Scie ad andamento lento
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Anteprima del libro
Scie ad andamento lento - Giacomo Casaula
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Introduzione
Quando sei nato, mai avrei immaginato che eri tu, proprio tu, quel bambino dall’ovale perfetto con i lineamenti delicati e gli occhi già aperti, vispi, il mio nipotino tanto atteso, tanto desiderato e tanto amato: non era pensabile che eri proprio tu il bambino più bello del nido!
Sei cresciuto circondato da affetti, tranquillo, per niente capriccioso, addirittura quasi timido, non hai mai dato fastidio ai grandi
con i quali hai sempre interagito in maniera pertinente e intelligente anche quando eri un soldo di cacio di quattro, cinque anni. Sei stato capace, con la tua discrezione e con la profondità dei tuoi occhioni che molti dicono essere i miei, di farmi ricredere sulle spigolosità e le manifestazioni acerbe dei ragazzini e degli adolescenti.
Il mio pensiero corre lontano quando negli inverni delle mie tournée teatrali ti vedevo arrivare silenzioso ed educato, stretto alla mano della tua mamma, dietro le quinte del palcoscenico del teatro Diana. Alzavi gli occhi e il naso per aria e guardavi quel mondo incantato fatto di tende, di funi, di luci, di costumi e scene roteanti, come se fossi stato tu il protagonista di una favola. Quando dopo le scuole medie, ti iscrivesti al liceo classico, già dal primo anno ti ricordo chiuso nella tua stanza ad imparare, ripetere, interpretare con inflessioni di voce diverse i copioni che ti venivano affidati dal direttore del laboratorio teatrale che frequentavi nelle ore pomeridiane a scuola. Ti muovevi come se fossi stato in scena, misuravi i gesti delle mani, modulavi l’espressione degli occhi, della bocca, del viso, guardandoti allo specchio ed io sorridevo immaginando e non chiedendoti nulla. Poi, credo avessi avuto all’incirca sedici anni, venni ad assistere a un tuo saggio e vidi uno straordinario Avaro
di Moliere con un Arpagone sorprendentemente quasi perfetto; sentii il cuore battermi forte, i miei occhi diventarono lucidi e pensai che il palcoscenico era casa tua. Ed ecco che a diciotto anni, dopo aver superato brillantemente il tuo esame di maturità, arrivò all’improvviso un… Sai nonna voglio fare l’attore!
.
Fu una gioia grande e al contempo un’ansia e un’agitazione altrettanto grande; pensai alla precarietà del teatro, alle difficoltà, ai sacrifici, a quanto sia dura la vita dell’attore! E tu ancora una volta mi hai stupito. Con caparbietà, con coraggio, con determinazione hai affrontato prove di ogni genere, hai conseguito due lauree rendendoci orgogliosi, hai imparato copioni difficilissimi, hai vissuto trasferte difficili, disagiate, hai avuto soddisfazioni enormi e insieme delusioni grandissime…ma si sa la vita di teatro è così. E tu non hai mollato e non molli, continui a perfezionarti, a imparare, a crescere, a scrivere spettacoli, a interpretarli e a dirigerli, hai affinato e raffinato la tua voce e hai portato sulla scena canzoni vecchie, vecchissime, nuove, nuovissime o addirittura inedite…ancora una volta come sempre mi meravigli: così con quel tuo modo di fare discreto, raffinato, elegante, con quel tuo camminare dinoccolato e quei tuoi occhi così profondi e belli che ricordano i miei.
Certo, qualche difetto ce l’hai anche tu, sai che non sono mai stata una nonna indulgente e quando ho avuto da rimproverarti l’ho sempre fatto, ma sempre con grande e profondo amore. Cosa poteva mancare a un nipote così? Nulla, se non forse scrivere e pubblicare un romanzo…ed ecco, è arrivato anche quello e forse ne arriveranno ancora! Grazie per avermi sempre stupita da quando sei nato.
La tua nonna
Annamaria Ackermann
…a volte uno si sente incompleto
ed è soltanto giovane…
Italo Calvino
Osservai per l’ennesima volta le sedie, il tavolo e la pila di libri disposta in maniera elegante tale da formare due file omogenee.
