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Dura mater
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E-book150 pagine1 ora

Dura mater

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Mariella è nel letto numero 5 della terapia intensiva. Una cicatrice demarca il confine tra un limbo di visioni e la realtà che le sfugge. È in coma farmacologico: crede di aver tentato il suicidio per amore, ma l’hanno operata al cervello per una malattia rara che non sapeva di avere. 
Mariella dubita di sé, non riesce a ricostruire gli eventi; ma sarà quella della scienza, alla fine, la sola verità della consapevolezza ritrovata. 
Una cicatrice separa anche i due luoghi di Mariella: Roma, un fondale di carta, e l’Abruzzo, la sua terra antropologica, dove sopravvive la memoria della zia Elda e dove talvolta la natura, offesa, porta morte e desolazione. 
Una cicatrice segna infine le due lingue di dura mater: l’affilato gergo medico e improvvisi tratti lirici con radici antiche. Alla fine, la strada da percorrere è una sola: quella del capetiempe dei contadini abruzzesi, il ripartire sempre da capo insieme al volgere delle stagioni, superando il dolore delle sciagure, sia quelle individuali che collettive delle frane e dei terremoti.
LinguaItaliano
Data di uscita22 giu 2022
ISBN9788833862064
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    Anteprima del libro

    Dura mater - Ada Sirente

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    Conciliando numeri e rime nella memoria Introduzione di Sparajurij

    Prima parte

    inganni della mente

    Uno

    Due

    Tre

    Quattro

    Cinque

    Sei

    Sette

    Dal diario di Mariella

    Otto

    Dal diario di Mariella

    Nove

    Dieci

    Undici

    Dal diario di Mariella

    Dodici

    Tredici

    Dal diario di Mariella

    Quattordici

    Quindici

    Seconda parte

    dubbi della realtà

    Sedici

    Diciassette

    Diciotto

    Diciannove

    Venti

    Ventuno

    Ventidue

    Ventitré

    Ventiquattro

    Venticinque

    Ventisei

    Ventisette

    Ventotto

    Ventinove

    Trenta

    Trentuno

    Trentadue

    Parte terza

    epiloghi

    Plinia

    Mariella

    Dal rifugio bianco

    Pescara, ospedale

    Ringraziamenti

    scafiblù
    (19)
    ada sirente

    dura mater

    © 2022 Miraggi edizioni, Torino

    www.miraggiedizioni.it

    Progetto grafico Miraggi

    Per l’immagine di copertina, l’Editore rimane a disposizione

    degli eventuali aventi diritto che non è stato possibile individuare e contattare.

    dura mater prende le mosse da fatti realmente accaduti, ma trasfigurati

    dall’immaginazione. Ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale.

    Finito di stampare a Chivasso nel mese di giugno 2022

    da A4 Servizi Grafici snc per conto di Miraggi edizioni

    su Carta da Edizioni Avorio Book Cream 80 gr

    e Carta Fedrigoni Woodstock Materica Acqua 180 gr

    Prima edizione digitale: giugno 2022

    isbn

    978-88-3386-206-4

    Prima edizione cartacea: giugno 2022

    isbn

    978-88-3386-205-7

    Ai miei medici e al Dottor F.C.,

    che se n’è dovuto andare come zia Elda.

    Sinossi

    Mariella è nel letto numero 5 della terapia intensiva. Una cicatrice demarca il confine tra un limbo di visioni e la realtà che le sfugge. È in coma farmacologico: crede di aver tentato il suicidio per amore, ma l’hanno operata al cervello per una malattia rara che non sapeva di avere.

    Mariella dubita di sé, non riesce a ricostruire gli eventi; ma sarà quella della scienza, alla fine, la sola verità della consapevolezza ritrovata.

    Una cicatrice separa anche i due luoghi di Mariella: Roma, un fondale di carta, e l’Abruzzo, la sua terra antropologica, dove sopravvive la memoria della zia Elda e dove talvolta la natura, offesa, porta morte e desolazione.

    Una cicatrice segna infine le due lingue di dura mater: l’affilato gergo medico e improvvisi tratti lirici con radici antiche. Alla fine, la strada da percorrere è una sola: quella del capetiempe dei contadini abruzzesi, il ripartire sempre da capo insieme al volgere delle stagioni, superando il dolore delle sciagure, sia quelle individuali che collettive delle frane e dei terremoti.

    Biografia autore

    Ada Sirente (Roma, 1978) è abruzzese e vive vicino a Roma, in campagna. Ha scritto Collevero, piccolo libro in prosa poetica (Di Felice Edizioni, 2013) e le sillogi L’ampiezza dello spettro (collana Croma K, Oèdipus, 2016), Le strade, gl’inferi, la madre, il cane (Italic, 2018), Dopo l’ultimo incendio (collana I poeti di Smerilliana, The writer, 2020). Suoi testi sono apparsi in antologia e su alcune riviste, tra cui «Smerilliana», «Atti Impuri», «Alfabeta2». Il racconto La stella di Barnard è stato tradotto da Philippe Di Meo e pubblicato in Francia sulla rivista «Espace(s)» numero 10, progetto letterario nato in seno allo Cnes (Centre Nationale d’Études Spatiales). Dal testo Sei Aprile, inserito nel Calendario Utopico 2015 (Sartoria Utopia, Milano), è stato tratto il brano musicale omonimo del cantautore Umberto Maria Giardini (Protestantesima, 2015).

