, cercando di razionalizzare la cosa, ma potrebbe trattarsi di una colonia aliena stabilitasi sul pianeta.

    Non capisco da dove le esca quest’idea di alieni, comunque il primo esploratore non ha menzionato proprio nessuna colonia...

    Il comandante fu interrotto dall’ufficiale di rotta.

    Per dirla tutta, può essere possibile che una colonia aliena sia apparsa dal nulla e si sia stabilita sul pianeta dopo la visita del primo esploratore, ma vuoi siano gli indigeni o altri ad aver creato questa fascia protettiva, ci cambia poco le cose, il fatto è che il capitano e io durante il nostro turno di riposo abbiamo fatto lo stesso sogno...

    Il capitano Olaf Ingherson rise nervosamente, ma non accennò a interrompere l’ufficiale, il quale continuò a voce bassa: In effetti né il comandante né io sappiamo se si sia trattato veramente di un sogno. Voglio dire: non erano immagini, ma una voce che ci imponeva di cambiare rotta e ritornare da dove siamo venuti.

    L’incredibile, aggiunse il capitano Olaf Ingherson, "è che al risveglio abbiamo ricordato esattamente le parole del sogno e a entrambi è venuta l’idea di scriverle, ma ad essere ancora più strambo sono le parole: coincidono perfettamente.

    Giulio non era del tutto stupito, più volte si era trovato di fronte a popolazioni in grado di comunicare telepaticamente, ma poiché si trattava di avvenimenti di poco conto, queste capacità non erano prese sul serio dagli ambienti scientifici, relegandole nell’ambito delle curiosità, quando non delle manifestazioni folcloristiche. Restava però il fatto che tali capacità esistevano e, se sin ora non si era a conoscenza di popoli in grado di dominarle completamente, non si poteva negare, almeno in teoria, che queste potessero evolversi sino a diventare un efficace strumento di comunicazione.

    Posso vedere i biglietti su cui avete riportato le parole del sogno? chiese infine Giulio, rendendosi conto che la cosa stava diventando di sua competenza.

    Il comandante Olaf Ingherson si frugò nelle tasche della giacca e gli tese un foglietto stropicciato. Mentre l’ufficiale di rotta frugava tra le carte che occupavano il suo piano di lavoro, Giulio lesse le parole scarabocchiate: Inutile cercare di venire sino a noi, cercate invece di approfittare dell’unica possibilità che vi si presenterà per allontanarvi definitivamente dal nostro pianeta.

    Ecco l’ho trovato, informò l’ufficiale di rotta sventolando un tovagliolo di carta, qua e là sporco di cioccolata.

    Giulio lo afferrò e lesse tali e quali le stesse parole, evidentemente scritte prima che i due sospettassero di essere nei guai.

    Cosa ne pensa, è possibile? chiese il comandante Olaf Ingherson.

    Se non avete deciso di prendermi per i fondelli, questi due pezzi di carta lo testimoniano. Anche se il messaggio è breve, non c’è praticamente nessuna possibilità che due persone possano scrivere le stesse parole nello stesso ordine e, probabilmente, nel medesimo lasso di tempo. Può trattarsi in effetti di un messaggio telepatico e dubito che uno di voi due possa averlo trasmesso all’altro, non con cosa sta succedendo all’astronave. Ad ogni modo non credo si corra seriamente un pericolo.

    Cosa glielo fa pensare? chiese Piet Moret, che continuava a essere pallido da far paura.

    Il messaggio telepatico parla di una possibilità, unica è vero, ma non dovrebbe ancora essersi presentata. Giulio esitò, strizzò nervosamente gli occhi, poi riprese: ...Almeno per quanto ne so.

    Se non è passata inosservata, mormorò il capitano Olaf Ingherson, la stiamo ancora attendendo.

    Piet Moret scosse vigorosamente il capo e precisò: Ho letto e riletto i dati registrati durante il periodo in cui era innestato il pilota automatico. Dal momento in cui l’astronave si è arrestata, niente dimostra che avremmo potuto in un qualsiasi momento disincagliarci.

