Consapevolezza
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Anteprima del libro
Consapevolezza - Vania Graziani
Graziani
Prefazione:
La morte vista come una rinascita, una possibilità, anziché la fine di tutto.
Roberto il protagonista, in questo viaggio imparerà a guardare oltre e cogliere questo momento come l'inizio della consapevolezza.
Primo giorno
E' l'alba, apro gli occhi, intorno a me c'è un ambiente che non conosco, di cui non ho memoria.
Il soffitto è bianco, i riquadri di cartongesso si alternano ai neon dando una sensazione di freddo.
Alla mia sinistra un grande armadio in acciaio con le ante a scorrimento e lì accanto una pila di bidoni neri, vuoti, impilati uno dentro l'altro. Nella parete ai miei piedi una serie di carrelli coperti da teli verdi.
Lavelli in acciaio, quadrati e bassi sostano poco distanti. Accanto a me due strani letti. Sembrano più barelle in acciaio a guardarle bene!
La stanza è molto grande, laggiù, la parete alla mia destra ha diversi sportelli... quasi fossero celle, sì, guardandole bene sono proprio celle! Dove mi trovo?!
Cerco di fare mente locale mentre mi sento rigido, non riesco a muovermi, ma riesco a guardare tutt'attorno.
Un gran freddo ed una sensazione di pesantezza mista a repulsione mi attanaglia.
E' silenzio attorno, non c'è nessuno.
Guardo il soffitto steso sulla barella, cerco di pensare a cosa può avermi portato lì, in testa ho un vuoto e cerco di ritrovare un filo logico.
Davanti ai miei occhi si susseguono le immagini, le ultime che ricordo:
La serata trascorsa in compagnia di amici, a cena in un ristorante fuori mano, ridendo e divertendoci. Anna non c'era, era a festeggiare con le sue amiche in un altro locale giù al mare. Quella sera stavamo festeggiando l'addio al celibato, si... ora ricordo bene! Il giorno dopo ci saremmo sposati Anna ed io.
La sera era finita, ero in macchina con Gianni che guidava, il vino mi aveva dato alla testa, mentre lui era astemio e conoscendomi voleva riportarmi a casa sano e salvo.
Il buio della notte, il cielo stellato, un quadro bellissimo per quella notte che pareva magica, io e lui dopo l'ennesima serata trascorsa insieme. Alla radio la nostra canzone preferita: La vita è adesso di Claudio Baglioni e i suoi silenzi a cui negli anni mi sono affezionato.
Ho cercato di parlare ma la bocca impastata ed i pensieri confusi si accavallavano nella mente...
La strada, le curve, la notte... poi un flash: un attimo brevissimo di lucidità.
Alzando la testa dal sedile leggermente reclinato, guardai Gianni intento alla guida e gli dissi: <
Lui sorrise e con la sua voce sempre pacata rispose: <
La curva, un'altra... Un'ondata di paura... Stavo gelando ammutolito da quella improvvisa ed apparentemente immotivata sensazione, inoltre mi mancava l'aria.
Gianni non respiro!
Non sono riuscito a dirlo, ma solo a pensarlo. Ho visto Gianni fare una gran frenata mentre cercavo il respiro e non riuscivo a trovarlo annaspando con le mani davanti alla faccia quasi potessi gesticolare le parole che non uscivano.
Poi il buio.
Ho aperto gli occhi ed ho visto alcuni uomini attorno a me, gli operatori del 118. Steso a terra sul ciglio della strada, ricordo l'agitazione di un medico mentre cercava di farmi respirare. Mi echeggiavano dentro le sue parole concitate: <
Come se mi addormentassi, sentivo ancora il vociare attorno a me affievolirsi e quell'eco farsi sempre più lontano: lo stiamo perdendo... lo stiamo...
Poi, fattosi tutto lontano, così confuso e dopo il vuoto, il nulla.
Da lì il tempo si è fermato. Non ho sentito più nulla, non più la sensazione di affanno e quella disperata voglia di respirare.
Che strano ospedale è questo! Tutto sembra, tranne un posto dove si cura la gente.
Non c'è nessuno in questo grande stanzone, nessun medico, nessun infermiere e neppure altri pazienti.
Ho bisogno di capire dove mi trovo e perché sono qui. E soprattutto cosa è successo.
Se quello è accaduto ieri, oggi dovrebbe essere il primo maggio ed io in questa mattina dovrei sposarmi!
Preso da questi pensieri mi sono accorto di essere in piedi con una grande sensazione di leggerezza. Non doveva essere poi così grave quello che mi è accaduto dato che posso alzarmi! Se mi sbrigo magari riesco a non arrivare sempre fuori tempo, come accade spesso nella mia vita.
