Marcello e l’odorato
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Anteprima del libro
Marcello e l’odorato - Valter Donati
stesso
1. La folata
È bastata una folata d’aria primaverile per riportarlo indietro di anni. I movimenti d’aria della stagione erano frequenti e, spostandosi, portavano con sé gli odori che incontravano.
Marcello provò una forte e crescente sensazione che s’impossessò della sua persona, poteva paragonarla a una scossa, come se qualcuno lo avesse preso per le spalle scuotendolo con forza. In quel momento sparirono i pensieri che affollavano la sua mente e cominciò a uscire dallo sbalordimento. Il vuoto si stava poco alla volta riempiendo di sensazioni.
L’aria pregna di vita primaverile lo invase e si chiese quale fosse il senso che gli faceva percepire questa impetuosa pulsione di vita, di giovinezza e di voglia di fare.
Mentre contemplava i colori vividi e le foglie tremule attraversate dal venticello, un fremito gli scese lungo la schiena e con uno scatto si rizzò su per cogliere bene il movimento d’aria con gli odori che portava.
Si chiese se pure il senso della vista evocasse queste eccitanti sensazioni.
Nelle sue solitarie riflessioni si chiese se quando guardava un quadro, dal quale era molto attratto, poteva provare delle emozioni simili a quelle prodotte dal suo senso dell’olfatto oppure se si trattava di appagamento intellettuale elaborato dal suo cervello.
Non che questo producesse meno piacere, ma era un’altra cosa, si determinava tramite la vista e il cervello e Marcello, riflettendoci sopra, era giunto alla conclusione che questo piacere contemplativo, per quanto bello, non potesse reggere il confronto con il piacere percepito tramite l’odorato, questo almeno valeva per lui.
Era convinto che con esso si producessero più ampie sensazioni di piacere, coinvolgendo anche gli altri sensi.
Era sempre stata una sua fissa quella di avvicinare al naso gli oggetti per sentirne l’odore per memorizzarlo o, quando sapeva che avevano un buon odore, per richiamarlo alla memoria e goderne ancora all’occorrenza.
Quel gesto lo accompagnò per tutta la vita, mezzo secolo, e l’aveva ereditato dalla madre Ester. Ad esempio, si ricordava bene e poteva richiamarlo alla memoria il profumo intenso che sprigionava dalle borsette di pelle della madre: sapeva di buono ed era indimenticabile.
Per riconoscere gli odori, l’odorato pesca nella conoscenza con la quale attiva quei processi che avevano provocato il piacere.
Marcello crebbe nella villa con giardino dei genitori in Brianza a Merate, accudito con cura dalla madre e dalla tata Gina per tanti anni fino all’età adulta.
La villa risalente ai primi del Novecento non era grande, al piano terra si accedeva tramite una scalinata di tre gradini affiancata da due balaustre, si entrava in un grande ingresso per metà occupato dalla larga scala che portava al piano superiore.
Dall’anticamera, tramite un lungo corridoio sul quale si affacciavano cinque porte, si passava nel salotto, nello studio, nella sala da pranzo, nella cucina e nel bagno di servizio. Al piano superiore si trovavano la camera dei genitori, quella di Gina, la sua e due bagni. In fondo al corridoio una stretta scala di legno portava al solaio e a una torretta finestrata con vetri piombati colorati di forma geometrica.
In questa stanzetta di due metri per due Marcello giocava da piccolo con le sue macchinine e con i Lego, poi, crescendo, era diventato un suo rifugio per isolarsi e leggere.
Da qui osservava gli uccellini che nidificavano tutti gli anni a primavera sui due grandi pini e sul salice piangente del giardino.
Gina viveva con loro da quando aveva preso servizio all’età di sedici anni e ora aveva una cinquantina d’anni.
Proveniva dalle valli bergamasche, la sua famiglia accudiva delle mucche su in val Taleggio e viveva con il ricavato della vendita del latte alla Cooperativa Agraria del vicino paese Taleggio, frazione di Reggetto.
