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Pianeta d'Acqua - Parte Seconda
Pianeta d'Acqua - Parte Seconda
Pianeta d'Acqua - Parte Seconda
E-book203 pagine2 ore

Pianeta d'Acqua - Parte Seconda

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Info su questo ebook

Pianeta d’Acqua – Parte Seconda è il secondo di tre romanzi. Tor, abitante del mondo salvato da Giulio e Filippo, è un montanaro che improvvisamente abbandona la sua vita di ogni giorno e raggiunge un porto, fiducioso nelle parole del meditante con cui è in contatto. Qui incontra Rosanna e Giulia,compagne di viaggio dell’ormai defunto Giulio, e scopre di essere uguale e identico a quell’uomo venuto dallo spazio cheha difeso con la vita il loro pianeta.
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2019
ISBN9788867829323
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    Anteprima del libro

    Pianeta d'Acqua - Parte Seconda - Sergio B.Cena

    Pianeta

    d’Acqua

    Sergio B. Cena

    Parte Seconda

    Pianeta d’Acqua - Parte Seconda

    Sergio Bruno Cena

    © Editrice GDS

    Via per Pozzo, 34

    20069 Vaprio D’Adda (MI)

    www.gdsedizioni.it

    Ogni riferimento dell’opera a cose, luoghi, persone

    e altro è da ritenersi del tutto casuale.

    Illustrazioni: Sergio Bruno Cena

    Tutti i diritti sono riservati.

    CAPITOLO I

    Quando si sparse la notizia che l’astronave inviata per distruggere il pianeta era stata dirottata verso Terra II, ed erano infime le possibilità che una tale aggressione potesse ancora ripetersi, gli abitanti di Nuova Europa conobbero un momento di felicità collettiva senza eguale in tutta la storia della loro collettività. Il sacrificio di Giulio Langa passò quasi inosservato, infatti quando la navetta che ne trasportava il cadavere si depose al suolo, erano presenti solo i componenti della famiglia di Olga, più Rosanna e Giulia, le quali restarono sull’isola sinché il corpo di Giulio non fu cremato e le sue ceneri deposte all’interno della navetta, poiché era opinione comune che quell’uomo venuto dallo spazio siderale, meritasse almeno un simulacro di mausoleo.

    Tuttavia, un uomo, che passava la vita tra i monti, cominciò a sentirsi invaso da un vago senso di incompiutezza, di colpa misteriosa, come chi si astiene dal compiere un sacrosanto dovere e non può perdonarselo.

    Da diversi giorni Tor era in preda a questo sentimento, ma non gli riusciva di definirlo e, proprio per questo, lo innervosiva, lo rendeva insonne e sbadato nella cura della stalla. Consapevole di non poter rimestare ancora a lungo in un mistero indefinibile, volendo chiarirlo, decise di andare a trovare il suo amico Urg, un meditante che passava l’esistenza in una valletta appartata, poco oltre l’ultimo pascolo di cui si serviva per il bestiame.

    Era partito di buon ora, dopo una notte passata in bianco e il sole non si era ancora completamente levato, quando giunse ai piedi del monticello su cui riposava il cono del meditante.

    Hai finito per venire ancora un volta, vecchio zuccone, gli disse la voce del meditante nel suo cervello

    Non sono né vecchio né zuccone, precisò Tor, limitandosi poi a tacere, senza spiegare il perché della sua visita.

    Però sei suscettibile e stranamente taciturno, commentò il meditante.

    Sei tu a non farmi più vivere, di questo ne sono sicuro, disse Tor, osservando il cono grigio senza rancore.

    È vero, non sei uno zuccone, ma cosa ti aspetti da me?

    Finiamola di prenderci in giro. Lo sai benissimo perché sono qui.

    Va bene, come vuoi, disse la voce divertita del meditante nel suo cervello. Cosa ne pensi di quell’uomo venuto dallo spazio, che ha sacrificato la sua vita affinché tu possa continuare a strizzare le tette delle tue vacche?

    Sul volto di Tor si dipinse un moto di sorpresa, ma rispose tranquillo: Quell’uomo non era nemmeno al corrente della mia esistenza.

    Vero, ma se tu continui a strizzare tette di vacca è solo grazie a lui.

    Ognuno di noi su questo pianeta può dire altrettanto. Anche tu, vecchio mio.

