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Il capo e la cameriera: Harmony Jolly
Il capo e la cameriera: Harmony Jolly
Il capo e la cameriera: Harmony Jolly
E-book173 pagine2 ore

Il capo e la cameriera: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Amore e lavoro possono andare d'accordo? Certo. Provare per credere!

Chiamato a occuparsi del suo nipotino, Jasper Coleman è preso alla sprovvista. Il suo lavoro è gestire un'azienda con un fatturato da milioni di dollari, e non è assolutamente in grado di prendersi cura di un bambino! Disperato, chiede aiuto alla sua nuova cameriera, Imogen Hartley.

Effervescente, affettuosa e dotata di una gioiosa sensualità, Imogen lo ha indotto in un'irritante tentazione sin dal suo arrivo. Lui deve resistere, e non solo per il suo stoico senso del dovere. Sono troppo diversi! Ma con il passare dei giorni, è sempre più evidente che il piccolo ha bisogno di Imogen nella sua vita. E forse anche lui...

Disponibile in eBook dal 20 gennaio 2021
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2021
ISBN9788830523661
Il capo e la cameriera: Harmony Jolly
Autore

Michelle Douglas

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il capo e la cameriera - Michelle Douglas

    successivo.

    1

    Imogen si sistemò gli auricolari nelle orecchie e scrollò leggermente la testa per assicurarsi che non cadessero. Poi pigiò il tasto di avvio della playlist che le aveva inviato suo padre. Si fermò, in attesa che partisse la prima canzone. Appena il suono della surf music anni '60 le riempì le orecchie, sorrise.

    Perfetto! Ecco come inserire il filo nella cruna di un ago! Era su un'isola meravigliosa, a trenta minuti di barca dalla costa brasiliana, ad ascoltare surf music. Si diede un pizzicotto su un braccio. Poi un altro. Quindi guardò l'aspirapolvere ai suoi piedi e si ricordò che non era lì per abbandonarsi ai piaceri di una splendida vacanza ai tropici. Ma quello era un dettaglio difficile da tenere a mente considerato che, ovunque guardasse, non vedeva altro che sabbia dorata, languide palme e magnifiche onde blu che s'infrangevano a riva scomponendosi in riccioli di schiuma bianca.

    Comunque, di lì a qualche ora, sarebbe andata in spiaggia, o a esplorare la foresta pluviale, oppure...

    Oppure a scoprire che cosa c'era che non andasse in sua zia.

    Le sfuggì un altro sorriso e spinse le spalle all'indietro per tornare in sé. Era in quel posto da soli tre giorni. C'era tempo per capire che cosa tormentasse zia Katherine.

    Accese l'aspirapolvere e si mise in comunicazione con i numi tutelari della casa – cantando e ballando mentre spingeva l'apparecchio in giro per la stanza. Quello era l'unico modo per pulire. Le faccende domestiche erano inevitabili, ma con un po' di fantasia si poteva renderle il più divertenti possibile.

    Era stata attenta a non fare rumore negli ultimi tre giorni, perché al proprietario della villa, il signor Jasper Coleman, sembrava che non piacesse essere disturbato.

    A ciascuno il suo.

    Scrollò le spalle e sollevò gli angoli della bocca. Ogni mattino alle undici lui andava a fare una corsetta sulla spiaggia per circa un'ora. Un'occhiata all'orologio le indicò che aveva altri cinquanta minuti per spassarsela prima di dovere tenere la bocca chiusa e ritornare a uno stato innaturale di silenzio – e utilizzare quel periodo di tempo per spolverare, passare la scopa elettrica e riordinare il soggiorno, la sala pranzo, il suo ufficio e l'atrio d'ingresso. E intendeva sfruttare quel breve lasso di tempo meglio che poteva.

    Si guardò attorno, ammirando per l'ennesima volta quella stupenda villa in riva al mare. Sebbene Jasper Coleman si potesse definire il signore del maniero, quella casa non assomigliava per niente a un tipico maniero inglese. Le travi di legno che correvano lungo i soffitti a volta conferivano alle stanze un'aria di grandezza, e quella sensazione faceva sentire Imogen una naufraga a bordo di uno di quegli antichi velieri che spesso si vedevano in quei B-movie di pirati in cui recitavano Errol Flynn e Burt Lancaster. Quella strana impressione era però decisamente attenuata dalle piastrelle messicane color miele e dalle enormi finestre panoramiche che affacciavano su quello straordinario scenario.

    Inclinò l'aspirapolvere per infilarlo sotto il tavolino. Avrebbe dovuto amare quella casa, ma i mobili disposti ad arte e i tappeti di design la facevano sembrare una di quelle residenza ultralussuose che si trovavano nelle riviste di arredamento. Tutto era attentamente abbinato. E non c'era una sola cosa fuori posto.

    Se fosse stata lei la proprietaria...

    Ah, sì! Se...

