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L’offensiva austriaca nel Trentino
L’offensiva austriaca nel Trentino
L’offensiva austriaca nel Trentino
E-book216 pagine2 ore

L’offensiva austriaca nel Trentino

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Info su questo ebook

RISTAMPA DEI TESTI CONFORME ALL'ORIGINALE (anno 1928) de "L'OFFENSIVA AUSTRIACA NEL TRENTINO (1916)" del generale Pompilio Schiarini.
Il punto di vista italiano sull'offensiva austriaca sugli altipiani nella primavera del 1916, comunemente detta Strafexpedition, accresciuto con nuove note al testo ed escursioni sulle tracce della Grande Guerra. Immagini tratte da "Monte Pasubio" di Mario Zuliani (edizione del 1924).
LinguaItaliano
Data di uscita24 dic 2013
ISBN9788891128942
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    Anteprima del libro

    L’offensiva austriaca nel Trentino - Generale Pompilio Schiarini

    SAT Carè Alto

    Gruppo di ricerca storica Tenente Felix Hecht

    __________

    6

    GENERALE POMPILIO SCHIARINI

    COMMENTARI DELLA VITTORIA

    L’OFFENSIVA

    AUSTRIACA

    NEL TRENTINO

    (1916)

    PROPRIETÀ LETTERARIA ED ARTISTICA

    PRESENTAZIONE

    Nel riprendere la presentazione di uno degli ultimi lavori dati alle stampe in stretta collaborazione con la SAT Carè Alto La conquista dei ghiacciai del Capitano Alfredo Patroni, ebbi modo di far risaltare come la storiografia della Prima Guerra Mondiale abbia avuto, fra le altre fonti, i diari di guerra, redatti da corrispondenti o ufficiali impiegati al fronte.

    Memoriali dalle cui pagine si attingono informazioni e testimonianze preziosissime, se non indispensabili, per ricostruire le dinamiche non solo degli avvenimenti, ma anche dei rapporti fra i protagonisti dello sforzo bellico.

    Lavori di grande valore documentaristico tutti con l’obiettivo, in massima parte, di trasmettere ai posteri testimonianze in prima persona di quanto accaduto.

    L’Editrice Rendena e la Sat Carè Alto vogliono proseguire nell’intento ormai consolidato di riportare al pubblico piacere testi ormai introvabili.

    Vogliamo offrire al lettore ed all’appassionato quest’opera Commentari della vittoria - L’offensiva Austriaca nel Trentino (1916) del generale Pompilio Schiarini, autore fra l’altro anche di L’armata del Trentino: (1915-1919) edito nel 1926 da Mondadori. Non abbiamo molte notizie dell’autore di queste cronache che riguardano la guerra sugli Altipiani e più precisamente del sud est del Trentino, dalla Valsugana al Pasubio. Il generale, con l’opera che riportiamo a stampa dopo quasi ottantacinque anni, fu testimone in prima persona della guerra combattuta da Alpini e Kaiserjäger sulle montagne del nostro Trentino.

    Riprende l’autore, anche con precisi riferimenti ad altri testi di Cletus Pichler, Angelo Gatti, Luigi Chiolini, del generale Luigi Cadorna, del generale Ettore Mambretti, di Mario Zuliani e Matteo Ingravalle, Matteo Tosti con una citazione anche di J. Hason de Saint-Firmin (Jane d’Hazon), gli accadimenti della guerra nel 1916 sul Fronte Trentino Orientale dalla Vallarsa ad Asiago, con puntuali descrizioni dell’offensiva italiana e della seguente ritirata austriaca.

    Ampio spazio anche a due fra i più gloriosi fatti d’arme della nostra guerra: l’attacco austriaco al Pasubio e l’azione sul monte Corno di Vallarsa che vide la cattura di Fabio Filzi e di Cesare Battisti.

    Abbiamo voluto integrare questa nostra ristampa dei testi, conforme l’originale dell’anno 1928, con alcune note esplicative.

