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So Screwed: A bad behavior novel vol. 2
So Screwed: A bad behavior novel vol. 2
So Screwed: A bad behavior novel vol. 2
E-book376 pagine5 ore

So Screwed: A bad behavior novel vol. 2

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Info su questo ebook

Lui è affascinante, perverso e bellissimo... e lei deve stargli alla larga

Per Evelyn Owen, il lavoro viene prima di tutto. Essere una wedding planner per l’élite della città le occupa serate e fine settimana. Non ha tempo per nessun tipo di distrazione, soprattutto se la distrazione prende le sembianze di un barista sexy con fossette assassine...
Abel Matthews sa come soddisfare le signore. Ma l’unica donna che, di recente, lui abbia desiderato è fuori dalla sua portata, perché Evelyn è stata già avvertita del suo modo di fare da playboy. Eppure, c’è qualcosa in lei che porta Abel a volere più di una semplice avventura.

Evelyn sa che non dovrebbe fidarsi di Abel, ma ha visto un lato di lui che nessun altro conosce e non può ignorarlo. Abel, però, le tiene nascosto qualcosa e... se non confessa in fretta, questo li separerà.
LinguaItaliano
Data di uscita25 giu 2019
ISBN9788855310444
So Screwed: A bad behavior novel vol. 2

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    Anteprima del libro

    So Screwed - Melissa Marino

    Melissa Marino

    So Screwed

    Un amore a pezzi

    A bad behavior novel Vol. 2

    1

    Titolo: So Screwed - Un amore a pezzi

    Serie: A bad behavior Vol. 2

    Autore: Melissa Marino

    Copyright © 2019 Hope Edizioni

    Copyright © 2017 Melissa Marino

    ISBN: 9788855310444

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    Progetto grafico di copertina: Angelice Graphics

    Immagini su licenza Bigstockphoto.com

    Fotografo: SatoriVision | Cod. immagine: 157715957

    Traduttrice: Cristina Borgomeo

    Editor: Antonella Albano

    Impaginazione digitale: Cristina Ciani

    Publyshed by arrangement with Brower Literary & Management and Donzelli Fietta Literary Agency 

    Tutti i diritti riservati.

    Nessuna parte di questa pubblicazione può essere utilizzata o riprodotta in alcun modo, inclusi a titolo di esempio l’archiviazione in un sistema di ricerca o la trasmissione con qualunque forma e mezzo, elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro, senza l’autorizzazione scritta dell’autrice.

    Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, gruppi, aziende ed eventi sono il prodotto dell’immaginazione dell’autrice o sono utilizzati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con luoghi o persone reali, vive o morte, è del tutto accidentale.

    DISCLAIMER: Questo libro è riservato a un pubblico adulto. Contiene linguaggio e scene di sesso espliciti.

    Non è adatto a lettori di età inferiore ai 18 anni. Ci si rimette alla discrezionalità del lettore.

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Ringraziamenti

    Biografia

    Hope edizioni

    Al fandom di Twilight, 

    il luogo, le persone che mi hanno donato amicizia, risate, speranza 

    e che hanno creato i presupposti affinché realizzassi i miei sogni. 

    Capitolo 1

    1

    EVELYN

    Era un dato di fatto che se dovevi andare da qualche parte e sembrare presentabile, Madre Natura ti avrebbe riso in faccia scaricandoti addosso qualcosa come una pioggia torrenziale... senza un ombrello nei paraggi. 

    Madre Natura era un’irascibile stronza.

    Lanciai un’occhiata fuori dal finestrino dell’auto, osservando i rivoli di pioggia sul vetro cercare di superarsi a vicenda, mentre formulavo un piano. La casa della mia migliore amica, quella che condivideva con il suo fidanzato e la figlia di lui, era a un isolato di distanza. Parcheggiare sulla Lincoln Park, la strada di fronte a casa di Callie e Aaron, fu difficile, ma non fu una sorpresa dal momento che stavano tenendo un rinfresco dopo il funerale della nonna di Aaron, venuta a mancare da poco.

