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Vite di carta
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E-book146 pagine1 ora

Vite di carta

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Info su questo ebook

Una corrispondenza epistolare tra due amiche, Marisa e Emma, diventa il telaio per la tessitura di racconti di vite diverse, riunite in una stessa tela. Ordito e trama, con l’ausilio di lane colorate, formano figure dotate di intrecci di senso alla stregua di quanto accade nella vita: l’autentica personalità di ogni individuo deriva dalle relazioni con gli altri. Senza il loro sostegno, le aspirazioni individuali, sopite o lasciate in solitudine, non riuscirebbero a maturare. In altri volti, appena accennati qua e là sulla tela, il disegno rimane a sé stante e si staglia nel bianco dello sfondo in attesa di essere raggiunto da fili colorati capaci di ricomporre le singole presenze nello stesso quadro. Si tratta di vite “di carta”, per via della loro fragilità esistenziale. Vite reali o immaginarie che si intrecciano nel bisogno di Marisa di interloquire con Emma. Ogni mente ha bisogno di un cuore in ascolto, di un alter ego che dia il riscontro atteso.
LinguaItaliano
Data di uscita27 apr 2020
ISBN9788855128964
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    Anteprima del libro

    Vite di carta - Micaela Bertoldi

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    Micaela Bertoldi

    Vite di carta

    Copyright© 2020 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizionidelfaro.it

    info@edizionidelfaro.it

    Collana EquiLibri – NIC 08

    Prima edizione digitale: aprile 2020

    ISBN 978-88-6537-715-4 (Print)

    ISBN 978-88-5512-896-4 (ePub)

    ISBN 978-88-5512-897-1 (mobi)

    In copertina: Robin, Susannp4, Pixabay.com

    http://www.edizionidelfaro.it/

    https://www.facebook.com/edizionidelfaro

    https://twitter.com/EdizionidelFaro

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    Il libro

    Una corrispondenza epistolare tra due amiche, Marisa e Emma, diventa il telaio per la tessitura di racconti di vite diverse, riunite in una stessa tela. Ordito e trama, con l’ausilio di lane colorate, formano figure dotate di intrecci di senso alla stregua di quanto accade nella vita: l’autentica personalità di ogni individuo deriva dalle relazioni con gli altri. Senza il loro sostegno, le aspirazioni individuali, sopite o lasciate in solitudine, non riuscirebbero a maturare. In altri volti, appena accennati qua e là sulla tela, il disegno rimane a sé stante e si staglia nel bianco dello sfondo in attesa di essere raggiunto da fili colorati capaci di ricomporre le singole presenze nello stesso quadro. Si tratta di vite di carta, per via della loro fragilità esistenziale. Vite reali o immaginarie che si intrecciano nel bisogno di Marisa di interloquire con Emma. Ogni mente ha bisogno di un cuore in ascolto, di un alter ego che dia il riscontro atteso.

    L’autrice

    Micaela Bertoldi. Insegnante, impegnata in politica, ha rivestito vari incarichi istituzionali a Trento. Si dedica alla scrittura in prosa e poesia e a conversazioni radiofoniche su tematiche culturali e pedagogiche. Tra le opere pubblicate: Come la terra d'inverno (Controeditore, 2007); Luoghi (Excogita, 2008); Direzione Rab (Controeditore, 2009); Terre di Anatolia (Controeditore, 2010); Un filo di Arianna di mano in mano (Curcu & Genovese, 2010); Palestina-Israele. Vivere con Con-vivere (Moschini, 2012); Con poesia. Percorsi in versi (Moschini, 2013); Intrecci. Stralci di narrazioni familiari sullo sfondo della piccola Europa (ed. Fondazione Museo Storico del Trentino, 2014). Tra Turchia e Siria. Lune e mezzelune in terre di confine (Ed. Del faro, 2016) Persiane azzurre (Ed.Del faro, 2017) Drammi storici, domande attuali (a cura di, Ed. Del faro, 2017) Sguardi (Ed. Del faro, collana EquiLibri, 2018)

    alla ricerca del senso profondo

    del tempo e delle cose

    Mio blu – dicevi –

    mio blu.

