Il cacciatore di profumi
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Anteprima del libro
Il cacciatore di profumi - Graziano Zambarda
IL CACCATORE DI PROFUMI
di Graziano Zambarda
Prima edizione: novembre 2019
Tutti i diritti riservati 2019 ©BERTONI EDITORE
Via Giuseppe di Vittorio, 104 - 06132 Chiugiana (Perugia)
Bertoni Editore
www.bertonieditore.com
info@bertonieditore.com
È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata
Graziano Zambarda
IL CACCIATORE
DI PROFUMI
Ergi la tua gioia
sopra la fatica cammini fiera,
mento e spalle rivolte al sole.
Chi ti ha mai insegnato questo?
Il male d’Africa
Serse Cardellini - L’Archipoeta
I
Non si considerava un granché come conoscitore del genere umano. Samuel però riteneva d’avere un fiuto raffinato. Giudicava le persone a naso. Le fiutava, come fanno i cani quando entrano in contatto con un odore sconosciuto. Sbagliava di rado, a sentir lui. E ne andava fiero.
Nella conoscenza dei suoi simili non gli aveva giovato l’aver vissuto nella malga di famiglia pressoché fino ai vent’anni. Anzi, proprio per quella ragione era venuto su diffidente e sospettoso quanto un capriolo. Schivo. Introverso. Vivere lì, in quel remoto angolo della valle affogato nei silenzi rarefatti dei pascoli e avvolto nei mille fruscii dei boschi, l’aveva invece dotato di un istinto, appunto, animalesco. Sapeva cogliere quello che di buono, o di cattivo, ogni umano, a sua insaputa, espelleva attraverso i pori.
Lui nasava
, diceva di sé.
Proprio per questa ragione, fin dalla prima occhiata, dal primo saluto forzato aveva giudicato il direttore dell’hotel, parole sue, un fetente. Sì, un vero fetente. E dopo tre anni di lavoro, anche a stretto contatto, continuava a insistere: è un fetente! Un fetente figlio di puttana che con la sua cortesia falsa quanto un franco di cioccolato spadroneggia su tutti.
Questo pensava di Herr Karl. Herr Karl il direttore.
E in più era italiano. E come non bastasse perfino finocchio. Fosse stato anche di colore, negro per dirla con parole sue, avrebbe racchiuso in sé tutte le categorie umane che Samuel detestava. Tutte allo stesso modo, tutte con la stessa intensità.
Amava la Svizzera, invece. Quella sì. L’Engadina in particolare, la sua valle. L’amava per quel suo piccante profumo di resina, per l'ordine, per le strade pulite e la discrezione degli abitanti, per i prati verdi d’estate e bianchi di neve in inverno, per i vasi di gerani anche alle finestre delle stalle e per le montagne che la riparavano dall’invasione dei nuovi barbari. Sì, era vero, c’era qualche italiano di troppo, e pure qualche turco e qualche marocchino che lavoravano nelle cucine degli alberghi, ma poteva andare peggio, visto l’andazzo.
Amava la Svizzera, anche se, in realtà, non si poteva dire che lui amasse
: parola impegnativa per Samuel. Andava più che altro per esclusione. Come a dire: lui, una persona, o una cosa o una azione, o la detestava o non la detestava. O per la stessa provava o non provava indifferenza. Più in là non andava.
Herr Karl, il direttore dell’Hotel Garden, che all’anagrafe in realtà faceva Carlo Modena, era uno di quegli omosessuali che non lo danno a vedere. Né ci tengono. Non certo una di quelle caricature da cinematografo effeminate e piene di moine. Nulla di questo. Era un uomo alto, ben piazzato, dalla camminata elastica del ballerino di tango argentino; avanzava con il petto appena proteso e il culo un po’ all'insù, il mento alto e le spalle immobili. Passo morbido, né troppo lento né troppo veloce, ma deciso; il passo di chi sa come spetti a lui condurre le danze. Tenendo le punte dei piedi appena divaricate, sembrava scivolare sui marmi rosati della hall dell’hotel Garden. Lo sguardo fermo e virile gli conferiva l’autorevolezza di cui il suo ruolo necessitava; la voce da baritono e il capello scuro appena brizzolato sulle tempie affascinavano non poco le clienti. Non solo quelle.
Un papero, in realtà, con quel culo all’insù
si diceva Samuel lasciandosi andare a una risatina venata di disprezzo. Un papero checca tutto culo e presunzione. E italiano per giunta, e pure fetente.