    E avete pensato di fare marcia indietro? chiese Giulio.

    Il capitano rise allegramente e un leggero colorito ridiede vita al viso tirato.

    Mio caro professor Langa, davvero lei non ne sa molto di come funziona un’astronave, vero?

    Vero, sono ben lungi da capirne qualcosa, ammise Giulio.

    Allora lo sappia, un’astronave non è concepita come un vaporetto del ventesimo secolo. Se volessimo ritornare per dove siamo venuti ci toccherebbe fare il periplo del pianeta e la manovra richiederebbe un bel paio d’ore.

    Magnifico! esclamò Giulio per nulla ammirato del modo in cui l’astronave era stata concepita.

    Non prendetela su quel tono, replicò il capitano Olaf Ingherson, questo accidenti è lungo due chilometri e seicentocinquanta metri, è largo trecentocinquanta metri e alto ottanta, tutto questo rappresenta una rispettabile mole e i motori ionici di crociera sono già sufficientemente complessi per aggiungervi un’inversione di marcia sino a oggi assolutamente inutile. Noi stiamo vivendo un’eccezione e, per quanto sbizzarrisca la mia fantasia, non vedo assolutamente un altro caso in cui sarebbe utile farle fare marcia indietro.

    Le credo sulla parola, disse frettolosamente Giulio, temendo che il capitano entrasse in particolari tecnici di cui non avrebbe capito un’acca, poi aggiunse: Siete sicuri di non farvi sfuggire la possibilità di cui si è parlato?

    L’unica possibilità è che la barriera venga disattivata, spiegò il capitano Olaf Ingherson, se questo succedesse, i motori spingerebbero in avanti l’astronave e, anche se noi non ne risentiremmo alcun effetto, gli strumenti di bordo registrerebbero la modificazione di situazione e quella pallina là sullo schermo aumenterebbe di volume. Neanche al più sbadato degli idioti la cosa potrebbe passare inosservata.

    Resta da sapere cosa deciderete in quel momento, disse come tra sé e sé Giulio.

    Può starne sicuro, farò il periplo del pianeta e mi allontanerò da questo maledetto sistema solare il più in fretta possibile.

    Spero che quelli laggiù la stiano ascoltando.

    Il problema è sapere dove andare una volta via di qui, intervenne Piet Moret.

    Diavolo, torniamo a casa, esclamò sorpreso Giulio.

    Temo proprio non sia possibile, disse calmo il capitano Olaf Ingherson.

    Giulio lanciò un’occhiata interrogativa al capitano, il quale per tutta risposta si lasciò andare seduto su una delle poltroncine del posto di pilotaggio.

    Ha mai sentito parlare di missioni del tipo AZ Assoluto? chiese infine.

    Senza attendere risposta, il comandante continuò: In un tipo di missione del genere se non ci si dà le possibilità di portarle a termine si diventa dei paria. Nessuna possibilità di scalo su uno qualunque dei pianeti colonizzati e questo sarebbe ancora niente, non fosse che al contempo si diventa il bersaglio di ogni incrociatore militare. L’unica via di scampo è di accostare un pianeta non colonizzato e spedire l’astronave il più lontano possibile per far perdere le tracce. Comunque vada a finire questa storia, non finirà certo gloria.

    So cos’è una missione AZ assoluto, capitano, rispose Giulio, cercando di restare impassibile, ma le faccio presente che per missioni di questo tipo occorre anche l’assenso di tutti i componenti dell’equipaggio civile, mentre io non ne sono stato informato e con me, con ogni probabilità, molti altri.

    Il capitano Olaf Ingherson scosse tristemente il capo e con tono imbarazzato rispose: Questo è stato vero sino a qualche tempo fa, cioè sin quando la commissione governativa centrale non ha messo ai voti una modifica sostanziale del regolamento.

    E quali sarebbero queste modifiche? interruppe Giulio, a cui riusciva sempre più difficile contenere l’ira che sentiva crescere in lui.

