A Man in Bangkok
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Info su questo ebook
Qui viaggerete attraverso tre continenti e vedrete immagini di realtà quotidiana, vissuta in luoghi dove non siete mai stati neppure con la fantasia. Il mondo che esce dalle pagine di A Man in Bangkok non lo conosciamo, eppure è una parte del mondo in cui viviamo, è sul nostro stesso pianeta, dove si respira la stessa aria, si vedono lo stesso sole e la stessa luna. Una parte di mondo dove si nasce, si vive e si muore in un altro modo.
Non lo dimenticherete, questo libro.
Perché conoscere è necessario, sempre, a qualunque costo.
Il ricavato del libro andrà interamente devoluto all'associazione NATs che opera per la difesa dei diritti dell'infanzia e sostiene i movimenti dei bambini e degli adolescenti lavoratori.
http://www.associazionenats.org/
Con un solo click puoi combattere contro i crimini peggiori di cui l'umanità si macchia.
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Recensioni su A Man in Bangkok
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Anteprima del libro
A Man in Bangkok - Manuel Finelli
A MAN IN BANGKOK
Manuel Finelli
ISBN: 9788894806700
I Edizione settembre 2019
Questo libro è stato realizzato e pubblicato da
Edizioni Il Vento Antico
www.ilventoanticoeditore.com
info@ilventoanticoeditore.com
Copyright © 2005 Manuel Finelli
All rights reserved
Bangkok, marzo 2001 – gennaio 2004
Nella valle di luce
Alto Frignano (Europa Meridionale). 26 agosto 2019
Adesso cammino.
Intorno a me spazio e luce a perdita d’occhio. Nell’aria il profumo della roccia scaldata dal sole e del policromo manto di mirtilli che, a fine stagione, colora di verde e rosso un bello mai eguale. Sullo sfondo verso sud, svetta la skyline delle torri Apuane risaltate dal Tirreno che gli rispecchia alle spalle. Verso nord, adagiati e armoniosi, i dolci rilievi friniati da cui si risale qui sul crinale. Crinale, confini...
Quei confini su cui ora, ogni qual volta posso, vengo a trovare la pace. E la trovo, perché adesso cammino. Basta corse sfrenate verso risultati improbabili o voli concitati tra lingue e paesi più o meno lontani. Da sette anni ho deciso di tornare in Italia e, da sette anni, ho ritrovato la mia terra.
Non so se sono radici quelle di cui ho avvertito il richiamo, ma ho capito che noi siamo anche il luogo da cui veniamo. Che ci piaccia o no, con tutti i suoi limiti, con tutti i suoi difetti, con tutta la sua storia e le sue contraddizioni. Che mi piaccia o no, io sono anche questo: la mia storia, le mie contraddizioni. Ma ho smesso di volare. Ho smesso di correre. Adesso cammino e non sono più solo. Sette anni fa decisi di tornare e non me ne sono più andato, perché qui ho trovato la pace, perché qui ho trovato l’amore. Qui ho trovato il senso di tutto.
Qualche mese addietro, mi è stato detto che si erano create le condizioni per pubblicare Man in Bangkok, i pensieri che scrissi all’inizio del mio peregrinare per il mondo, del mio tentare di fare qualcosa. Non mi è sembrata una grande idea: condividere immagini e situazioni vecchie di anni. Sarebbe stato qualcosa da farsi tanto tempo addietro, ma all’epoca, ero preso dal correre, dal volare, dal volere e dal fare, e non ci sono riuscito. Così poi la vita si è ammucchiata, accavallandosi e girandomi intorno; il tempo è trascorso. Non mi sembra una grande idea farlo ora, ma i cerchi vanno chiusi. I punti vanno messi per concludere periodi e iniziarne dei nuovi. Perché adesso cammino, con Barbara.
Non sono tornato per lei, ma per lei sono rimasto. Per lei. Per noi. Per un noi che prima non mi era mai riuscito neanche d’immaginare. E con lei, quando è possibile, quando ce lo permettono, è qui, nell’alto della Valle, che veniamo a trovare la luce, la pace e lo spazio a perdita d’occhio. A trovare serenità.
I punti vanno messi, i cerchi vanno chiusi. Perché noi siamo anche la nostra storia, gli amori passati, i successi raggiunti, la morte sfiorata più volte, le delusioni e le vittorie che abbiamo vissuto. Per questo ho accettato di riprendere in mano l’entusiasmo del viaggiatore di un tempo, l’energia di colui che voleva cambiare il mondo.