    Noi meditanti abbiamo trovato il modo di ringraziarlo. Non chiedermi come, ché non potresti ancora capire, ma lo abbiamo fatto. Ora sei tu a dover fare qualcosa per lui.

    Tor si leccò pensosamente le labbra, poi con voce incerta chiese: Cosa può fare un vaccaro come me per qualcuno morto e incenerito?

    Per esempio smettere di fare il vaccaro e scendere al pontile delle vigne per aspettare il passaggio della penice.

    Per andare dove? chiese Tor, sempre più perplesso.

    Non troveresti noiosa la vita se sapessi con certezza cosa sta per succederti passo dopo passo?

    Non ricominciare con i tuoi soliti indovinelli, esplose Tor spazientito. E poi, come farei a venirti a trovare se me ne vado lontano, ci hai pensato a questo?

    Non c’è nessun bisogno della vicinanza fisica affinché noi si possa comunicare, questo lo sai da un pezzo e ancora mi è difficile capire perché insisti a venire sin qui quando vuoi parlare con me.

    Tor abbassò il capo. Come poteva far capire ad un meditante cosa fosse la solitudine, quel senso di desolante abbandono che lo coglieva di tanto in tanto e solo la vicinanza di quel cono grigio era capace di fargli riprendere gusto alla vita?

    Lo so, lo so, conosco le tue imperfezioni a menadito, lo informò il meditante. Le capisco talmente da averti persino perdonato l’insolenza di avermi battezzato con quel ridicolo nome.

    Tor ridacchiò imbarazzato: Non avevo intenzione di chiamarti con un nome ridicolo, ma quando ci siamo incontrati la prima volta e tu mi hai parlato, ricordo di aver esclamato Urg! E davvero tu continui a essere una sorpresa per me.

    Sei venuto per sapere cosa devi fare per sciogliere quel nodo che ti stringe lo stomaco. Allora vuoi starmi a sentire o preferisci continuare a blaterare?

    Tor non disse niente, ma si fece attento.

    Prendi il bestiame e portalo da Celso. Lui ha due figli: possono aiutarlo e non vedrà nessun inconveniente ad aggiungerlo al suo, poi fa fagotto. La penice toccherà il pontile tra tre giorni e farai meglio a non perderla.

    Non ci vedremo più, allora, disse Tor con voce piatta.

    Non ti libererai così facilmente di me. Sarò sempre con te, testone. Quando avrai qualche difficoltà rivolgi il pensiero a me e io ti soccorrerò.

    ***

    I meditanti non dicevano mai qualcosa tanto per dire, Tor lo sapeva, allora non perse tempo, e d’altronde non ne aveva molto a disposizione, poiché in tre giorni doveva scendere sino al pontile delle vigne.

    Come gli aveva detto Urg, Celso accolse con allegria il bestiame dirottato verso la sua cascina, ma non capì perché avesse tanta fretta da non potersi nemmeno fermare a pranzo ed era stato ad osservarlo allontanarsi, chiedendosi cosa diavolo fosse a mettergli il fuoco al culo.

    Tor aveva preso a marciare col passo lento ma regolare, proprio della gente di montagna. Non era certo il fagotto che si portava appresso a fargli da zavorra, poiché tutto cosa ora possedeva consisteva solo in un cambio d’abito, qualche formaggetta e un grosso pane. Aveva persino rinunciato al vino, nel timore che il peso potesse rallentarlo. Comunque marciò sino a sera quando, trovata una radura nella selva di pini che stava attraversando, trovò modo di allestire un fuocherello per sentirsi meno solo e si concesse un pasto frugale, consumandolo lentamente, evitando di pensare di star, passo dopo passo, allontanandosi da tutto quanto gli era famigliare per andare incontro all’ignoto. Non si può dire avesse paura, lui si accontentava di poco e sapeva di non avere un carattere difficile e, comunque, a malaparata, avrebbe ben saputo ritrovare la strada di casa. Questo se lo disse, ma solo per consolarsi, perché sapeva sin troppo bene che quando un meditante interveniva nella vita di qualcuno non era certo per farlo tornare al punto di partenza. E con quella certezza nella mente si appoggiò contro un tronco e si appisolò.