    Lo sono.

    E anche più del cielo.

    Ovunque tu sia

    io ti circondo.

    Ghiannis Ritsos.

    Vite di carta

    Storie di ordinaria quotidianità

    de minimis

    Oh, valuta ciò che l’istante ti porge…

    Thomas Hardy

    Raccontare

    Cara Emma,

    non so in che modo cominciare questa mia lettera. Che sarà lunga, aspettati un insieme di parole che richiedono un bel po’ di tempo per essere lette e intese nel loro intento. Ovvero che necessitano di essere decifrate in modo che alla fine compaia l’essenza di ciò che io stessa cerco di mettere in luce. E per farlo ho bisogno che tu mi ascolti seppure da lontano, dando un senso al mio vagabondare tra ritratti di persone poco note o anche del tutto sconosciute, incontrate per caso o ricercate con l’intento di andare incontro a una qualche loro esigenza esistenziale.

    Aspettati una corrispondenza in cui si mescolano lo scrivere e il descrivere, perché è questo ciò che mi sento di fare. Come tu ben sai, nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove voglia andare. E anch’io in questo frangente mi devo affidare a venti occasionali, scomposti e indisciplinati, tanto che non mi riesce di seguire regola alcuna di tipo letterario. Non ho una meta. La mia direzione è incerta. Ti basti sapere che, quando mi perdo, scrivo. E in questo caso avrei scelto te come destinataria di questa mia scrittura.

    Vorrei solo avere un qualche riscontro, sapere se anche a te capita di dare peso a incontri casuali e se ti pare che esistano, in te e fuori di te, degli sguardi sufficientemente espressivi o indagatori che possano far percepire le emozioni altrui. Così che ne possano derivare provvidenziali scambi di parole in un mondo, ahi noi, fin troppo distratto.

    Nel narrare storie di ordinaria quotidianità con personaggi che calcano la scena dei normali giorni voglio iniziare presentandoti Cristina.

    Si è appena svegliata e già ha messo in moto il suo pensiero critico.

    Un caro saluto, Marisa.

    Cristina

    C’è una sensazione che accompagna le ore e i minuti – si dice Cristina non appena si desta dal sonno – Ho l’impressione di essere seguita da un occhio vigile, attento a percepire le scie di emozioni, il disgusto e la fatica, la gioia e i tormenti dell’inquietudine umana. Un occhio che di volta in volta sta fuori di me e dentro la mia facoltà visiva. Uno sguardo conoscitivo che mi ri-guarda e che considera il mio divenire nel mondo, ri-guardando gli eventi così da favorirne la comprensione.

    Cristina in questo modo si sente circondata, accudita dal respiro del mondo e della natura, come se in ogni momento fosse possibile accedere alla capacità di leggere la portata dei fatti quotidiani, contenuta nelle cose stesse. Cristina sa anche che tale fatto vale per ogni altra persona che, cercando senza posa la propria via specifica di attraversamento della vita, intenda allargare lo sguardo verso gli altri. Altri in cui risiedono possibili risposte a domande sospese.

    Le pendici dei monti, fortemente bianchi di neve sulle cime, circondano la città in cui vive e le danno la sicurezza del nido protetto. L’autunno inoltrato, a poco a poco, cederà il passo all’inverno, ma nel fondovalle non ci saranno venti irosi a sconvolgere la vita degli abitanti. Solo il freddo si farà più acuto, l’aria pungente, per lo più asciutta, con scarse nebbie. Le brume padane di solito non riescono a risalire verso l’arco alpino, non oltrepassano le strettoie della valle, come se delle porte immaginarie chiudessero i battenti a Serravalle, là dove l’Adige più selvatico si snoda in curve sinuose, esigendo il diritto di lasciarsi andare senza argini artificialmente irrobustiti. Sembra seguire antiche leggi, sottolineando l’adeguata collocazione dei vari insediamenti storici sorti nei secoli in obbedienza a una geometria sapiente che ha dettato il rapporto tra terre urbanizzate e fiume.

