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"?" Aforismi e nucleo: Aforismi e nucleo di Ferruccio Sangiacomo
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E-book655 pagine2 ore

"?" Aforismi e nucleo: Aforismi e nucleo di Ferruccio Sangiacomo

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Lusingato dall’impresa ed altrettantemente (in)consapevole della mia inadeguatezza, con la coscienza di un criceto, ho accettato di stendere la prefazione a questa “quintessenza di visione del mondo di Ferruccio Sangiacomo”, eclettico studioso, fatta di “fondamentali” e di “aforismi” che ne sono la declinazione terrena/prosaica.
Non so trovare la motivazione terrena-profonda che mi ha mosso a questa adesione; ma questo forse fa parte del “gioco” al quale sono stato invitato. L’amicizia e la stima reciproca che ci lega da tempo è fuor di discussione. Ma da qui a farmi fare la prefazione ad un testo profondo e frutto di prolungate riflessioni-inquietudini interiori il passo non è breve.  Provo comunque ad affacciarmi sugli scenari da lui disegnati. Lo accetto, vista la sua imperiosa ed indiscutibile richiesta, solamente come pegno di imperitura fratellanza.
Lo ammetto, Ferruccio Sangiacomo mi ha messo a dura prova, non essendo chi scrive un filosofo, forse un dilettante-aspirante epistemologo, ma per lo più un semplice studioso e cultore della salute e delle malattie di chi invecchia.
Chi legge avrà già intuito che la regola aurea che viene richiesta all’estensore della prefazione - ovvero quella di saperne molto di più dell’autore del libro e di esprimere-garantire autorevolezza e competenza - è qui ahimè infranta.
Anche le pallide reminiscenze di filosofia che affiorano da un tempo lontano - grazie ancora al mitico e mai dimenticato Prof. Gatti di immensa cultura, del Calini di Salò - sono indubbiamente impolverate e forse anche un pò arrugginite. Non mi sono pertanto di grande ausilio. Poca cosa questi brandelli di memoria impolverati ed arrugginiti per chiosare l’architettura filosofica che nel testo di Sangiacomo prende forma.
E poi dagli anni ’70 ad oggi il mondo ha subito un cambiamento radicale che non è facile da riassumere in poche parole ma è sotto gli occhi -sotto la pelle- di tutti coloro che hanno vissuto da adulti gli ultimi 40-50 anni.
Che hanno visto in modo più o meno lacerante o entusiasmante, secondo i punti di vista, una sempre maggiore crisi dei grandi sistemi di valori, e dell’ambizione di poter ordinare il mondo secondo una visione illuministica (deterministica), dalla quale ha preso le mosse gran parte di quello che viene chiamato pensiero moderno.
“Ciò che mi preoccupa è che si vada diffondendo uno scetticismo diffuso, un disimpegno ai valori forti, la convinzione che nulla vi sia nella vita che valga la pena di realizzare se non il proprio piacere e la propria istantanea felicità. Ci si disimpegna dal rischio della responsabilità, non si vuole crescere, si vuole restare in un’infanzia non più innocente ma comunque non responsabile .. ci si rifiuta di farsi carico degli altri ..  si coglie l’attimo e nient’altro” (cardinale Carlo Maria Martini).
Vengo al dunque. La weltanschauung di Ferruccio è molto nitida e assolutamente deterministica.
Ferruccio, per comprendere la propria vocazione, prende contatto con la propria coscienza, con il nucleo centrale del suo essere. Con questo stato interiore comprende ciò che è chiamato a fare, ed inizia un percorso per poter realizzare la propria vocazione.
E ci parla con eclettismo creativo e con vene poetico-filosofiche della sua visione del mondo, con ironia, note di comicità, che traspare anche dalle sue opere pittoriche.
Dott. Orazio Zanetti, Geriatra
“Non fu parco con le parche” (come ebbe a dire Ferruccio Sangiacomo)
LinguaItaliano
Data di uscita24 mar 2020
ISBN9788835391555
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    Anteprima del libro

    "?" Aforismi e nucleo - Ferruccio Sangiacomo

    SVILUPPARE

    BREVE INTRODUZIONE

    Un tuffo nel crogiuolo della coscienza, alla ricerca di una sintonia interiore (della felicità?), e del potere umanizzante del vero del buono e del bello.