    «Merda» sussurrai tra me e me.

    La pioggia non diminuiva e restare in auto era solo uno spreco di tempo che non avevo. Fermarmi a fare le condoglianze era solo un gesto di cortesia nei confronti di Aaron, che era diventato un grande amico per me. Ma, gesto di cortesia o meno, sarei comunque sembrata un ratto annegato: biondo, con rossetto rosso e mascara sbavato, ma pur sempre un ratto.

    Non aveva senso continuare ad aspettare. Spalancai lo sportello e, non appena le mie Mary Jane di pelle nera toccarono l’asfalto, uscii dall’auto. Evitando pozzanghere e macchine in corsa, mi affrettai per strada, per quanto potessero consentirmelo quei tacchi, mentre cercavo di coprirmi la testa con la borsa. Appena vidi il vialetto che conduceva alla casa in arenaria rossa di Aaron e Callie, accelerai il passo, per mettermi al riparo.

    Mi fermai di fronte alla controporta in vetro, sperando di riuscire a intravedere i danni che mi aveva provocato quella pioggia torrenziale. Tutto quello che riuscii a scorgere fu un ammasso aggrovigliato di quelli che prima erano capelli perfetti. Sebbene non fossi così vanitosa da pensare che a qualcuno potesse importare del mio aspetto, volevo comunque apparire presentabile davanti a un gruppo di persone. 

    Infilai una mano nella borsa alla ricerca di una spazzola nel mio kit di emergenza da wedding planner, che avevo sempre con me, ma fui fermata dalla porta che si apriva.

    «Evelyn?» disse Aaron. «Sei zuppa. Entra.»

    Mi tenne aperta la porta mentre mi infilavo all’interno; le gocce di pioggia scendevano dalla testa, dal mio impermeabile, da ogni mia singola parte.

    Scossi i capelli e cercai di sistemarli con le dita, ma fu inutile. «Quanto sono messa male?» chiesi.

    Aaron mi rivolse un sorriso rassicurante. «Sei sempre bellissima, Evelyn.»

    Gli diedi una pacca sul petto mentre toglievo il cappotto, grata che fosse resistente all’acqua. «Sempre un adulatore» commentai. «Capisco perché la mia migliore amica si sia innamorata di te.»

    Mi prese il cappotto e lo appese nell’armadio alle sue spalle. «Sei stata gentile a passare» disse lui. 

    «Figurati» replicai, strofinando le dita sotto gli occhi per provare a liberarmi dall’effetto procione.

    «Vuoi che vada a cercare Callie?» chiese. «Così puoi, sai, sistemarti o usare il fon oppure...»

    Sorrisi al suo tentativo di essere cortese, prima di interromperlo. «Sì, grazie. Ho bisogno di rendermi presentabile prima di andare a... presentarmi.»

    «Torno subito» disse lui.

    Lo guardai mentre si affrettava lungo il corridoio di marmo e spariva tra la folla di familiari in lutto che conversava. Senza sprecare tempo, iniziai a frugare nella borsa alla ricerca di una trousse per controllare i danni. Era peggio di quanto pensassi.

    «Sbrigati, Callie» borbottai tra me e me. «Essere orribili non è appropriato in questa situazione.»

    «Spero tu non stia parlando di te stessa definendoti orribile. Tutto ciò che vedo è bellezza» disse una voce bassa, alle mie spalle. 

    Non mi voltai immediatamente perché grazie allo specchietto della trousse seppi subito chi c’era dietro di me. Il fratello minore e incredibilmente sexy di Aaron, Abel, il quale, secondo Callie e i suoi molteplici avvertimenti, era anche un playboy che cambiava ragazza più velocemente di quanto non le trovasse su Tinder. 

    Mi voltai per una visuale completa di quella famosissima delizia per gli occhi. Abel indossava un attillato completo blu su misura. I capelli alla Pompadour e la barba perfetta facevano risaltare gli occhi blu. Era sempre stato molto bello, ma vederlo così alzava di una tacca il suo fascino. 