    A ogni modo, se fosse stata lei, quella casa sarebbe sembrata completamente diversa. Più disordinata, tanto per cominciare. Il suo sorriso scomparve di colpo. C'erano parecchie zone scure in quell'abitazione, ma non di quelle che lei poteva eliminare spazzando i pavimenti o ripulendo le pareti. No, erano di altro tipo. E non c'era da stupirsi che zia Katherine fosse diventata così triste a vivere lì.

    E le due cose – zia Katherine e la tristezza – non andavano per niente d'accordo. Improvvisamente, il peso che cercava d'ignorare da qualche tempo tornò a farsi sentire. Doveva venire a capo di quel mistero, e non solo perché lo aveva promesso a sua madre, ma perché zia Katherine era una delle sue persone preferite e le faceva male vederla così infelice.

    Il lettore MP3 del suo cellulare fece partire un'altra canzone e Imogen si mise al lavoro. Aveva un'intera casa da pulire, e non avrebbe ottenuto niente intristendosi in quel modo. Alzò il volume al massimo e cantò il brano muovendo i fianchi a ritmo e rigirando l'aspirapolvere attorno a un immaginario partner di ballo. Anche se le camere apparivano ordinate, erano decisamente grandi, e lei doveva rassettarle tutte prima che il signor Coleman fosse tornato dal suo giro di corsa mattutino. Infatti sapeva che poi lui si sarebbe rinchiuso per tutto il giorno nel suo ufficio per fare chissà quale diavoleria con il suo computer. E per giunta in giacca! Incredibile! Si vestiva di tutto punto per lavorare da solo su un'isola che ospitava per l'esattezza quattro persone. Semplicemente... wow!

    Il secondo pezzo terminò e dagli auricolari fluì la voce registrata di suo padre. Quella era una delle perle delle sue playlist – i messaggi personali che lui ci infilava di nascosto. «Ci manchi, Immy.»

    Roteò gli occhi in aria, sorridendo come una matta. «Sono andata via da soli tre giorni.» Spense l'aspirapolvere e ridacchiò di gusto nel sentire una delle sciocche storie di suo padre che riguardavano il circolo del tennis. Poi lui le raccomandò un film che aveva visto insieme a sua madre e concluse il messaggio con un: Ti voglio bene, tesoro.

    «Anche io, papà» rispose lei debolmente, lasciandosi assalire da una intensa nostalgia di casa.

    Proprio in quell'istante un movimento che udì alle sue spalle la fece raggelare. Si voltò lentamente con l'agghiacciante premonizione di sapere chi fosse. E purtroppo ci aveva azzeccato. Davanti a lei si stagliava Jasper Coleman in tutta la sua imponente altezza, irradiando un senso di pura disapprovazione. La bocca di Imogen si seccò di colpo e d'istinto si tolse gli auricolari dalle orecchie.

    Il suo datore di lavoro era una montagna d'uomo con un'aria da lupo solitario, e quel pensiero le fece pulsare nella mente la parola pericolo. Una frazione di secondo dopo, si riscosse e ritornò in sé. Lui non era così enorme. Solo... moderatamente enorme. Tuttavia era uno di quegli uomini la cui presenza riempiva completamente la stanza. E in quel caso la riempiva fino ai soffitti a volta.

    Con il suo occhio clinico da sarta qualificata fece una rapida valutazione e stimò la sua altezza in un metro e novanta. E anche se le spalle erano straordinariamente larghe, lui non era uno di quei marcantoni dai muscoli pompati. Intendiamoci, non doveva avere un'oncia di grasso superfluo addosso, e tutti i muscoli che lei poteva vedere – e poteva vederne abbastanza, dal momento che aveva sostituito la giacca con un paio di pantaloncini e una T-shirt – erano ben delineati. Molto ben delineati. Ed era proprio quella perfezione del suo corpo a conferirgli un'aria di potere controllato.

    Quello e i suoi capelli pettinati a spazzola.

    Quindi... non era proprio un orso. E probabilmente nemmeno pericoloso. Almeno, non uno di quelli che sbranavano le persone. Ma niente di tutto questo servì a farle rallentare il battito accelerato del cuore.

    «Signorina Hartley, stavo giusto pensando che... non è opportuno che lei faccia telefonate personali mentre lavora.»

    Stava scherzando? In quel posto isolato lei riusciva a stento a prendere il segnale con il suo cellulare. Fece per sbuffare ma si trattenne quando notò il suo sopracciglio inarcato. Poteva non essere prudente sottolineare la cosa in quel preciso momento. «No, signore» replicò con qualche secondo di ritardo. E pronunciò quelle due parole con una tale forza che le parve di essere la caricatura ridicola di un sergente maggiore.

    Molto bene, Imogen. Perché non sbatti i tacchi e fai anche il saluto militare?

    «Non stavo facendo nessuna telefonata. Ascoltavo solo delle canzoni che mi ha mandato mio padre. Lui è un tecnico del suono... e mi lascia dei brevi messaggi tra un pezzo e l'altro... e io gli rispondo a voce alta come se potesse sentirmi. Così...» Chiuse gli occhi.