Oltre la porta dello stanzone c'è un corridoio che porta ad altre stanze, noto però che vi è una porta a scorrimento abbastanza ampia, per cui l'uscita suppongo sia quella.
Oltre questa porta si presenta un lungo corridoio. Sulla mia sinistra, nello snodo del corridoio che forma una S, ci sono due macchine, una per il caffè ed una per le bevande e gli snack. Tutte le porte che si affacciano su questo corridoio sono sullo stesso lato, quindi difronte a me. Ognuna di esse ha un numero all'esterno.
Dal mio lato invece il corrimano scorre lungo tutto il corridoio, lo seguo con gli occhi e noto che l'unica porta aperta è la numero 7.
A grandi falcate la raggiungo, e solo quando mi ci trovo davanti capisco che è l'ufficio, mi sento fortunato, forse sono vicino a risolvere questa situazione.
All'interno una ragazza con il camice grigio è al telefono, per non disturbarla attendo prima di entrare.
<
...Si certo.
No, non si è fatto vedere ancora nessuno. Certo dottore, grazie, a più tardi.>>
Mi sembra maleducato ascoltare la conversazione, ma Rusconi Roberto sono io! Parlava di me, forse questo tana... non so cosa
è un esame che mi faranno, spero non mi sgridino per il fatto che mi sono alzato e soprattutto che mi facciano uscire presto da questo posto.
La porta è aperta, entro.
La ragazza pare non vedermi. Aggrotto la fronte con disapprovazione, sono un metro e ottanta con un fisico ben piazzato, possibile che non mi veda?
Aspetto inutilmente qualche secondo, la ragazza continua come se niente fosse a scrivere su un grande registro.
Non presto molta attenzione a ciò che scrive, sono interdetto ed un po' offeso dalla noncuranza nei miei confronti.
Cerco di trattenere il disappunto e scandisco le parole chiaramente: <
Nulla, non alza nemmeno lo sguardo.
<
Niente da fare...
L'atmosfera si fa quasi ridicola, la ragazza continua ad ignorarmi e la mia irritazione cresce. La guardo fissa e mi avvicino alla scrivania, per un attimo vengo colto da una strana sensazione che ricorda vagamente un fastidio, guardo verso il mio inguine e la scena che si prospetta ai miei occhi mi lascia basito: il tavolo è dentro al mio corpo! O meglio, sono entrato dentro la scrivania!
Agghiacciato ed inorridito mi ritraggo con un balzo all'indietro.
Il terrore si estende nei miei occhi per il presagio che diventa quasi certezza.
La ragazza si alza, sulla porta sono arrivate delle persone.
Sono stordito, disorientato. Me ne sto impietrito cercando di capire: Sono morto?!
Come è possibile?! Sono qui in piedi e sono morto?!
Dalla porta entra un viso familiare.
Gli occhi tristi, umidi; i capelli fermati sulla nuca con un fermaglio. La corporatura minuta, raccolta su se stessa e nelle mani dei vestiti. Le labbra chiuse in una morsa di dolore.
Accanto alla donna c'è un ragazzo alto, biondo, con i capelli corti. Indossa una maglietta nera ed un pantalone color nocciola; la sua mano appoggiata sulla spalla della donna.
La ragazza dal camice grigio li saluta con cortesia e si avvicina a loro invitandoli ad entrare in ufficio.
Guardo la donna dall'aria tanto familiare, mi colpisce il suo dolore, lo emana come fosse un forte profumo e provo un senso di stordimento... Ma... E' la mia ragazza!
Sembra tutto così assurdo, perché questa sensazione di sentirmi così lontano?!
Eppure sono qui.
<
<
<
Le parole di quell'uomo esprimono chiarezza, dolore e tanta dolcezza nei confronti di Anna, la mia fidanzata.
<
La voce della ragazza dell'ufficio mi risuona dentro. Capisco??
Cosa capisce, io sono qui, sono morto e lei capisce!
Mi porto la mano al petto preso da una grande ansia: Oddio che sensazione! E' un brutto sogno, io mi devo sposare oggi, non posso essere morto! E ... oddio non ho più un cuore che batte!
Tasto meglio... l'angoscia si fa sempre più grande ed io continuo a non capire.
Non era questa l'idea che avevo della morte. Non è arrivato nessuno qui a prendermi, mi trovo in un posto che non so cos'è e nessuno che faccia caso a me, che ci sia stato un errore?!
<
Anna sta mostrando ciò che teneva stretto nelle mani appoggiando pezzo dopo pezzo su un tavolino: le mutande, i calzini, le scarpe... ha un sussulto e trattiene invano due grosse lacrime.
<
La commozione è forte e non riesce a trattenersi intanto che la ragazza dal camice grigio ripone tutto nella borsa di nylon, Anna si stringe a Gianni con un pianto sommesso.