    Inclinai la testa perché era anche alto. Le poche volte in cui ci eravamo incontrati avevo notato la sua statura, ma stare in piedi al suo fianco serviva da promemoria. 

    «Abel, mi dispiace molto per tua nonna.»

    «Grazie per essere venuta» replicò lui. Mentre i suoi occhi cercavano i miei, alzò un angolo della bocca in un piccolo sorriso. Fossette, notai: erano appena visibili da sotto la barba e si allungavano sulla pelle liscia delle guance. 

    «Figurati» risposi scrollando le spalle. «Aaron e Callie sono le mie due persone preferite.»

    Mi esaminò dalla testa ai piedi con intento deliberato. «Cosa devo fare per diventare la tua terza persona preferita?» domandò. «Sai, ogni volta che ci incontriamo, declini ogni mio invito a conoscerci meglio.»

    Io e Abel ci eravamo ritrovati agli stessi eventi in diverse occasioni. Mi aveva sempre chiesto di uscire. E io avevo detto di no, ogni volta.

    «Andiamo» disse, toccandomi il braccio. «Credo che nonna Dorothy avrebbe voluto vederci insieme.»

    Era un ragazzo davvero, davvero bello, dovevo riconoscerglielo. E la cosa era testimoniata dal numero di ragazze che cadevano ai suoi piedi, ovunque andasse. Diamine. Avrei potuto essere una di loro, se non avessi pensato che la cosa avrebbe potuto creare scompiglio. Il fratello del fidanzato della mia migliore amica? Non era l’ideale. In più, conoscendo la sua fama da conquistatore... No, nemmeno questo era l’ideale. Tuttavia, c’era qualcosa in lui che, a ogni interazione, attirava la mia attenzione. 

    «Inoltre,» continuò «nonostante sembra che tu sia caduta in una pozzanghera molto profonda, sei comunque la cosa più bella che abbia visto oggi.»

    «Non so se sia un complimento oppure...»

    Sorrise di nuovo, le fossette si fecero più profonde, mentre faceva un passo verso di me. «Non è altro che un complimento, Evelyn.»

    Ci stava provando ancora. Se non fossi stata così attratta da lui, mi sarei offesa.

    «Ev?» mi chiamò Callie, venendomi incontro. Mi strinse in un abbraccio mentre Aaron la raggiungeva. Erano una di quelle coppie che la gente odiava. Straordinariamente belli, lei con i lunghi capelli castani e la pelle perfetta, e lui alto e con il fisico scolpito, proprio come suo fratello minore, con un sorriso che scaldava tutto ciò che lo circondava. 

    «Poverina» commentò Callie, cercando di sistemarmi i capelli mentre si scioglieva dal nostro abbraccio. «La mia Blondie, sempre perfetta, non è così perfetta al momento.»

    «A me sembra piuttosto perfetta» intervenne Abel.

    «Abel» sospirò Callie. «Hai una lista di numeri di telefono di ragazze disponibili lunga quanto la prima bozza della Bibbia. Te l’ho detto mille volte! Smettila di provarci con la mia migliore amica.»

    Ed ecco Callie, che non avrebbe fatto da spalla ad Abel, ricordandomi allo stesso tempo di non cedere al suo incantesimo. Però, sarebbe stato difficile. Benché cadere estasiata di fronte a un ragazzo carino fosse certamente inusuale per me, c’era qualcosa in Abel che mi colpiva.

    «Stai cercando di tarpare le ali al mio uccello?» sbottò lui. 

    Già. Quel bel ragazzo dalla risposta pronta era il punto cruciale.

    Callie mi trascinò via per un braccio. «Sul serio, Abel?» ribatté gettandogli un’occhiataccia da sopra la spalla, prima di guardarmi e di aggiungere: «Andiamo a darci una sistemata, Blondie.»

