Una terra che è solo visione_ebook
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Anteprima del libro
Una terra che è solo visione_ebook - Maria Rizzarelli
I quaderni di Arabeschi
Atti, studi e testi
Collana diretta da Stefania Rimini e Maria Rizzarelli
Comitato scientifico
Marco Antonio Bazzocchi, Marco Belpoliti, Lina Bolzoni, Monica Centanni, Michele Cometa, Elena Dagrada, Massimo Fusillo, Fernando Gioviale, Davide Luglio, Martin McLaughlin, Bonnie Marranca, Marina Paino, Luca Somigli, Valentina Valentini.
Comitato di redazione
Salvo Arcidiacono, Giulio Barbagallo, Fabrizio Bondi, Cristina Casero, Nicola Catelli, Roberta Gandolfi, Michele Guerra, Giulio Iacoli, Mariagiovanna Italia, Giuseppe Lupo, Federica Pich, Corinne Pontillo, Elena Porciani, Giovanna Rizzarelli, Cristina Savettieri, Simona Scattina, Simona Sortino, Andrea Torre, Gaetano Tribulato, Luca Zarbano.
www.arabeschi.it
Tutti i saggi sono sottoposti a peer review.
ISBN
978-88-99573-27-0
© 2020 Duetredue Edizioni Srl
Lentini, Via Garibaldi 46
www.duetredue.com
info@duetredue.com
In copertina: Pasolini nel Decameron (1971), part.
Maria Rizzarelli
Una terra che è solo visione
la poesia di Pasolini tra cinema e pittura
DuetreduE-book
Stefano e Simone,
per le loro visioni di oggi e di domani
Avvertenza
Le citazioni delle opere di Pasolini sono tratte dai volumi dei Meridiani indicati con le seguenti sigle:
RR1 Romanzi e racconti. 1946-1961, a cura di W. Siti, S. De Laude, Milano, Mondadori, 1998.
RR2 Romanzi e racconti. 1962-1975, a cura di W. Siti, S. De Laude, Milano, Mondadori, 1998.
SLA Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti, S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, 2 tomi.
SPS Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti, S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999.
PC Per il cinema, a cura di W. Siti, F. Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, 2 tomi.
TE Teatro, a cura di W. Siti, S. De Laude, Milano, Mondadori, 2001.
TP1 Tutte le poesie, a cura e con uno scritto di W. Siti, Milano, Mondadori, 2003, tomo I.
TP2 Tutte le poesie, a cura e con uno scritto di W. Siti, Milano, Mondadori, 2003, tomo II.
Alcune pagine di questo volume, nate in occasione della stesura della tesi di dottorato e ora rielaborate, ampliate e riscritte nella prospettiva di una ricerca unitaria, sono già apparse in altre sedi qui elencate:
I profumi di Casarsa e la celeste carnalità della poesia di Pasolini, in G. Savoca (a cura di), Contributi per Pasolini, Firenze, Olschki, 2002, pp. 159-175; Le ceneri di Gramsci: lo sguardo di Pasolini dai cieli alle viscere dell’«umile Italia», in AA.VV., Un dono in forma di parole, La Spezia, Agorà, 2002, pp. 329-343; Picasso e l’officina poetica pasoliniana. Cromatismi di una realtà in movimento, «Filologia Antica e moderna», XIII, 24, 2003, pp. 179-201; Pasolini fra Longhi e Fellini. Sulle tracce di un apprendistato cinematografico, «Le Forme e la Storia», gennaio-dicembre 2008, pp. 999-1012; I ‘fotogrammi’ di Arezzo: Pasolini e Piero della Francesca, «Engramma», 86, dicembre 2010, http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=589.