    Tra determinismo e caos, libertà e libero arbitrio

    La mucca di Prikett

    Edgar Lee Master

    Lusingato dall’impresa ed altrettantemente (in)consapevole della mia inadeguatezza, con la coscienza di un criceto, ho accettato di stendere la prefazione a questa quintessenza di visione del mondo di Ferruccio Sangiacomo, eclettico studioso, fatta di fondamentali e di aforismi che ne sono la declinazione terrena/prosaica.

    Non so trovare la motivazione terrena-profonda che mi ha mosso a questa adesione; ma questo forse fa parte del gioco al quale sono stato invitato. L’amicizia e la stima reciproca che ci lega da tempo è fuor di discussione. Ma da qui a farmi fare la prefazione ad un testo profondo e frutto di prolungate riflessioni-inquietudini interiori il passo non è breve. Provo comunque ad affacciarmi sugli scenari da lui disegnati. Lo accetto, vista la sua imperiosa ed indiscutibile richiesta, solamente come pegno di imperitura fratellanza.

    Lo ammetto, Ferruccio Sangiacomo mi ha messo a dura prova, non essendo chi scrive un filosofo, forse un dilettante-aspirante epistemologo, ma per lo più un semplice studioso e cultore della salute e delle malattie di chi invecchia.

    Chi legge avrà già intuito che la regola aurea che viene richiesta all’estensore della prefazione - ovvero quella di saperne molto di più dell’autore del libro e di esprimere-garantire autorevolezza e competenza - è qui ahimè infranta.

    Aggiungo inoltre che, come diretta conseguenza delle vicissitudini della mia vita personale, dichiaro di considerarmi un agnostico.

    Non buone premesse per una prefazione? Chissà?

    Anche le pallide reminiscenze di filosofia che affiorano da un tempo lontano - grazie ancora al mitico e mai dimenticato Prof. Gatti di immensa cultura, del Calini di Salò - sono indubbiamente impolverate e forse anche un pò arrugginite. Non mi sono pertanto di grande ausilio. Poca cosa questi brandelli di memoria impolverati ed arrugginiti per chiosare l’architettura filosofica che nel testo di Sangiacomo prende forma.

    E poi dagli anni ’70 ad oggi il mondo ha subito un cambiamento radicale che non è facile da riassumere in poche parole ma è sotto gli occhi -sotto la pelle- di tutti coloro che hanno vissuto da adulti gli ultimi 40-50 anni.

    Che hanno visto in modo più o meno lacerante o entusiasmante, secondo i punti di vista, una sempre maggiore crisi dei grandi sistemi di valori, e dell’ambizione di poter ordinare il mondo secondo una visione illuministica (deterministica), dalla quale ha preso le mosse gran parte di quello che viene chiamato pensiero moderno.

    Ciò che mi preoccupa è che si vada diffondendo uno scetticismo diffuso, un disimpegno ai valori forti, la convinzione che nulla vi sia nella vita che valga la pena di realizzare se non il proprio piacere e la propria istantanea felicità. Ci si disimpegna dal rischio della responsabilità, non si vuole crescere, si vuole restare in un’infanzia non più innocente ma comunque non responsabile .. ci si rifiuta di farsi carico degli altri .. si coglie l’attimo e nient’altro (cardinale Carlo Maria Martini).

    Certo siamo in un’epoca caratterizzata dalla contaminazione dei saperi. La contaminazione rappresenta la nuova avanguardia – il post-futuro – prossimo venturo, nei linguaggi, nella musica, nella ricerca in campo medico che vede lo scenario sempre più affollato di bio-ingenieri, bio-informatici, statistici, bioetici, filosofi. Con l’intelligenza artificiale destinata sempre più a dominare le nostre vite, in modo traversale, come filo conduttore delle molteplici attività umane, dalla guida di un’automobile alla programmazione delle attività domestiche, alla gestione della nostra salute.

    Vengo al dunque. La weltanschauung di Ferruccio è molto nitida e assolutamente deterministica.