Herr Karl aprì la porta dell’ufficio senza bussare. Samuel si alzò di scatto dalla sedia: stava già per assalirlo a male parole quando s’accorse che il fetente figlio di puttana non era solo.
«Eccoci, signora Cole» stava dicendo, flettendo appena il busto e facendo passare la donna. «Come vede, ci siamo già.»
La donna, che il fetente aveva chiamato Signora Cole
, avanzò decisa verso la scrivania di Samuel. Non sembrava camminare: dava l’impressione d’essere sorretta da un cuscino d’aria. Levitava. Ed era bella. D’una bellezza disarmante. Una visione, avrebbe potuto definirla Samuel se il suo cervello non l’avesse abbandonato lì, bloccato nella goffa posizione di chi sta per sedersi e cambia improvvisamente idea.
La signora Cole s’impadronì della stanza. La invase. E s’impadronì pure di Samuel, al quale occorsero alcuni secondi di troppo per accorgersi della sua grottesca posizione.
«Grazie, direttore» disse lei in un inglese dall’accento nordamericano. «Però, e mi scusi, faccia la gentilezza direttore… spieghi lei al signor ...» e s’interruppe. Guardò Samuel dritto in viso. Se in quell’istante avessero colpito Samuel con una coltellata, lui non avrebbe avvertito dolore, né versato una sola goccia di sangue. Lo sguardo della donna l’aveva completamente anestetizzato.
«... al signor Samuel» completò Herr Karl.
«Oh, sì, certo. Al signor Samuel, naturalmente. Sia gentile direttore, spieghi al signor Samuel cosa ci porta qui.»
Samuel sapeva chi era la signora Cole. Meglio, conosceva i suoi conti e le sue carte di credito. Ottima cliente. Ora faceva la conoscenza anche del suo sguardo, e di tutto quello che lo circondava. Una conoscenza che lasciò le sue tracce.
Quando Herr Karl riprese a parlare, Samuel era ancora sotto l’effetto ipnotico dello sguardo della donna. Tanto da non riuscire ad afferrare le parole del direttore. Si sentiva calamitato, assorbito da quella presenza, e intontito dal profumo che l'avvolgeva. E c’era pure un’altra cosa che lo imbarazzava: non sapeva dove guardarla. Non sapeva se continuare a reggerne lo sguardo diretto come uno stiletto o godersi la vista di tutto il resto. Scelse ciò che voleva lei. Fu l’istinto a dirgli dove la donna voleva essere guardata.
«...La conosce, signor Samuel. È nostra affezionata e gradita ospite», stava dicendo il direttore con l'amabilità prevista dal contratto di lavoro. «Oggi, improvvisamente, pare che le sue carte di credito si siano messe a fare i capricci, vero signora? Cose che capitano… glielo assicuro. La tecnologia dovrebbe aiutarci a risolvere i problemi, ma a volte, che vuole, ci complica la vita; vero signora? Comunque, signor Samuel, tolga lei la signora Cole da questo impiccio, la prego.»
E, rivolgendosi alla signora, aggiunse cerimonioso «Con permesso, signora Cole. Torno ai miei doveri, non posso farmi attendere troppo. La lascio in buone mani. Vedrà, il signor Samuel saprà come risolverle il contrattempo. E se ha bisogno di me, sa dove trovarmi. Con il suo permesso.»
Fece due passi all’indietro. Con una giravolta degna di un ballerino, lasciò l’ufficio.
«S’accomodi, signora.»
Fu tutto quello che Samuel riuscì a dire senza prima inghiottire un grumo di saliva che gli si era bloccato fra lingua e palato. Lei si sedette. I pantaloni bianchi, che le arrivavano a metà polpaccio, si tesero sia sulle cosce che sui fianchi, pericolosamente.
«Oh, signor Samuel, sono certa che lei saprà togliermi da questo impiccio. Ci conto.»
La sua voce aveva toni bassi e caldi. A Samuel sembrò che gli massaggiasse non solo l’anima ma ogni parte del corpo, soprattutto una. Si sentì formicolare i polpastrelli delle dita e prudere l’attaccatura dei capelli.
«Vede», continuò il massaggio vocale. «Le spiego il contrattempo. Volevo acquistarmi qualcosa nella vostra boutique, una cosina graziosa per la festa di sabato sera, ma pare che nessuna delle mie due carte di credito voglia saperne di funzionare. Sa, mi sono sentita così imbarazzata.»
