Il diavolo e l'artista. Le passioni artistiche dei giovani Mussolini, Stalin e Hitler
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Anteprima del libro
Il diavolo e l'artista. Le passioni artistiche dei giovani Mussolini, Stalin e Hitler - Francesco Bennardo
071
PREFAZIONE
Gli aspetti biografici, di cui veniamo a conoscenza leggendo il saggio di Francesco Bennardo, sono senz’altro ignoti ai più. Basterebbe questo per apprezzare il contributo scientifico di questo lavoro: approfondire la conoscenza della psicologia dei personaggi qui citati non è certamente un elemento trascurabile, considerando il funesto ruolo che essi hanno avuto nella storia europea del secolo scorso. Se ci si arrestasse alla valutazione dei contenuti aneddotici dello scritto, rimarrebbe in ombra però il nocciolo concettuale che in essi è racchiuso.
L’ipotesi che l’autore di questo saggio formula è che il tempo possa essere un luogo distopico: vale a dire un luogo che ha visto la costruzione di forme aberranti di strutture politico-sociali, al cui sorgere possono aver contribuito le disillusioni personali esperite dai loro fondatori.
Verrebbe in questo senso spontaneo chiedersi: «Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse apprezzato i quadri di Adolf Hitler?». È esattamente questa la domanda – ispirata alla storia controfattuale
(Counterfactual history) – che è stata posta provocatoriamente da Rebecca Onion, giornalista culturale di The Boston Globe, in un articolo pubblicato nel 2015 sulla rivista Aeon.
La storia controfattuale è un filone storiografico basato sulla domanda «che cosa sarebbe successo se…?» (what if?); esso cioè indaga gli ipotetici esiti storici, che avrebbero potuto verificarsi in presenza di condizioni diverse da quelle che hanno avuto effettivamente luogo. Già Aristotele, nella Poetica scritta negli ultimi decenni del IV secolo a.C., aveva distinto la storia che riferisce gli eventi reali e l’attività narrativa che illustra invece i fatti verosimili: fatti che potrebbero cioè avvenire. L’attitudine dello storico controfattuale è appunto qualcosa di simile. Un approccio di questo tipo ha fatto fatica ad affermarsi, soprattutto nel nostro paese, ove la storiografia è cresciuta all’ombra di Benedetto Croce, il cui slogan era che La storia non si fa con i se
: la storia ipotetica o virtuale era – per Croce – un esercizio ozioso, una inutile perdita di tempo.
Dagli anni ’70 del secolo scorso, la storia con i se
non è tuttavia più un esercizio letterario; la storia controfattuale è infatti venuta emergendo, soprattutto fra gli studiosi angloamericani, diventando una rispettata branca della ricerca storica¹.
Ha quindi senso porsi domande come: «Che cosa sarebbe successo se Hitler avesse vinto la seconda guerra mondiale?»; «Quali sviluppi avrebbe seguito la lotta per l’Unità d’Italia senza il contributo di Garibaldi?»; «Cosa sarebbe accaduto se Alessandro Magno non fosse morto così giovane, se Cesare avesse sposato Cleopatra, se gli Stati Uniti fossero rimasti una colonia inglese?».
Nelle settecento pagine del suo libro intitolato The War that Ended Peace: the Road to 1914 (traduzione italiana: 1914. Come la luce si spense sul mondo di ieri, Rizzoli, Milano 2013), Margaret MacMillan ha ad esempio affermato con chiarezza che la Grande guerra non era inevitabile.
La storica inglese richiama l’attenzione sul ruolo svolto dal caso
nella lunga catena di eventi che condussero alla Prima guerra mondiale, a partire dagli avvenimenti stessi della giornata del 28 giugno 1914 a Sarajevo, culminati nell’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo.
Tutti infatti sappiamo che l’attentato ai danni dell’arciduca stava per fallire e andò a segno, alla fine, soltanto per il concorso di una serie di circostanze apparentemente fortuite.
Così come le tante altre questioni controfattuali
, la discussione sulla inevitabilità o meno della Grande guerra evoca il tema del caso
e quelli, ad esso correlati, del determinismo e del libero arbitrio
: temi attorno ai quali i filosofi hanno dibattuto fin dall’antichità e sui quali continuano a discutere ancora oggi.
Sono pertanto ormai svariati gli autori che considerano la Counterfactual history utile per gli studenti e i lettori, perché permette interessanti speculazioni sul metodo storico e creano empatia verso la storia².
Non è affatto sia ozioso soffermarsi a considerare quanto il corso storico possa venir influenzato anche dall’andamento circostanziale di vicende psicologico-personali. È dunque un buon esercizio mentale quello a cui ci invita l’autore di questo saggio, Francesco Bennardo.
La storia controfattuale è una buona terapia contro il determinismo storiografico. L’utilità – anche didattica – della storia controfattuale sta, infatti, nel promuovere una forma di pensiero ipotetico, atto ad evitare ogni appiattimento deterministico o storicistico e per rimettere discussione una serie di luoghi comuni sul peso di questo o quel fattore nello sviluppo degli eventi.
Claudio Badano³
INTRODUZIONE
Tra il febbraio e l’aprile del 2018 l’associazione culturale Asso di Coppe organizzò ad Alba una rassegna intitolata Il tempo è un’illusione? in cui, di volta in volta, veniva chiesto ai vari relatori di discernere sulla questione filosofica e ontologica del tempo che scorre. Nel giorno in cui l’esposizione del tema è toccata a me, ho fatto notare come nella domanda che ha dato il titolo alla kermesse si nasconda subdolamente un distopico rovescio della medaglia, un risvolto sinistro che suona più o meno così: Il tempo è una disillusione?
. Che cosa facciamo, come ci comportiamo e come reagiamo quando ci rendiamo conto che non raggiungeremo un obiettivo fondamentale della nostra vita, sul quale magari abbiamo investito molto? Questa domanda è sicuramente ronzata spesso nella testa dei tre protagonisti di questo saggio e tutti e tre – attraverso mille peripezie, ovviamente diverse uno dall’altro – hanno dato la stessa risposta: intraprendere la carriera politica. L’hanno fatto con un’ideologia in cui sicuramente la pars destruens aveva un’importanza fondamentale e si può discutere se a conti fatti siano stati più rivoluzionari
o più reazionari
(John Lukacs, un professore universitario statunitense ebreo e liberalmoderato, ritiene ad esempio che Hitler sia stato il leader rivoluzionario più popolare della Storia del mondo moderno⁴), ma ciò richiederebbe molto tempo e ci porterebbe fuori strada; ciò che invece ci interessa è che l’aver avuto una fallita carriera artistica alle spalle ha portato Mussolini, Stalin e Hitler a mettere nel loro impegno politico quel pizzico di grinta, di determinazione e di rabbia in più che in quei difficilissimi anni che vanno dal 1922 al 1933 poteva essere decisivo per ottenere un incarico o per ricevere qualche preferenza inaspettata. Ha spesso ragione chi sostiene che dietro ogni efferato tiranno si nasconde l’ego martoriato di un artista non riuscito, che – messo con le spalle al muro dalla triste realtà – concepisce un nuovo, tremendo piano diabolico
: cambiare quel mondo