    Ferruccio, per comprendere la propria vocazione, prende contatto con la propria coscienza, con il nucleo centrale del suo essere. Con questo stato interiore comprende ciò che è chiamato a fare, ed inizia un percorso per poter realizzare la propria vocazione.

    E ci parla con eclettismo creativo e con vene poetico-filosofiche della sua visione del mondo, con ironia, note di comicità, che traspare anche dalle sue opere pittoriche.

    Non entro nel merito delle molteplici questioni che pone, solo qualche suggestione, assolutamente discutibile e non esaustiva delle molteplici problematiche sollevate.

    Al suo interrogativo: E’ l’anima razionale a decidere, o prevalgono le passioni, o alla fine la spunta l’intelletto? Se distinguo gli eventi rilevanti da quelli banali, mi sembra di doverne attribuire la causa, posto che esista, ora all’una ora all’altra funzione dell’anima. Se invece pongo tutte le azioni sullo stesso piano, ho la sensazione di attribuirne la responsabilità a una pluralità in conflitto permanente. Se invece ipotizzo che il (cosiddetto) singolo individuo segua, pur attraverso dubbi, esitazioni e incertezze, un percorso obbligatorio già tracciato, l’esigenza di ricondurre la psiche ad unità viene meno.

    Rispondo: la libertà resta un attributo fondamentale del nostro essere umani.

    In tema di umanizzazione delle macchine, Sangiacomo afferma che Le macchine acquisterebbero, tramite la tecnologia (informatica, bioinformatica, etc.), la facoltà dell’autocoscienza. In tal modo, che si possano o meno considerare alla stregua di specie viventi, si presenterebbero legittimamente come eredi dell’homo sapiens nell’egemonia sul pianeta.

    Rispondo: mi permetto di osservare che le macchine non acquisiranno mai la capacità di una relazione empatica che richiede dialogo, comprensione e condivisione, ovvero empatia. Non immagino - e mai avverrà- un colloquio clinico tra uomo e macchina quale ne sia l’intelligenza artificiale.

    L’l’intelligenza artificiale non sostituisce quella dell’uomo. La completa. Ma di certo non può sostituire il cuore e la compassione, nel suo significato etimologico del termine ( cum patire , soffrire insieme).

    Checché suggeriscano le nuove scienze cognitive che pongono in discussione idee ordinarie sulla natura dell’azione consapevole, della razionalità e della libertà (frutto di mero determinismo), insisto nel pensare, con Ferruccio, che la libertà resta un attributo fondamentale del nostro essere umani. Con la caparbia speranza che la realtà possa essere corretta ed indirizzata verso traiettorie in grado di rispettare la dignità umana, grazie alla fratellanza ed alla misericordia; grazie al vero al buono al bello.

    Auguro al libro - di sicuro giovamento per l’anima dei lettori - la fortuna che merita.

    Dott. Orazio Zanetti, Geriatra

    Non fu parco con le parche (come ebbe a dire Ferruccio Sangiacomo)

    Prima parte

    AFORISMI

    Riflessioni non sempre filosofiche

    di Ferruccio Sangiacomo

    ABILITA’ E SERVITU’

    Quando l’abilità è socialmente rilevante, diventa un’arma a doppio taglio Scatta cioè un meccanismo per cui quasi sempre chi serve viene asservito.

    ALTRUISMO 1

    Un uomo può esser altruista per natura, per ragionamento o per disperazione.

    Essere altruista per natura significa trarre maggior piacere dall’altruismo che dall’egoismo. In tal modo, giovando agli altrui, l’altruista per natura giova a se stesso ed è perciò anche egoista. Anzi, dato che agisce in conformità e non in contrasto con la sua natura, è più egoista che altruista.

    L’altruista per ragionamento sacrifica un bene minore (presente) in vista di un bene maggiore (futuro). Oppure sacrifica la felicità terrena in vista di una felicità ultraterrena. Oppure si sacrifica a favore di persone (la moglie, i genitori, i figli, etc.) la cui vita gli sta a cuore più della propria. Il primo e il secondo soggetto rivelano entrambi un egoismo di stampo utilitarista, perché il loro altruismo presume di ottenere un vantaggio. Costituisce cioè un mezzo e non un fine. Il terzo soggetto è simile all’altruista per natura, nell'ambito più circoscritto a cui si rivolge, e identico all’altruista per natura, il quale, come si è visto, agisce più da egoista che da altruista.