    Non abituato a dormire sotto le stelle, Tor finì per svegliarsi non appena si fece giorno. Senza chiedersi che ora fosse, abbrustolì un po’ di pane sulle ceneri ancora calde del falò della sera precedente, tagliò un pezzo di formaggio e sbocconcellando si rimise in marcia. Non c’era mai stato lui al pontile delle vigne, ma, si diceva, se il pontile portava quel nome doveva bene prima o poi incontrare delle vigne e lì avrebbe chiesto dove fosse sistemato il pontile.

    Sul far del mezzogiorno però Tor si trovò di fronte al largo canale dove senza dubbio doveva passare la penice, ma di vigne neppure l’ombra. Dovendo decidere il da farsi, senza alcun motivo di scegliere di proseguire alla sua destra o all’inverso, decise di seguire la corrente. In fondo, si disse, osservando il sentiero costeggiante il fiume, se c’era una strada, da qualche parte doveva pur menare e in due giorni di marcia ci ci sarebbe arrivato.

    La fortuna sembrò essere dalla sua, perché cominciava a risentire la fatica di tutte quelle ore di cammino, quando scorse in lontananza, dopo un’ansa del fiume, qualcosa di nerastro con tutta l’aria di essere un pontile. Col scendere della sera, l’aria si era fatta frizzante, Tor se la sentiva sul volto sudato e non gli dispiaceva proprio per niente, anzi rinforzò in lui l’idea di non rallentare il passo prima di raggiungere il pontile.

    Il posto era davvero strano, desolato e metafisico, con la struttura nera del pontile con le sue assi screpolate, rilucenti stranamente nell’ultimo sole e la riva sabbiosa degradante nella corrente calma e voluttuosa del fiume. Niente a che vedere con l’irruenza dei torrenti di montagna, gli unici corsi d’acqua da lui conosciuti. Se lo disse mentre rimirava la scena e gli piacque scoprire l’acqua tiepida, allora decise di lavarsi. Ci mancherebbe ancora mi presentassi sulla penice che puzzo di caprone, si disse spogliandosi. Cercò una scaglia di sapone, finì per trovarla in fondo al fagotto e si immerse nel fiume.

    Finalmente in pace con se stesso, si insaponò, diede qualche bracciata per liberarsi dalla schiuma, poi tornò verso riva senza risolversi a uscire dall’acqua. Non lo preoccupava il tramonto avanzante. Era allegro nel sapersi nel posto dove doveva essere e di non doversi più preoccupare che la penice potesse transitare in sua assenza. Magari sarebbe rimasto immerso nell’acqua chissà quanto ancora, se il suo sguardo non fosse stato attratto da un melo carico di frutti rosso giallastri.

    Accidempoli, fece Tor, con l’acquolina in bocca, non solo ho trovato il pontile, ma anche il dessert, e allegro balzò fuori dall’acqua per andare a raccattare qualche frutto.

    Stava tranquillamente mangiando mele seduto sul pontile, con le gambe penzoloni e i piedi a fior d’acqua, quando ebbe l’impressione di essere osservato. Si guardò intorno, scrutò verso il folto del bosco, ma niente. Diede un morso alla mela e sentì qualcosa fare Frrr. Abbassò lo sguardo e vide accanto a lui un pesciolino argentato intento ad osservarlo.

    Cosa diavolo sei? chiese masticando. Il tuo posto non dovrebbe essere nell’acqua?

    L’animaletto continuò a guardarlo e rifece: Frrr.

    Cos’è, vorrai mica la mia mela? fece interdetto, ché non gli riusciva di capacitarsi come un pesce potesse starsene tranquillamente fuori dal suo elemento.

    Staccò un pezzetto di mela coi denti e provò a offrirlo al pesce, e quello sembrò gradire.

    Accidempoli, fece Tor, sei un pesce che cammina, respira fuori dall’acqua e mangia le mele. Lo sai di essere una ben strana diavoleria?

    L’animaletto lo guardò con la bocca semiaperta e fece ancora quello strano verso, ma ripetuto: Frrr – frrr.

    Tor lo osservò d’un occhio e scosse le spalle. Non mi stupirebbe capisca cosa gli dico, questo pesce fuor d’acqua, mormorò a se stesso, poi a voce alta: Ascolta piccolo mio, se non hai impegni e ti va di scoprire un po’ il mondo, resta con me: io avrò qualcuno con cui parlare e tu potrai scorrazzare per il pianeta come nessun pesce ha mai fatto…almeno sulla terra ferma, aggiunse dopo un attimo di esitazione.

