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Un'altra vita
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E-book207 pagine2 ore

Un'altra vita

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Info su questo ebook

Pierpaolo Malaspina, giudice milanese, lavora in Sicilia su cause perditempo. L'ultima riguarda l'attribuzione di paternità di un imprenditore deceduto. Tutti i CTU hanno rifiutato, tranne la dottoressa Chiara Brigandì, alla sua prima consulenza. Chiara contatta spesso Pierpaolo, che la considera una piaga, un'imbranata. Una sera, per lavoro, i due si incontrano e il giudice si accorge che Chiara non è affatto una scocciatura.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mar 2019
ISBN9788835374206
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    Anteprima del libro

    Un'altra vita - Tiziana Russo

    Ringraziamenti

    I

    Franco non aveva voglia di scontrarsi con i malumori del giovane magistrato Malaspina venuto, dal Nord, per combattere la mafia. Questo nordico proprio non lo vuole capire che al Sud la mafia non si combatte, al massimo ci si convive.

    Franco, prossimo alla pensione, aveva anche provato a farglielo capire e non solo lui. Ci avevano provato un po’ tutti, propinandogli cause perditempo. Era certo che appena il Giudice Malaspina avesse visto la nuova causa affidatagli avrebbe cominciato a lamentarsi. Chiunque avesse letto i nomi dei contendenti aveva declinato l’incarico. Franco si fece coraggio e bussò alla porta. A lui, il compito di consegnargliela.

    «Avanti!».

    «Buongiorno Dottore».

    Franco mise il pesante faldone sulla scrivania. E si massaggiò la gamba offesa, sempre dolorante.

    «E questo cos’è?».

    «Una nuova causa».

    Pierpaolo si sedette alla scrivania e prese a sfogliare le prime pagine, parlottando fra sé e sé.

    «Signor Giudice posso andare?»

    «Sì, sì».

    «Le porto un caffè signor Giudice?».

    «Io non prendo caffè».

    Franco uscì dalla stanza, chiedendosi come quell’uomo facesse a vivere senza un goccio di caffè.

    Pierpaolo prese a leggere svogliatamente gli estremi della causa. Sbuffò e si lasciò cadere all’indietro sullo schienale della poltrona, che cedette facendolo cadere. Il cellulare iniziò a suonare.

    «Ci mancava anche questa», disse rialzandosi tutto indolenzito mentre il cellulare continuava a suonare. Guardò il display.

    Mamma.

    Si ricompose, quasi sua madre potesse vederlo.

    «Ciao, mamma. Sto lavorando».

    «Perché ci hai messo così tanto tempo a rispondere, Pierpaolo lo sai che io mi preoccupo…. Mi farai morire tu!».

    «Mamma stavo lavorando», le rispose cantilenando.

    «È proprio questo che mi preoccupa, il tuo lavoro, in quella terra di nessuno, ma non potevi restartene qui bello tranquillo?».

    «Mamma, ma io sono tranquillo, e anche tu, puoi stare tranquilla, ci sentiamo dopo», le disse, riattaccando, e non dandole il tempo di replicare.

    Chiara, senza ombrello e completamente zuppa, aveva finalmente raggiunto il portone di casa, trascinando le buste della spesa. Il portinaio l’accolse con una busta.

    «Dottoressa Brigandì, stamattina hanno lasciato questo per lei. È del tribunale, spero che non ci siano problemi! Con voi medici, uno si preoccupa, si sentono in televisione così tanti casi di malasanità».

    Chiara abbozzò un sorriso e scosse la testa.

    «No, stia sereno Oreste, non credo sia un avviso di garanzia, non ho ucciso nessuno, almeno non negli ultimi tempi. Può stare tranquillo!», disse salendo rapidamente le scale.

    Finalmente a casa! Una doccia calda adesso era quello che ci voleva dopo quella lunga giornata. Terminata la doccia, si lasciò cadere sul divano e controllò il telefonino: c’erano cinque chiamate perse, dodici messaggi, tutti di Luca, suo fratello, e nel mentre lui chiamò nuovamente.

    «Scusa se ti disturbo, ma sono molto preoccupato Davide è caduto dal lettone e Raffaella è in lacrime».

    «Com’è successo?», chiese lei certa che il nipote stesse benissimo.