    Nel terzo caso il soggetto (es.: un criminale pentito) ha perso qualunque interesse per la propria vita, che assume nel suo giudizio valore zero. In tal caso egli, agendo in nome dell'interesse altrui, sacrifica un interesse nullo in vista di un interesse effettivo (es.: la riabilitazione).

    Nemmeno il santo (altruista per natura) rappresenta un caso di perfetto altruismo, come non lo rappresenta il masochista, per il quale il dispiacere (solo apparente) costituisce piacere. Dunque solo un incoerente, un pazzo può comportarsi in modo indiscutibilmente altruista.

    ALTRUISMO 2

    Ogni concezione assoluta dell’altruismo porta teoricamente all’estinzione della specie, per distruzione o per incorporazione.

    ALTRUISMO 3

    E' difficile immaginare una forma di altruismo che non migliori le condizioni di qualcuno. E' se vuole tener ferma la distinzione delle condizioni in morali e materiali, deve scegliere quei paradigmi di attuazione che migliorano le une senza ledere le altre, altrimenti sarà incerto del suo successo. Allo stesso modo sarà sempre in dubbio chi nell'intento di giovare a qualcuno, crea danno a qualcun altro.

    ALTRUISMO 4: DIFFICOLTA’ E REGOLE PRATICHE

    La diffidenza verso le forme spontanee e irriflessive di altruismo è quanto mai attuale e invoglia a collegare ogni riflessione di fondo ai fatti della cronaca. In altri termini, l’urgenza crescente dei problemi di sopravvivenza fa sì che il concetto tradizionalmente negativo della doxa (opinione sull’opinione?) acquisti sempre più dignità e rilevanza, accanto a sempre maggiori responsabilità di chi lo chiama in causa.

    Dunque, l’azione altruista non può attendersi un corrispettivo adeguato al valore all’azione stessa, perché diverrebbe una semplice azione economica (di scambio). Occorre inoltre che abbia almeno un destinatario diverso dallo stesso attore, perché per definizione deve produrre conseguenze che vanno oltre il soggetto stesso, altrimenti resterebbe una semplice azione buona o virtuosa, non però altruista. Un altro requisito indispensabile è che il destinatario sia consenziente, perché se non lo fosse lo stesso comportamento potrebbe, o dovrebbe, essere giudicato in modo non omogeneo dai vari soggetti coinvolti, terzi compresi. Il beneficato che non giudicasse altruista l’azione sottesa al supposto atto benefico, sarebbe ostile all’azione stessa o indifferente. Nel caso di indifferenza del soggetto passivo, si deve presumere che costui si sottragga dal giudizio sulla bontà dell’azione per ignoranza o per scelta. Nel primo caso la responsabilità del giudizio stesso passerebbe dal destinatario all’attore o ai terzi. Questi ultimi non possono essere, in base alla più comune esperienza, concordi sulla utilità-buona dell’azione, per cui legittimato a decidere su tale argomento sembrerebbe l’attore, il quale valuterebbe senz’altro l’azione come altruista, dato che, tralasciando l’ipotesi eccezionale di altruismo involontario, l’ha eseguita volontariamente a fin di bene. Ammettendo dunque che giudice dell’azione indifferente al destinatario sia l’attore, dobbiamo stabilire una regola generale e porre, o almeno presupporre, eventuali eccezioni.