    Ed in più alcune escursioni sulle tracce della grande guerra fra cui la puntuale descrizione della strada delle 52 gallerie; escursioni che si possono iniziare anche da uno dei nostri più prestigiosi rifugi della nostra SAT, il rifugio Vincenzo Lancia della SAT di Rovereto.

    A corredo dei testi, immagini d’epoca tratte da Monte Pasubio di Mario Zuliani fotografo e compilatore, edito a Schio nel 1924.

    Augurando buona lettura vorrei terminare esprimendo un mio desiderio e cioè come anche attraverso queste pagine di cronaca della prima di due guerre mondiali, che hanno insanguinato il secolo scorso, possiamo imparare a far propri messaggi di pace e cercare di mantenere vivo ed operante il loro ricordo e monito. È la pace, un bene supremo per l’umanità; ma è un bene fragile, risultante da fattori complessi, nei quali il libero e responsabile volere dell’uomo gioca continuamente. Perciò la pace non è mai del tutto stabile e sicura; deve essere in ogni momento ripensata e ricostituita; vi è il pericolo costante che si indebolisca e decada se non è incessantemente richiamata a quei veri principii che soli la possono generare e conservare.

    Piergiorgio Motter

    Val Rendena, 27 gennaio 2013, giorno della memoria.

    Reggi, Italiano

    non temere!

    corri dall’Isonzo

    al Brennero

    dall’Isonzo all’Adige,

    corri con le armi

    con la fede,

    col tuo valore

    corri

    a chiudere le porte d’Italia;

    chi non dispera non perde.

    V. LOCCHI: Sagra di Santa Gorizia.

    ORGOGLIOSE SPERANZE

    Con orgoglio teutonico, la chiamarono Strafe Expedition (spedizione punitiva). A chi debba attribuirsi siffatto sprezzante aggettivo non è ben noto. Forse fu creato nello Stato Maggiore del generale Conrad v. Hötzendorf (A), il nostro più acerrimo nemico: o, fors’anco, sorse spontaneo nella mente di qualche oscuro gregario della miope politica absburgica seguace della vecchia scuola meternicchiana, avvezzo — nonostante il tempo trascorso e la interceduta alleanza — a considerare l’Italia come una quantità trascurabile e gli italiani una turba verbosa ed imbelle. Come più di sessantanni innanzi, all’indomani degli infausti avvenimenti della prima Custoza e della fatal Novara, i Croati, in una sconcia canzone da caserma inneggiante alle loro vittorie, avevano chiamato «tutti i guerrieri d’Italia canagliume senza onore»; così, dopo la nostra più che legittima dichiarazione di guerra, i dirigenti della politica e dell’esercito imperiale si erano industriati per un intero anno — e non senza frutto — a galvanizzare e ad unire gli spiriti dei variopinti popoli della monarchia in un sentimento comune di odio e di disprezzo per il soldato ed il popolo italiano.

    Al momento di entrare in guerra, il Re Vittorio Emanuele III (B) aveva salutato cavallerescamente il nemico col quale l’Italia stava per misurarsi, proclamandolo «agguerrito e degno» di noi; ma questo aveva risposto colle ingiurie di tutti i suoi organi responsabili.

    L’Italia — che l’Austria a malgrado dei chiari patti di una lega strettamente difensiva, aveva subdolamente tentato di trascinare all’impensata in una guerra di conquista, senza neppure un preventivo avviso — l’Italia era additata al disprezzo col nome di perfida e di traditrice, e gli Italiani chiamati sprezzantemente un popolo di mandolinisti(1).

    Ed anche quando, ormai per un anno intero, l’Esercito italiano aveva sempre più stretto alla gola ed attanagliato in sanguinose battaglie, sempre offensive, i reggimenti imperiali e reali, l’alterigia dei capi aveva creduto di incitarli alla lotta come fossero chiamati a punire un vassallo ribelle od un servo infedele.

    Sulla fine del 1915 le sorti degli Alleati non erano liete.