Ringraziamenti
Spero che in questo libro rimanga un segno dei momenti in cui, elaborando la concordanza delle poesie di Pasolini, ho potuto contare sulla gratuità dei consigli dei miei colleghi e delle mie colleghe del dottorato di Italianistica (Lessicografia e semantica dell’italiano letterario) coordinato da Giuseppe Savoca. Ringrazio lui e tutti loro per l’intelligenza e la generosità delle osservazioni che mi hanno regalato. Sono grata, inoltre, a Fernando Gioviale perché attraverso le sue lezioni ho iniziato ad amare le opere di cui mi sono occupata.
Pasolini è stato per me occasione di incontro e di dialogo anche con le studentesse e gli studenti dei miei corsi, che in questi anni mi hanno aiutato a chiarire, esplicitare, correggere le riflessioni e i giudizi contenuti in queste pagine. Fra loro voglio ricordare e ringraziare in particolare Salvo Arcidiacono, che ha svolto con me le sue tesi di laurea su Pasolini e che adesso è l’editore di questo libro, e Corinne Pontillo che con il suo saggio ha inaugurato la collana dei Quaderni di Arabeschi
. Come sempre e sin dall’inizio, Stefania è stata la prima persona con cui ho discusso ogni idea, senza la compagnia del suo sguardo molte riflessioni non avrebbero trovato le parole giuste per essere espresse.
Premessa
La migliore introduzione a questo libro, alla complessità di temi e all’intreccio di questioni che in esso vengono presi in esame, dovrebbe essere affidata a un corredo fotografico in cui Pasolini viene ritratto mentre dipinge o disegna. Un collage di frammenti che rappresentano le sue mani mentre tracciano i segni grafici delle sue visioni consentirebbe al lettore di essere immesso senza mediazioni nella rete di discorsi che la scrittura di Pasolini apre, sovrapponendo e facendo dialogare forme e generi diversi. Per esempio, la foto ingiallita e un po’ sgranata del poeta, che nell’estate del 1970 sulla spiaggia di Skorpios disegna il profilo di Maria Callas, mette in quadro la performance involontaria del suo viscerale rapporto con la rappresentazione visuale e innesca un cortocircuito di rimandi a tutta una serie di immagini presenti nei suoi testi letterari, filmici e grafici.¹ Questa fotografia rinvia in primo luogo alle sequenze del Decameron in cui Pasolini veste i panni del «migliore discepolo di Giotto»:² l’immagine del suo corpo e del suo volto incarna lo sguardo-cornice attraverso cui viene filtrata la seconda parte del film e offre la perfetta sintesi del convergere di scrittura, pittura e cinema, che spesso si intrecciano nella sua opera e che sono l’oggetto privilegiato di questo studio. I fotogrammi nei quali Pasolini appare nel film del 1971 disegnano, infatti, uno straordinario atlante della figura del pittore, in cui il regista ci mostra in dettaglio i vari aspetti del ruolo dell’artista che si autoritrae dentro i margini del suo quadro. Come ha notato giustamente Galluzzi, «la lettura delle pagine di Foucault su Las Meninas non era stata dimenticata […] anche se il poeta ne dà una declinazione assolutamente personale».³ Il cinema, del resto, per quanto stilisticamente connotato dalla scelta di piani fissi, consente a Pasolini di costruire un autoritratto molto più complesso e sfaccettato di quello di Velázquez. Potendo contare sulla ‘mobilità’ della macchina da presa l’autore-personaggio si sofferma ora sui modelli della creazione (la realtà fuori, nello spazio affollato del mercato, e lo schizzo cartaceo poggiato su una delle pareti della chiesa che si accinge ad affrescare, ma anche la visione del sogno del Giudizio universale), ora sugli strumenti (i pennelli, i colori, le impalcature); mette in primo piano la squadra di aiutanti o inquadra con l’obiettivo i gesti (la prima pennellata, la smania della creazione che pervade ogni istante della vita quotidiana e non lascia spazio a nessun altro impulso, mettendo a tacere la fame e il sonno) e lo sguardo (dalla inquadratura dell’umanità che si aggira nel mercato racchiusa nella cornice costruita dall’intreccio delle dita all’osservazione del modello cartaceo, fino alla contemplazione dell’opera compiuta).