    Mentre ci allontanavamo, Abel urlò: «Posso venire a guardare?»

    Bello e sfacciato da morire.

    Lei mi guidò a passo svelto lungo il corridoio, facendomi strada verso le scale per il secondo piano. Una volta in camera da letto, chiuse la porta alle nostre spalle.

    «Va bene» disse, dirigendosi in bagno con me alle calcagna. «Di cosa hai bisogno? Asciugacapelli?»

    Dopo essermi guardata negli specchi posizionati uno accanto all’altro, mi resi conto delle pessime condizioni in cui ero. C’era solo una cosa di cui avevo bisogno.

    «Fiamma ossidrica?» suggerii.

    Callie agitò una mano verso di me. «Oh, smettila! Non sei messa così male.» Aprì un cassetto e tirò fuori un asciugacapelli. «Eccolo.»

    Mi porse l’asciugacapelli, che afferrai con foga. Potevo sedermi a lamentarmi oppure potevo fare qualcosa al riguardo. Facevo sempre qualcosa al riguardo.

    «Hai un pettine a denti larghi?» chiesi.

    Fece un passo indietro, poggiandosi allo stipite della porta. «Sì, sempre in quel cassetto. Lo sai, non dovevi venire per forza.»

    La guardai dallo specchio. «Lo so. Volevo farlo» replicai, frugando nel cassetto finché non trovai il pettine. «Come sta andando?»

    «Non male» rispose lei scrollando le spalle. «Be’, per quanto lo si possa dire di un funerale.»

    Iniziai a dividere in sezioni i capelli, passando il pettine in quel groviglio. «Come ti sei fatta incastrare a organizzare qui il rinfresco?» domandai.

    Ruotò gli occhi. «Non chiedere. Dirò solo che è colpa di Abel.»

    «Dovrei sapere qualcosa?»

    «Conosceva un tipo con un ristorante vicino l’impresa delle pompe funebri, e ha detto che avremmo dovuto organizzare lì il rinfresco. E, come al solito, i genitori di Aaron hanno accontentato Abel.»

    Infilai la spina dell’asciugacapelli e lo accesi al massimo. Con i capelli che svolazzavano, riflettei su ciò che aveva detto Callie. Non risparmiava mai le sue opinioni su Abel. Sapevo che gli voleva bene, e lui era stato di grande aiuto in passato quando Callie e Aaron avevano avuto dei problemi, ma quando parlava di lui era sempre come se ci fosse qualcos’altro. Pensava fosse un immaturo e che andasse in giro con la cerniera abbassata. Per quel che ne sapevo, non era fuori strada. Ma ciò che non capivo era il motivo per cui, ogni volta che le nostre strade si incrociavano, lui mi entrava sotto la pelle.  

    Quando i miei capelli sembrarono decenti, staccai la spina e rimisi l’asciugacapelli al suo posto. Una veloce sistemata al trucco e fui quasi pronta ad andare.

    «Hai della lacca?» chiesi.

    Alzò le sopracciglia. «Non credi di aver messo già troppe cose sui capelli? E poi, solo tu puoi superare una tempesta e riuscire a essere uno schianto, in meno di dieci minuti, Blondie.»

    Mi voltai e sorrisi. «Oh, tesoro, che dolce che sei! Però la lacca non è per me, è per te. Lascia che ti aiuti a risistemarti, così potrai tornare a fare la padrona di casa.»

    Si passò una mano tra i capelli, prese una ciocca e la guardò. «Cosa c’è che non va? Credevo andassero bene, nonostante il vento di prima.»

    «Non sembra sia stata colpa del vento. Sembra che... be’... non vanno bene.»

    «Adoro che abbiamo quel tipo di amicizia dove non ci sono stronzate e possiamo avvisarci se abbiamo un aspetto di merda.»

    Aprì un armadietto da cui tirò fuori la lacca prima di passarmela. Cominciai a sistemarle le naturali onde castane spruzzandogliene un po’. «Torniamo ad Abel» dissi.