    Troppe informazioni, Immy.

    «Mi aspettavo che sua zia le avesse precisato che esigo silenzio e tranquillità mentre lavoro.»

    Lei spalancò gli occhi. «Certo che me lo ha detto!» Non poteva mettere nei guai zia Katherine. «Ma, sa, pensavo che lei fosse già uscito per la sua corsa.»

    Lanciò un'occhiata alla porta dell'ufficio di Coleman e dovette lottare contro l'impeto di battersi una mano sulla fronte. Avrebbe dovuto verificare se quella porta era aperta o chiusa. Nel primo caso significava che lui non c'era e che lei avrebbe potuto pulire quelle stanze senza disturbarlo. Se invece fosse stata chiusa, avrebbe indicato che lui stava lavorando... e che lei sarebbe dovuta stare muta come un pesce. Mordicchiandosi il labbro inferiore, Imogen incontrò di nuovo il suo sguardo. «Mi scusi. Ho dimenticato di controllare la porta del suo studio. Non accadrà più, signor Coleman, lo prometto.»

    Lui non ribatté nulla e lei lo guardò con incertezza. Forse non era una montagna d'uomo, ma ricalcava bene l'immagine di un orso arrabbiato. Il che poteva anche essere un abbaglio visto che lei non lo conosceva così bene, tuttavia i modi di quel tipo le ricordavano troppo quelli del brutto e vecchio Scrooge, e lei non era minimamente predisposta a fare qualcosa per piacergli.

    Coleman voltò la testa di scatto e Imogen si sentì profondamente sollevata di non avere più addosso quegli occhi di ghiaccio. Ma un attimo dopo lui tornò a guardarla e lei dovette fare i conti con il turbamento di un attimo prima. «Nel caso il mio abbigliamento sia sfuggito alla sua attenzione, signorina Hartley, proprio ora stavo andando a correre.»

    Il suo sarcasmo era pungente. Imogen strinse le dita attorno al manico dell'aspirapolvere e all'improvviso fu la voce di Elliot – anzi, la sua ironia beffarda – a risuonarle nella testa. Sollevò il mento in segno di sfida. «Pensa che io sia stupida?» Lei poteva anche essere soltanto la sua domestica, ma se c'era un cosa che proprio non sopportava era la scortesia. «Ascolti, ho commesso uno sbaglio e mi sono scusata. Ma questo non significa che sono stupida.»

    «Oh, Imogen!» Sentì la voce di sua madre risuonarle nella testa. «E zia Katherine? Le hai fatto una promessa!»

    Jasper Coleman si stava dirigendo verso l'uscita, ma poi si bloccò di colpo e tornò indietro, adesso con una lentezza intimidatoria. Invece di indietreggiare – che sarebbe stata la cosa più sensata da fare in quel momento – lei sostenne il suo sguardo con fermezza. Sapeva di essere un po' troppo sensibile sulle questioni che riguardavano la sua ragionevolezza e la sua intelligenza, ma non per questo si sentiva in dovere di sopportare i commenti sprezzanti su ciò.

    O almeno fu questo che si disse prima d'incominciare a tremare come una foglia. La sua determinazione si dissolse in un lampo quando Jasper squadrò le spalle. Qualunque idiota sapeva che era controproducente stuzzicare il can che dorme.

    «Signorina Hartley, non la conosco a sufficienza per avere dei pregiudizi sulla sua intelligenza.» Coleman indicò la porta del suo ufficio. «Tuttavia mi resta un punto interrogativo sulle sue capacità d'osservazione.»

    Imogen si mordicchiò la lingua e tenne la bocca fermamente chiusa. Per fortuna, lui non diede segnali di aspettarsi una risposta, dal momento che, senza ulteriori indugi, girò sui tacchi e lasciò la stanza. Un attimo dopo, Imogen sentì il clic della porta d'ingresso che si chiudeva. Quantomeno non l'aveva sbattuta per segnalare il suo disappunto.

    «Una cosa è sicura, Mister Simpatia, il tuo abbigliamento non è sfuggito alla mia attenzione» mormorò tra sé, infilandosi gli auricolari nella tasca della gonna. Era una sarta e non riusciva a fare a meno di notare cosa indossassero le persone con cui si relazionava.

    In realtà, non aveva solo notato che cosa lui indossava, ma l'aveva passato ai raggi X. Il che non aveva molto senso visto che il suo abbigliamento era abbastanza generico. Quegli anonimi pantaloncini da corsa gli arrivavano a metà coscia e non erano né striminziti né stretti. La T-shirt, però, accarezzava la sua figura come se gli fosse stata cucita addosso, evidenziando la flessuosità del corpo e il gioco della solida muscolatura.

    Oh, Imogen, chi stai cercando di prendere in giro?

    Non erano i vestiti ad avere attirato la sua avida attenzione, ma il fisico che essi nascondevano.

    Accigliandosi,

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