Sentii il rumore fitto della gente che diventava sempre più intenso man mano che passavano i secondi. Riconobbi le voci dei miei genitori, quella di Fabrizio e anche quella di Valerio.
Allora sei pronto?
Per niente
Si che lo sei, basterà essere te stesso. Anzi, devi sentirti come Anna, lei che avrebbe fatto? Prima dei concerti riusciva a vedere l’unicità anche con la paura che si impossessava di tutto
Hai ragione, però Anna è solo un personaggio
No, Anna sei tu
Mi baciò al volo e fece per allontanarsi e andarsi a sedere quando la chiamai.
Elena!
Dimmi
Ti amo
Anche io
Mi sorrise e andò a sedersi.
Tra le mani avevo una copia del libro. Diedi un occhio alla prima pagina e pensai a quanto fosse simile alla mia vita. Utopie irraggiungibili, limite indefinibile fra cammino e corsa, frammenti impressi nella memoria.
Senza scrittura, la mia, è vita a metà. Come se mancasse sempre inevitabilmente una parte, un respiro.
Quando le pagine si uniscono sincronicamente ai respiri la scrittura si trasforma in necessità. Quella che ti assale, divora, che ti fa esistere.
Mancava poco a Natale. Via Chiaia era un’unica luce, colorata dai respiri della gente.
De Sanctis!
Mi voltai di scatto e vidi avanzare il direttore.
Ci siamo, stiamo per cominciare. Farò una breve introduzione poi come concordato comincerai tu a leggere un pezzo del tuo libro
Va bene
Mi diede una pacca sulla spalla e prese posto al tavolo. Afferrò il microfono e cominciò a parlare.
Stefano De Sanctis ci ha fatto attendere, molti lo hanno aspettato, altri forse lo hanno anche dimenticato. Però ora è qui, pronto a raccontarci una nuova storia...
Dopo poco persi la voce del direttore e pensai alla spiaggia di Cattolica, all’estate trascorsa con Elena. A tutte quelle storie che davvero avevo solo potuto incrociare, a quelle persone che continuavo a pensare solo come scie, ad Anna, ad A-mare.
Poi, improvvisamente, senza averlo premeditato, pensai a quanto avessi sempre detestato correre e al momento esatto in cui invece cominciai ad amarlo.
Sentii chiamare il mio nome e mi mossi verso la mia sedia. Mi accolse un applauso e non potei fare a meno di sorridere. Notai tra il pubblico quelle persone di cui prima avevo sentito solo la voce. Cercai istintivamente nella tasca della giacca il pacchetto di sigarette ma non vi trovai nulla. Avevo smesso anche di fumare.
Aprii la pagina che avevo segnato, cercai gli occhi di Elena, poi cominciai a leggere.
E pensare, pensare, basta pensare Anna, ora devi solo suonare e lasciarti andare…
1
Camminavo con passo regolare.
Il vento alzava ritmicamente i granelli di sabbia e penetrava nelle narici insieme all’odore acre di salsedine. Il sole creava con le nuvole giochi di luci e ombre e arrivava agli occhi in maniera tenue, pacata.
Il freddo entrava di nascosto sotto il cappotto. Un freddo che non puoi contrastare, quello che vince sempre.
La spiaggia in inverno acquistava un sapore, quasi un odore, diverso, pulito. I gabbiani spiegavano le proprie ali e si poggiavano indifferenti sugli scogli, poco più in là il solito ristorante emanava pesce fritto.
Gli sguardi dei passanti sono veloci, istantanei, quasi mai spontanei. Sembra che manchi loro il tempo. Di un sorriso, una smorfia, di una lacrima.
Il mare come ogni inverno assumeva striature che andavano dal verdastro al viola profondo, pareva immobile, privo di tutta la sua luminosità estiva. Accesi con la solita mimica l’ennesima sigaretta e aspirai insistentemente, indugiando su una coppia di ragazzi che stavano litigando a pochi passi da me. I loro occhi, si cercavano come due calamite di segno opposto. Erano vivi.
