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Imperfetto prossimo
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E-book47 pagine38 minuti

Imperfetto prossimo

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La trama di Imperfetto prossimo evolve lungo un filo sottile, volutamente impercettibile, che il lettore è chiamato a dipanare attraverso le vicende dei personaggi, edificati nello spazio stesso del sentire e in un’unica dimensione priva di tempo.
Ciascuno dei protagonisti incarna uno stato interiore o un sentimento nel quale il lettore può riconoscersi e rappresenta il singolo tassello del più ampio e sempre incompiuto mosaico dell’Essere, al quale tende con la propria imperfezione.
Un espediente narrativo statico accomuna le singole storie ponendosi anche come filo conduttore del romanzo breve, mentre la voce narrante concerta, chiarisce e riflette il punto di vista dell’Autore-personaggio.
Il finale aperto colloca Imperfetto prossimo nel clima inquieto in cui si muove l’uomo contemporaneo, costantemente alla ricerca di se stesso in una società sempre più veloce e caotica che lo annienta, votandolo al dissidio, all’introspezione e alla solitudine.
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2019
ISBN9788832924640
Imperfetto prossimo

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    Anteprima del libro

    Imperfetto prossimo - Silvia Sardini

    spazi.

    Introduzione

    Ho acquistato il quaderno a Monteriggioni, il trenta ottobre 2016. Era esposto su uno scaffale appoggiato all’ingresso di una bottega, chiaramente sostenuto dalla pretesa di essere scelto. E, dato che tale pretesa mi è parsa alquanto simile a quella avanzatami dalle parole allorché si prodigano per essere elette, l’ho prontamente condotto alla cassa, non senza assecondare la tentazione di carezzarne la foderina. Ho quindi lasciato che la bottegaia lo incartasse a dovere per non tradire la sua sana convinzione che dovesse essere un regalo e, nell’istante in cui il quaderno è approdato nelle mie mani, quella convinzione era ormai anche del tutto mia. Il dono mi tornava senza parole perché io lo ricambiassi scrivendole.

    Le fattezze del quaderno, l’ampiezza della sua pagina, il suo volume, nonché le sue titaniche dimensioni, mi invogliano a sperimentare qui le avventure della prosa.

    Ciò non senza stupore, dato che per anni ho riversato l’intero mio essere nei versi, talora solo indugiando sull’aforisma per divertissement o per assecondare la mia voglia di contrazione. La poesia non lascia scampo e conserva l’esigenza di un’urgenza sottile, in attesa di diventare tattile con l’ausilio della forma. La poesia è sostanza, metafora gridata o taciuta, vuoto ermetico da colmare con il tutto, compresa l’attesa, teatro discreto di emozioni. Nelle sue spire ho rischiato di perdermi e spesso ho sostato per giorni davanti alla sua porta chiusa. La poesia decide quando farti entrare. Tu hai la tua occasione ma lei è l’appuntamento.

    Però ora ho il quaderno. Ho un’intera dimora nella quale distendermi. Sarà un metaromanzo dalla trama accessibile, certamente incoerente, spazio e tempo nel ruolo di personaggi. Sarà uno spaccato di questo secolo, un’ ouverture sull’uguale e sul diverso, un inno alla contraddizione.

    Quando avrò terminato forse conoscerò i protagonisti: ora ridono nel parterre, si nascondono dietro al sipario, si mescolano nella folla.

    Sarà rigorosamente manoscritto. Nessun’opera può definirsi buona se, nell’atto di erigerla, non si è disposti al maggior sacrificio.

    Ma, al di là di tutto, scrivo per il quaderno.

    C’è un narratore e c’è un narratario.

    Ci sarà anche un giorno qualsiasi per cominciare.

    Silvia Sardini

    Autunno impazzisce di giallo, corre lungo i viali assopiti, arrossisce di foglie cedute agli scherzi leggeri di Zefiro. In un luogo qualunque, su una panchina qualunque, per un motivo qualunque, siederanno i protagonisti di questa storia. La panchina era un abete altezzoso che versava la sua calda resina sull’indifferenza dei passanti, ora adempie a un’altra funzione e certamente è ignaro del ruolo che gli attribuirò nel corso del romanzo. La sequenza delle assi che concertano la panchina è qua e là infastidita da profondi tagli verticali, ormai vagamente nerastri, inferti con un coltello. Dalla superficie, finemente levigata, s’innalzano lievi virgole ribelli.

    È l’alba.

    L’abete sognava forse di essere un seggio reale. O, stoicamente, attendeva la sua fine di albero altezzoso destinato alla fretta dei passanti. Ma la sua anima è imbiancata nella panchina, a circa mezzo metro dalla stessa terra in cui aveva immerso le sue radici. Anche gli uomini tendono a mettere le loro radici: ci costruiscono sopra case, famiglie, sogni. Credono così di gabbare il tempo, poi arriva il diluvio e si ritrovano su un’arca di favole.

    A mezzo

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