    «Raffaella lo aveva lasciato lì, sul nostro letto, tra i cuscini e poi l’ha trovato per terra. Non è che magari devo portarlo al pronto soccorso per vedere se ha un trauma cranico?».

    «È sveglio? Ha lividi? Ha dei gonfiori? Piange?».

    «No lui no, non piange. È lei che non la smette più da quando è successo, lui si muove, sembra tranquillo, ma che faccio? Chiamo la guardia medica? Dimmi tu, Chiara, sono preoccupatissimo!».

    «Senti, se non piange ed è calmo secondo me non lo devi portare da nessuna parte».

    «Sei sicura? Ma può mangiare, posso farlo addormentare?».

    «Si, Luca sono sicura e comunque può mangiare e dormire, controllalo bene, ma se non ha lividi da nessuna parte e non piange, vuol dire che non s’è fatto niente».

    «… e non è che potresti venire a vederlo?», chiese lui con voce supplichevole.

    Chiara aveva avuto una giornata interminabile, di una settimana interminabile, era veramente stanca.

    «Luca, dovrei farmi un’ora e mezza di strada… Il bambino sta bene, dai stai tranquillo!».

    «È tuo nipote, potresti anche farlo uno sforzo!», le replicò lui stizzito.

    «Stasera proprio non posso Luca, comunque tienimi aggiornata, ok?».

    Dopo cena aprì la busta del tribunale: era la nomina a consulente tecnico di ufficio. La sua prima nomina.

    Il campanello aveva preso a suonare con insistenza.

    A fine giornata, Pier Paolo Malaspina, faceva sempre jogging sul lungo mare. Correva, macinava chilometri, scaricava tensioni, cercava risposte. Per Franco, già seduto al bar, con gli amici, il passaggio del suo capo era un appuntamento quotidiano, come fosse un programma da guardare in tv.

    «Mi sa che è più nero del solito oggi il Dottore», aveva esclamato Santino, il barista, Franco rise e gli rispose.

    «Sì mi sa di sì. È ancora inchiodato su una causa perché non trova il CTU¹. Mi ha messo a cercare tutti i CTU iscritti all’albo, alla fine ne ho presa una nuova, spero che questa non mi deluda e accetti, perché se no chi lo sente», si lamentò Franco massaggiandosi la gamba.

    «Beh speriamo allora, ma che ha sta causa di tanto importante? Al tuo Giudice hanno dato finalmente l’inchiesta di mafia?», gli chiese.

    «No, non è mafia, ma è una rogna lo stesso, solo che il Giudice ancora non l’ha capito».

    «Franco, sto Giudice non capisce tante cose, ma alla fine vedrai le capirà anche lui, se no… altro che corse sul lungo mare, qua lo rispediscono a Milano per direttissima».

    Finalmente a casa. Una doccia calda sarebbe stata perfetta. Il cellulare era ancora sul comodino dove lo aveva lasciato. Sullo schermo lampeggiavano avvisi di telefonate, messaggi, chiamate perse. Nel mentre squillò.

    Mamma.

    «Pierpaolo, finalmente! Ero veramente preoccupata! Come mai non hai risposto al telefono, tutto bene?».

    «Sì mamma, tutto bene, sono vivo e vegeto, ero a correre, avevo lasciato il telefono a casa e ora ho bisogno di una doccia».

    «… tu mi farai morire! Da quando ti sei fatto trasferire non dormo la notte! Mi sogno sempre che aprano il telegiornale delle venti con la notizia della tua morte, immagini terribili», gli disse la madre con voce rotta dal pianto.

    «Mamma, stai sicura che per le cause che seguo qui non corro il rischio di essere l’apertura di nessun Tg».

    «Su cosa stai lavorando, mi devo preoccupare?».

    «Mamma… sono cose riservate: adesso mi faccio una doccia, mi preparo la cena, guardo un film in televisione e poi vado a dormire».

    «…ma stai mangiando?».

    «… se mi lasci cucinare, sicuramente mangio, ciao, ciao».

    Quel modo di scampanellare era inconfondibile, Chiara corse alla porta. Era Simona, la sua migliore amica.

    «La prossima volta che affitti una casa: piano terra con giardino o con l’ascensore», disse Simona col fiatone.

    «Ma non sei quella sportiva tu?», rispose Chiara ridendo, «dai entra…».