Viaggiare sì, ho viaggiato e il mondo… Di sicuro il mondo ha cambiato me. Mi ha reso ciò che sono oggi e mi ha insegnato l’importanza di avere vicino qualcuno per cui valga la pena di scrivere queste righe, chiudere il cerchio e aprirne uno nuovo.
Grazie alla mia storia, alle mie contraddizioni e alle persone con cui le ho vissuto, io ho imparato.
Anche grazie a loro, adesso cammino.
Introduco, spiegando
Bangkok. 5 Gennaio 2004
Qualche tempo addietro lessi da qualche parte che un buon libro non ha bisogno né di introduzioni, né di delucidazioni a priori. Un buon libro può e deve spiegarsi da solo.
Ritengo di averci pensato parecchio a questa cosa. Ogni volta che iniziavo di buona lena a confezionare ciò che leggerete, mi dicevo: un buon libro deve spiegarsi da solo!
E se ogni volta che mi ci mettevo, la prima cosa da scrivere che mi veniva in mente era un’introduzione, una delucidazione a priori, il significato era chiaro: il mio, non era un libro buono.
Nel momento in cui ho capito che non me ne fregava assolutamente nulla di essere un buon scrittore… nel momento in cui ho accettato il fatto che non avevo le capacità tecniche per diventarlo… nel momento in cui ho sentito che non mi interessava farmi ammirare dagli altri, quanto piuttosto spingerli a pensare, a pensarla come me se possibile… nel momento in cui, nonostante questi malgrado, mi sono arreso al bisogno di esorcizzare i troppi sentire di una vita intensa banalizzandoli con un font di corpo undici… in quel momento ho scavalcato questo ostacolo.
È successo qui, ora.
È passato.
Lo scoglio è alle mie spalle.
E incomincio così.
Spiegando.
Ogni pagina o paragrafo possono essere letti a sé stante, ma è possibile ritrovarvi almeno due elementi ricorrenti: il viaggiare e la mia scelta professionale.
Il viaggio come esperienza funzionale, non come esercizio fine a sé. Non mi si fraintenda, adoro viaggiare, soprattutto in luoghi non convenzionali, ma non voglio, ho orrore, che si riconduca la mia scelta professionale alla mia identità un po’ nomade.
Che io poi non lo so che lavoro faccio di preciso: so quali passaggi devo intraprendere ogni mattina, quali nodi sbrogliare, ma la definizione mi sfugge.
Quando non ho voglia di scendere in particolari tecnici dico che rimesto schifo nelle periferie del mondo
.
Periferie, perché non mi muovo sulle virtuali operette opulente del business, né sullo sfondo dei patinati scenari dei cataloghi Alpitour e nemmeno dietro alle vetrate protettive e sterilizzanti della diplomazia.
Schifo… in quanto di quello mi occupo, perché quando si parla di infanzia ai margini, di infanzia sfruttata sessualmente, di miseria ed iniquità, a guardarla dal lato critico, si potrebbero trovare miliardi di termini, ma tutti recherebbero con sé un tanfo terribile.
E rimesto. In quanto non è che le pulisco le periferie del mondo. Io lo rimesto lo schifo, per vedere se riesco a capire qualcosa della sua natura, del suo essere così sempre uguale e ogni volta diverso; lo rimesto per vedere di mettere alcune persone in grado di aiutare qualcun altro a venirne fuori.
Rimesto.
Non risolvo nulla.
Non cambio niente.
Non salvo nessuno. Io.
È questo, e poco più, che ho tentato di condividere con una lista di amici, fratelli, conoscenti, dal momento in cui mi sono trasferito in Thailandia per lavorare con ECPAT, un’organizzazione internazionale che lotta contro lo sfruttamento sessuale dell’infanzia.
Dal marzo duemilauno, le mie Care Presenze si sono viste cosí recapitare nella loro casella di posta elettronica una sorta di diario, alle volte con voluminosi allegati, il cui titolo dà il nome a questa che ne è in parte una raccolta.
Non risolvo nulla.
Non cambio niente.
Non salvo nessuno. Io.
Che si parta da questo presupposto per attribuire il giusto peso alle tante parole che seguiranno. Anche perché sono solo un individuo, il cui diminutivo, in inglese, è una parola breve che denuncia tutta la sua disarmante ed esaltante verità: vuol dire uomo. Solamente un uomo.
A Man.
E sono un Uomo che pensa da Bangkok.