Recitare la parte dell’allievo di Giotto rappresenta innanzitutto un omaggio a uno dei pittori da lui più amati, ma costituisce anche una delle possibili realizzazioni della vocazione pasoliniana a ‘gettare il corpo sulla scena’, che segna trasversalmente la scrittura cinematografica e letteraria dell’ultima stagione; è insomma un gesto che per il regista si ricollega, con un evidente filo di continuità, a tutta la sua opera precedente, riaffermando la reciprocità fra poesia e pittura. Se infatti la cornice giottesca del Decameron conferma l’originaria matrice pittorica del cinema pasoliniano – emersa sin dalle prime inquadrature di Accattone e ribadita poi dalla dedica a Roberto Longhi di Mamma Roma (senza dire delle tante citazioni disseminate lungo tutto l’arco della produzione filmica) –⁴ in certa misura riassume anche l’atteggiamento dello sguardo di Pasolini dentro l’orizzonte del suo multiforme macrotesto, spazio di ardite sovrapposizioni e continui slittamenti (di generi e di stili).
La raffinata sperimentazione e la varietà delle retoriche ecfrastiche adottate nei versi delle Ceneri di Gramsci e della Religione del mio tempo nella descrizione delle tecniche pittoriche di Picasso nell’omonimo poemetto, nella sovrapposizione dei paesaggi della memoria e di quelli ritratti nei Quadri friulani, o nella rappresentazione del movimento degli occhi che si posano sugli affreschi del ciclo aretino di Piero della Francesca nella prima parte della Ricchezza, hanno una «funzione metapoetica»⁵ (nel senso teorizzato da Michele Cometa) analoga rispetto alla costruzione dell’episodio giottesco del Decameron, ma è soprattutto all’altezza del periodo friulano che poesia e pittura si presentano come attività complementari. La figura autobiografica di Desiderio in Amado mio, per esempio, è la prima delle maschere da pittore indossata da Pasolini per rappresentare la pulsione carnale di uno sguardo pronto a catturare corpi e luoghi amati, a toccare con gli occhi quegli oscuri oggetti del desiderio, verso cui è rivolta la sua ansia d’espressione del reale.⁶ La stessa giustificazione della scelta del friulano nelle pagine di Dal laboratorio (1966), raccolte poi in Empirismo eretico, può leggersi in tale prospettiva. Il momento fondativo di una giornata dell’estate del 1941, ricostruita nel ricordo lacunoso per ipotesi («o stavo disegnando (con dell’inchiostro verde, o col tubetto dell’ocra dei colori a olio su del cellophane), oppure scrivendo versi»),⁷ indica il profilo del ‘doppiotalento’ pasoliniano, ancora incerto sulla scelta del mezzo espressivo più appropriato. L’ascolto della «parola rosada
» (parola vergine, puro suono, che «non era mai stata scritta») e l’istinto a «rendere grafica»⁸ quella parola non impongono un’opzione fra poesia e pittura, anzi per certi versi ne rafforzano il rapporto di continuità. La lingua, infatti, come aveva sostenuto poche pagine prima, ha una natura inquieta e mobile, mostra «il bisogno di metamorfosi di una struttura che vuol essere altra struttura».⁹
L’atlante del pittore che scrive, o dello scrittore che dipinge (e gira), non si riduce a queste poche occorrenze letterarie e filmiche, ma va completato con almeno un’altra serie di ‘figurine’. La foto scattata da Maria Callas a Pasolini in Grecia richiama anche quelle di Dino Pedriali che ritraggono il poeta intento a tracciare il profilo di Roberto Longhi dentro la torre di Chia (ottobre 1975). Questi scatti, seppur appartenenti a contesti diversi, si offrono come varianti di uno stesso modello, perché mostrano ancora una volta Pasolini che ‘gioca’ a dipingere. Le fotografie di Pedriali probabilmente sarebbero confluite tra gli eterogenei allegati di Petrolio, avrebbero cioè dovuto costituire l’autoritratto en artiste nascosto tra gli scartafacci dell’opera da farsi.¹⁰ Rimane oggi la curiosità di sapere quali delle foto commissionate al reporter lo scrittore avrebbe scelto per illustrare il romanzo, ma quel che è certo è che con l’interpretazione dell’allievo di Giotto Pasolini rende omaggio a una passione per la pittura che si sovrappone alla scoperta del cinema e che viene celebrata in molte delle sue pagine in versi.