    «Io sono sportiva, ma l’arrampicata al sesto piano senza ascensore non è sport ma tortura. Vieni in palestra con me a fare pilates o zumba…».

    «Io?».

    «Si tu, un po’ di sano sport ti farebbe bene, sai quanti incontri interessanti si fanno in palestra?».

    «… non ho il tempo né per lo sport né per gli incontri».

    «Trovalo! Tu hai bisogno di vedere gente, di fare vita sociale, sei tutta casa e ospedale».

    «Non sono tutta casa e ospedale», replicò Chiara, con un mezzo broncio. Simona le lanciò un’occhiata non troppo convinta.

    «Ma sei andata al Giapponese non hai preso la pizza?», le disse guardando nelle buste, «io queste cose non le mangio…».

    «Ma se non sai nemmeno cosa sono, come fai a dire che non le mangi. Forza stasera devi provarle!».

    Chiara perplessa e preoccupata, aprì uno dei vassoi. «È pesce crudo».

    «È sushi», le rispose l’amica porgendole le bacchette.

    «Ma domani riesci a uscire da quel magico posto a un orario decente, cosicché potremmo andarcene un po’ in giro?».

    «No, domani no, farò tardi sicuro».

    «E come lo sai?».

    «Perché arriverò in ritardo e devo recuperare le ore».

    «In ritardo tu? Ma se neanche sai cosa significa questa parola!».

    «Domani devo andare a ritirare una Consulenza tecnica d’ufficio. Spero di non perderci troppo tempo».

    «Umm, quindi domani vai in tribunale».

    «Sì, purtroppo, sì».

    «Purtroppo? Il tribunale è pieno di avvocati, di simpatici, giovani, ed eleganti avvocati!».

    Chiara sbuffò, Simona faceva gli stessi discorsi di quindici anni.

    «È lavoro, solo lavoro».

    «Ho capito che è lavoro, solo lavoro, ma se incontrassi lì l’uomo della tua vita, non ci sarebbe niente di male».

    Chiara scoppiò in una sonora risata.

    «Simo, per te in palestra, al tribunale, in ogni dove dovrei incontrare l’uomo della mia vita».

    «È così che funziona, si incontrano le persone, si sorride, si parla e poi… Poi scatta qualcosa di magico ed è fatta!».

    Chiara rise nuovamente, Simona era un’inguaribile romantica.

    «E come ti vesti domani mattina?», disse Simona con una punta di malizia.

    «Boh, un jeans, una giacca…», le rispose.

    «Ma sei impazzita?».

    Chiara la guardò con aria perplessa.

    «In tribunale si va vestiti bene, non le vedi tutte le avvocatesse tacco e tailleur? E tu vuoi andare con i jeans? Ma non esiste proprio, in tribunale ci vai vestita bene! Andiamo di là vediamo cosa ci offre il tuo armadio!».

    Chiara di buon mattino uscì di casa. Mentre andava a prendere la macchina si domandava come avesse fatto a farsi convincere: tubino turchese, sandali gioiello, col tacco alto, capelli sciolti e vaporosi. Come aveva potuto rinunciare alla sua comoda coda di cavallo? E quei tacchi poi… c’era persino da preoccuparsi di non prendere una storta. C’è poco da fare, c’è chi nasce per il tacco 12, e chi no. Giunta davanti al tribunale si sentì a disagio. Ne era certa, quello non era il luogo per lei. Si avvicinò all’ingresso, con quell’agitazione da primo giorno di scuola e la voglia di andare via in fretta.

    Pierpaolo Malaspina sbuffava, fissava l’orologio, tamburellava con le dita sul tavolo ancora una volta il CTU non si era presentato, era il diciassettesimo convocato e mentre tutti i suoi colleghi avevano già distribuito le cause della mattina lui era lì, bloccato, in attesa di qualcuno che forse non si sarebbe mai presentato. Si passò nervosamente una mano tra i capelli.

    «È una cosa pazzesca, assurda, vorrei capire perché si iscrivono all’albo se poi non hanno voglia di lavorare», bofonchiava.

    «Venti minuti fa, il CTU doveva essere qui venti minuti fa» si lamentò e si drizzò in piedi, non ne poteva più: tra astensioni e rifiuti quella causa continuava a rimanere sospesa sulla sua scrivania.