Camminando ancora, scorsi una donna sui quaranta fare jogging. Notai solo una lunga massa di capelli biondi. Probabilmente alle sue spalle c’era un intero universo di affetti, disperazioni, piaceri, ansie, ma non me ne accorsi.
Mentre gettavo la sigaretta notai una ragazza sui sedici anni. Sguardo ingenuo e occhi verdi che difficilmente ti lasciano indifferente. Volevo guardarla meglio, provare a capire, cercare in una sconosciuta una parte di me, ma fui preceduto.
Erica, stiamo andando, non farti chiamare di nuovo.
Si mosse a malincuore. Ebbi la netta sensazione che stesse aspettando qualcuno che non si era fatto vedere. Si allontanò con quell’espressione impressa negli occhi. Una ragazza di nome Erica, lasciava le sue orme sulla spiaggia di Cattolica e si avviava alla sua quotidianità remota. Entrò in un’automobile e sparì dietro la prima curva.
Accanto a me ognuno continuava a correre, fumare, tenersi per mano, baciarsi. Io invece non camminavo più.
Ero fermo, come i gusci delle vongole che ristagnano sulla riva.
Incapace di muovere il muscolo più piccolo.
Stava davvero aspettando me? O era il frutto di un sognatore invecchiato di qualche anno? Il prodotto del continuo vagare tra un mito e un altro?
Forse era tutto o forse, come il mio osservare, niente.
2
Cattolica era splendida. Una cittadina che sembra ti abbracci. Non era cambiata molto dall’ultima volta. I bar, le fontane, l’accoglienza, gli stessi di quando vi andavo da ragazzo.
L’avevo scelta per scrivere il mio nuovo romanzo. Avevo bisogno di luce. Quella che mi aveva accompagnato nei tramonti e nelle albe e che improvvisamente si era spenta.
La passeggiata sulla spiaggia era per me una sorta di rito iniziatico. Di ricongiungimento con una terra che nel passato aveva rappresentato tutto.
Avevo preso una stanza in una piccola pensione in centro aperta tutto l’anno. Stare in mezzo alle persone mi avrebbe aiutato a scrivere. La camera centoventidue affacciava direttamente sul mare. Quello che un tempo era mio.
La proprietaria si chiamava Gina, una corpulenta donna romagnola che mi piacque subito dopo la prima occhiata.
Amavo osservare le persone. Studiarle. Scattare nella mia testa ipotetiche fotografie di soggetti a me sconosciuti. Con Gina fu lo stesso. Doveva avere all’incirca quarantacinque anni, un odore di strada e piadina accompagnava i suoi movimenti. Il suo parlare era intenso e familiare. Il tempo sembrava essersi fermato.
I suoi occhi velati di grigio rispecchiavano il mondo romagnolo in maniera cristallina. Posata la valigia sul letto, decisi di uscire un’altra volta. Volevo rivedere Cattolica portandole la mia età, i miei desideri, le mie paure. Volevo scrivere di nuovo.
Presi carta, penna e utopia e mi fiondai di nuovo per le strade.
3
In inverno Cattolica era tranquilla. Non aveva le strade inondate di persone come i mesi estivi e per me fu una sensazione diversa. Alcuni camminavano stretti gli uni vicino agli altri per combattere il freddo che aumentava.
Una ragazza mi sfrecciò davanti con la bicicletta. Aveva una massa di capelli che le coprivano in parte il volto olivastro e che faceva da sfondo a un sorriso luminoso, sereno.
Pedalava verso qualcosa, forse verso una vetrina, verso l’amore o semplicemente verso la vita.
Svoltata via Carducci, imboccai la traversa per viale Bovio. Quella era l’unica strada identica in tutte le stagioni. Le vetrine dei negozi attiravano sempre numerose persone. Universi di vite a me ignoti vorticavano veloci passandomi a destra e a sinistra. Cercavo proprio questo, una quotidianità diversa dalla mia.
Il nuovo romanzo doveva essere così. Riuscire a trasformare l’apparente normalità in storia, racconto, dialogo.
Uno stormo di ragazzine passò