    Conciliando numeri e rime nella memoria

    Introduzione di Sparajurij

    Sotto la pelle del romanzo di Ada Sirente scorre una malattia rizomatica, un esile fusto vibratile che brilla come un osso nelle radiografie, di cui è imponderabile l’armonia dei rami e il segreto delle radici. Fibre nervose che accendono e accedono a nuovi significati troppo significanti , da attraversare secondo le linee di fuga a cui essi conducono, accelerando per farli risuonare assieme e riconoscerne la natura atomica, ipotetica, di materia oscura.

    Il corpo astratto della protagonista, come il corpo astratto del testo, si muove alla ricerca di un responsabile della realtà, mentre la vita biologica si esprime dentro parametri misurabili, cartelle cliniche, dati quantitativi, e la vita biografica emerge dal profondo della storia o del sogno oramai alchemicamente impastati, indivisibili nel delirio dell’essere.

    La coscienza dilatata dai farmaci reclama indietro il suo peso, il profilo migliore delle voci, la verosimiglianza dei guai. L’io narrante ipercosciente cerca disperatamente di ricucire i fili, elaborando, analizzando, interpretando, conciliando numeri e rime nella memoria, in un fluire di incontri e conversazioni che risvegliano il paesaggio: Abruzzo di terra, di strade, di anime e animali. Pittura fresca, non toccare.

    Ma il risveglio non vanifica il valore etico delle immagini o delle proposte di matrimonio senza anelli al dito di marionette mosse con grazia sciamanica dall’occhio sospeso nei dubbi di realtà. Il dilemma del coma, e del come, riverbera nella genealogia e nella genetica, si insinua nella credenza di famiglia, nel diario del futuro; entra nell’auto in corsa a folle velocità, bacia, stringe e ama; sguscia nel cortile dell’infanzia al primo inverno, stende teli e rose sui prati a colazione.

    Tutto nuovo una prima volta. Tutto come sulla stessa cima che provoca vertigini e valanghe. Scavare: ancora « al centro del pulviscolo che residua dalla nuvola grigia », dentro una pellicola di Tarantino, ai margini di una polaroid.

    Nel bianco di una neve violenta, nel bianco di una pagina e di una sposa, che recita:

    tra dissidi di vene e dissidi di sangue, dissi di sì.

    Prima parte

    inganni della mente

    Uno

    Si chiama Luisa, è vestita di bianco.

    È originaria della Valle Peligna e porta gli orecchini d’oro grandi che in Abruzzo chiamiamo ciorcelle .

    Mi chiamo Mariella e sono abruzzese, proprio come Luisa, anche se non ho mai portato le ciorcelle in vita mia. Però le ho viste spesso pendere dalle orecchie delle vecchie e tintinnare sotto il fazzoletto nero, come quelle della mia tata, zia Elda, e delle sorelle Giulia e Marisa.

    In regioni chiuse come la mia si porta ancora rispetto agli anziani, che prendono il sole fuori dalla porta e sorridono. Una terra d’altri tempi, diremmo, ma non è affatto vero.

    È arrivato anche qui il tempo che i ladri entrino nelle case, quelle lasciate aperte co’ la chiave ’n faccia, come è successo a Meneghina, quella che abita accanto a zia Elda. Le hanno rubato tutto, pure le ciorcelle che adesso non pendono più dalle sue orecchie avvizzite. In realtà, non ho mai creduto che le donassero, data la forma del viso allungata. Ma vaglielo un po’ a spiegare a una come Meneghina, che credeva di esserci addirittura nata con le ciorcelle appiccate alle recchie, che non potrà più sentirsele penzolare dai lobi come due piccole preghiere mobili la domenica alla chiesa di San Cosma e Damiano. Non è che, in effetti, le ciorcelle donino a tutte le facce allo stesso modo e Luisa ha un viso sul quale stanno bene. È la prima cosa che penso, la mattina, quando compare in stanza.

    A dire il vero, alle ciorcelle ho sempre preferito la presentosa: me l’ha regalata zia Elda quando avevo sei anni. Era una di quelle con il disegno da monelle (così le chiamano le bambine, dalle mie parti), dove l’oro traccia un unico cuore giusto al centro, arabescato tutt’attorno dalla filigrana spiralata. Quelle da donna in età da marito, invece, di cuori al centro ne tengono due.

    Chissà se l’avrà avuta anche Luisa la sua presentosa da bambina, quella con un cuore solo, che serve a far capire ai maschi che è già iniziata l’attività principale delle donne: diventare mamme e poi nonne di nipoti femmine che porteranno ai colli altri gioielli con un cuore solo, nell’uroboro dell’esistenza immutabile.

    La mia presentosa, fino a oggi, era rimasta chiusa ’nserrata in un cassetto della credenza di famiglia, quella con lo stemma sui lati e troppi intarsi perché mi piacesse davvero.

    Chissà se l’avrà avuto anche Luisa il suo mobile cupo con la presentosa dentro. Chissà come avrà fatto zia Elda a entrare in casa di mamma, prendere il ciondolo dalla credenza e portarmelo fino qui.

    Io so per certo che in questo momento la presentosa ce l’ho appesa al collo e mentre il mio corpo ha bisogno di essere aiutato dall’esterno, attraverso mani altrui e dispositivi medici, grazie a questo gioiello posso continuare a essere qualcosa che esiste.

    Tra le tante mani e i movimenti convulsi, all’improvviso sono apparse anche quelle lente di zia Elda e tra

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