    Chiara si fermò, aveva il fiatone, le faceva male il piede sinistro, non era sicura di essere nel posto giusto, si avvicinò a un anziano signore e chiese «Scusi, cercavo l’aula numero sei».

    «Mi segua, dottoressa», le rispose l’uomo.

    L’uomo trascinando una gamba, le fece cenno di seguirlo.

    Mentre camminava le sembrava che l’abito si accorciasse sempre più e i tacchi diventassero sempre più alti, si sentiva fasciata dal disagio.

    «Signor Giudice, la dottoressa è qui per la CTU».

    Pierpaolo le lanciò uno sguardo duro e fissò l’orologio senza dire niente, Chiara avrebbe voluto che la terra si aprisse all’istante.

    «Mi scusi, Dottore, ma mi ero persa e poi…».

    e poi se non fosse stato per Simona io oggi avrei messo le mie solite Hogan e avrei corso per essere puntuale, ovviamente non lo disse, lo pensò solo.

    «… e poi ha chiesto a me la stanza numero sei…», disse Franco per stemperare la tensione.

    Pierpaolo fece una mezza smorfia, che voleva essere un sorriso. «Dottoressa Brigandi cerchiamo di recuperare il tempo perduto», le disse.

    «Brigandì, Chiara Brigandì» precisò lei.

    Pierpaolo alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

    «Bene dottoressa Brigandì», forzando l’accento sull’ultima sillaba, «Accetta l’incarico?».

    Chiara annuì.

    Ha detto: sì? Ho sentito bene? ovviamente non lo dissero né il Giudice né Franco, ma entrambi lo pensarono.

    «Bene, procediamo», disse Malaspina.

    Chiara fissava il Giudice, aspettando di capire cosa avrebbe dovuto fare per accettare. Pierpaolo, dal canto suo, aspettava che lei si decidesse a parlare, sentendo montare irritazione e impazienza. Perché non pronunciava la frase di rito?

    «Dottoressa vuole o non vuole giurare?».

    Chiara lo guardò, cercando di non farsi intimidire troppo da quegli occhi azzurro ghiaccio che la fissavano da quando aveva messo piede in aula.

    «Sì! Sì sì lo giuro».

    Franco scoppiò in una risata spontanea, che frenò immediatamente dopo.

    «Signor Giudice, penso che la dottoressa non sappia la frase di rito».

    Pierpaolo sbuffò, era impensabile che una che volesse fare il CTU non sapesse le basi di quello che stava facendo.

    «Dottoressa deve dire la frase di rito».

    Chiara lo guardò come si guarda un professore durante un’interrogazione, dopo che ti ha appena chiesto l’unico argomento che non ricordi. Non lo sapeva davvero, pensò, sbuffando Pierpaolo e le passò il foglio del verbale.

    «Legga qui dottoressa».

    Chiara fece un respiro profondo e poi lesse.

    «Giuro di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidatemi al solo scopo di far conoscere al Giudice la verità».

    E aggiunse Amen, alla fine.

    Franco cercò nuovamente di trattenere una risata, nascondendola in un colpo di tosse.

    «Adesso può andare dottoressa Brigandì, buon lavoro», le disse Pierpaolo porgendole la mano.

    Chiara abbozzò un sorriso e gli strinse la mano.

    Una stretta decisa e forte, per una così impacciata, pensò Malaspina.

    Appena rincasò Chiara si mise a sfogliare il fascicolo della perizia. Doveva subito leggerlo e farsi un’idea, visto che aveva accettato senza guardare di cosa si trattasse. Forse avrebbe fatto meglio a leggere prima di accettare. Lesse una prima volta. Poi rilesse ancora una volta: toccava a lei stabilire se Marina Bonanno, figlia di Rosamaria Bonanno, fosse anch’essa figlia di Bartolomeo Florio, detto Bartolo. E non sarebbe stato difficile se non fosse che, il caro Bartolomeo Florio, detto Bartolo, aveva deciso di morire nel mese di gennaio, stroncato da un infarto, a soli 56 anni, lasciando una moglie e tre figli legittimi.

    Per fare quel test del DNA, lei che era pediatra, avrebbe dovuto chiedere la riesumazione del cadavere. Le venne

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