Nel dirlo si chinò leggermente in avanti. Fece scivolare sulla scrivania due luccicanti carte di credito argentate; le aveva tolte da una minuscola borsetta che portava a tracolla. La sua camicetta di seta non fu in grado di nascondere quello che la signora non voleva effettivamente nascondesse.
Samuel non guardò le carte di credito. Guardò dove voleva la donna.
«Non dubiti signora Cole.»
«Grazie. Sa, io mi sposto molto, viaggio sovente e non sono abituata ad aver con me denaro contante. Lo trovo così poco pratico, così... banale.»
«Comprendo...»
Le mani della donna disegnarono nell’aria eleganti arabeschi. Lo sguardo era piantato, senza pudore, negli occhi di Samuel. Sembrava volerlo possedere. Lei voleva ci si leggesse tutta la sua disponibilità e riconoscenza. Samuel non conosceva granché il genere umano, cosa vera, soprattutto il lato femminile, ma quel messaggio l’avrebbe decifrato anche un analfabeta. Accettò sguardo e messaggio, godendosi quei lampi di sensualità che gli smuovevano anima e corpo.
La signora Cole parlava. Samuel non ascoltava, più che altro masticava saliva e la guardava.
«E ora questa seccatura. Sa, è così sgradevole avere problemi del genere. Anche perché, senza carta di credito, mi creda, io mi sento...», fece una pausa e si guardò il corpo come per dire nuda.
Non lo disse, ma l’effetto prodotto fu il medesimo. Nel pronunciare le ultime parole aveva inarcato un po’ la schiena; un movimento leggero che parve animarle i seni. Ci fu una pausa. Samuel continuava a masticare saliva e a guardarla. Fu ancora lei a parlare.
«Aspetto sue notizie» disse, forse solo per riempire quella pausa. Non le piacevano i silenzi, evidentemente.
«Sia gentile, non mi telefoni, mi cerchi personalmente; è più pratico. A qualsiasi ora. Non credo che mi muoverò dall’hotel, oggi. L’aspetto» aggiunse con un soffio di voce mettendo il viso un po' di traverso e strizzando leggermente gli occhi.
Nel dire l’aspetto
allungò il braccio e posò la sua mano sopra quella di Samuel che stava prendendo le carte di credito. A Samuel si formarono due piccole gocce di sudore proprio sotto il naso. Non seppe come toglierle. Odiava sentirsi in imbarazzo, ma sopra ogni cosa detestava che gli altri se ne accorgessero.
«Mi aiuti» disse quando la sua mano toccò quella di Samuel. Lui avvertì una leggera scossa, un caldo tremore che dalla mano di lei si trasmise alla sua per propagarsi poi fino al petto dove esplose in una sorta di fuoco d’artificio. Alzò gli occhi sul viso della donna e vi trattenne il suo sguardo. Lei sorrise delicatamente, mentre una maliziosa piega le si formava all’angolo della bocca.
La signora Cole uscì facendo oscillare morbidamente sia i capelli lisci che i fianchi.
Sembrò che nella stanza la luce si fosse afflosciata. Samuel si lasciò scivolare nella poltrona girevole e respirò profondamente. Con il dorso della mano si tolse le gocce di sudore che stavano colandogli sul labbro superiore.
Di donne belle ne aveva viste, non poche ne aveva viste passare per l’hotel, ma quella le batteva tutte. E poi, pensò, Quel suo sguardo... Dio che brivido! Sembrava volesse dirmi che... che volesse farmi...!
«Un'autentica purosangue» disse a mezzo voce, lo sguardo fisso alla porta, chiusa.
Nella stanza galleggiava un profumo fresco, come di calicanto. Due carte di credito argentate luccicavano sulla scrivania.
Benché avesse vissuto l’incontro con la signora Cole come una visione, rimanendo imprigionato in uno stato di confusa ebbrezza, Samuel fece quello che doveva, magari nella segreta speranza di guadagnarsi qualche credito. Non se lo chiese: conosceva i suoi limiti. Sapeva che per lui il livello della signora Cole era non raggiungibile. Però fu rapido e concreto, come sempre. A lavoro concluso, cercò Herr Karl al telefono: non aveva nessuna voglia di vederlo.
«Sono Samuel, della contabilità» disse asciutto.
«Signor Samuel... che sorpresa!» rispose il direttore con un’enfasi così malignamente forzata da far sentir Samuel assolutamente soddisfatto dell’esito della sua ricerca.
«La sorpresa c’è, in effetti» disse lui di rimando, «e potrebbe non piacerle!»
«Non mi dirà che ha rinunciato alle ferie!»