Tornava poche volte l’anno al suo paese e da quando aveva perso i genitori le era rimasto solo il fratello Pierino, che viveva a Lecco con la sua famiglia. Dai genitori ereditò col fratello la malga in Val Taleggio, che era rimasta la stessa e, da quel momento, né lei né il fratello ci avevano più messo piede.
Tuttavia, conservò nel suo cuore la visione romantica della casetta di famiglia e, tra sé e sé, non escluse di ritirarsi lì un giorno dopo averla prima sistemata bene. Da bimba si era divertita molto correndo sui prati con suo fratello Pierino.
Tenne vivo il ricordo di quei bellissimi posti, la verde vallata, senz’altro una delle più belle valli della zona, era attraversata dal torrente Enna. Il tratto di fiume, scavato nella roccia, era chiamato orrido per le spaventose gole da cui era formato.
Quando si riempiva d’acqua impetuosa per la ripidezza del suo letto incuteva terrore. Le varie cascate e pozze d’acqua brillavano quando il sole era alto e i suoi raggi potevano raggiungere il fondo del torrente.
D’estate si bagnava con Pierino e accennava qualche bracciata nelle piccole pozze d’acqua gelida ferma sotto le cascate.
La strada provinciale 25 costeggiava il torrente, che da San Giovanni Bianco portava fino al confine con la provincia di Lecco.
Scavata nella roccia di dolomia1, era un susseguirsi di buie gallerie dalle quali si usciva restando d’improvviso abbagliati dalla forte luce.
Il paesaggio era incantevole in tutte le stagioni, d’inverno con metri di neve che coprivano le malghe agli alpeggi, in primavera con uno splendore di colori e fiori: Margherite, Peonie, Anemoni, Primule, Polmonarie, Campanellini, Epatiche, Eriche, Elleboro, Non ti scordar di me, Rose canine, Genziane, Soffioni del Tarassaco e tanti altri.
La primavera entrava con forza nella vita del paese: in pochi giorni dall’inizio dello scioglimento della neve nei prati bianco-verdi sbucavano fiori e l’odore freddo pungente dell’aria metteva addosso l’argento vivo.
I suoi genitori fecero studiare il figlio mandandolo in convitto al collegio arcivescovile Volta a Lecco fino al conseguimento della maturità di liceo scientifico. Gina, invece, fu mandata a servizio dai genitori di Marcello, mamma Ester e papà Ambrogio e, col suo stipendio, contribuì a pagare la retta scolastica del fratello Pierino.
Gina era solita raccontare a Marcello della bellezza di quei posti, e una volta ci tornò in auto con la famiglia di Marcello.
In quell’occasione la mamma di Marcello lasciò ai genitori di Gina degli indumenti smessi suoi e di suo marito.
Marcello non si sposò mai, ebbe le sue belle relazioni anche di anni ma, essendosi trasferito all’estero per motivi di lavoro, dopo un quarto di secolo non aveva ancora trovato la sua anima gemella e ora pensava che fosse troppo tardi.
Marcello perse il padre da adulto quando aveva compiuto il trentesimo anno di vita e si rimproverò sovente che il dolore provato in quella triste circostanza fosse stato inferiore a quello che riteneva avrebbe dovuto essere.
Tornava in Italia due volte l’anno e alloggiava nella casa di famiglia con la madre Ester e la domestica Gina. La casa era silenziosa e per ore non si avvertiva alcun rumore, gli pareva che fosse vuota.
Quando si ritirava nell’ex-studio di suo padre non sentiva volare neanche una mosca e, se non fosse stato per della musica classica o degli anni ’70 che amava ascoltare tramite il suo impianto hi-fi, nella casa regnava il silenzio.
Nella stradina privata non asfaltata che portava alla sua casa il transito di veicoli era raro. A volte ci passava qualche silenziosa persona che la percorreva rasentando il muro di cinta per tagliare verso la chiesa.
La madre frequentava due amiche ex compagne di scuola con le quali si recava a messa. Due volte a settimana venivano a farle visita a casa per il tè e una partitina a briscola o