    Per tutta risposta il pesciolino argentato strofinò la testa contro il palmo della mano che Tor aveva allungato per carezzare l’animaletto.

    Quella notte non dormì bene. Lo tormentava il pensiero che la penice potesse passare nottetempo facendolo restare lì con un palmo di naso. Cosicché di tanto in tanto si svegliava di soprassalto e si metteva a spiare il corso del fiume, tendendo l’orecchio per vedere, non si sa mai, se qualche rumore gli avesse potuto rivelare l’arrivo del battello. E alle prime luci dell’alba in effetti, appena aperti gli occhi, vide una barca avvicinarsi. Con la mente ancora appannata dal sonno, balzò in piedi e si mise a fare ampi gesti per attirare l’attenzione.

    Cosa vi è successo, per caso vi ha preso fuoco la casa? chiese il barcaiolo accostando al pontile.

    È questa la penice? volle sapere Tor, anche se qualcosa gli diceva che non poteva esserlo.

    Vi pare una penice questa barchetta? rispose il barcaiolo scuotendo la testa.

    Sa, non ne ho mai vista una, cosicché non so di cosa si tratti.

    Il barcaiolo saltò dalla barca e data una pacca sulla spalla a Tor gli disse: Se non se ne va a zonzo, com’è fatta una penice lo vedrà tra un paio d’ore, o giù di lì.

    Stia tranquillo, non mi muovo di qui, disse Tor, sentendosi sollevato. io devo partire con quella, e per prenderla ci ho fatto due giorni di marcia.

    Ha mica dormito qui sul pontile? volle sapere il barcaiolo con aria stupita.

    Tor, a quelle parole, si sentì improvvisamente intimidire, ma scosse le spalle dicendo: Non sapevo bene quando sarebbe passata e non volevo mancarla.

    Beh, fece il barcaiolo, se lei avesse guardato dietro quegli alberi, avrebbe visto la fattoria dove abito. Lì l’avrebbero accolto e le avrebbero detto che il battello sarebbe passato solo oggi in mattinata.

    Così dicendo lo prese per un braccio aggiungendo: Venga almeno a far colazione, non c’è pericolo di perdere la penice, deve scaricare e noi abbiamo del pesce secco da imbarcare.

    Il pesciolino della sera prima non si era allontanato da lui.

    Tor se ne accorse, così si chinò per prenderlo e tenendolo tra le mani seguì il barcaiolo.

    ***

    Un’ora più tardi, dopo aver fatto colazione con gli abitanti della fattoria, aiutò il barcaiolo a trasportare sul pontile i sacchi di pesce secco.

    Ne arriva poco lassù, si lamentò Tor. Noi non si ha voglia di sobbarcarci quattro giorni di marcia solo per quello e, al posto di scambio, dove portiamo i formaggi, non ne troviamo quasi mai.

    Devono pensare vi basti il pesce dei torrenti. Dovreste averne a iosa lassù, scusò il barcaiolo, ora sapendo che Tor veniva dalla montagna. Però se lasciaste un messaggio ne trovereste tanto da farvi venire la nausea.

    Accidenti, fece Tor, lo vuole sapere? Non ci è mai venuto in mente di lasciare un messaggio. Noi si pensava ci mandassero quel poco che c’era.

    Ma non vi incontrate mai con nessuno, voi della montagna?

    Con le vacche c’è sempre qualcosa da fare e i formaggi anche richiedono attenzione. Poi d’inverno, con la neve, mica si ha voglia di scendere verso valle e, lassù, l’estate dura poco.

    Il barcaiolo diede un buffetto al pesciolino d’argento che Tor teneva tra le mani e come soprappensiero chiese: Ma lassù voi non vivete in famiglie come noi?

    In teoria sì, confessò Tor, ma c’è il bestiame da portare ai pascoli, così poco a poco ci siamo trovati isolati. Per non fare troppa strada noi e per non farla fare alle bestie. Il latte pesa, sa? E le mucche vanno munte tutti i giorni, poi il latte va lavorato, mica si trasforma in formaggio da solo, c’è anche il fieno da accumulare per l’inverno, insomma noi si fa come si può.

    Diavolo! esclamò il barcaiolo, "Così vi siete trasformati in eremiti solo per darci il piacere di

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