Gianni è il mio migliore amico, è stato il compagno di mille avventure fin da quando eravamo bambini. E' il mio vicino di casa, il mio confidente, la mia spalla, il palo quando andavamo a rubare la frutta per i campi con le nostre biciclette coloratissime, Gianni è una parte di me e oggi sarebbe stato il testimone delle mie nozze.
Gianni... l'amico di sempre è qui, con addosso gli stessi panni della sera prima e non mi vede.
Per la prima volta non può aiutarmi, per la prima volta sento il suo dolore essere il mio e per la prima volta mi sento così tremendamente lontano da lui.
Sulla sporta dei miei panni viene attaccato un cartellino azzurro con sopra il mio nome, la sportina infilata nella gruccia che sostiene il mio doppiopetto blu ed il tutto è appeso nel porta abiti dell'ufficio.
La ragazza chiede ad Anna i suoi dati, il suo numero di telefono e le consegna un foglio.
347... 21... 9... Com'è? Quattro forse, sembra che la mia memoria si stia perdendo, che strano! Succede anche questo quando si muore?!
Anna scambia qualche parola con la ragazza dell'ufficio a proposito di noi, dopo di
Ché la fioca luce che si è accesa in quell'istante nei suoi occhi si spegne, si richiude in sé stessa e saluta con cortesia e distacco.
<
<>
I due si avviano verso l'uscita mentre io, preso da un'ondata di dolore mi sento scoppiare dentro.
Gridare? Piangere? Cosa c'è che posso fare per togliermi questo dolore che sembra così pesante e mi stringe come non mai!? Devo uscire da questa stanza, forse troverò pace se mi sposto.
La vista del mio abito mi da angoscia, mi sembra di aver mancato ad un appuntamento e di non essere più in tempo, come se non ci fosse più rimedio.
Eppure non può essere così, non deve finire così!
Io sono qui e non sono andato in nessun posto, devo fare qualcosa... ma cosa?
Me ne sto qui, in questo salone vuoto, osservando l'ambiente circostante, avvicinandomi lento al mio corpo inerme, ho addosso un misto di ansia e timore.
Che starna sensazione quella faccia, quei lineamenti a cui sono abituato... vederli dall'esterno!
Una spruzzata di grigio sulle tempie che a quarant'anni mi fanno sentire vecchio.
Il taglio fresco di barbiere, la barba incolta che avrei fatto questa mattina per il grande giorno. Le labbra socchiuse...
Non uscirà mai più la mia voce da lì.
Penso.
Le mie mani forti, sempre curate, non riesco a capire come sia possibile essere morto, essere qui e vedere quel corpo da fuori, non più mio.
Questa domanda mi si è gonfiata talmente dentro, come fosse una bolla pronta a scoppiare in un grande ed enorme: PERCHE'?
L'onda risuona in tutta la stanza, nonostante non abbia aperto bocca.
<
Mi volto di scatto, qualcuno ha parlato! Quindi qualcuno mi vede ed è qui!
Oh Dio ti ringrazio!
Seduto a gambe incrociate su una barella delle quattro appoggiate al muro, dall'altra parte dello stanzone, c'è un signore dall'età indefinita.
La testa piena di riccioli bianchi, la pelle ambrata, piccoli occhi scuri ed il naso leggermente a patata. La bocca si confonde sotto la lunga barba anch'essa bianca.
E' molto magro, ha una canottiera dall'aria vissuta, un paio di pantaloncini corti che lasciano vedere lunghe gambe magre. Ai piedi indossa dei sandali di cuoio marrone.
I gomiti appoggiati sulle ginocchia e tra le mani un libro o un'agenda forse.
<
<
Le mie domande si susseguono a ritmo incalzante, non do il tempo di ricevere una risposta e tanto meno lui accenna a volermene dare.
Si limita a chiudere gli occhi e stare immobile.
<
Dico a te!>>
Soffio spazientito. Cerco d'ignorarlo dato che non si muove e non parla.
Torno a ciò che stavo facendo prima, ma qualcosa di lui mi attira terribilmente; ho la sensazione che possa avere le risposte alle mie domande ed in effetti è l'unico forse che può farmi capire qualcosa.
Osservo ancora un'istante il mio viso, gli occhi chiusi. Sento qualcosa dentro crescere. Non capisco se sia dolore, rabbia, disillusione, amarezza, ansia...
Sembra tutto così diverso, pare che non abbia mai vissuto prima di ora.
Alla fine mi arrendo ed il silenzio dilaga dentro di me.
Ho vissuto questa sensazione tante volte, soprattutto dopo uno scoppio di rabbia o un pianto accorato, il silenzio e l'essere fermo, immobile per qualche istante.
Ricordo che era molto frequente da bambino, col tempo crescendo è capitato sempre meno.
L'uomo