«Direttore, attento! Non mi faccia dire quello che penso. Lo sa che non posso permettermelo!»
«Via, via, signor Samuel... La mia era solo una battuta. Non se la prenda! Lei ha tutta la mia invidia, la più sincera, lo creda. Sta per andarsene in vacanza, e ci lascia qui a lavorare come...»
«La lascio in ottima compagnia, Herr Karl... non crede?»
Samuel fece una pausa. Dio che godimento, pensò. Mettere quel fetente in difficoltà potrebbe procurarmi una eiaculazione.
«In compagnia della signora Cole, ad esempio. E delle sue carte di credito.»
«Non mi dica che ha già controllato!»
«Certo che l’ho fatto.»
«E allora?»
Samuel non aveva fretta.
«E allora?» ripeté il direttore. Il tono di voce si fece guardingo. «C’è qualcosa che devo sapere?»
Insiste il fetente, si disse Samuel ghignando. Adesso lo vedi se c’è qualcosa!
«Allora c’è» iniziò a dire con tono distratto, come stesse parlando solo del tempo che andava cambiando. «C’è che...»
Sì, avrebbe voluto tenerlo sulle spine in eterno, farlo rosolare come una lepre allo spiedo. Fargli colare tutto quell’io grasso e tronfio nel quale sguazzava, ma non seppe resistere. La voglia di sentire il fetente in difficoltà prese il sopravvento.
«... c’è che le carte di credito della nostra cara signora Cole sono solo carta straccia.»
Ci furono tre secondi, solo tre, ma eterni, di silenzio totale.
«Ma come? È sicuro di quello che dice? ... Sono state bloccate? Ne è certo?»
«Non sono state bloccate, caro il mio direttore, sono state annullate. Annullate. Entrambe. E anche i conti ai quali facevano riferimento. Non esistono più né le carte né i relativi conti correnti.»
Dalla cornetta venne una pausa, seguita da un prolungato lamento di sconforto e da un sospiro doloroso. A Samuel parve di vedere gli occhi del direttore vagare impauriti in cerca di una certezza qualsiasi a cui aggrapparsi. Fu tentato di affondare ancor di più il colpo e dire brutalmente al direttore che stava godendo come un animale, ma si trattenne. Fin da ragazzo, sul monte Fells, aveva imparato a gioire con moderazione delle sue vittorie.
Il fetente finocchio figlio di puttana
si sta strizzando i coglioni, pensò. E allungò con voluttà i piedi sotto la scrivania.
«Il titolare ha estinto i depositi» aggiunse con serafica indifferenza gustandosi il disastro provocato dalle sue parole. «Nelle banche che ho contattato non esistono conti ai quali la signora Cole possa, a qualsiasi titolo, fare riferimento. Se posso essere franco, direttore, il signor Cole, chiunque egli sia, s’è stufato di pagare perché la moglie lo faccia becco. S’è stufato, e l’ha lasciata in mutande. Anche se, detto fra noi, la signora Cole in mutande deve essere proprio un gran bel vedere.»
Samuel rise forte.
«Non dica così» furono le prime flebili parole che vennero dall’altra parte.
«Avvisa lei la signora, Herr Karl, vero? Se le servono, troverà le carte di credito sulla mia scrivania accompagnate dai fax e dalle copie delle mail che ne confermano l’estinzione.»
E ora sono fattacci tuoi, figlio di puttana
, avrebbe voluto aggiungere, ma si sentì soddisfatto così, e chiuse la conversazione confermando al direttore che da quel momento si considerava in ferie.
Punto.
II
Aveva già le chiavi della sua Golf fra le mani. Stava per azionare l’apertura automatica. Qualcosa lo arrestò. Una leggera traccia di profumo galleggiava nell’aria pesante del garage sotterraneo dell’hotel. Rimase lì, bloccato, con il naso all’aria come una volpe. Rimise le chiavi in tasca e girò le spalle. Non pensò a quello che sarebbe andato a fare. Andò.
L’ascensore salì rapido, con un leggerissimo sibilo nascosto da una musica ovattata.
In fatto di profumi, Samuel poteva dire di saperne più di tanti. Il suo tenero olfatto era stato messo alla prova fin dal primo giorno in cui fu in grado di seguire il padre sui ripidi pendii del monte Fells.
«Chiudi gli occhi» gli diceva il padre facendogli accostare il naso a un abete bianco, poi a un abete rosso. Doveva indovinare la sottile differenza del profumo delle loro resine. C’era voluto tempo, e