    Il comandante Olaf Ingherson lanciò un’occhiata all’ufficiale di rotta, come se si aspettasse un aiuto, ma Piet Moret non intervenne.

    Tormentandosi le mani, il comandante Olaf Ingherson disse a occhi bassi: Ecco, secondo le modifiche votate dalla commissione governativa, per rendere operante una missione AZ assoluto è sufficiente ottenere l’accettazione del personale militare...

    Come sarebbe a dire?! sbottò Giulio, Il personale militare è composto dal comandante, dal suo vice, dall’ufficiale di rotta e da una manciata di guardie. Un po’ poco sulle centosedici persone del personale di bordo, per non parlare degli specialisti, come nel mio caso.

    Il comandante Olaf Ingherson allargò le braccia rassegnato.

    Ascolti comandante, riprese Giulio, non volendo credere alle parole dell’ufficiale, non è possibile che per missioni del genere sia sufficiente il solo consenso di tre kamikaze. Nessuno, può decidere della vita degli altri. Nessuno, capisce?"

    Posso dire una parola?

    Giulio si voltò a guardare Piet Moret che era intervenuto.

    La mia è una scappatoia, ma in verità lei è stato militarizzato e in quanto militare deve obbedire agli ordini. Il fatto sia stato militarizzato a sua insaputa, come d’altronde tutto il resto dell’equipaggio, sarà anche scandaloso, ma ciò non toglie che anche se ne foste stati tutti a conoscenza, non avreste potuto rifiutare di salire a bordo del Westfalia.

    Avrei potuto opporre il mio rifiuto e con me tutti gli altri.

    Sarebbe stato condannato come renitente o come disertore.

    Non me ne importa niente, ad ogni modo avrei potuto comunque far valere il mio rifiuto.

    Aspetti, aspetti un attimo, intervenne il comandante Olaf Ingherson, interrompendo il battibecco, cerchi di capire, professor Langa, mettere insieme un equipaggio, come dice lei, di kamikaze, richiede tempo, mette in imbarazzo il governo e i media farebbero un baccano tale da rendere la missione impossibile.

    Allora? fece acido Giulio.

    Allora diciamocelo chiaro: la democrazia è una gran bella istituzione sinché non ci si trova di fronte a impellenti urgenze, allora il sistema si rivela inefficace e poi... poi è risaputo, quel che si chiama pomposamente democrazia non è nient’altro di un’altalena di giochi di potere, un continuo venire a patti per proteggere i propri interessi, un fottuto sistema fondato sulla corruzione. Ma cosa crede? Se ce ne fosse stato il tempo, il vostro fottutissimo sistema democratico non avrebbe saputo manipolare i media, inventarsi una campagna promozionale, facendo accorrere migliaia di volontari, uno più cretino dell’altro, abbagliati dalla fata Morgana creata da vuoti discorsi patriottici? Quelli della commissione governativa conoscono bene queste cose e hanno semplicemente deciso di tagliar corto con le demenze. Bisogna pur ammetterlo: la democrazia ha i suoi limiti e i suoi limiti sono tracciati là dove cominciano le cose serie.

    Giulio si cacciò le mani nelle tasche della tuta termica e disse con voce roca: Lei è un militare e può concepire il mondo solo come una sequenza di ordini impartiti e ricevuti. Convengo con lei, il sistema che da secoli si suol chiamare democratico è una schifezza assoluta, semplicemente perché di democratico ha solo il nome, ma lei deve convenire con me che mettermi di fronte al fatto compiuto non significa necessariamente che io mi adegui. Non so quale sarà il nostro futuro, ma ne sia certo, non potrà in alcun modo far conto su di me.

    Sbaglia professor Langa, eccome se si sbaglia, replicò freddamente il comandante Olaf Ingherson, la non collaborazione da parte sua avrebbe un senso se non ci trovassimo in una impasse ma, visto come stanno le cose, noi non apparteniamo più al nostro mondo. Abbiamo fallito e siamo stati radiati dalla società civile. Della sua ribellione quelli sulla Terra se ne strasbattono. Per loro, lei non esistete più e noi con voi. Ora siamo noi la società.