    Callie spostò la testa e strinse gli occhi nella mia direzione. «Stavamo parlando di Abel?»

    «Sì, ne parlavamo prima» replicai, continuando a occuparmi dei suoi capelli. «Se tu non stessi frequentando Aaron, non pensi che troveresti molte cose affascinanti in Abel?»

    Sbuffò. «Frequento Aaron, di conseguenza non vedo suo fratello da quel punto di vista, ma per rispondere alla tua domanda, no. Non è il mio tipo. Oltretutto, non dovrebbe essere nemmeno il tuo. Non ne abbiamo già parlato?»

    Le diedi un’ultima sistemata e le spruzzai ancora un po’ di lacca, prima di posare la bomboletta e incrociare le braccia. «Sì. Ne abbiamo già parlato, ecco perché mi chiedo: come mai sei contraria al fatto che io e Abel ci divertiamo un po’?»

    «Puoi divertirti con tanti ragazzi. Di certo, lui si diverte con tante donne. Inoltre, penso...» Fece una pausa, socchiudendo gli occhi verso di me, prima di continuare: «A meno che tu non stia pensando a qualcosa in più del divertimento. È così?»

    «Proprio quando pensavo che mi conoscessi, mi dici una cosa del genere?» replicai.

    «Non hai risposto alla mia domanda.»

    «Perché è stupida. Sai che non vado oltre il divertimento con nessuno. E poi, sulla base di tutto ciò che mi hai detto su Abel, lui è a un passo dall’essere un primitivo. Posso gestirlo, però. E quelle fossette, Cal...» Mmm. Sì. Quelle fossette.

    «Lasciamo Abel da parte per un momento, va bene? Prima o poi hai intenzione di sistemarti con qualcuno?»

    Ci risiamo.

    «Ho ventiquattro anni, Callie. Le uniche cose che voglio sistemare riguardano l’ordine per il pranzo e come arrivare velocemente al successo nel mio lavoro.»

    «Non tutti sono come Patrick» replicò lei con tono pacato. «E poi è passato tanto tempo.» 

    Indietreggiai istintivamente al suono di quel nome: Patrick.

    Cavolo... quel ragazzo mi aveva fatto perdere la testa. Dall’amore all’odio, con tutto quello che c’era nel mezzo. L’avevo superata; ora ero diventata quella che conquistava e non avevo intenzione di rivivere quel tempo in cui un uomo annebbiava i miei obiettivi e il mio vero io.

    Callie agitò una mano. «Non parliamone, va bene? Per oggi abbiamo avuto abbastanza drammi, tra il seppellire la nonna e il signor Matthews che al cimitero stava per soffocare a causa di una caramella.»

    «Sei seria?» domandai.

    «Oh, sì. Tanto seria quanto la manovra di Heimlich che Aaron ha dovuto fargli.»

    Mi misi a ridere e non sapevo nemmeno se avrei dovuto farlo, ma quando Callie si unì a me, capii che era tutto a posto.

    «Ok» disse. «Torniamo giù e cerchiamo di accaparrarci quei deliziosi cornetti salati.»

    Mi piaceva il suo piano, ma non andò proprio così. Callie fu trascinata via da me, non appena raggiungemmo il piano inferiore, lasciandomi a cavarmela da sola; e questo feci, vagando tra conversazioni casuali con sconosciuti e uno scambio piuttosto imbarazzato con il signor Matthews, che mi parlò dettagliatamente della visione che aveva avuto della madre appena defunta, mentre stava soffocando con la caramella. Sgattaiolai via non appena potei, riflettendo sulla possibilità di fuggire a gambe levate. Non volevo andarmene senza salutare Aaron e Callie, ma a mali estremi, estremi rimedi. Tornando verso l’ingresso, andai all’armadio in cui Aaron aveva appeso il mio cappotto. Lo recuperai, infilai le maniche umide, e me lo strinsi attorno; poi sentii chiamare il mio nome.

