Quel che resta del regime: Percorso di memoria e coscienza nella Romania Comunista tra propaganda e persecuzione cultural-religiosa
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Quel che resta del regime - Silvia Luscia
Silvia Luscia
QUEL CHE RESTA DEL REGIME
Percorso di memoria e coscienza nella Romania Comunista
tra propaganda e persecuzione cultural-religiosa
Illustrazioni di Mattia Frialdi
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2020 Elison Publishing
www.elisonpublishing.com
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Elison Publishing
elisonpublishing@hotmail.com
ISBN 9788869632167
INTRODUZIONE
Questo testo si propone di dare un contributo, seppur modesto e settoriale alla conoscenza e lettura critica della dittatura comunista in Romania, anche con documenti inediti che appartengono alla repressione della Repubblica Socialista del secondo cinquantennio del Novecento. È un argomento poco trattato in Italia, anche perché parte ingente dei contributi storiografici non sono tradotti e restano rinchiusi negli stretti vincoli della loro lingua madre, anch’essa poco studiata negli istituti superiori e nelle università europee. Proprio la scarsa frequentazione della tematica deve essere quindi stimolo alla divulgazione per un più consapevole studio delle contraddizioni del Novecento europeo.
Nel saggio qui presentato si parte dal punto di vista di coloro che si trovarono in Romania e che hanno condiviso una difficile ricostruzione identitaria: scrittori, poeti, sacerdoti, presunti o veri appartenenti al Movimento di Resistenza Nazionale, nonché i numerosi figli dello Stato, testimoni questi ultimi spesso passivi e inermi, ma che hanno pagato il pesante saldo della politica delle nascite voluta dal Governo Socialista.
Singolarmente non c’è voce che possa descrivere un intero sistema ovviamente, ma ogni voce è storia di un sistema, è quel vero morale che tocca la nostra coscienza. Le sfide, cui queste persone sono state costrette a far fronte, non erano geopolitiche, ma disperatamente contingenti come mangiare, difendere la proprietà della terra, pregare, formarsi una libera opinione, possedere libri, nonché accedere a luoghi e persone. I singoli, infatti, gli uomini sono diventati armi della Grande Storia. Il percorso proposto si pone quindi come obbiettivo la sensibilizzazione verso uno degli olocausti post-bellici più spietati che la storia europea abbia conosciuto, un olocausto politico e anche religioso avvenuto in una nazione dalla grande cultura e da una storia che l’accomuna molto al nostro Paese. Questo è un percorso d’integrazione con un popolo che condivide con noi la grande epopea dell’Impero Romano, una lingua neo-latina, la religione cristiana, una dominazione totalitaria e il fenomeno dell’emigrazione e una partnership economico-industriale molto forte.
Siamo innanzi a un racconto, in cui la ricostruzione dei caratteri totalitari della Repubblica si accompagna alle parole di romanzieri, giornalisti e medici, in cui la Grande Storia, che nessun manuale può rendere all’umanità in modo completo, proprio perché prescinde dalla soggettività del singolo che vive l’evento, è qui solo una carta orientativa in cui il lettore ritrovi i caratteri del totalitarismo, ma integrati dalle testimonianze letterarie e giornalistiche per viverne
il senso.
Se questa è la conformazione della prima sezione, la seconda riporta i documenti inediti della persecuzione comunista verso sacerdoti e dissidenti agricoli del distretto di Hunedoara, da parte del tribunale militare di Sibiu, accompagnati da un’antologia di passi del Premio Nobel Herta Muller, a cui va il mio personale omaggio a trent’anni dalla caduta del regime della famiglia Ceausescu. Introdotti dall’analisi storico-politica relativa alle persecuzioni comuniste a partire dal 1944 e con un focus specifico poi all’area del Banato Romeno, in cui le persecuzioni si concentrarono maggiormente, percepiti spesso nella loro aridità di dato storico, i documenti ora diventano così testimonianza viva, testimonianza di senso, parola che supera la morte, diventano racconto universale di una vita spesa per la dignità umana, non uno sterile numero di protocollo a cui lo storico fa riferimento.
La terza sezione, frutto di un reportage fotografico dell’autrice in terra romena, rielaborato anche in chiave artistica dalla matita di Mattia Frialdi, illustratore del presente volume, rende, attraverso le immagini, che assumono di volta in volta carattere simbolico, l’eredità e le contraddizioni che il regime ha lasciato in un Paese in cui tradizione e modernità cercano di integrarsi in un percorso non sempre conforme alle previsioni economico-politiche degli statisti europei.
PRIMA SEZIONE:
LA STORIA DI UN REGIME
La storia non si snoda come una catena di anelli ininterrotta. In ogni caso molti anelli non tengono. La storia non somministra carezze o colpi di frusta. La storia non è magistra di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve a farla più vera e più giusta
(E. Montale)
CARTA D’IDENTITÀ DEL REGIME
I CARATTERI DEL REGIME TOTALITARIO DI CEAUSESCU: I CARNEFICI DI IERI
Quando si parla di totalitarismo si intende un’ideologia e un sistema politico caratterizzati dal completo controllo da parte dello Stato sulla società e sugli individui.