    Nello stabilire la regola generale, dobbiamo accettare in nome della coerenza il principio che la bontà dell’azione risiede tutta nell’intenzione e non tiene conto delle conseguenze. E dobbiamo su questo punto subire un primo richiamo del buon senso, che mai accetterebbe di mettere sullo stesso piano azioni buone con conseguenze buone e azioni buone con conseguenze cattive e quanto meno ci costringerebbe a distinguere tra buon altruismo e cattivo altruismo. Ma anche nel caso di azioni con conseguenze irrilevanti (es. regalo di ghiaccio agli esquimesi) fatte con buona intenzione dobbiamo rilevare il difetto di intelligenza e distinguere tra altruismo intelligente e altruismo stupido. In tal modo, in entrambi i casi siamo costretti a sottrarre la responsabilità del giudizio all’attore, che essendo intenzionato all’altruismo in modo incondizionato (in conformità della regola posta) riterrà sempre di fare un’azione buona, intelligente e con conseguenze buone, anche quando il parere dell’interessato, la maggioranza dei terzi e il comune buon senso lo negheranno. D’altra parte anche la soluzione di attribuire il giudizio dell’intenzione al beneficiato violerebbe il principio regolatore, perché quest’ultimo non appare, proprio per la posizione in cui si trova, il miglior giudice delle intenzioni (é sicuramente peggior giudice dell’attore), così come sembra invece il miglior giudice delle conseguenze che lo riguardano. Quanto ai terzi, è provato per esperienza che si dividerebbero nel valutare l’intenzione dell’attore, col risultato di esprimere non un giudizio, ma una pluralità di giudizi non unificabili.

    Una diversa regola generale potrebbe ignorare le intenzioni dell’attore e tenere conto soltanto delle conseguenze. A tale regola generale si oppone subito la considerazione, fondata sull’esperienza, dell’eterogenesi dei fini, per la quale anche un’azione esperita con intento malvagio può produrre conseguenze positive. In effetti il linguaggio, interpretando il senso comune, pone la eterogenesi dei fini come paradossale rispetto a una normalità, che allinea buone intenzioni e buone conseguenze, per cui questa seconda possibile regola enunciata (giudizio delle conseguenze) non appare né in teoria, né in pratica, migliore della precedente.

    Per stabilire una regola generale migliore, io dovrò allora escogitarla in modo che essa preveda, per distinguersi dal mero arbitrio, il minor numero di eccezioni possibile. Rispetto alle due precedenti, sembra offrire maggiori garanzie la regola restrittiva di considerare altruista solo un’azione buona nelle intenzioni e produttiva di conseguenze giudicate buone sia dal beneficato che dai terzi. Immaginando il concreto effettuarsi di tale fattispecie, non si vede come il soggetto passivo del beneficio possa esprimere il suo parere fondante sull’altruismo, se non attraverso una manifestazione implicita o esplicita di gratitudine. Infatti un atteggiamento indifferente del beneficato nel quale tale sentimento non comparisse né come espresso, né come sotteso, sarebbe necessariamente interpretato o come giudizio di inutilità o come giudizio di spettanza (il dono non deriva dalla tua bontà, ma da un mio diritto, quindi non è un dono). La gratitudine non necessariamente espressa, ma necessariamente presente nel giudizio di altruismo, fa sì che si crei a favore dell’attore un’apertura di credito cioè un’aspettativa di reciprocità. Infatti, se il beneficato agisce secondo norme morali, non può che ricambiare con una forma di bene, materiale o morale, un’azione da lui ritenuta buona, perché se, pur agendo sul piano dell’etica, non lo fa, significa che giudica buona non l’azione in sé, ma solo l’utilità pratica delle sue conseguenze. In altri termini, colui che non prova gratitudine non esprime alcun giudizio sull’azione dell’attore, oppure esprime un giudizio di assoluta incapacità di quest’ultimo a produrre consapevolmente il bene (perché lontano dalla vera religione o per altri motivi legati all’ignoranza). Se poi affermo che il destinatario dell’azione non agisce sul piano morale, ciò può significare che:

    non si pone il problema del bene e del male

    ritiene di conoscere il bene, ma vuole agire in senso contrario ad esso

    ritiene di conoscere il bene e vorrebbe ispirare ad esso le sue azioni, ma agisce in modo contrario alla sua stessa volontà

    in generale ritiene bene ciò che per l’attore è male e viceversa

    ritiene bene ciò che per l’agente è male, ma limitatamente alla sfera di interesse dell’azione da giudicare

    Nel caso il beneficato non appare idoneo a giudicare dell’azione, che non può quindi essere giudicata secondo la terza regola. Nel caso non appare idoneo a giudicare, perché sarebbe chiamato a un giudizio morale, perseguendo obiettivi contrari alla morale. Nel caso il soggetto

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