    Alla fronte orientale i russi, appena riavutisi dalla percossa di Görlice(C), attendevano faticosamente a rinsanguarsi; l’impresa dei Dardanelli era fallita; la Serbia, rimasta non del tutto giustificatamente inerte per più mesi, era stata messa oramai fuori causa, senza che l’intervento del l’Armata d’Oriente fosse riuscita a liberarla, e l’Italia aveva dovuto accorrere a salvare i laceri avanzi del suo esercito dalla completa distruzione; in Francia le forze alleate si andavano logorando in una lotta poco produttiva. Sulla nostra fronte gli austriaci si sostenevano: a stento, ma pure si sostenevano, e ai primi del 1916, attraverso il Montenegro sconfitto, dilagavano in Albania.

    In queste condizioni, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito austro-ungarico credette di poter effettuare il suo vecchio disegno, tentando di abbattere l’esercito italiano con un rapido violento sforzo contro la fronte del Trentino, per traboccare nella pingue pianura veneta tra Schio e Vicenza; sperando di calare sulle retrovie e alla spalle del grosso dell’esercito, schierato sul lontano Isonzo, e di mettere, così, l’Italia in condizioni di deporre le armi. Venezia e Milano erano gli agognati obiettivi: e, a quanto fu dato rilevare da un documento trovato su di un cadetto austriaco caduto in nostre mani, le folli speranze del nemico si spingevano fino a Modena. Nientemeno!

    Nelle sfere militari austriache si tendeva a convincere l’alleata Germania, — e forse non a torto — che, con l’eliminazione dell’Italia dall’agone, una parte delle forze austriache avrebbe potuto spostarsi verso il fronte occidentale, o, quanto meno, minacciare la Francia nel suo confine alpino, obbligandola a distogliere truppe; come questa aveva dovuto fare nei primissimi giorni della guerra, prima della proclamazione della nostra neutralità. Inoltre si faceva balenare la possibilità di creare sulle coste occidentali d’Italia, aperte e non facilmente sbarrabili come quelle del Mar Nero e dell’Adriatico, i migliori punti d’appoggio ai sottomarini per paralizzare le comunicazioni marittime nel Mediterraneo.

    VAL DI CANALE, è il corridoio preferito per le salite al Pasubio, perchè la via più breve e più ca-ratteristica. Le pareti rocciose intersecate da canali e crepacci verticali la rendono bizzarramente attraente e relativamente facile. Durante la guerra fu un’arteria importantissima pel transito ai pedoni e alle numerose teleferiche pel trasporto di materiali e di feriti.

    Come è noto, lo Stato Maggiore tedesco non aderì alla proposta di un concorso. E ciò non soltanto per considerazioni tecniche derivanti dalla sproporzione fra il fine ed i mezzi, ma anche forse per ragioni politiche.

    Fino allora, infatti, l’Italia non era in istato di guerra con l’Impero tedesco: e questo, sino a che la lotta Italo-Austriaca si svolgeva principalmente su l’Isonzo, lungi da ogni immediata minaccia alla Baviera dal Trentino e dall’Alto Adige, non aveva nulla da guadagnare dal precipitar degli eventi e da una nostra formale dichiarazione di guerra. Perciò non furono concesse, allora, le invocate divisioni germaniche(1).

    Tuttavia, il Conrad, sguernendo le altre fronti, credè di poter affrontare l’avventura coi soli suoi mezzi: e l’idea, balenata sino dall’autunno del 1915 e maturatasi nei primi del successivo inverno, prese forma concreta nel gennaio del 1916.

    I PREPARATIVI

    Il 7 febbraio 1916 al Comando dell’Armata Austriaca d’Italia, retto dall’Arciduca Eugenio, venne l’ordine per l’offensiva, che era fissata ai primi di aprile. La direttiva sostanziale era che un’armata (l’11ª) avrebbe dovuto operare tra l’Adige e la Valsugana, puntando col nucleo principale delle sue forze attraverso gli altipiani di Lavarone e di Folgaria su Thiene e Bassano. Un’altra (la 3ª) doveva venire impiegata subito dopo sboccati dalla zona montana per la sfruttamento del successo. Essa pure, in realtà, finì per essere impiegata tutta nell’attacco.