L’officina poetica di Pasolini consente in effetti di seguire l’apprendistato visivo dell’autore, il comporsi di una galleria di immagini e di schegge figurative destinate a tradursi in nuove forme a contatto con l’universo delle ombre di celluloide. Le tre raccolte a cui è dedicato questo studio appartengono proprio al periodo che precede la scoperta del cinema e più di altre permettono un’indagine serrata del processo di costruzione dell’imagery pasoliniana.
Il primo elemento che tiene insieme Le ceneri di Gramsci (1957), L’Usignolo della Chiesa Cattolica (1958) e La religione del mio tempo (1961) è proprio il più o meno esplicito riferimento ai linguaggi visuali (pittorici o cinematografici). Un riferimento che assume una specifica curvatura anche solo considerando le date in cui le tre sillogi vengono pubblicate. Se si è scelto, infatti, di non includere nel discorso Poesia in forma di rosa (1964), tralasciando i pur noti e significativi richiami cinematografici presenti ad esempio nei diari di lavorazione di Mamma Roma, è perché le tre raccolte segnano il confine di una stagione contraddistinta da una concezione della poesia che muterà a partire dalla raccolta successiva. Una stagione che si apre con l’approdo a Roma e che può dirsi conclusa con l’esordio registico di Accattone. La ‘poesia della pittura e del cinema’, di poco precedente alla nascita del «cinema di poesia» sperimentato e teorizzato da Pasolini dal 1961 in poi, è tutta racchiusa all’interno di un corpus che, pur nell’eterogeneità dei tempi e nella progressione della ricerca stilistica, rivela una sostanziale omogeneità e coerenza nel racconto di uno sguardo che va cercando il suo posizionamento rispetto alla realtà, nonché il codice più adeguato per nutrirsi di essa.
Il lavoro lessicografico realizzato negli anni del dottorato e le osservazioni sul vocabolario poetico pasoliniano, frutto di quel lavoro, rappresentano la base di questo studio a cui si sono aggiunti i risultati delle ricerche dedicate ai rapporti fra letteratura e arti visive. Il filo di continuità che lega le due impostazioni metodologiche, cioè lo spoglio linguistico e i visual studies, sta nella scelta di un close reading dei testi che subito hanno suscitato in me la curiosità e l’attrazione per un’indagine interdisciplinare, verso la quale poi si sarebbero orientati in larga parte i miei studi.
Il lessico, con i riferimenti visuali in esso presenti, costituisce il nucleo centrale da cui si dipana l’analisi, che offre innanzitutto una mappatura della semantica dei sensi: quel che emerge dalla puntuale ricognizione degli incroci fra le tre raccolte è la prevalenza della vista e dei fatti visuali, capaci di assumere di volta in volta – nel passaggio da una silloge all’altra – proporzioni e prospettive diverse, a seconda della combinazione specifica con altri temi e con altri codici estetici. Se il primo capitolo cerca di tenere insieme in un discorso unitario le tre raccolte poetiche, sotto la lente del lessico dei cinque sensi, i successivi si interrogano sulle urgenze tematiche delle singole opere secondo una linea di approfondimento monografico che non perde mai di vista l’insieme ma scava dentro