    No comandante, replicò secco Giulio, non finché questa società non l’avrà giudicato e condannato insieme ai suoi due subalterni.

    Infine, siamo nello stesso paniere! protestò Piet Moret.

    Non so per quale ragione e non lo voglio sapere, ma voi avete accettato di partecipare a questa spedizione conoscendone i rischi, ma avete anche accettato che l’equipaggio fosse all’oscuro del pericolo che correva. Non so come voi chiamiate i vostri consimili, da parte mia li chiamo semplicemente stronzi.

    Bene, perfetto fece il comandante Olaf Ingherson, che stranamente pareva sollevato, ora, essendosi sfogato e fornitoci il suo punto di vista, cosa decide di fare?

    Voglio mettere al corrente l’equipaggio della vostra sacrosanta stronzata, istituire un tribunale, giudicarvi e sbattervi fuori dall’astronave.

    Proprio un bel programmino, rispose Piet Moret, ma perché ci condannate prima di processarci?

    Siete rei confessi, ci vuole altro?

    Magnifico, intervenne il comandante Olaf Ingherson, e chi sarà poi a pilotare l’astronave?

    Il comandante Olaf Ingherson teneva il coltello per il manico, Giulio lo sapeva, ma non c’era ragione di metterlo al corrente, così rispose: "Di questo non dovete preoccuparvi. Quando ci porremo la questione voi sarete solo più dei blocchi di ghiaccio volteggianti graziosamente nello spazio siderale.

    Il comandante Olaf Ingherson sospirò, si mise comodo sulla poltroncina, poi disse con voce opaca: Professor Langa, non le è venuto in mente che se siamo stati tanto sinceri con lei è perché o si sarebbe dimostrato ragionevole e dalla nostra parte o, in caso contrario, l’avremmo messa nell’impossibilità di nuocere?"

    Sicuro ci ho pensato. Giulio sorrise, "per questo da un pezzo ho attivato l’interfono collegato con i locali dell’astronave.

    Giulio fece un passo di lato, rivelando la lucetta rossa indicante l’interfono in funzione.

    Il volto del comandante Olaf Ingherson per la prima volta si indurì, ma fu la voce dell’ufficiale di rotta Piet Moret a riassumere la situazione: Siamo fottuti.

    A dire il vero Giulio aveva acceso l’interfono solo da pochi secondi e sicuramente i membri dell’equipaggio si stavano chiedendo cosa diavolo stesse succedendo, ma il comandante Olaf Ingherson e l’ufficiale di rotta non potevano saperlo, così riprese tranquillamente a parlare: "Tutti devono essere al corrente che avete trascinato l’equipaggio a sua insaputa in una missione AZ assoluto, ed avete fallito il vostro obiettivo facendoci trovare ad essere dei paria dei cieli, e questo nella migliore delle ipotesi, perché per il momento siamo prigionieri di una morsa invisibile che se non allenterà le sue mandibole o se le allenterà troppo in fretta, ci ridurrà ad atomi vaganti nello spazio. È vero, ci troviamo in una situazione a dir poco disperata, ma ciò non significa ci si debba abbandonare ad atti inconsulti e, visto che voi, comandante Ingherson e Piet Moret, ufficiale di rotta e Lydia Scrammer, vice comandante, siete gli unici a poterci trarre d’impaccio, voglio fare un patto con voi: la vostra vita contro la vostra utilità.

    E se fossimo noi a non voler collaborare ora? chiese sarcastico il comandante Olaf Ingherson.

    Come le voci avevano cominciato a uscire a fiotti dagli altoparlanti dell’interfono, la bella e seducente Lydia Scrammer aveva subito capito cosa stesse succedendo e si era lanciata in una corsa disperata lungo i corridoi per raggiungere la cabina di comando per avvertire il comandante che nessuno dell’equipaggio poteva aver interpretato nel giusto

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