    Prima della fine di febbraio «incominciarono ad arrivare i trasporti delle truppe dal teatro balcanico…. Quindi il movimento si intensificò…. Per tener celato il movimento le truppe vennero dislocate in Val d’Adige, tra Bolzano e Trento, in Val di Fiemme e nello spazio tra Pergine e Baselga di Pinè»… «in principio di marzo si ebbe una forte nevicata, quindi scirocco e disgelo, poi ancora neve e così continuò il maltempo sino alla fine di aprile». Così scrive il generale C. Pichler(3). Ed il generale Krauss, capo di Stato Maggiore dell’Arciduca Eugenio, conferma che questi aveva proposto, a causa delle condizioni meteorologiche, di differire l’operazione di due settimane. Il Conrad non accettò(4).

    D’altronde, a quanto il Krauss stesso riconosce: «le operazioni dovevano svolgersi su di un terreno difficilissimo: l’appellativo di altipiani era fatto per trarre in inganno». Si tratta, infatti, di una regione montagnosa, di una altitudine media dai 1700 ai 2000 metri, che in talune zone — come sulle Alpi di Fassa — sorpassa i 2800, e solo sull’orlo meridionale degli altipiani, dove la marcia del nemico fu arrestata, si abbassa tra i 1000 e i 1300.

    Per oltre tre mesi durarono, dunque, i preparativi della grande spedizione. Dalla Galizia, dalla Serbia e dall’Isonzo accorsero truppe scelte, ben equipaggiate ed addestrate particolarmente alla guerra di montagna e munite di tutti i più poderosi strumenti fino allora conosciuti, e specialmente di artiglierie di grosso calibro (380 e 420), di una gittata e di una potenza di gran lunga superiore alle nostre(5).

    DUBBIEZZE

    Che cosa sapevasi di questi preparativi nei nostro campo?

    Napoleone ha detto che se si conoscessero sempre le forze e le intenzioni del nemico gli si sarebbe superiori ovunque. Ora è certo che nella guerra moderna — particolarmente in quella immobilizzata nelle trincee, quale fu, su quasi tutti i fronti, la grande guerra mondiale — è difficile per gli avversari nascondere od occultare le forze, le mosse, le postazioni, nonostante le precauzioni, i ripieghi ed i mascheramenti. I rumori, la polvere, le luci, il contegno stesso dell’avversario in trincea sono, per gli osservatori di prima linea, altrettanti indizi, integratori di quelli più evidenti forniti dalla visione oculare e fotografica degli aeroplani; ed anche di quelli, spesso discordanti, tratti dalle intercettazioni telefoniche, dalle carte trovate sui caduti e dalle notizie raccolte dai prigionieri o portate dai disertori. In concorso con queste, che potrebbero dirsi informazioni dirette, esistono le notizie risultanti dallo spionaggio e dal contro-spionaggio, gli indizi politici, le indiscrezioni giornalistiche, i sequestri postali, ecc. Gli uni e gli altri, passati attraverso gli opportuni confronti degli appositi uffici dei grandi Comandi, somministrano il materiale da cui altri uffici traggono le deduzioni conclusive periodiche sulla situazione di guerra, da presentare ai rispettivi capi.

    Ma quante incognite, quante lacune, quanti pericoli di deviazione in questi indizi ed in questi materiali, benché criticamente elaborati e tenuti al corrente di giorno in giorno e quasi di ora in ora! Quante difficoltà a sceverare il vero dal falso; ad attribuire ad ogni indizio un adeguato coefficiente ed a stabilirne il grado di credibilità, e soprattutto per riuscire — sulla base del buon senso affinato dalla cultura e dalla esperienza professionale — a sottrarsi alle tendenze personali di scuola o di temperamento ed a rimanere sul terreno di una obiettività ugualmente lontana dalla facile credulità

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