Bangkok - Parte I
Posta in uscita
ECPAT International
Diapo. Primo rullino
Gita fuoriporta
Posta in uscita
DA: manuelfinelli@
A: arymas@, nbaldanza@, rita.bertozzi@, claudio@, nicbacss@, bragi@, alessandro.bertocchi@, bebsy73@, lostsoft@, cubaccio@, ciuddu@, ellero@, ffontanelli@, giogalz@, doctorjj@, giordanimonica@, gaetano.grande@, daniloloiacono@, pes4541@, elenalucchi@, alessandro.michelini@, saramontini@, nannic@, marhaban@, francesco.pannuti@, alepelle@, crupi.piccinini@, fprope@, 22willy@, inneb@, malaone@, stiv-4@, nadiabi@, yaum_2000@, michelazannini@, davidehanau@, mirco.malaguti@, alessio.maurizi@, mariblu73@, silvianer@, debby.b@, bernacchi@, nesi@, p.emanuele@, ldonnini@, ettorecasadei@, sfaccioli@, cgriffoni@, piersabi@, fedrip@, ca11656@, giannagiovagnoli@, arossi@, tagliave@, paola.peri, centralino@, scalaalessio@, flaquita@, orlandb@, shubiddek@, dnaselli@, faggiolis@, KatiaTieghi@, simone.sandri@, silvipac@, elisasoverini@, gaia_2001@, beppe62@, tommasoserrano@, fabioartuso@, davixc@, leo.mass@, a2410@, a.finelli@
OGGETTO: A Man in Bangkok. Numero zero.
Care Presenze, rieccomi qui.
Ho lasciato molto tempo scivolare via questa volta. Ma Man in Bangkok vive… vive al di sopra delle sue possibilità, temo, e anche se scrive veloce, non riesce a starci dietro. Altro che dieci dita, ce ne vorrebbero cento! É nel frastuono tutto intorno, è nel tacere che ogni tanto cerco riparo. Se ci sono certi silenzi che significano il niente, ce ne sono altri che vogliono dire troppo.
Per questo alle volte, posso lasciar passare mesi senza verbo ferire.
Come per le mail precedenti, in allegato ci sono pagine che a molti potranno arrecare noia, fastidio, avversione. Ma ai molti ci penso sempre meno (indispensabili strategie di riduzione della complessità): è ai pochi che ancora mi vogliono seguire che spero di entrare nel cuore.
Qualche volo nella memoria e nelle mie convinzioni, ecco cosa sono queste pagine. Oltre a quelli delle varie Airlines che li hanno permessi, i voli di queste linee e righe raccontano prevalentemente di me, di come vivo il mio lavoro, di come vivo la mia vita attuale.
Gli argomenti toccati sono tanti, e per più di uno di essi temo qualche reazione negativa. Ma quanto leggerete è solo ciò vede il vostro MAN, non dimenticatelo. È solo ciò che sente. Come sempre: nulla di più.
Ho lasciato molto tempo scivolare via questa volta. Ma Man in Bangkok vive… vive.
Vive troppo probabilmente. Ma se è così che deve essere, che così sia.
A voi, mie preziose Presenze.
INVIO
ECPAT INTERNATIONAL
Bangkok. Sabato 7 aprile 2001
Care Presenze,
Questo è la mia prima lettera collettiva. Il primo Man in Bangkok, il primo di una lunga serie. Una serie lunga almeno due anni, stando da contratto...
Nonostante qui non abbia i problemi di connessione di quando vivevo in Siria, ho optato ancora una volta per questa ammucchiante modalità, perché ad ECPAT di cose da fare ne ho anche troppe e mi sembra il modo più diretto per potere disporre così della risorsa tempo.
In questa prima istanza ci tengo ad accennare all’organizzazione per la quale lavoro, che è poi la causa che mi ha portato qui.
Diciamo subito che ECPAT è una sigla che in inglese sta per fine alla prostituzione Infantile e alla tratta di bambini. Inizialmente si trattava di una campagna di lotta contro la prostituzione infantile e il turismo sessuale nel sudest asiatico. Con il tempo la Fondazione che ne stava alla base prese progressivamente la forma di una ONG (Organizzazione Non Governativa… come Amnesty o Greenpeace che sono tra le più grandi al mondo) di tipo internazionale, costituita dalla Segreteria Internazionale di Bangkok e da una serie di ECPAT nazionali presenti in più di 60 Paesi al mondo. (In Italia c’è uno dei più attivi tra i 71 gruppi nazionali: www.ecpat.it).
