Crimini e crediti: Novellino universitario
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Anteprima del libro
Crimini e crediti - Antonio Di Grado
stop
Dieci apologhi o meglio capricci
di ambientazione universitaria, scritti da un ex accademico che in quel mondo ha vissuto con passione, e se ora ha voglia di sorriderne non è per rinnegarlo ma per rimodularne in chiave di allegretto tipi e tic, patimenti e magagne, inaspriti e parodizzati fino al grottesco. Cattedratici bolsi o sfigati, discepoli maldestri o malmostosi, congiure sgangherate e simposi surreali, goffi amori e sordi rancori danno vita e colori a una irriverente gouache alla Daumier. E a furia di smorfie e lazzi si tramutano in una masnada di guitti, assoldati per alleviare il peso di questi giorni grevi.
ANTONIO DI GRADO già professore ordinario di Letteratura italiana nell’università di Catania e tuttora direttore scientifico della Fondazione Leonardo Sciascia, ha pubblicato numerosi volumi di critica e storiografia letteraria, ultimi dei quali L’idea che uccide su letteratura e anarchia e Le amanti del Loin-Près sulla mistica femminile. Per questa casa editrice ha pubblicato nel 2016 Vittorini a cavallo.
EUNO EDIZIONI
L’Orsa minore
www.eunoedizioni.it
emal: info@eunoedizioni.it
Proprietà letteraria riservata
© Euno Edizioni, Leonforte (En)
Tel. e Fax 0935 905877
ISBN 978-88-6859-179-3
Prima edizione digitale 2020
Copyryght © Antonio Di Grado
In copertina:
Le verità univoche
olio su tela di Felice Ravagnoli
Quest’opera è protetta dalle Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
antonio di grado
Crimini e crediti
Novellino universitario
euno edizioni
Non dediche, ma auguri.
Al MIUR e all’ANVUR,
che si estinguano con pudore,
che svaniscano nell’oblio
come Topo Gigio e l’hula hoop,
la DC, mago Zurlì e quei tristi venerdì
senza carne in tavola.
Ai miei amici Leandra e Fernando,
che continuino a sopportarmi,
a raccapezzarsi, a immaginare,
a sorridere del mondo come sanno.
1
Resurrezioni
Il professor Corrado Ostuni sfogliò con evidente insofferenza i verbali e le tabelle da compilare, con altrettanto disappunto diede un’occhiata alle mail del rettore del suo ateneo a proposito di nuove disposizioni e astrusi regolamenti, infine fissò uno sguardo sbalordito sul foglio preparatogli dal suo solerte assistente (ancora volontario a quarant’anni, come tanti suoi coetanei). Erano nitide e intimidatorie colonne di numeri: algoritmi e coefficienti, multipli e dividendi in cui vedeva quantificata la sua produttività e umiliata la sua ricerca: giacché quel saggio su Petrarca scritto nel 2011 e che gli aveva guadagnato consensi e inviti all’estero valeva ben poco, inferiore com’era di una pagina e mezzo rispetto alla misura fissata dalle agenzie di valutazione, e pubblicato com’era da un’antica e gloriosa testata ma giudicata, da quegli stessi signori, due fasce più giù del bollettino di studi macedoni o della rassegna di agiografia finnica.
«Oggi no, ti prego» sussurrò all’assistente.
«Ma questi dati vanno elaborati entro martedì, se no perdiamo il finanziamento. E poi la relazione va tradotta in inglese!»
«Sapessero almeno parlare e scrivere in italiano!»
«Professore, preferisce rifare i conti per farci approvare finalmente il dottorato? C’è un finanziamento da una marca d’acque minerali, per una tesi su Chiare, fresche e...
».
«Una sigaretta: ecco cosa preferisco», lo interruppe Ostuni; e la sfilò dal pacchetto del discepolo con magistrale rassegnazione, contravvenendo per l’ennesima volta alle rigide prescrizioni dell’angiologo.
«E ora lasciami, caro. Vorrei dedicare almeno un paio d’ore al mio amato Poliziano. Guarda» e sfilò dalla cartella, finalmente compiaciuto, un fascio di carte, «la nitidezza delle riproduzioni di questi preziosi manoscritti».
Colmo di delusione, lo sguardo dell’assistente: «Ma professore, tra mezz’ora dev’essere al consiglio del corso di laurea in Scienze letterarie applicate al territorio. Al ventiduesimo punto dell’ordine del giorno c’è quell’assegno di ricerca a cui potrei aspirare, sempre che non lo diano a quelli di Letteratura suburbana o di Filologia della toponomastica».
«Scienze letterarie? Scienze un cazzo!» e Ostuni lasciò cadere le sue carte. «Sempre pateticamente in ritardo gli umanisti, quando da almeno un secolo gli scienziati hanno messo in discussione i fondamenti di quelle discipline che credevamo esatte! E quanto al territorio, lo misurino i geometri e le passeggiatrici».
Ma mezz’ora dopo era al consiglio, seduto in seconda fila tra l’obeso collega di Dialettologia pedemontana che con alito pesante lo impetrava all’orecchio di votarlo per il senato accademico, e quello strabico di Pedagogia antiautoritaria che faceva scorrere sull’iPad immagini succulente di potenziali spose bielorusse. Denunziò un improvviso bisogno fisiologico per sottrarsi alla stretta e raggiungere, sollevato, l’ultima fila. Sedette accanto al vecchio amico D’Alessio, germanista, autore di pregevoli pagine su Hölderlin ma da sempre eclissato nella solitudine laboriosa del suo borgo remoto. Erano entrati insieme e con pari entusiasmo, quarant’anni prima, nel tempio del sapere, da timidi e rispettosi assistenti, da baldanzosi militanti del pensiero. Ed erano stati anni di discussioni infinite su Rilke o su Musil, su Lukacs o su