    Il dialogo tra elementi del paesaggio, tra manufatti architettonici e natura racconta dell’interdipendenza tra luoghi e abitanti e tra persone che condividono uno stesso luogo. E Cristina è immersa in questo dialogo che si svolge senza parole, si sostanzia di sguardi.

    È un osservare e un sentirsi osservata. Un’attitudine preziosa che dà il la a meditazioni e ripensamenti e spinge in avanti la voglia di cambiamento, di sopportazione dei momenti negativi, di innovazione e trasformazione delle condizioni del vivere, là dove queste appaiono inadeguate rispetto alle esigenze e alle emozioni umane.

    In questo giorno d’autunno Cristina s’alza, solleva le tapparelle per volgere gli occhi alla luce mattutina, prepara il caffè, sveglia Lorenzo perché non si attardi troppo tra le coperte, arrivando in ritardo nel suo ufficio, magari perdendosi nei fascinosi meandri dei numeri e delle coincidenze.

    Poi si prepara per recarsi in ambulatorio, sapendo di dover essere pronta a recepire la razione quotidiana di dolore che fuoriesce, a fior di pelle, dai familiari dei pazienti che si rivolgeranno a lei con le loro richieste di aiuto. Cristina infatti si fa coinvolgere, nonostante tenti di rimanere oggettiva, professionale. Non sa svolgere in maniera burocratica la sua funzione.

    In sala d’attesa all’ASL

    Mirella sta aspettando nel corridoio seduta su una delle poltroncine poste in fila. Attende il turno per presentare la pratica riguardante la sua anziana mamma. Passa in rassegna i problemi e le considerazioni con cui ha fatto i conti prima di arrivare in questa sala d’aspetto.

    La commissione che deve svolgere nell’ufficio dell’ASL, l’ha costretta a cambiare l’organizzazione della giornata, spostando impegni. La corsa che dovrà fare per riuscire a svolgere tutte le incombenze prefissate, è garantita. Tuttavia, almeno ora, per un momento, se ne sta seduta sulla poltroncina della sala d’aspetto, attendendo il suo turno. Ha così modo di dare un’occhiata alle persone che entrano, sostano, escono seguendo il diktat delle preoccupazioni che le hanno portate fino lì.

    Una porta si apre a un tratto, lasciando uscire un ragazzo nero che lì si è rivolto per ottenere l’autorizzazione all’esenzione dal ticket. Mentre il paziente esce, dalla porta aperta si può intravedere l’ambulatorio e il dottore che saluta, cortesemente, la persona che esce e il successivo paziente che entra contento che il suo turno sia giunto abbastanza in fretta.

    Il medico, di un’età che supera di parecchio i cinquanta, ha un viso da topolino, occhi vicini tra loro, con la piega della palpebra un po’ obliqua che li fa apparire sottili, anche per via dell’arcata sopraccigliare un poco spiovente. L’insieme del volto si presta bene a un sorriso timido e accogliente: come se la disposizione d’animo di uomo dimesso per vicende di una vita sempre uguale si riflettesse nei gesti comprensivi rivolti a chi deve frequentare gli uffici dell’azienda sanitaria, inseguito da problemi di salute o di risorse economiche insufficienti.

    Nell’ufficio accanto, l’infermiera assegnata alle autorizzazioni dei presidi sanitari: guanti, cerotti, strisce a strappo, cateteri, sacche raccogli urina – di tre tipi, non ci si confonda nella richiesta! – è insediata in una piccolissima stanza quadrata di due metri per due (a far tanto!) in cui l’arredo consuma tutto lo spazio: un tavolo, due sedie, schedari a muro, computer e stampante posta alle spalle della sedia dell’impiegata che, una volta dato l’ordine di stampa, deve solo girare brevemente il braccio per ritirare la carta con cui si autorizza il ritiro dei presidi prescritti.

    Chi entra si siede obbediente di fronte a lei, ma prova immediato un senso di soffocamento all’idea di doversi soffermare in quel poco spazio. Poi, quasi per fuggire altrove, automaticamente volge lo sguardo alla finestra vetrata cui il tavolo è appoggiato e da lì vede un paio di alberi vicinissimi che s’alzano verso il rettangolo di cielo

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