Come si dice in gergo, l’oggetto della mission
di ECPAT è la lotta alle varie forme di sfruttamento sessuale dell’infanzia a fini commerciali.
A seconda della posizione geografica le attività svolte/promosse sono diverse:
- Nei paesi cosiddetti sviluppati
vengono gestite azioni di sensibilizzazione in sinergia con ministeri, polizie, servizi sociali, tour operators, mezzi di informazione, eccetera, per far conoscere alle persone gli effetti sui minori della prostituzione e le cause che la rendono possibile. Un altro filone d’azione è l’attività di pressione sulle istituzioni politiche nazionali e locali riguardo i diritti dell’infanzia, la pedofilia e la pornografia infantile (via Internet ma non solo).
- Nei paesi del sud e dell’est
del mondo, oltre ad azioni di questo tipo, vengono incentivati e promossi progetti che affrontino direttamente il problema: programmi di riduzione della povertà, formazione professionale, recupero e riabilitazione delle bambine/i vittime dello sfruttamento sessuale, pressione sulle autorità affinché vengano promulgate leggi specifiche di tutela, nonché attività di coordinamento e promozione del network internazionale.
Su questo sfondo, il ruolo che ricopro è di Coordinatore della Partecipazione Infantile, una figura professionale creata per ottimizzare l’attivismo infantile e giovanile direttamente o indirettamente collegato ad ECPAT.
In sostanza, rispetto allo sfruttamento sessuale dell’infanzia, esistono una serie di organizzazioni sparse in tutto il mondo che realizzano attività di sensibilizzazione e denuncia attraverso la partecipazione dei più giovani; da Bangkok io cerco di dare all’insieme un minimo di coerenza ed omogeneità, e quindi (spero) di efficacia.
Sono appena arrivato, ma già mi sento di poter contribuire con idee e proposte e con orgoglio ritengo che questo sia soprattutto grazie alla mia esperienza con NATs. NATs (Niños Adolescentes TrabajadoreS), è l’associazione che – a metà degli anni Novanta - ho contribuito a rifondare e che si occupa della promozione culturale degli omonimi movimenti di bambini e adolescenti lavoratori.
I movimenti NATs lottano per il miglioramento delle condizioni del loro lavoro e dell’infanzia nel suo insieme e il prezioso e originalissimo approccio teorico che ho acquisito interagendo con loro è il collante di ogni mia conoscenza in materia di infanzia e sviluppo; la base ideologica che più di ogni altra ha modificato radicalmente il mio modo di vedere le cose del mondo e le scelte metodologiche in grado di connotare i miei impegni professionali.
Questo è il succo della mia presenza qui.
Non risolvo nulla.
Non cambio niente.
Non salvo nessuno.
E per ora è tutto. Un saluto affettuoso, care presenze.
Diapo. Primo rullino
Bangkok. Sabato 14 aprile 2001
Le diapositive hanno una capacità affascinante e terribile insieme: riescono a congelare un istante.
Di un’immagine o di un posto distante milioni di miglia e di persone, loro – bugiarde – ti riassumono tutto in un’icona.
Ma se sono ben fatte, le diapo, un po’ di verità la dicono.
Bangkok, come città non è descrivibile. Io non ne sono capace. Proverò con qualche diapo verbale a rendere l’idea di come si possa vivere qui.
Di che cosa si viva.
Cammino sul marciapiede. Lungo il senso di marcia del traffico affianco. È buio e io ci vedo meno del solito. A metri e metri da me, una luce rossa di posizione avanza lenta, a passo d’uomo. Dapprima penso ad un tuc tuc¹, ma è troppo in alto rispetto al suolo. Poi a un carretto, ma è una luce soltanto, piazzata nel mezzo. Man mano che mi avvicino, mi accorgo che la luce oscilla. Molle e lieve, ma oscilla da destra a sinistra. Oscilla come una luce di posizione, attaccata con una cinghietta sulla coda di un piccolo elefante. Il padrone se lo sta portando in giro, nel pieno centro di Bangkok alle otto pomeridiane… Un elefante?
Cani e gatti, tanti, troppi, dappertutto. Soprattutto di sera. Soprattutto di notte. Cani ovunque, a piccoli branchi alle volte. Ma tranquilli, calmi. Sono cani thai, dopotutto. E i gatti: siamesi, ovviamente. E dove se non qui, del resto.
La città è però incredibilmente pulita per essere una metropoli popolata da dodici e più milioni di