    «Evelyn!» disse Callie, sopraggiungendo insieme ad Aaron, con Abel al seguito. «Cercavi di svignartela senza neanche salutarci?».

    «No di certo, ma non volevo neanche disturbarvi.» 

    Aaron e Callie mi affiancarono da un lato e Abel dall’altro. Ancora una volta, mi resi conto della sua statura e, mentre si avvicinava, colsi il profumo della sua colonia. 

    Alzai la testa e lo sguardo e lo trovai che mi fissava, con il suo tipico sorriso. «Ci sarei rimasto male se non fossi riuscito a salutarti.»

    «Davvero?»

    «Davvero» rispose.

    Aaron si schiarì la gola, distogliendo la mia attenzione da Abel. Spostò lo sguardo tra me e Abel per un attimo. «Grazie ancora per essere venuta, Evelyn. È stato molto carino da parte tua.»

    «È quello che fanno gli amici» dissi. «Devo scappare per tornare al lavoro, ma sono felice di essere riuscita a passare.»

    «Ti accompagno» si offrì Callie, prendendomi a braccetto. 

    «Grazie ancora, Evelyn» disse Aaron.

    «Per quanto vale,» aggiunsi guardando Abel «mi dispiace.»

    Io e Callie iniziammo ad allontanarci, ma fui fermata dalla mano di Abel sul mio braccio.

    Si avvicinò, torreggiando sopra di me. «Che ne dici di bere qualcosa più tardi?»

    «Io... non credo» risposi.

    Callie restò in silenzio, ma la sua presa sull’altro braccio si intensificò.

    «Ti prego» implorò lui, sbattendo le ciglia nere. «Sono in lutto. Non vorrai lasciarmi tutto solo, no?»

    Callie mi tirò per il braccio, dicendo: «Abel, ti voglio bene, ma a volte ti comporti come un bambino davanti allo zucchero filato.»

    «Devo proprio andare» replicai, lasciando che Callie mi portasse via. «Ci vediamo presto, ragazzi.» 

    Mentre ci avvicinavamo alla porta, sussurrai all’orecchio di Callie, che mi teneva ancora a braccetto: «Ha un fascino particolare.»

    Lei si fermò di colpo e si voltò, mettendo le mani sui fianchi. Strinse gli occhi come se stesse cercando un messaggio subliminale nelle mie parole.

    «Oh, merda!» esclamò. «Ti prego, non farlo.»

    «Non fare cosa?»

    «Non scoparti il fratello del mio ragazzo.»

    Da vera migliore amica mi leggeva come fossi un libro aperto per lei. Anche se non del tutto. 

    «Non lo farò.»

    «Ottimo, perché voglio bene a entrambi. Tu sei come una sorella per me e Abel è come un fratello. Quindi, voi due che fate sesso sarebbe strano. Comunque, la cosa più importante adesso è: vuoi uscire con me per bere qualcosa più tardi?»

    Tirai fuori il telefono dalla borsa e controllai le chiamate perse. Due del mio capo, Bridget, il che significava niente drink per me. Per lei sì, però. Uno smoothie del locale davanti all’ufficio, che mi aveva gentilmente chiesto di prenderle al mio ritorno.

    Guardai Callie. «Non posso, tesoro. Devo proprio tornare al lavoro, ma che ne dici di un brunch o altro, domenica?»

    «Certamente. Mi manchi» disse imbronciata. «Comunque, i tuoi capelli sono fantastici.»

    «Anche tu mi manchi. Adesso va’ a fare la fidanzata, e poi prenditi cura del suo cuore come solo tu sai fare.»

    «E tu vai a... lavorare» replicò alzando un sopracciglio.

    Mi aveva beccata.

    ***

    Alla Solo Su Invito offrivamo un servizio completo come wedding planner. Io e Bridget ci occupavamo di tutto: dalla scelta della location agli inviti. Il nostro lavoro era sollevare gli sposi dallo stress del matrimonio. Inoltre, a seconda della tariffa, poteva esserci più o meno interazione, tanta quanta la coppia ne desiderava.

