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Treno di sola andata: GLI ATOMI volume 6 micro-romanzi per chi va di fretta
Treno di sola andata: GLI ATOMI volume 6 micro-romanzi per chi va di fretta
Treno di sola andata: GLI ATOMI volume 6 micro-romanzi per chi va di fretta
E-book74 pagine58 minuti

Treno di sola andata: GLI ATOMI volume 6 micro-romanzi per chi va di fretta

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Info su questo ebook

La vita è un treno che corre dal passato remoto al futuro anteriore, attraversando più volte la Terra Di Nessuno per trasbordare passeggeri destinati a un altrove senza dimensioni e viceversa. Esiste un universo impossibile da immaginare con le nostre categorie mentali, ristrette e inadeguate: nemmeno la fantasia, che ne è figlia, riesce a configurarlo. Proprio per questo motivo, nella stazione Terra Di Nessuno, non c'è un binario morto ma il punto da cui tracciare nuove rotte, l'origine di nuove geometrie, il centro di gravità intorno al quale il gioco può ricominciare.
LinguaItaliano
Data di uscita30 lug 2019
ISBN9788834162828
Treno di sola andata: GLI ATOMI volume 6 micro-romanzi per chi va di fretta

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    Anteprima del libro

    Treno di sola andata - Claudio Montini

    StreetLib.com

    La giusta casella

    Sono in sola andata per la terra di nessuno:

    un viaggio imprevedibile e ingiusto

    di cui alcuna anima viva abbia mai detto

    altro che l'assenza di dolore o rumore,

    quando gli fosse toccato di tornare

    anziché proseguire oltre il bene e il male.

    Sulla soglia del cancello intriso di luce

    scorgo un sogno tra il convoglio e il bagaglio

    lasciato in pegno al bigliettaio del viaggio finito.

    Altrove sconteranno il ricevuto con ciò che si è dato,

    il pentimento con l'errore, il coraggio e la paura:

    nella terra di nessuno la verità sarà nuda e pura.

    Sebbene tu ignori dove io sia andato,

    ti basti sapere che la giustizia ha trionfato:

    la vendetta nessuna vita ha mai resuscitato.

    Nell'ultimo giro di valzer con lo sconosciuto,

    per comodità nostra chiamato destino,

    ogni tassello ha riempito la giusta casella.

    Palazzo Demetrio a Pavia

    Salutai il portinaio di palazzo Demetrio, intento col capo chino a smistare la posta, ignorando l'ascensore insolitamente pronto e infilando il corridoio che portava alle scale; mi rincorse con la voce, prima che con tutto il resto poiché condividiamo l'esubero di centimetri sul giro vita, raggiungendomi quando avevo già affrontato i primi gradini senza pensare a quanti ne mancassero alla meta.

    Raggiungere i piani superiori o inferiori, a scelta, mediante le scale è uno dei due alibi a discolpa di chi, come me, non farà mai il fachiro né a tavola né in palestra o lungo sentieri e piste pedonali: l'altro è bere il caffè senza zucchero e ridurre biscotti e merendine.

    «Dottore....Dottore...! Aspettasse per gentilezza... Ora ora arrivò!! Frisca frisca de curreri!! Macari de Ollivu arriva e vossia la videmu al posto de Devi Lettemma al Naitte sciò!»

    Mi veniva incontro con la baldanza di una palla da bowling spedita contro l'unico birillo rimasto in piedi, ma l'emozione che trasudava dalle sue parole era genuina: la parlata sicula, quella del cuore e del sangue, la sfoderava solo per gli avvenimenti ad alta tensione emotiva e per quei pochi, al di fuori della famiglia, cui aveva riservato un cantuccio nel cuore.

    Io, non so come e nemmeno il perchè, rientravo tra quei pochi e, quando mi porse la grande busta gialla col marchio in rosso del corriere espresso internazionale, potrei giurare che gli brillavano gli occhi: forse per i timbri di uno dei terminal del Fiorello La Guardia Airport di New York o forse per aver sbirciato l'indirizzo del mittente, uno studio legale di Arlington in Virginia.

    «Alvaro, Alvaro... sebbene portiere, alquanto corsaro...»

    Sorrideva sempre a questa canzonatura, abbassando lo sguardo e la testa da un lato, sebbene io sia certo che nulla sapesse della commedia musicale con Renato Rascel e Delia Scala, una roba degli anni Cinquanta del Ventesimo secolo della quale, tuttavia, avevo solo sentito parlare.

    «Non sono dottore, per nulla e in nulla perchè non mi sono mai laureato...» Mi schermii, come al solito.

    «Quelli che lavorano in televisione sono tutti dottori!»

    Replicò quasi piccato, ma ridendo sotto i baffi, sottolineando però il disappunto con un italiano cristallino.

    «Comunque, Alvaro, grazie per la solerte cortesia; la metto in valigia e poi in ufficio ci do un'occhiata con calma: se ho ereditato qualcosa da qualche zio d'America, che non sapevo di avere, le riconoscerò un bel cinque per cento...no,no: oggi sono in vena di generosità: facciamo dieci!»

    «Grazie, dottore, grazie...Epperò, caso mai fussero debbiti, dottore...non faccia complimenti: se li tenga pure tutti per sé! Io non sono invidioso!!!» Disse ridacchiando e se ne tornò in guardiola.

    Una manciata, forse due, di gradini e avevo già il fiato corto; pensai che era tempo di mettersi in riga, mettersi a dieta e fare del movimento passando dal medico, che si ricordava ancora dei miei libri e della mia faccia solo perchè era in quarta di copertina e perchè glieli mandavo in omaggio.

    A metà della seconda rampa, il pensiero si fece concreta promessa; ma la via per l'inferno è lastricata di buone intenzioni e, volutamente, ignoravo gli scalpellini già al lavoro: anzi, posso ben dire che con me non hanno mai fatto un giorno di ferie o di sciopero, al punto che posso contare su di una autostrada con tanto di caselli e autogrill.

    Infatti, raggiunto il piano, mi domandavo se Anna Rita avesse portato i suoi famosi biscotti fatti in casa, secondo la ricetta di uno zio pasticcere, oppure ci fossero delle nuovi prodotti in attesa di uno spot efficace per essere inseriti nel catalogo delle televendite. Il piano che avevamo escogitato in redazione era semplice: il prodotto va testato, provato, gustato e, se ci piace, promosso nel modo più efficace. E' uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo: la dieta può attendere e il tonfo della nuova lastra, su quella famosa via, si perde soverchiato dal tramestio delle mandibole dal momento che alle nostre cure la produzione affidava sovente prodotti alimentari.

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