Il termine totalitario
fu coniato dagli antifascisti negli anni Venti, ma ben presto venne utilizzato per indicare un riferimento al potere assoluto dello Stato sugli individui.
Definire un regime totalitario implica, dunque, anche una valutazione critica sull’operato e sulle istituzioni; la Repubblica Socialista Romena, nella sua peculiare accezione del regime instaurato dalla famiglia Ceausescu, detiene tutti i caratteri di un totalitarismo nazionalista di base comunista instauratosi un ventennio dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
L’instaurazione di una Repubblica Socialista in Romania ha posto fine pian piano alla convivenza di un crogiolo di popoli che si trovavano sul suo territorio durante l’Impero Asburgico e questo crogiolo di popoli, nonché di dissidi, favoriva anche, come accadde talora nei territori misti di frontiera di un impero, la consapevolezza di un’appartenenza comune, di un’identità particolare, intessuta di contrasti, ma inconfondibile in questa sua conflittuale peculiarità, propria ad ognuna delle componenti di questo sistema ecumenico, componente romena, ungherese, sassone e semita. La Romania fa parte infatti di quelle terre culturalmente legate al Danubio, è Mitteleuropa tedesca-magiara-slava-romanza-ebraica, come la definisce Magris1, polemicamente contrapposta al Reich germanico e diciamo a qualsiasi altra forma di omologazione ideologico-religioso-linguistica. Per questo le minoranze, spesso concentrate nella periferia dello Stato romeno, saranno oggetto di sistematica persecuzione, ma manterranno una resistenza culturale solida, forti del sentirsi le vere depositarie e interpreti della nazione pur nella cosciente consapevolezza di essere incomprese dal resto della nazione stessa. Questa resistenza è stata spesso coltivata dagli scrittori romeni in patria e all’estero. La Romania ha dato al mondo penne come il franco-romeno Ionesco, cresciuto nel sostrato dadaista romeno oppure il poeta jiddisch Israil Bercovoci, il premio Nobel per la letteratura Herta Muller, nonché il poeta Oskar Pastior.
Presenza di un’ideologia ufficiale che pretende di porsi come unica e insostituibile e di un potere assoluto di un partito di massa e del suo capo.
Nicolae Ceaușescu1 (Scornicești, 26 gennaio 1918 – Târgovişte, 25 dicembre 1989) è stato il cuore del nazionalismo socialista romeno. Segretario generale del Partito Comunista Rumeno dal 1965, seguace di Gheorghiu-Dej capo della fazione nazionalista, fu il dittatore della Romania dal 1967 al dicembre 1989, anno in cui fu deposto e processato con le accuse di crimini contro lo Stato, genocidio e distruzione dell’economia nazionale
, ma a differenza di molti capi comunisti non arrivò al potere con la forza. La sua è stata una delle dittature comuniste della storia e di certo una delle più spietate. Il 22 dicembre 1989, con decreto di Ion Iliescu fu istituito il Tribunale Militare Eccezionale per giudicarlo e il 25 dicembre i coniugi Ceaușescu furono giustiziati a seguito di un processo sommario e condannati a morte. La loro esecuzione fu effettuata alcuni minuti dopo la pronuncia della sentenza e questa condanna a morte fu l’atto finale della rivoluzione romena del 1989.
La storia di questo dittatore si colloca, e quindi va letta, all’interno della crescita del Partito Socialista Romeno, fondato l’8 maggio 1921 a seguito di una scissione all’interno del Partito Social Democratico Romeno. Il primo segretario fu Gheorghe Cristescu, ma tra i fondatori erano presenti diversi intellettuali dell’epoca, tra cui Lucrețiu Pătrășcanu e lo storico Petre Constantinescu-Iași. Partecipò al III Congresso dell’Internazionale Comunista organizzato nel giugno dello stesso anno e nel 1924 fu promulgata la legge Mârzescu
che ne dichiarò l’illegalità a seguito dei tumulti contadini conosciuti come Răscoala de la Tatarbunar.
Fino alla Seconda Guerra Mondiale l’ importanza del partito nella scena politica romena restò marginale e solo dopo l’occupazione sovietica della Romania, al termine del conflitto, il numero degli iscritti al partito aumentò rapidamente, tanto che il PCR vinse le elezioni del 1946, lasciando quasi senza rappresentanza tutti gli altri partiti politici, che denunciarono lo spettro dei brogli elettorali.
Nel 1947 Petru Groza, all’epoca capo di un governo che comprendeva comunisti e socialdemocratici, costrinse il Re Michele I di Romania ad abdicare e proclamò