    Ero stata fortunata a iniziare in questo settore con Bridget Harrison. Lei era la wedding planner di Chicago. Celebrità, atleti, politici... tutti la volevano e pagavano profumatamente per i suoi servizi. La sua meticolosa precisione, la sua calma esteriore e i suoi inestimabili contatti facevano sì che nessuno potesse eguagliarla nell’organizzare un matrimonio. In meno di dieci anni, non solo era arrivata all’apice nel settore dei matrimoni, ma aveva anche aperto due nuove sedi, piene di wedding planner da lei formati affinché avessero la sua stessa enorme dedizione. Io l’avevo conosciuta all’ultimo anno di università e le avevo chiesto di tenermi in considerazione per un apprendistato. Mi aveva risposto che di solito non prendeva apprendisti, ma era rimasta impressionata sia dalla piccola attività di organizzazione di compleanni per bambini che avevo avviato sia dalla campagna pubblicitaria sui social media, pensata per la sezione universitaria della American Marketing Association, di cui ero presidentessa, e grazie alla quale c’era stato un incremento del venticinque per cento nelle adesioni. Quando mi ero laureata, mi aveva offerto un lavoro a tempo pieno per la professione dei miei sogni. Non solo era stata la mia prima scelta tra le persone con cui lavorare, ma, nel momento in cui ci eravamo conosciute, avevamo legato subito. Parlavamo e scherzavamo come due amiche. Ma quando era il momento di metterci al lavoro, facevamo sul serio. Entrambe conoscevamo i nostri ruoli: lei il capo, io l’impiegata. La dinamica tra noi funzionava alla perfezione.

    Bridget era inoltre di una raffinata impeccabilità, indossava sempre capi firmati ed era l’apoteosi della professionalità. Aveva iniziato la sua carriera come me: un tirocinio mentre era ancora all’università, che l’aveva portata a un posto di lavoro. Poi, dopo qualche anno, aveva aperto la Solo Su Invito. Ora, dieci anni dopo, era all’apice. Il mio obiettivo, un giorno, era di diventare la sua amichevole concorrenza. Ero sicura che lei lo sapesse. Come poteva non saperlo? Se a trentasei anni fossi stata dov’era lei, sarei stata felice.

    Sistemai in equilibrio lo smoothie, un caffè grande per me, il mio telefono e una pila di programmi e aprii la porta della Solo Su Invito con un colpo d’anca.

    Appoggiai tutto sulla mia scrivania, proprio mentre Bridget usciva dal suo ufficio. Con i capelli legati in alto sulla testa e la camicia di seta bianca, brillava quanto il lampadario di cristallo appeso sopra di noi.  

    «Ci sono novità?» chiesi ad alta voce. «A proposito, è arrivata la tua spazzatura verde

    «Cosa diavolo ti è successo?» domandò lei. «Sembra che tu sia stata masticata e sputata da un camion dell’immondizia per essere poi trascinata per più di dieci chilometri.»

    Sì. Volevo essere proprio come lei, tranne per il suo tatto, che poteva avere la stessa delicatezza di una spugnetta abrasiva. 

    «Sta piovendo ed ero senza ombrello» spiegai. 

    Lasciò cadere un fascicolo sulla mia scrivania. «Qui ci sono i provini del servizio fotografico del fidanzamento Hamilton-Norris.» 

    «Provini?» 

    Tamburellò con un dito smaltato di rosso sul tappo di plastica dello smoothie. «Cavolo o spinaci?»

    «Metà cavolo, metà spinaci. Cambi sempre idea su quello che preferisci, così te ne faccio mettere metà e metà da un po’» dissi. «I provini?»

    «Oh, sì. Courtney Norris voleva vedere le foto dal vivo, perché non era sicura che i provini virtuali fossero...» Si fermò per una pausa prima di fare le virgolette con le dita: «All’altezza di un Save the Date¹.»

    Sorseggiai il caffè mentre ruotavo gli occhi. «Erano stupendi, ma ovviamente lei avrebbe trovato qualcosa che non andava.»

    «Sindrome da sposa?»

    «Una specie, anche se mi sembra più preoccupata di organizzare il matrimonio che di conoscere il suo futuro sposo. Ha dovuto chiamarlo per chiedergli quale fosse il suo secondo nome.»

    «Wow!» esclamò, sistemando lentamente la cannuccia nello smoothie. «Il tuo cuore insensibile sta di nuovo sanguinando sul mio tappeto bianco?»

    «Da che pulpito.»

    «Oh, ecco cosa adoro di te! L’unica cosa che ho non ho mai dovuto insegnarti. Sei arrivata da me già perfettamente acida.»

    «Acida è una parola forte.»

    «Come ti definiresti allora?»

    Il telefono vibrò per un messaggio.

    «Onesta» risposi a Bridget.

    ¹. Il Save The Date (in italiano, ricorda la data) è una tendenza americana, diffusasi ormai anche in Italia, che consiste in un oggetto, generalmente una calamita o una cartolina, con il quale gli sposi avvisano parenti e amici di tenersi disponibili per la data del matrimonio.

    Capitolo 2

    1

    ABEL

    «Allora, prima ho visto che ti stavi mangiando con gli occhi l’amica di Callie» esordì Marshall.

    Mi stavo godendo un momento di tranquillità in salotto, con la testa appoggiata al divano, mentre gli ultimi ospiti se ne andavano, ma la pace ebbe vita breve con l’arrivo di Marshall.

    «Non la stavo mangiando con gli occhi» replicai, voltandomi a guardarlo mentre si avvicinava. «Lei era proprio...»

    «Sexy?» chiese lasciandosi cadere sul divano.

    Già. Sexy. Davvero, davvero sexy. Non importava quante volte l’avessi già incontrata, ancora mi sorprendeva quanto lo fosse. 

    «Certo» dissi. «Però lei è... non lo so.»

    «Ci sei già andato a letto?» domandò.

    Gli scoccai un’occhiataccia. Anche se ogni giorno pulivamo insieme il locale in cui lavoravamo entrambi, eravamo comunque al funerale della nonna. Potevo anche aver dato un’occhiata a Evelyn, ma non ero così rozzo.

    «Wow!» esclamò lui, allungando le mani dietro la testa e intrecciando le dita. «O lo avete fatto e ti ha dato il ben servito subito dopo, oppure quello sguardo significa che stai provando qualcosa di diverso.»

    «Mi rendo conto che qui il bue dice cornuto all’asino, ma puoi provare a non comportarti da stronzo mentre siamo ancora al funerale di mia nonna?» domandai. «Cristo, Ponyboy.»

    Si era guadagnato quel soprannome e gli calzava ancora a pennello.

    Marshall aveva almeno sette anni più di me e sembrava uscito dalla copertina di una rivista maschile, con quei suoi capelli perfettamente pettinati, la barba, gli occhi blu e i denti così bianchi da accecarti. Linguaggio da marinaio a parte, sembrava un ragazzo a posto, tranne che per una particolarità. Ogni zona del suo corpo visibile era coperta da tatuaggi. Era il migliore amico di Aaron e ora anche uno dei miei. Non faceva stronzate. Mai. Era una cosa buona, perché, ogni volta che mi trovavo nei guai, Marshall era sempre lì a darmi una mano o a ricordarmi che casino avessi combinato. Di solito, faceva entrambe le cose. Non mi stupiva che lui e Aaron fossero così legati: erano uguali.

    «Cercavo di sdrammatizzare» disse. «E poi, Aaron è d’accordo con me.»

    In quel momento arrivò Aaron. «Io sarei d’accordo con cosa?»

    «Sul fatto che Abel stesse sbavando sull’amica di Callie» spiegò Marshall.

    Aaron in piedi di fronte a noi, scosse la testa. «Non

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